Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 28 settembre 2018, n. 23552.
Sentenza 28 settembre 2018, n. 23552.
Data udienza 19 aprile 2018.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10044-2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
BANCA D’ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS) dell’AVVOCATURA DELLA BANCA stessa;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 606/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/04/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TRONCONE Fulvio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) con delega depositata in udienza dell’Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Il prof. (OMISSIS) ricorre, sulla scorta di dieci motivi, per la cassazione della sentenza con cui la corte di appello di Roma ha rigettato l’opposizione Decreto Legislativo n. 385 del 1993, ex articolo 145 (T.U.B.) da lui proposta avverso la Delib. 7 luglio 2015, n. 304 con cui il Governatore della Banca d’Italia gli aveva inflitto la sanzione di Euro 24.000 per violazioni di obblighi inerenti alla carica, da lui ricoperta, di Presidente del disciolto Collegio sindacale della (OMISSIS) s.p.a. (” (OMISSIS)”).
La Banca d’Italia ha depositato controricorso.
La causa e’ stata discussa alla pubblica udienza del 19 aprile 2018, per la quale il ricorrente ha depositato una memoria ed il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, rubricato con riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 5 il ricorrente lamenta l’omesso esame del fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, costituito dallo scioglimento degli organi della Banca proposto il 2 settembre 2014 dalla Banca d’Italia e decretato dal Ministero dell’Economia e Finanze il 5 settembre 2014; fatto che, secondo l’argomentazione sviluppata nel mezzo di gravame, avrebbe determinato il venir meno dell’elezione di domicilio da lui stesso effettuata presso la sede della Cassa di Risparmio, con conseguente invalidita’ della notifica del provvedimento sanzionatorio effettuata a mani del Direttore Generale della banca invece che a mani, o al domicilio, del prof. (OMISSIS). La corte distrettuale avrebbe dunque errato nel ritenere validamente effettuata la notifica presso la sede della banca e avrebbe altresi’ errato nel ritenere applicabile alla detta notifica la sanatoria per raggiungimento dello scopo ex articolo 156 c.p.c., sul rilievo che il prof. (OMISSIS) aveva spiegato le proprie difese nell’ambito del procedimento sanzionatorio, trascurando di considerare che dette difese erano state spiegate in epoca successiva alla estinzione del procedimento conseguita alla maturazione del termine di decadenza di cui alla L. n. 689 del 1981, articolo 14.
Il motivo va giudicato infondato perche’, secondo l’accertamento di fatto operato in sentenza (pag. 8), e non specificamente contestato in ricorso, l’odierno ricorrente aveva “eletto domicilio presso la sede legale della banca” e non presso la persona fisica del titolare di un organo sociale sciolto con il Decreto Ministeriale Economia e Finanze 5 settembre 2014. Il fatto di cui si lamenta l’omesso esame risulta, quindi, privo di decisivita’, giacche’, quando il rapporto di domiciliazione sia stato costituito con una persona giuridica, esso non viene meno per modificazioni dell’assetto organizzativo dell’ente che – come il commissariamento degli organi sociali – siano comunque compatibili con la persistenza dell’individualita’ dell’ente stesso (cfr., a contrario, Cass. 18178/04, che ha escluso la permanenza del rapporto di domiciliazione costituito con una banca ente di diritto pubblico a cui era subentrata una persona giuridica di diritto privato, con radicali mutamenti, concernenti sia la natura e la struttura dell’ente, sia l’oggetto e le modalita’ di esercizio dell’attivita’, che rendevano evidente la totale diversita’ tra il soggetto esistente nel momento in cui il rapporto di domiciliazione era stato instaurato e quello operante quando la notificazione era stata effettuata).
Resta, conseguentemente, assorbita la doglianza relativa alla dedotta inapplicabilita’ della sanatoria per raggiungimento dello scopo ex articolo 156 c.p.c..
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente argomenta che la Banca d’Italia aveva formato la propria decisione sull’esistenza delle violazioni contestate nel provvedimento sanzionatorio gia’ al momento dell’emissione del decreto di scioglimento degli organi e che, in tal modo, sarebbero rimasti violati i principi di divieto di precostituzione del giudizio in assenza di previa contestazione L. n. 689 del 1981, ex articolo 14 e del contraddittorio.
Il motivo va disatteso, perche’ il ragionamento prospettato dal ricorrente oblitera le differenze tra il procedimento sanzionatorio e il procedimento di scioglimento degli organi sociali e commissariamento di un azienda creditizia;
le valutazioni operate nell’ambito di quest’ultimo procedimento da parte dell’Organo di vigilanza non pregiudicano in alcun modo lo sviluppo del procedimento sanzionatorio, all’interno del quale il contraddittorio e’ stato pacificamente garantito.
Con il terzo motivo di ricorso, rubricato con riferimento all’articolo 112 c.p.c. e articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente si duole dell’omessa pronuncia sul settimo motivo del ricorso in opposizione, concernente la contraddittorieta’ della motivazione del provvedimento impugnato rispetto alla relazione riservata della Banca d’Italia, nella quale si fa espresso riferimento alla positiva intensificazione dell’attivita’ del Collegio sindacale presieduto dal prof. (OMISSIS).
Il motivo va disatteso, perche’ non ricorre il denunciato vizio di omessa pronuncia, essendosi la corte territoriale espressamente pronunciata, rigettandolo, sul settimo motivo del ricorso in opposizione (pag. 18 della sentenza: “rilievi analoghi, afferenti un presunto difetto di motivazione, che sarebbe generica, sono reiterati nei motivi numeri sette…. I motivi non meritano accoglimento”). Giova, al riguardo, ricordare che il vizio di omessa pronuncia implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, mentre l’inadeguata giustificazione della decisione, sotto il profilo dell’omesso esame di fatti decisivi che abbiano formato oggetto di discussione tra le parti, puo’ essere fatta. valere in sede di legittimita’ soltanto con il mezzo di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2403 c.c. e dell’articolo 52 T.U.B. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 3, in cui la corte capitolina sarebbe incorsa ritenendo che il collegio sindacale avesse omesso di adempiere ai doveri di vigilanza impostigli dalle norme suddette per aver preso le necessarie iniziative a tutela delle ragioni creditorie della banca nei confronti dei gruppi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) solo “all’indomani dell’attivita’ intrapresa da Banca d’Italia” (pag. 28, primo capoverso, della sentenza). Nel mezzo di impugnazione si argomenta tale circostanza costituirebbe, al piu’, solamente un ritardo – non una omissione – di controllo, da sanzionare, ove effettivamente sussistente, in diversa maniera.
Il motivo non puo’ trovare accoglimento, perche’ il ritardo nello svolgimento della doverosa attivita’ di controllo altro non e’ che l’omissione di tale attivita’ nel momento in cui la stessa avrebbe dovuto esser compiuta. Il motivo quindi, in sostanza, si risolve in una critica di merito sull’apprezzamento della corte territoriale secondo cui, gia’ prima dell’ispezione della Vigilanza, l’esposizione debitoria dei gruppi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avrebbe richiesto al collegio sindacale una piu’ incisiva azione di controllo sostanziale, nonche’ l’esercizio del proprio potere/dovere di segnalare alla Banca d’Italia (“senza indugio”, secondo l’icastica formula utilizzata dall’articolo 52 T.U.B.) le irregolarita’ e le opacita’ riscontrabili nella gestione delle suddette posizioni debitorie (sull’obbligo di denuncia immediata alla Banca d’Italia ex articolo 52 T.U.B. cfr. Cass. n. 20934/09 e Cass. n. 6037/16).
Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente censura la violazione dell’articolo 2697 c.c. alla luce della L. n. 689 del 1981, articolo 3 e la violazione dell’articolo 115 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducendo che la corte d’appello non avrebbe posto a fondamento della propria decisione le prove proposte dal ricorrente ed avrebbe omesso l’esame di fatti decisivi nell’affermare che “il Collegio sindacale non si e’ preoccupato, pur in una situazione di grave irregolarita’, del fatto che il sistema di verifica delle esposizioni creditizie non funzionasse e che non venissero forniti dati adeguati ne’ e’ intervenuto, vuoi per far si’ che i flussi informativi venissero ripristinati, vuoi per acquisire direttamente i dati relativi alle esposizioni debitorie piu’ rilevanti”. Il ricorrente riporta testualmente il proprio nono motivo di ricorso in opposizione, con stralci di documenti allegati che proverebbero sia la non imputabilita’ al collegio sindacale della inadeguatezza degli interventi volti ad arginare gli scenari di perdita prospettati, in quanto tali interventi erano stati adottati dal consiglio di amministrazione, sia la responsabilita’ delle societa’ di revisione legale (OMISSIS), sia il positivo svolgimento, da parte del collegio sindacale, di verifiche sul risk management e di iniziative sul tema degli incagli.
La censura e’ formulata in questi termini alle pagine 42 e 43 del ricorso: “La sentenza impugnata…ha: 1) errato nell’esame del ricorso affermando, al contrario di quanto esposto nel nono motivo “che lo stesso (OMISSIS) ammette di aver svolto fino alla ispezione della Banca d’Italia una attivita’ di controllo formale”, mentre e’ vero esattamente il contrario, come si ricava dalla lettura del motivo di opposizione; 2) ritenuto esistenti omissioni (addirittura amplificate rispetto a quanto dedotto dalla Banca d’Italia), in totale assenza di esame della documentazione depositata a sostegno del motivo di ricorso”.
Il motivo va disatteso perche’, pur denunciando promiscuamente un vizio di violazione di legge, non individua alcuna esplicita od implicita affermazione in diritto della sentenza gravata che si ponga in contrasto con le disposizioni di cui viene lamentata la violazione, ma censura le conclusioni a cui e’ approdato il libero convincimento del giudice di merito nell’apprezzamento delle risultanze istruttorie; esso cioe’ si risolve in una istanza di revisione, da parte della Corte di cassazione, delle valutazioni e dei convincimenti dei giudice di merito, inammissibile in questa sede, perche’, come questa Corte ha piu’ volte affermato (cfr. sent. n. 7972/07), nel giudizio di cassazione non e’ consentito alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimita’ degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito. Non pertinente va poi giudicata la protesta di violazione dell’articolo 115 c.p.c., giacche’, come questa Corte ha gia’ chiarito nella sentenza n. 11892/16, tale violazione puo’ essere dedotta come vizio di legittimita’ solo qualora il giudice di merito abbia dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti (ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli) e non anche lamentando che il medesimo giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre.
Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione degli articoli 2403 e 2407 c.c. e articolo 52 T.U.B. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in cui la corte di appello sarebbe incorsa nel rigettare il dodicesimo motivo del ricorso in opposizione, riguardante il mancato controllo nei confronti della posizione di (OMISSIS) (parte correlata). La corte territoriale – dopo aver affermato, in replica al rilievo che le operazioni con parti correlate si inserivano in rapporti risalenti ad epoche molto anteriori all’insediamento del collegio sindacale presieduto dal prof. (OMISSIS), che il dovere di vigilanza dei sindaci si estende a tutte le situazioni pregiudizievoli, o potenzialmente tali, esistenti al momento dell’assunzione dell’incarico, indipendentemente da quando le stesse siano venute in essere – sottolinea come “il collegio sindacale, all’indomani dell’ispezione avviata dall’Autorita’ di Vigilanza ha, correttamente, bloccato la richiesta di un’ulteriore facilitazione avanzata dal (OMISSIS), con cio’ dimostrando che la condotta doverosa poteva essere tenuta senza alcuna difficolta’” (pag. 33, righi 3 e segg., della sentenza). Il ricorrente censura tale ultima statuizione deducendo che la stessa si porrebbe “in violazione delle norme in materia, posto che dalle norme non si ricava che l’esercizio del controllo non debba essere effettuato nel corso di un’ispezione” (pag. 50, ultimo capoverso, del ricorso per cassazione).
La censura e’ infondata, perche’ in sostanza il ricorrente ripropone la medesima argomentazione spesa nel quarto motivo di ricorso, alla cui stregua la responsabilita’ per il mancato compimento di attivita’ di controllo o di interdizione verrebbe meno al compimento di tali attivita’, ancorche’ posteriore all’intervento dell’Organo di vigilanza. In proposito non puo’ qui che ribadirsi il principio, gia’ sopra affermato in sede di esame del quarto mezzo di gravame, che il ritardo nello svolgimento della doverosa attivita’ di controllo altro non e’ che l’omissione di tale attivita’ nel momento in cui la stessa avrebbe dovuto esser compiuta, cosicche’ il compimento di un’attivita’ controllo da parte del collegio sindacale non esime il medesimo dalla propria responsabilita’ omissiva qualora tale attivita’ sarebbe stata da compiere gia’ in epoca anteriore al momento in cui essa e’ stata effettivamente compiuta.
Con il settimo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 689 del 1981, articolo 14 in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in cui la corte distrettuale sarebbe incorsa ravvisando una responsabilita’ del collegio sindacale nella mancata verifica dell’acquisizione, da parte della banca, delle garanzie reali (in particolare, pegni di opere d’arte) necessarie a coprire l’esposizione nei confronti del debitore prof. (OMISSIS). Ad avviso del ricorrente tale verifica non competeva al collegio sindacale, poiche’ la stessa postulava l’esercizio di un controllo specifico su singoli atti da ritenere estraneo al modello di controllo, a campione, tipico dell’attivita’ ordinaria di detto collegio. In particolare il ricorrente censura l’argomentazione della corte distrettuale secondo cui la verifica, da parte del collegio sindacale, dell’acquisizione delle menzionate garanzie sarebbe stata doverosa, perche’ agevole, lamentando la mancata correlazione tra gli addebiti mossi al collegio sindacale nell’impugnata sentenza e quelli sviluppati nella motivazione della delibera sanzionatoria (nella quale, argomenta il ricorrente, la Banca d’Italia non aveva contestato ai sindaci di non aver verificato se gli uffici preposti avessero provveduto all’acquisizione dei pegni).
Il motivo va giudicato infondato, in quanto la omissione di un controllo mirato sulla avvenuta, necessaria, acquisizione di garanzie reali da parte del debitore prof. (OMISSIS) altro non e’ che una estrinsecazione della “mancata verifica di una relazione creditizia problematica, oggetto di numerose riunioni del Comitato parti correlate e del CdA” a cui fa riferimento il provvedimento sanzionatorio nello stralcio riportato a pag. 54 dello stesso ricorso per cassazione.
Con l’ottavo motivo di ricorso, rubricato con riferimento all’articolo 112 c.p.c. e articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente deduce il vizio di ultrapetizione in cui la corte territoriale sarebbe incorsa riguardo alla questione delle dimissioni e della successiva riassunzione, da parte della banca, del dipendente sig. Di Fabrizio. In particolare, nel mezzo di impugnazione si argomenta che, a fronte dell’argomentazione con cui il prof. (OMISSIS) aveva evidenziato la convenienza della prosecuzione del pregresso rapporto di lavoro col sig. (OMISSIS), la corte distrettuale avrebbe pronunciato ultra petitum fondando la propria decisione sul rilievo, non contenuto dell’impugnata delibera sanzionatoria (che addebitava al collegio sindacale l’omessa valutazione degli indicatori di anomalia rappresentati dalle modalita’ di riassunzione, dalla deroga al blocco delle assunzioni, dalla percezione dell’incentivo all’esodo da parte del dipendente e, soprattutto dai rischi, in specie di natura reputazionale, sottesi al rapporto di lavoro con il sig. (OMISSIS)), che il suddetto vantaggio economico si sarebbe annullato con l’indennita’ di buonuscita gia’ erogata e, comunque, avrebbe dovuto essere valutato unitamente al danno all’immagine subito dalla banca.
Il motivo va giudicato infondato, in quanto la corte territoriale, lungi dall’introdurre titoli di responsabilita’ diversi da quelli posti a fondamento dell’impugnato provvedimento sanzionatorio, ha giudicato fondato l’addebito mosso all’incolpato, cosi’ come formulato nel menzionato provvedimento, valorizzando le risultanze processuali dimostrative della scarsa incisivita’ del controllo svolto dai sindaci e sottolineando la manchevolezza del controllo svolto dal collegio sindacale, in quanto limitato ad una valutazione esclusivamente economica (e peraltro incompleta) della questione del rapporto di lavoro tra la Banca ed il sig. (OMISSIS).
Con il nono motivo di ricorso, rubricato con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, il ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 2697 c.c., in relazione al disposto della L. n. 689 del 1981, articolo 3 nonche’ la violazione dell’articolo 115 c.p.c., in cui la corte territoriale sarebbe incorsa rigettando le argomentazioni sviluppate nel ricorso in opposizione con riferimento alla valenza degli esposti anonimi. In particolare, nella sentenza gravata si argomenta che il collegio sindacale “non ha inteso indagare oltre, senza tener conto che i fatti denunciati, che riguardavano talune delle condotte illecite di cui s’e’ gia’ detto, erano indice di anomalie gestorie su cui occorreva intervenire,…pur disponendo di tutti gli strumenti conoscitivi e giuridici necessari”. Secondo il ricorrente la corte capitolina avrebbe omesso l’esame di taluni documenti che dimostravano come i suddetti esposti anonimi non fossero ne’ reperibili ne’ reperiti nella banca e che dunque il collegio sindacale non disponeva affatto dei necessari strumenti conoscitivi e giuridici.
Il motivo e’ inammissibile perche’ denuncia un vizio di violazione di legge senza, tuttavia, indicare le regole di diritto esplicitamente o implicitamente applicate nella sentenza gravata in contrasto col disposto delle norme di cui lamenta la violazione, e limitandosi a prospettare questioni di merito che attingono il giudizio di fatto della corte territoriale sulla inerzia serbata dai sindaci ancorche’ essi disponessero “di tutti gli strumenti conoscitivi giuridici necessari” (pag. 35, secondo capoverso, della sentenza). Quanto alla dedotta violazione dell’articolo 115 c.p.c. non puo’ che richiamarsi quanto gia’ sopra precisato a proposito del quinto motivo del ricorso per cassazione sull’effettiva portata del relativo disposto.
Con il decimo motivo di ricorso, rubricato con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente impugna la liquidazione delle spese di lite poste a suo carico, dolendosi della quantificazione delle stesse in Euro 9.200 e deducendo che la corte territoriale avrebbe errato nella determinazione del valore della controversia e nella applicazione delle tariffe forensi, con violazione dell’articolo 14 c.p.c. e del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 5. Secondo il ricorrente la suddetta liquidazione eccederebbe il limite massimo fissato dalle tariffe e cio’ sarebbe imputabile al fatto che la corte territoriale avrebbe tenuto in considerazione, nel determinare il valore della lite, non solo il quantum della sanzione irrogata (Euro 24.000), ma anche l’interesse alla tutela della reputazione del ricorrente – dal medesimo evocato soltanto ai fini della richiesta tutela cautelare – cosi’ erroneamente giudicando indeterminabile il valore della causa.
Il motivo e’ fondato. La corte territoriale ha infatti errato nel considerare la causa di valore indeterminabile, giacche’ l’oggetto della domanda giudiziale era esclusivamente l’annullamento del provvedimento con il quale era stata irrogata una sanzione di Euro 24.000. Il valore della domanda andava quindi individuato nell’importo di Euro 24.000, non avendo l’opponente proposto alcuna domanda relativa al risarcimento di danni all’immagine da lui ipoteticamente subiti.
Il decimo motivo di ricorso va pertanto accolto, e, per l’effetto, la sentenza gravata va cassata; non vi e’ peraltro necessita’ di rinvio, giacche’, ricorrendo i presupposti per la decisione nel merito da parte di questa Corte, le spese del giudizio di merito possono essere liquidata in questa sede, con riferimento allo scaglione da Euro 5.200 ad Euro 26.000, in Euro 3.500, oltre IVA, c.p.a. e spese generali.
In definitiva il ricorso va accolto limitatamente al decimo motivo, rigettati gli altri, con cassazione della sentenza gravata in relazione al motivo accolto e consequenziale decisione in merito.
Le spese del giudizio di legittimita’ si compensano perche’ il ricorso e’ stato accolto solo in relazione ad un aspetto marginale della sentenza impugnata.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi nove motivi di ricorso, accoglie il decimo motivo, cassa la sentenza gravata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio davanti alla Corte d’appello di Roma in Euro 3.500, oltre IVA, c.p.a. e spese generali.
Dichiara compensate le spese del giudizio di cassazione.
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