Corte di Cassazione, sezione tributaria, Ordinanza 7 marzo 2019, n. 6635.
La massima estrapolata:
In tema di ICI la dichiarazione prevista dall’art. 10 del d.lgs. n. 504 del 1992, avendo natura di mera esternazione di scienza e di giudizio, può essere emendata (o ritrattata) dal contribuente, se frutto di errore, con effetti, però, diversi, a seconda che la modifica abbia luogo prima della notificazione dell’avviso di liquidazione della maggiore imposta ovvero successivamente alla stessa: nel primo caso, infatti, l’Ufficio è tenuto a rispettare le risultanze della correzione, fermo restando l’esercizio dei suoi poteri in ordine ai valori emendati, ma con onere della prova a carico dell’Amministrazione, mentre nella seconda ipotesi, pur non potendo considerarsi precluso l’esercizio della facoltà di correzione, quest’ultima, venendo necessariamente ad operare in sede contenziosa, pone a carico del contribuente l’onere di dimostrare la correttezza della modifica proposta.
Ordinanza 7 marzo 2019, n. 6635
Data udienza 24 gennaio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente
Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere
Dott. RUSSO Rita – Consigliere
Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere
Dott. DANIELE Rodolfo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4583-2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI CERNUSCO SUL NAVIGLIO, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5886/2014 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il 12/11/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/01/2019 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.
RILEVATO
che:
1. (OMISSIS) presentava, in data 28 dicembre 2010, istanza di rimborso delle somme versate, a titolo di Ici, in eccedenza rispetto a quelle dovute per gli anni di imposta 2007-2009, emendando contestualmente le originarie dichiarazioni Ici, nelle quali aveva indicato il valore dell’area senza considerare l’ubicazione “nella zona C2, nuova espansione, PP3″ e neppure i valori indicati dal comune con Delib. 26 novembre 2003, ai sensi del Decreto Legislativo n. 446 del 1997, articolo 59.
2. Avverso il diniego di rimborso proponeva ricorso alla CTP di Milano che lo accoglieva con sentenza appellata dal Comune di Cernusco sul Naviglio.
In particolare, i giudici regionali respingevano l’eccezione di inammissibilita’ dell’appello per la carenza di specificita’ dei relativi motivi ed accoglieva il gravame, sul rilievo che la delibera di cui al cit. articolo 59 non legittimava il contribuente alla richiesta di rimborso delle imposte versate in eccedenza rispetto a quanto dovuto sulla base dei valori indicati dal Comune, sia perche’ la delibera non poteva avere effetti retroattivi sia perche’ l’imposta doveva essere determinata ai sensi del Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 10, sulla base della dichiarazione del contribuente.
Il contribuente propone ricorso per cassazione della sentenza n. 5886 del 2014 svolgendo due motivi, illustrati con successiva memoria del 13 dicembre 2018.
Il Comune di Cernusco sui Navigli si e’ costituito con controricorso.
3. Con il primo motivo si lamenta l’erroneita’ della sentenza impugnata per violazione del Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 5 e del Decreto Legislativo n. 446 del 1997, articoli 52 e 59, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, per avere i giudici territoriali ritenuto che la determinazione della base imponibile ai fini ICI delle aree fabbricabili si fonda ai sensi del Decreto Legislativo n. 504 del 1997, articolo 10, sulla base delle dichiarazioni del contribuente, violando sia il disposto del Decreto Legislativo n. 446 del 1997, articolo 59, che prevede la facolta’ dei comuni, ai fini di limitare il relativo potere di accertamento, qualora l’imposta sia stata versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, sia i principi affermati da questa Corte in tema di emendabilita’ delle dichiarazioni, in quanto dichiarazione di scienza modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione dei dati riferiti.
4. Deduce altresi’ il ricorrente l’erronea applicazione della normativa citata anche nella parte in cui il decidente ha ritenuto che comunque la delibera comunale non potesse esplicare effetti retroattivi, dimenticando che la delibera comunale era stata adottata nel 2003 e avrebbe dovuto essere applicata per gli anni di imposta 2007-2009.
5. Con la seconda censura, (OMISSIS) denuncia violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 53, per avere i giudici regionali respinto l’eccezione preliminare di inammissibilita’ dell’appello per difetto di specificita’ dei motivi di gravame, avendo l’appellante contestato l’errata interpretazione dei fatti determinata anche dalle informazioni inesatte, contraddittorie e fuorvianti illustrate nella memoria presentata dal contribuente”.
6. In via preliminare va esaminata la seconda doglianza.
Il motivi di ricorso e’ affetto da una evidente ragione di inammissibilita’, rilevabile primariamente sotto il profilo dell’autosufficienza del ricorso, atteso che in forza di detto principio (cfr. articolo 366 c.p.c.) l’atto di impugnazione deve contenere in se’ tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito, ed altresi’, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessita’ di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, e che il ricorrente ha percio’ l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilita’, oltre al luogo in cui ne e’ avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso e’ fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass. n. 17198/2016; n. 14182/2016; n. 14784/2015);
L’opinione reiteratamente espressa da questa Corte e’ nel senso che “L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimita’ ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilita’ del motivo di censura, onde il ricorrente non e’ dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilita’) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso.
Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilita’, per difetto di specificita’, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione dei giudice di appello e non sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non puo’ limitarsi a rinviare, come nella fattispecie, all’atto di appello ovvero riportarne solo stralci, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa non specificita’” (Cass. n. 20405/2006; Cass. n. 22880/2017).
7. La prima censura e’ fondata nei limiti che seguono.
8. Le dichiarazioni di cui al Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 10, al pari delle altre dichiarazioni fiscali, “avendo natura di mera esternazione di scienza e di giudizio, possono essere emendate (o ritrattate) dal contribuente, se frutto di errore” (Cass. 2926/2010), sempre che l’emenda (o la presentazione tardiva della dichiarazione o della denuncia) sia giustificata da un errore originario o da una modificazione intervenuta dopo la denuncia, con effetti, pero’, diversi, a seconda che la modifica abbia luogo prima della notificazione dell’avviso di liquidazione della maggiore imposta ovvero successivamente alla stessa: nel primo caso, infatti, l’Ufficio e’ tenuto a rispettare le risultanze della correzione, fermo restando l’esercizio dei suoi poteri in ordine ai valori emendati, mentre nella seconda ipotesi, non puo’ considerarsi precluso l’esercizio della facolta’ di correzione, quest’ultima, venendo necessariamente ad operare in sede contenziosa (Cass. n. 2912/2010).
Cio’ premesso in ordine alla emendabilita’ delle predette dichiarazioni, ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo, il contribuente e’ attore in senso non solo formale ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato, con la conseguenza che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita, costituiscono mere difese, non soggette ad alcuna preclusione processuale (Cass. n. 21197 del 08/10/2014; n. 29613 del 29/12/2011).
Ne consegue, pertanto, che il valore dei singoli cespiti ai fini della determinazione dell’imposta non va parametrato esclusivamente a quanto dichiarato dal contribuente, altrimenti restando escluso il potere accertativo dell’ente impositore.
Con specifico riferimento alla dichiarazione ICI, questa Corte ha chiarito che la dichiarazione prevista dal Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 5, comma 5, in materia di Ici (ripreso dalla normativa in materia di Imu, Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201, articolo 13, convertito dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214) sancisce che, per le aree fabbricabili, occorre fare riferimento al valore venale in comune commercio al primo gennaio dell’anno d’imposizione, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilita’, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno, necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche.
Non si tratta, quindi, di un calcolo automatico, derivante da un parametro statico (come quello fornito dalla rendita catastale), ma di elementi da sottoporre a valutazione dinamica.
Peraltro, la natura estimativa del valore di mercato delle aree fabbricabili consente il ricorso agli strumenti deflattivi del contenzioso (accertamento con adesione, definizione in sede di mediazione), precluso per i tributi aventi natura reale (le entrate tributarie per i Comuni sono indisponibili ed irrinunciabili).
Uno strumento che il legislatore ha concesso ai Comuni per ridurre il contenzioso sulle aree fabbricabili e’, poi, quello previsto dal Decreto Legislativo n. 446 del 1997, articolo 59.
L’ente locale puo’, quindi, con proprio regolamento, emanato ai sensi dello stesso decreto, articolo 52, determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della limitazione del potere di accertamento dell’ente qualora l’imposta sia stata versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, secondo criteri improntati al perseguimento dello scopo di ridurre al massimo l’insorgenza di contenzioso.
E questa Corte, in tema di imposta comunale sugli immobili, ha avuto modo di precisare che ” e’ legittimo l’avviso di accertamento emanato sulla base di un regolamento del consiglio comunale che, in forza del Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, articoli 52 e 59 e del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, articolo 48, abbia indicato periodicamente i valori delle aree edificabili per zone omogenee con riferimento al valore venale in comune commercio, trattandosi di atto che ha il fine di delimitare il potere di accertamento del comune qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato e, pur non avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni idonea a costituire, anche con portata retroattiva, un indice di valutazione per l’Amministrazione ed il giudice, con funzione analoga agli studi di settore” (Cass. n. 15312 del 2018; Cass. n. 5068/2015 e n. 22254/2016; Cass. 3 maggio 2005, n. 9135; Cass. 7 maggio 2010, n. 11171; Cass. 13 marzo 2015, n. 5068).
Cio’ non di meno rimane ferma la regola, stabilita dal Decreto Legislativo n. 446 del 1997, articolo 52, secondo la quale il valore delle aree fabbricabili e’ quello venale in comune commercio; il contribuente puo’ dichiarare un valore inferiore a quello stabilito nel regolamento ed il comune puo’ ritenerlo congruo, in quanto concretamente corrispondente al valore di mercato come puo’ accertare un valore maggiore, ed in tal caso l’accertamento deve essere motivato facendo riferimento ai valori di mercato.
In questa prospettiva, l’indicazione periodica dei valori delle aree edificabili per zone omogenee ai sensi del Decreto Legislativo n. 446 del 1997, ex articolo 59, comma 1, lettera g), con riferimento al valore venale in comune commercio – che delimita il potere di accertamento del comune qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello cosi’ predeterminato – integra una fonte presuntiva idonea a costituire un oggettivo indice di valutazione per l’amministrazione ed il giudice tributario, “secondo criteri improntati al perseguimento dello scopo di ridurre al massimo l’insorgenza del contenzioso”; cio’ non toglie che il perseguimento della finalita’ deflattiva del contenzioso non e’ ostacolato dal riferimento a valori di mercato agevolmente ed univocamente desumibili da “atti pubblici o privati” di cui il Comune abbia il possesso o la concreta conoscenza, trattandosi di elementi sufficientemente specifici ed in grado di contraddire quelli di segno diverso ricavati in via presuntiva dai rilevati valori delle aree circostanti aventi analoghe caratteristiche (Cass. 13105/2012; n. 3841 del 2012 n. 21197/2014; n. 17645 del 2014; Cass. n. 13635 e n. 4969/18).
Ora, nella fattispecie, l’amministrazione comunale ha dedotto, solo nel presente giudizio, di aver utilizzato quale parametro di riferimento per l’accertamento della congruita’ del valore dell’area, un atto di compravendita rogato successivamente agli anni di imposta in esame (2007-2009), accertamento che, in realta’, non risulta essere stato disposto a seguito dell’istanza di rimborso presentata dal contribuente.
L’allegazione esposta nel controricorso dal Comune, secondo la quale il valore dichiarato nella prima dichiarazione, poi rettificata, corrispondeva al corrispettivo pattuito successivamente nell’anno 2011, in quanto risulta addotta solo nel giudizio di legittimita’ e’ inammissibile; in ogni caso, essa non dimostra affatto che quello era il valore venale dell’area negli anni 2007-2009, il quale andava accertato al primo gennaio di ciascun anno di imposizione.
La decisione dei giudici regionali non si e’ conformata ai principi esposti, assumendo quale unico criterio di determinazione dell’imposta il valore indicato nella prima dichiarazione del contribuente, anche se emendata, e, dall’altra, negando valore quanto meno presuntivo ai criteri adottati dall’ente comunale ai sensi del cit. articolo 59.
Il decidente avrebbe dovuto accertare, invece, il valore del terreno considerandone le caratteristiche, vale a dire ubicazione in zona “C 2; espansione” nonche’ la soggezione a vincolo di esproprio, vincolo citato nella motivazione della decisione della CTP, come trascritta nel ricorso per cassazione.
In conclusione, il primo motivo del ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, per la determinazione del valore venale dell’area de qua secondo i principi esposti.
P.Q.M.
La Corte:
– Accoglie il primo motivo del ricorso; dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimita’.
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