Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 28160.
Il contratto di cessione al Comune di un terreno da destinare a discarica di rifiuti
Il contratto di cessione al Comune di un terreno da destinare a discarica di rifiuti integra un contratto atipico, il cui contenuto dev’essere ricostruito attraverso l’interpretazione della concreta volontà delle parti, anche in relazione alla determinazione della relativa durata. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con riguardo a un contratto che prevedeva l’esecuzione di opere di bonifica da parte del conduttore anche dopo la chiusura della discarica, aveva escluso che sulla previsione convenzionale del termine di durata annuale dovesse prevalere la disciplina imperativa di cui all’art. 42 della l. n. 392 del 1978, alla cui stregua la rinnovazione del contratto, di anno in anno, dopo i primi sei ne avrebbe comportato l’automatica rinnovazione per un ulteriore sessennio).
Ordinanza|| n. 28160. Il contratto di cessione al Comune di un terreno da destinare a discarica di rifiuti
Data udienza 23 febbraio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Locazione – Trasferimento a terzi della disponibilità di un terreno per la sua destinazione a discarica di rifiuti – Contratto atipico – Applicazione delle norme sulla locazione – Ipotesi di occupazione senza titolo – Sussistenza di un danno presunto – Onere della prova contraria a carico del convenuto – Prova che il proprietario non avrebbe mai esercitato il diritto di godimento – Annullamento con rinvio
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4105/2019 R.G. proposto da:
Comune di Coreno Ausonio (Fr), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7268/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/02/2023 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.
Il contratto di cessione al Comune di un terreno da destinare a discarica di rifiuti
RILEVATO
che:
Con contratto del (OMISSIS) (OMISSIS) concesse in locazione al Comune di (OMISSIS) un proprio terreno di 500 metri quadri quale sito provvisorio per lo stoccaggio dei rifiuti solidi urbani (d’ora in avanti, RSU), per la durata di un anno a decorrere dal (OMISSIS) e a fronte di un canone annuo di Euro 4028,36; il contratto fu prorogato di anno in anno fino al (OMISSIS), e poi rinnovato sino alla fine del 2001 anche per consentire al conduttore di bonificarlo.
Con atto di citazione del 6 maggio 2002 la (OMISSIS) convenne davanti al Tribunale di Cassino il Comune di Coreno Ausonio, adducendo che il Comune aveva continuato a depositare nel terreno i RSU oltre il termine stabilito, che non aveva bonificato, che aveva occupato una superficie piu’ ampia di quella locata e aveva permesso a terzi di accedervi per farne una discarica abusiva. Chiese pertanto che, accertata la scadenza del contratto locatizio e accertata altresi’ l’estensione dell’area occupata come superiore a quella concessa in locazione, fosse dichiarato che il terreno dal (OMISSIS) in avanti era detenuto abusivamente dal Comune e che pertanto si condannasse il convenuto al rilascio del terreno locato e al rilascio del terreno illegittimamente occupato, nonche’ al risarcimento dei danni per l’utilizzo sia del terreno locato – successivamente appunto al (OMISSIS) – sia del terreno illegittimamente occupato – successivamente al (OMISSIS) – in base al canone della locazione stipulata nel contratto per il terreno che ne era stato oggetto, il tutto fino al rilascio; chiese altresi’ la condanna del Comune a corrisponderle i costi della bonifica e la somma di Euro 15.000, equitativamente determinata, per la sua condotta inadempiente.
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Il Comune di Coreno Ausonio si costitui’, resistendo.
Il Tribunale, con sentenza del 27 marzo 2013, condanno’ il Comune convenuto a risarcire danni all’attrice nella misura di Euro 239.076,21, oltre accessori, e alla rifusione delle spese processuali.
Nella sentenza affermo’ che non era cessata la materia del contendere per avere nel (OMISSIS) il Comune bonificato e rilasciato i terreni, che era stata legittima la durata annuale della concessione di locazione poi rinnovata, risultando la transitorieta’ della detenzione da una Delib. della Giunta Comunale 17 gennaio 1995, e da allegata scrittura privata nonche’ dalla destinazione a stoccaggio provvisorio dei RSU; rilevo’ altresi’ che l’area occupata, secondo quanto accertato dal consulente tecnico d’ufficio, aveva superato i 2960 metri quadri in quanto includente spazi di accesso e di manovra esterni “a macchia di leopardo” (occupazione, questa, che non era stata eliminata rimuovendo un cassone, essendo rimasta una piazzola in cemento funzionale allo stoccaggio), aree in cui il Comune non aveva impedito l’accesso dei cittadini per usarle come discarica abusiva; infine, dichiaro’ impossibile determinare una somma per risarcire il danno derivante dall’incompleta bonifica, essendo stata compiuta questa successivamente alla consulenza tecnica d’ufficio.
Il Comune propose appello, cui controparte resistette.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 19 novembre 2018, in parziale riforma della pronuncia impugnata, rettifico’ l’importo di quanto dovuto per l’occupazione abusiva da Euro 224.076,21 a Euro 302.200, rigettando peraltro la domanda di condanna relativa alla somma di Euro 15.000.
Il Comune ha presentato ricorso, articolato in cinque motivi, da cui la (OMISSIS) si e’ difesa con controricorso, e poi anche con memoria.
La causa e’ stata inserita nel ruolo della camerale del 7 giugno 2022, ma essendo nelle more intervenuta rimessione alle Sezioni Unite con Cass. sez. 3, ord. int. 17 gennaio 2022 n. 1162 allo scopo di chiarire se il danno da illegittima occupazione di immobile costituisca un danno in re ipsa – questione qui oggetto del quarto motivo del ricorso – con ordinanza interlocutoria e’ stata rimessa a nuovo ruolo.
La causa quindi e’ stata chiamata alla camerale del 23 febbraio 2023.
Il contratto di cessione al Comune di un terreno da destinare a discarica di rifiuti
CONSIDERATO
che:
1.1.1 Il primo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, articoli 27 e 42, per essere stata dichiarata valida ed efficace la durata annuale del contratto.
In appello l’attuale ricorrente avrebbe impugnato proprio su tale durata annuale, sostenendo che sia per la particolare attivita’ – lo stoccaggio di RSU – sia per la qualita’ del conduttore – un ente pubblico territoriale – si sarebbero dovuti applicare i suddetti articoli 27 e 42, quali norme imperative statuenti una durata minima di sei anni. Il contratto, pertanto, si sarebbe rinnovato automaticamente per altri sei anni per mancata disdetta, onde sarebbe scaduto il 1 gennaio 2007, anziche’, come ritenuto dal Tribunale, il 1 gennaio 2001.
Il Comune dunque avrebbe esercitato legittimo possesso fino al 1 gennaio 2007, per cui non sarebbe stata fondata la domanda risarcitoria presentata dalla (OMISSIS).
1.1.2 In particolare, la corte territoriale, nella sentenza impugnata, avrebbe rilevato che, appunto con il primo motivo del gravame, l’appellante aveva propugnato l’applicabilita’ non dell’articolo 27 (attinente al contratto di locazione non abitativa transitoria tra privati), bensi’ dell’articolo 42 (attinente al contratto di locazione stipulato da ente pubblico territoriale), per cui i contratti locatizi di immobili urbani per attivita’ ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche, sedi di partiti e di sindacati “e quelli stipulati dallo Stato o da enti pubblici territoriali in qualita’ di conduttori” hanno durata come previsto dall’articolo 27, comma 1. Ad avviso dell’appellante il primo giudice avrebbe dovuto quindi applicare l’articolo 42, e non l’articolo 27, e ritenere nulla ai sensi della L. n. 392 del 1978, articolo 79, la deroga annuale di natura transitoria stabilita dalle parti in quanto non prevista ne’ richiamata dall’articolo 42, con conseguente ripristino, per eterointegrazione ex articoli 1339 e 1419 c.c., della durata sessennale; mancando allora la disdetta effettuata nei modi di legge si sarebbe compiuta la rinnovazione per un altro sessennio, cioe’ il 1 gennaio 2007. Non vi sarebbe stata pertanto alcuna utilizzazione abusiva del terreno da parte del Comune, e dunque nessun danno per occupazione sine titulo.
Il giudice d’appello avrebbe tuttavia ritenuto che, al di la’ della indicata perentorieta’ della durata locatizia nel contratto con ente pubblico territoriale, dovrebbe tenersi conto della normativa attinente ai rifiuti. Richiama pertanto giurisprudenza di legittimita’ (Cass. 7557/2011) nel senso che il contratto con cui il proprietario concede a un terzo la disponibilita’ del suo terreno, per utilizzarlo come discarica di rifiuti secondo le modalita’ determinate nel contratto e peculiari (“come nella specie la previsione di opere di bonifica a carico del conduttore anche dopo la chiusura della discarica”), e’ un contratto atipico cui sono analogicamente applicabili le norme del contratto di locazione e che, mancando una espressa clausola che disponga diversamente, il conduttore ha obbligo, alla scadenza del termine, di riconsegna, pur nelle condizioni ordinariamente conseguenti all’uso; pertanto il conduttore, se non dimostra che la bonifica non sia fattibile senza conservare la disponibilita’ del bene, diventa responsabile del ritardo della riconsegna ex articolo 1591 c.c..
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Tale situazione, secondo il giudice d’appello, si sarebbe quindi verificata, essendo stata riconsegnata l’area oggetto del contratto il 1 aprile 2010, per essere stata terminata la bonifica il 14 settembre 2009. Essendo dunque il Comune responsabile del ritardo di cui all’articolo 1591 c.p.c., la corte territoriale aveva rigettato il motivo del gravame, pur con motivazione diversa rispetto al primo giudice.
1.1.3 Il ricorrente, in primis, oppone che la corte territoriale non avrebbe tenuto conto della qualita’ soggettiva del conduttore, tale da comportare l’applicazione, anziche’ dell’articolo 27, comma 5 – che disciplina la durata transitoria del contratto di locazione -, della L. n. 392 del 1978, articolo 42 (si invoca sul punto Cass. 12947/1995), per cui sarebbe stata nulla ai sensi dell’articolo 79 della medesima legge la deroga della durata annuale, e avrebbe dovuto scattare la eterointerpretazione di cui agli articoli 1339 e 1419 c.c., per la durata sessennale.
Sostiene infatti il ricorrente (richiamando Cass. 2274/1998 e Cass. 16321/2009) che i contratti con enti pubblici territoriali sarebbero sempre assoggettati al citato articolo 42, indipendentemente dall’uso del bene locato
1.1.4 In secondo luogo dovrebbe negarsi il diritto della (OMISSIS) all’indennizzo fino al 1 gennaio 2007 anche per la “maggiore superficie asseritamente utilizzata” di 2400 metri quadri circa: il giudice d’appello avrebbe riconosciuto che in gran parte si trattava di spazi di accesso e manovra esterni, onde non rileverebbe che “non siano stati oggetto di specifica pattuizione” nel contratto del (OMISSIS), trattandosi di “obblighi presupposti” per i principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, sussistenti anche se in esso non espressamente previsti (si cita al riguardo Cass. 13583/2011). Diversamente il contratto sarebbe stato nullo per “impossibilita’ dell’oggetto e del contenuto (locare un terreno ma non poterlo raggiungere per non occupare le strade di accesso)”, dato che la destinazione a deposito dei RSU “e’ stata tenuta presente da entrambi i contraenti come situazione di fatto imprescindibile nella formazione del consenso”, per cui il giudice potrebbe pure sollevarla d’ufficio ai sensi dell’articolo 1421 c.c..
Ne conseguirebbe, qualora fosse accolto questo motivo, la decurtazione dal risarcimento del danno delle somme relative alla occupazione abusiva dal (OMISSIS), sia per il terreno locato sia per quello ulteriormente utilizzato.
1.2 Il motivo veicola, evidentemente, due submotivi.
1.2.1.1 Il primo verte sulla natura del contratto stipulato tra (OMISSIS) e il Comune ricorrente, e quindi sulla normativa che lo dovrebbe governare.
Al riguardo, la corte territoriale ha ben invocato, considerata l’identita’ della tematica, Cass. sez. 3, 1 aprile 2011 n. 7557, per cui “il contratto con il quale il proprietario di un terreno ne trasferisca la disponibilita’ a terzi per la sua destinazione a discarica di rifiuti, secondo modalita’ negozialmente predeterminate e del tutto peculiari (nella specie, escavazione del terreno per consentire lo smaltimento dei rifiuti con il sistema dello stoccaggio definitivo; corrispettivo stabilito in ragione dei metri cubi di riempimento dello scavo; previsione di opere di bonifica a carico del conduttore anche dopo la chiusura della discarica), integra gli estremi di un contratto atipico cui, in via analogica, sono legittimamente applicabili le norme sulla locazione, atteso lo scopo pratico del negozio che ne evidenzia la causa in concreto, in correlazione alla quale va conformata la disciplina del contratto atipico”; e in siffatto contratto atipico “in difetto di un’espressa previsione contrattuale che stabilisca diversamente, sussiste l’obbligo a carico del concessionario o conduttore, alla scadenza del termine, di riconsegnare il bene, sia pure nelle condizioni ordinariamente conseguenti all’uso stabilito”, per cui, qualora non dimostri l’impossibilita’ di compiere su di esso i concordati lavori di bonifica se non ne conserva la disponibilita’, “il concessionario o conduttore deve ritenersi responsabile del ritardo nella consegna del bene stesso, ai sensi dell’articolo 1591 c.c.”.
Tale pronuncia ha confermato il precedente offerto da Cass. sez. 3, 26 novembre 2002 n. 16679, che e’ infatti cosi’ massimato: “Il contratto con il quale il proprietario di un terreno ne trasferisca la disponibilita’ a terzi per la sua destinazione a discarica, secondo modalita’ negozialmente predeterminate e del tutto peculiari (nella specie, escavazione del terreno per consentire lo smaltimento dei rifiuti con il sistema dello stoccaggio definitivo; corrispettivo stabilito in ragione dei metri cubi di riempimento dello scavo; obbligo di restituzione del terreno alla scadenza contrattuale previa chiusura della discarica mediante copertura dello scavo e sistemazione finale dell’area per l’utilizzazione a piazzale) integra gli estremi del contratto atipico cui, in via analogica, sono legittimamente applicabili le norme sulla locazione, a cio’ conseguendo la sussistenza di un obbligo di restituzione del bene, da parte dell’utilizzatore, tutte le volte in cui il rilascio costituisca (come nella specie) effetto previsto dal contratto ed espressamente collegato al raggiungimento della complessa causa della convenzione atipica, ovvero qualora la destinazione del bene all’uso convenuto non risulti piu’ possibile per sopravvenuto “factum principis”.
Il contratto di cessione al Comune di un terreno da destinare a discarica di rifiuti
La corte territoriale, dunque, ha fondato la non applicabilita’ dell’articolo 42, in sostanza, sulla natura atipica del contratto – gia’ chiaramente riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, cui non vi e’ motivo per non dare continuita’ – che la corte ha ravvisato nel negozio sottoposto al suo esame, nel senso che si trattava di un contratto di temporaneo trasferimento della disponibilita’ di un terreno destinato a discarica di rifiuti, “secondo modalita’ negozialmente predeterminate e del tutto peculiari (come nella specie la previsione di opere di bonifica a carico del conduttore anche dopo la chiusura della discarica)” (cosi’ a pagina 6 della sentenza impugnata: peculiarita’ che l’appena richiamata giurisprudenza valorizza per rendere il contratto atipico).
1.2.1.2 Dato atto, quindi, dell’esistenza di una siffatta species di contratto atipico, deve constatarsi che la corte territoriale rientra poi nella classica indagine, nel caso concreto, della identificazione/interpretazione della volonta’ contrattuale delle parti, da cui trarre la qualificazione del contratto; si tratta di un’indagine che spetta naturalmente al giudice di merito, il quale peraltro, nella ricerca in tale volonta’ contrattuale degli indici rilevanti per qualificarne il frutto come il contratto atipico appena indicato, segue quanto insegnato dalla giurisprudenza.
Si rileva d’altronde che il ricorrente si basa, nella sua censura, sull’apodittico asserto che il contratto sia stato locatizio, e quindi non atipico: la giurisprudenza che invoca, dunque, non e’ pertinente, perche’ concerne una fattispecie in cui e’ dato per certo trattarsi di contratto di locazione (Cass. sez. 3, 24 luglio 2007 n. 16321: “Anche ai contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualita’ di conduttori di cui della L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 42, e’ applicabile la disciplina dettata dagli articoli 28 e 29, in tema di rinnovazione che accorda al conduttore una tutela privilegiata in termini di durata del rapporto. Invero, a differenza dell’ipotesi regolata dall’articolo 1597 c.c., la protrazione del rapporto alla sua prima scadenza in base alle richiamate norme della L. n. 392 del 1978, non costituisce l’effetto di una tacita manifestazione di volonta’ – successiva alla stipulazione del contratto e che la legge presume in virtu’ di un comportamento concludente e, quindi, incompatibile con il principio secondo il quale la volonta’ della P.A. deve essere necessariamente manifestata in forma scritta -, ma deriva direttamente dalla legge, che rende irrilevante la disdetta del locatore quando la stessa non sia basata su una delle giuste cause specificamente indicate dalla legge quali motivi legittimi di diniego della rinnovazione).
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Ad abundantiam a questo punto, si rileva che non e’ propriamente pertinente invece Cass. sez. L, 2 marzo 1998 n. 2274/1998; ne’ e’ pertinente il nucleo dell’insegnamento di Cass. sez. 3, 19 dicembre 1995 n. 12947 (“la L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 42, comma 2, nella parte in cui contiene un richiamo all’articolo 28 della stessa legge, va interpretato in forza del suo tenore letterale nel senso che alle locazioni di cui dell’articolo 42, comma 1 (cioe’ degli immobili urbani adibiti ad attivita’ ricreative, assistenziali, culturali o scolastiche, nonche’ a sedi di partiti o sindacati o di quelli detenuti in qualita’ di conduttori dallo Stato e dagli altri enti pubblici territoriali) non si applica integralmente la disciplina contenuta nell’articolo 28, ma solo quella di cui al comma 1, relativa al preavviso di rilascio, con la conseguenza che il locatore potra’ far cessare il rapporto alla prima scadenza, anche in assenza dei motivi indicati nel successivo articolo 29 e richiamati dell’articolo 28, comma 2, purche’ dia disdetta nei termini e nei modi di legge.”), peraltro superata da S.U. 9 luglio 1997 n. 6227.
1.2.2 Quanto al secondo submotivo, relativo ai pretesi “obblighi presupposti” sopra illustrati, e’ evidente che esso veicola un novum.
Dalla premessa del ricorso (pagina 4) risulta infatti che l’attuale ricorrente, difendendosi in primo grado, aveva affermato che “non aveva mai occupato porzione di terreno superiori a quella dedotte (sic) in contratto, per la presenza in loco di ampie aree che erano di proprieta’ del Comune stesso, trattandosi di vie comunali o convicinali di interesse pubblico, come tali sottratte alla titolarita’ e disponibilita’ di parte attrice”; in atto d’appello, poi (pagina 6 del ricorso), il Comune non aveva introdotto l’oggetto del secondo submotivo, sostenendo invece che il primo giudice “aveva dichiarato la occupazione abusiva da parte del Comune… di una superficie di mq 2.460 maggiore rispetto a quella locata di mq 500 con il contratto del 14.01.1995, in assenza di qualsiasi prova fornita da controparte circa la titolarita’ e appartenenza di tale maggior superficie”.
In conclusione, entrambi i submotivi non mostrano consistenza.
2.1 Il secondo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., articoli 113, 115 e 116 c.p.c., ove si accerta e dichiara la proprieta’ della (OMISSIS) della maggior area di 2460 metri quadri.
Il Comune nell’atto d’appello avrebbe lamentato la mancanza della prova al riguardo; invero, controparte non l’avrebbe mai fornita, pur avendo sostanzialmente esercitato un’azione di rivendica.
Si riportano stralci della motivazione della sentenza qui impugnata per affermare poi: “Il fondamento logico giuridico di simile convincimento e’… il frutto di un errato accertamento e di una inadeguata valutazione dei fatti”.
La proposta d’acquisto sarebbe stata avanzata in un’ottica transattiva, per cui non avrebbe esonerato dall’onere probatorio la (OMISSIS); e quest’ultima sull’area di 2460 metri quadri non avrebbe “esercitato un’azione di restituzione, di natura personale”, bensi’ un’azione reale sul presupposto di esserne la proprietaria e di non averne piu’ il possesso. A cio’ dovrebbe aggiungersi che la (OMISSIS) non avrebbe “mai specificato l’estensione, la dimensione ed i confini” di tale area oltre i 500 metri quadri, demandandone l’accertamento al consulente tecnico d’ufficio, al quale infatti sarebbe stato proposto il seguente primo quesito: “Accerti il CTU la porzione di terreno di proprieta’ della… (OMISSIS)… occupata e/o utilizzata dall’inizio del contratto…”.
La (OMISSIS) non avrebbe fornito i titoli per sostenere la sua domanda, e tutto sarebbe stato poi tratto dalla consulenza tecnica d’ufficio, la quale, basata soltanto “su rilievi catastali e fotografici (senza alcuna indagine o misura ipocatastale)”, non avrebbe potuto esonerarla da “allegare e provare i fatti costitutivi” della domanda, “ne’ supplire a simili deficienze istruttorie tramite una attivita’ di carattere esplorativo”. Insufficiente sarebbe infatti soltanto una certificazione catastale (qui viene citata, tra l’altro, Cass. 5842/2004).
Da tutto cio’ conseguirebbe la violazione dell’articolo 2697 c.c. e articolo 115 c.p.c., per mancato rigetto per carenza di prova.
Il contratto di cessione al Comune di un terreno da destinare a discarica di rifiuti
2.2 Anzitutto occorre riassumere il contenuto motivazionale su questa tematica che offre la sentenza d’appello – il quale varra’ anche per vagliare i motivi successivi.
La corte territoriale ha rilevato che il secondo e il terzo motivo del gravame lamentavano che il Tribunale aveva dichiarato l’esistenza di occupazione abusiva su un terreno piu’ ampio di quello locato, coinvolgendo beni a confine con l’area recintata locata, pur mancando prova attorea che tali beni fossero di proprieta’ della (OMISSIS), e che i suddetti motivi censuravano pure la quantificazione del risarcimento dei danni; e ha rilevato altresi’ che il quarto motivo censurava l’adesione del Tribunale agli esiti della consulenza tecnica d’ufficio, senza esaminare le critiche mosse alla consulenza dal Comune.
Il giudice d’appello ha ritenuto infondate tutte queste censure.
In particolare, ha osservato che il giudice di prime cure “ha correttamente rilevato che tra le superfici occupate e destinate allo smaltimento” dovevano comprendersi le aree di accesso e di manovra dei mezzi di trasporto dei RSU, nonche’ le aree limitrofe ove si erano “rinvenuti rifiuti sparsi”, per un totale, insieme all’area recintata, di oltre 2960 metri quadri come era stato accertato dal consulente tecnico d’ufficio, il quale aveva “evidenziato”, anche con le allegate foto, “la loro funzionalita’, diretta o indiretta, all’attivita’ di stoccaggio”.
Quanto poi alle “zone invase a macchia di leopardo”, la corte territoriale ritiene che l’occupazione apparentemente parziale sia stata in realta’ totale, avendo lo stoccaggio soppresso “l’appetibilita’ e la concreta possibilita’ dell’utilizzo del terreno nella sua totale estensione”. Il consulente tecnico d’ufficio inoltre – osserva ancora il giudice d’appello – non ha ignorato la rimozione del cassone di raccolta dei rifiuti posto all’esterno dell’area recintata, perche’ ha comunque accertato che “sui luoghi e’ rimasta la piazzola di cemento sulla quale stazionava”: pertanto perdurava l’occupazione “anche della relativa area”.
Osserva altresi’ la corte territoriale che l’appellante lamentava che il primo giudice abbia seguito la CTU senza tenere conto dei rilievi dell’appellante stesso; a cio’ ribatte la corte osservando che la CTU puo’ avere funzione percipiente “quando essa verta, come nella specie, su elementi gia’ allegati dalla parte, ma che soltanto un tecnico sia in grado di accertare” con le conoscenze e gli strumenti di cui dispone. Emerge inoltre che il consulente “ha prontamente risposto” alle osservazioni del Comune, pure con il supplemento di consulenza del 16 ottobre 2006, “correttamente evidenziando – per ubicazione, estensione e tipologia – le aree, diverse da quelle oggetto dell’originario contratto del (OMISSIS), di fatto utilizzate per lo stoccaggio dei rifiuti, anche attraverso il loro interramento sino a una profondita’ di 30-40 centimetri”. Si deve dunque ritenere irrilevante l’affermazione del Comune per cui il luogo per il deposito dei rifiuti sarebbe stato, al massimo, ampio 500 metri quadri, essendo invece emerso dall’istruttoria che la zona occupata per stoccaggio copriva circa 2960 metri quadri.
Riguardo al “primo profilo del secondo motivo”, che la (OMISSIS) sia proprietaria delle aree in questione, il giudice d’appello ritiene che lo abbia ammesso proprio il Comune dove afferma che “si era disinteressata dei propri beni” e dove, con atto del 24 luglio 1998 (presente nel fascicolo di primo grado), le aveva proposto l’acquisto di parte dei suoi terreni – per 1000 metri quadri -, impegnandosi, se vi fosse stata risposta negativa (come in effetti vi fu), “a restituire nello stato originario la superficie occupata nel rispetto degli accordi contrattuali e previa bonifica”. Che poi il Comune “non abbia mai assunto di essere proprietario” delle aree de quibus esclude vi sia stata l’azione di rivendicazione della (OMISSIS), per cui non era necessario che quest’ultima “fornisse la prova rigorosa della proprieta’”.
Quanto al “secondo profilo”, riguardante “i criteri di determinazione delle somme liquidate in sentenza”, il giudice d’appello dichiara che il primo giudice ha correttamente applicato i principi pertinenti, avendo ritenuto il Comune responsabile del ritardo della consegna ex articolo 1591 c.p.c., cosi’ determinando il dovuto per illegittima occupazione “sulla base della stessa c.t.u. e tenendo conto del canone a suo tempo pattuito” per i 500 metri quadri locati. E trattandosi di occupazione illegittima il danno e’ in re ipsa, derivando “dal semplice fatto della perdita della sua disponibilita’, la cui natura e’ normalmente fruttifera, e dalla impossibilita’ di conseguire l’utilita’ da esso ricavabile”: e’ dunque possibile liquidarlo con riferimento al danno figurativo quale valore locatizio del bene (si invoca Cass. 20545/2018).
Il Tribunale ha determinato l’importo di Euro 224.076,21 per l’abusiva occupazione incorrendo in “evidente errore di calcolo”: secondo il canone annuo per i 500 metri quadri ammontante ad Euro 4028,36, per ogni metro quadro e’ dovuto l’importo di Euro 8,056, che, moltiplicato per 2460, porta, “con arrotondamento”, a Euro 19.817 annui; moltiplicando poi questo per i quindici anni di occupazione illegittima (1995-2009), si giunge ad Euro 297.255, cui va aggiunto, per i primi tre mesi dell’anno 2010 in cui i 2460 metri quadri rimasero nella disponibilita’ del Comune, l’importo di Euro 4954,25, pervenendo, ancora con arrotondamento, ad un totale di Euro 302.200. Cosi’ ritiene il giudice d’appello che vada rettificato il dovuto stabilito dal primo giudice, “anche in accoglimento della richiesta di correzione” dell’appellata.
2.3 Ritornando al secondo motivo del ricorso, dunque, emerge dalla sentenza impugnata che la Corte d’appello ha qualificato la domanda nel senso che non si trattasse di azione di rivendicazione ritenendo che il fatto che il Comune “non abbia mai assunto di essere proprietario” delle aree de quibus esclude appunto vi sia stata l’azione di rivendicazione della (OMISSIS), per cui non era necessario che quest’ultima “fornisse la prova rigorosa della proprieta’”.
Il contratto di cessione al Comune di un terreno da destinare a discarica di rifiuti
Come si e’ visto, il motivo non confuta questa ratio decidendi, il che lo arresta su un piano d’inammissibilita’. Patisce inoltre inammissibilita’ per le ulteriori argomentazioni al riguardo, che risultano direttamente fattuali.
3.1 Il terzo motivo denuncia nullita’ della sentenza per difetto assoluto di motivazione, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’articolo 132 c.p.c., n. 4 e articolo 118 disp. att. c.p.c., per avere il giudice d’appello aderito alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio “senza esaminare le specifiche e dettagliate critiche ad essa rivolte”.
Si richiama quanto detto al riguardo nella sentenza d’appello – che e’ compreso nella parte motivazionale della sentenza sopra riportata nel vaglio del precedente motivo – e si nega che vi sia stata una consulenza tecnica percipiente, perche’ per valutare i titoli di proprieta’ della maggiore area “rivendicata dall’attrice” non occorrerebbe “l’ausilio di alcuna speciale cognizione tecnica”. Si sarebbe quindi dinanzi ad una consulenza deducente. Il richiamo poi effettuato dal giudice d’appello a supplemento della consulenza sarebbe “mera clausola di stile”. Nel caso in esame, invece, sussisterebbe soltanto una motivazione apparente, tale da rendere nulla la sentenza.
Si dichiara, poi, di riportare per rispetto del principio di autosufficienza le “critiche sollevate alla sentenza di primo grado e alla consulenza tecnica su cui si basa” per evidenziare “l’incidenza causale del difetto di motivazione” (si vedano le pagine 24-28 del ricorso), argomentando infine sull’avere la corte territoriale alla prima udienza sospeso l’esecutivita’ della sentenza di primo grado per la parte eccedente la somma di Euro 120.000, ritenendo i motivi d’appello “non particolarmente infondati e pretestuosi, in particolare sulle questioni della estensione dell’area occupata e dei criteri di determinazione della somma liquidata, su cui si appalesa la necessita’ di approfondimenti”, peraltro mai compiuti.
3.2 Un siffatto motivo sarebbe proponibile in un giudizio di merito, e in effetti e’ un terzo grado di merito che persegue, come emerge agevolmente dalla sintesi che se ne e’ appena offerta.
D’altronde, se e’ vero che la motivazione della sentenza impugnata, come risulta da quanto riportato per vagliare il secondo motivo, non puo’ definirsi particolarmente specifica nella sua analisi, e’ altrettanto vero, pero’, che non giunge affatto a patire neppure il vizio di inesistenza/apparenza, rimanendo entro l’area di rispetto del canone della trasparenza costituzionale.
4.1 Il quarto motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli articoli 1223, 1226, 2056, 2059 e 2697 c.c., per la liquidazione del danno da occupazione abusiva in Euro 302.000, effettuata pur “in assenza di qualsiasi prova” del danno.
Si richiama il passo della motivazione della sentenza impugnata – anche questo gia’ riportato in occasione del vaglio del secondo motivo – in cui la Corte d’appello afferma che tale specie di danno e’ in re ipsa, opponendo invece la necessita’ di allegare e provare di aver subito un danno (si invocano alcuni arresti, tra cui Cass. 378/2005 e Cass. 13071/2018): danno che, nel caso in esame non sarebbe stato dimostrato, cio’ impedendo pure la liquidazione equitativa ai sensi degli articoli 1226 e 2056 c.c..
Ad avviso della corte territoriale, nota il ricorrente, il preteso danneggiato e’ onerato esclusivamente della proposizione della domanda risarcitoria, tutto il resto proseguendo in modo per cosi’ dire automatico e onnicomprensivo a suo favore, siano o meno presenti nella difesa del preteso danneggiante contestazioni, generiche o specifiche, dell’an prima e poi del quantum.
4.2 Tale impostazione effettivamente non e’ corretta, in quanto, a tacer d’altro, da ultimo si sono pronunciate al riguardo le Sezioni Unite di questa Suprema Corte con la recentissima sentenza 15 novembre 2022 n. 33645, per saldare alcune crepe presenti nella pur tendenziale uniformita’ giurisprudenziale relativa a questa species di lucro cessante.
Considerata la prossimita’ temporale della pronuncia nomofilattica, la cui attesa ha reso necessaria la rimessione a nuovo ruolo della presente causa, e’ il caso di riportarne i passi piu’ significativi:
“La tesi del danno in re ipsa e’ debitrice della concessione normativa, elaborata dalla dottrina tedesca, secondo cui l’oggetto del danno coincide con il contenuto del diritto violato… E’ questa la teorica che fa da sfondo alla giurisprudenza, soprattutto della Seconda Sezione Civile, favorevole al danno in re ipsa nell’ipotesi di occupazione sine titulo di immobile. Il carattere in re ipsa del danno viene fatto discendere dalla natura fruttifera del bene… Sempre secondo la giurisprudenza della Seconda Sezione Civile, e’ data pero’ al convenuto la possibilita’ di fornire la prova contraria del danno in re ipsa allegato, dimostrando che il proprietario si e’ intenzionalmente disinteressato dell’immobile… In questo quadro e’ stato precisato che non puo’ sostenersi che si tratti di un danno la cui sussistenza sia irrefutabile, posto che la locuzione “danno in re ipsa” rinvia “all’indisponibilita’ del bene fruttifero secondo criteri di normalita’, i quali operano l’occupante alla prova dell’anomala infruttuosita’ di uno specifico immobile”… A questo proposito deve darsi atto che nella Seconda Sezione Civile e’ emerso un piu’ recente orientamento secondo cui la locuzione “danno in re ipsa” va sostituita con quella di “danno normale” o “danno presunto”, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato… L’orientamento della Terza Sezione Civile e’ invece ispirato dalla teoria causale del danno, secondo cui il pregiudizio risarcibile non e’ dato dalla lesione della situazione giuridica, ma dal danno conseguenza derivato dall’evento di danno corrispondente alla detta lesione”…
La questione posta dal contrasto e’, al fondo, se la violazione del contenuto del diritto, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile, sia suscettibile di tutela non solo reale ma anche risarcitoria. Ritengono le Sezioni Unite che al quesito debba darsi risposta positiva, nei termini… secondo cui la locuzione “danno in re ipsa” va sostituita con quella di “danno presunto” o “danno normale”, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato… l’estensione della tutela dal piano reale a quello risarcitorio, per l’ipotesi della violazione del contenuto del diritto, deve lasciare intatta la distinzione fra le due forme di tutela. La distinzione fra l’azione reale e l’azione risarcitoria e’ il riflesso processuale di quella sostanziale fra regole di proprieta’… e regole di responsabilita’… Mentre la tutela reale costituisce il rimedio per l’alterazione dell’ordinamento formale, la tutela risarcitoria e’ compensativa del bene della vita perduto, secondo le modalita’ del danno emergente se la perdita patrimoniale (o non patrimoniale) e’ in uscita, del lucro cessante se la perdita e’ in entrata.
La distinzione fra le due forme di tutela comporta che il fatto costitutivo dell’azione risarcitoria non possa coincidere senza residui con quello dell’azione di rivendicazione ma debba contenere l’ulteriore elemento costitutivo del danno risarcibile. Cio’ significa tenere ferma la distinzione, espressione della teoria causale del danno, fra causalita’ materiale e causalita’ giuridica… l’evento di danno e’ giuridicamente rilevante solo se produttivo del danno conseguenza… affinche’ un danno risarcibile vi sia, perfezionandosi cosi’ la fattispecie del danno ingiusto, e’ necessario che al profilo dell’ingiustizia, garantito dalla violazione del diritto, si associ quello del danno conseguenza, e percio’ la perdita subita e/o il mancato guadagno che, sulla base del nesso di causalita’ giuridica, siano conseguenza immediata e diretta dell’evento dannoso…
Quando l’azione lesiva attinge invece il contenuto del diritto di proprieta’… cio’ che viene in primo luogo in rilievo e’ la violazione dell’ordine giuridico. L’ordinamento appresta lo strumento di ripristino dell’ordine formale violato, ossia la tutela reale di reintegrazione del diritto leso…
L’allegazione che l’attore faccia della concreta possibilita’ di godimento perduta puo’ essere specificamente contestata dal convenuto costituito. Al cospetto di tale allegazione il convenuto ha l’onere di opporre che giammai il proprietario avrebbe esercitato il diritto di godimento. La contestazione al riguardo non puo’ essere generica, ma specifica… In presenza di una specifica contestazione sorge per l’attore l’onere della prova dello specifico godimento perso, onere che puo’ naturalmente essere assolto anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza… o mediante presunzioni semplici. Nel caso della presunzione l’attore ha l’onere di allegare, e provare se specificatamente contestato, il fatto secondario da cui inferire il fatto costitutivo rappresentato dalla possibilita’ di godimento persa. Sia nel caso di godimento diretto, che in quello di godimento indiretto, il danno puo’ essere valutato equitativamente ai sensi dell’articolo 1226 c.c., attingendo al parametro del canone locativo di mercato quale valore economico del godimento nell’ambito di un contratto tipizzato dalla legge, come la locazione, che fa proprio del canone il valore del godimento della cosa.
Se la domanda risarcitoria ha ad oggetto il mancato guadagno causato dall’occupazione abusiva, l’onere di allegazione riguarda gli specifici pregiudizi, ai quali si possono identificare non solo le occasioni perse di vendita a un prezzo piu’ conveniente rispetto a quello di mercato, ma anche le mancate locazioni a un canone superiore a quello di mercato (una volta che si quantifichi equitativamente il godimento perduto con il canone locativo di mercato, il corrispettivo di una locazione ai correnti valore di mercato rientra… nelle perdite subite). Ove insorga controversia in relazione al fatto costitutivo del lucro cessante allegato, l’onus probandi anche in questo caso puo’ naturalmente essere assolto mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza o di presunzioni semplici….
Il contratto di cessione al Comune di un terreno da destinare a discarica di rifiuti
Sia per la perdita subita che per il mancato guadagno va rammentato che l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte convenuta, non anche per quelli ad essa ignoti… per i fatti ignoti al danneggiante l’onere probatorio sorge comunque per l’attore, a prescindere dalla mancanza di contestazione, ma il criterio di normalita’ che generalmente presiede, salvo casi specifici, alle ipotesi di mancato esercizio del diritto di godimento comporta che l’evenienza dei fatti ignoti alla parte convenuta sia tendenzialmente piu’ ricorrente nelle ipotesi di mancato guadagno. Ne consegue sul piano pratico la maggiore ricorrenza per il convenuto dell’onere di contestazione, nel rigoroso rispetto del requisito di specificita’ previsto dall’articolo 115 comma 1, nelle controversie aventi ad oggetto la perdita subita e la maggiore ricorrenza per l’attore dell’onere probatorio, pur in mancanza di contestazione, nelle controversie aventi ad oggetto il mancato guadagno. Si chiarisce cosi’ la portata eminentemente pratica delle nozioni di “danno normale” e “danno presunto”… le quali rinviano, nelle controversie relative alla perdita subita, a una maggiore frequenza dell’onere del convenuto di specifica contestazione della circostanza di pregiudizio allegata e ad una minore frequenza per l’attore dell’onere di provare la circostanza… data la tendenziale normalita’ del pregiudizio al godimento del proprietario a seguito dell’occupazione abusiva”.
E’ evidente che questo ampio e preciso riequilibrio apportato dalle Sezioni Unite incide sulla decisione qui impugnata, perche’ questa, riconoscendo un danno in re ipsa, conseguentemente non valuta in alcuna misura ne’ la specificita’ dell’allegazione della parte pretesa danneggiata, ne’ la specificita’ delle contestazioni mosse dalla pretesa danneggiante. Sul punto, quindi, ricorrendo in effetti la violazione di legge denunciata con il presente motivo la sentenza deve essere cassata con rinvio, dovendo il giudice del rinvio applicare in tal senso l’insegnamento delle Sezioni Unite.
5.1 Il quinto motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullita’ della sentenza e del procedimento per violazione degli articoli 287, 288, 343 e 346 c.p.c., per la correzione dell’importo risarcitorio da Euro 224.076,21 a Euro 302.200, nonche’, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione “di norme di diritto”.
Il giudice d’appello – in primis – avrebbe accolto la richiesta di correzione della (OMISSIS) formulata ai sensi dell’articolo 346 c.p.c. (si riporta il passo motivazionale, che e’ stato gia’ trascritto a proposito del secondo motivo). Il che sarebbe “il frutto di un errato accertamento e di una inadeguata valutazione dei fatti”, perche’ il primo giudice avrebbe determinato il danno “sulla scorta della CTU”, che lo avrebbe quantificato “non in base al valore locativo del cespite, ma in relazione al costo di bonifica del sito”. Pertanto non vi sarebbe stato un errore materiale, e non si sarebbe potuto effettuare una correzione.
In secondo luogo la (OMISSIS) non avrebbe potuto chiedere la riforma della sentenza ex articolo 346 c.p.c., riproponendo l’istanza, bensi’ avrebbe dovuto proporre appello incidentale ai sensi dell’articolo 343 c.p.c.. La sua domanda sarebbe stata dunque inammissibile.
5.2 Il motivo e’ assorbito da quanto rilevato a proposito di quello precedente.
In conclusione, disattesi i primi tre motivi, deve essere accolto il quarto assorbendo conseguentemente il quinto, cassando per quanto di ragione con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.
Il contratto di cessione al Comune di un terreno da destinare a discarica di rifiuti
P.Q.M.
Disattesi i primi tre motivi, accoglie il quarto motivo del ricorso, assorbito il quinto, cassa per quanto di ragione e rinvia, anche per le spese processuali, alla Corte d’appello di Roma.
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