Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 20 giugno 2019, n. 16581.
La massima estrapolata:
I soci di una società di capitali non hanno titolo al risarcimento dei danni costituenti mero riflesso del pregiudizio arrecato da terzi alla società, in quanto integranti una mera porzione di quello stesso danno subito dalla (e risarcibile in favore della) stessa, con conseguente reintegrazione indiretta a favore del socio. A tale stregua, un danno non può considerarsi meramente riflesso allorquando una tale possibilità non sussista, come in caso di danni arrecati alla sfera personale del socio (diritto all’onore o alla reputazione) o per danni patrimoniali come quelli derivanti dalla perdita di opportunità personali, economiche e lavorative, o dalla riduzione del c.d. merito creditizio, che dal terzo responsabile vanno invero risarciti al socio. In particolare, allorquando venga dedotto che il dissesto economico comportante il fallimento di una società di capitali sia stato cagionato dalla condotta della banca convenuta in giudizio, cui sia seguita l’escussione delle fideiussioni che non vi sarebbe altrimenti stata, la domanda risarcitoria proposta dall’attore (quale socio e fideiussore) nei confronti di chi tale condotta ha mantenuto è di natura extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ., facendosi con essa valere un lamentato danno ingiusto – nell’ampia nozione, generalmente accolta, comprensiva di qualsiasi lesione di interessi giuridicamente rilevanti – causato dal comportamento imputabile al creditore, inerente non già ai rapporti diretti tra creditore e fideiussore a norma degli artt. 1944 e 1948 c.c. bensì alla violazione degli obblighi nascenti dal rapporto contrattuale tra creditore e debitore principale.
Ordinanza 20 giugno 2019, n. 16581
Data udienza 5 ottobre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. IANNELLO Pasquale – Consigliere
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25560-2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, (OMISSIS), MINISTERO ECONOMIA FINANZE (OMISSIS), in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, domiciliati ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui sono rappresentati e difesi per legge;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 6021/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/10/2018 dal Consigliere Dott. SCARANO Luigi Alessandro.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 2/11/2015 la Corte d’Appello di Roma ha respinto -per quanto ancora d’interesse in questa sede- il gravame interposto dal sig. (OMISSIS) in relazione alla pronunzia Trib. Roma 15/4/2013, di rigetto della domanda proposta nei confronti del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell’economia e delle finanze di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza dell’escussione da parte della societa’ (OMISSIS) s.p.a. della fideiussione prestata in favore del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato a garanzia dei contributi da quest’ultimo corrisposti ai sensi del Decreto Legge n. 75 del 1981 (conv. con modif. nella L. n. 219 del 1981) e del Decreto Legge n. 8 del 1987 (conv. con modif. nella L. n. 120 del 1987) alle societa’ (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a., di cui era socio accomandatario, successivamente fallite all’esito dell’illegittima revoca dei contributi nonche’ in conseguenza dell’inadempimento di obblighi nei confronti delle medesime assunti con un contratto stipulato in attuazione della L. n. 219 del 1981, di agevolazione delle iniziative industriali nelle zone colpite dal terremoto del 1980.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il (OMISSIS) propone ora ricorso per cassazione, affidato a 8 motivi, illustrati da memoria.
Resistono con controricorso il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell’economia e delle finanze di risarcimento.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1 motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” degli articoli 1218 E 2697 c.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito abbia “erroneamente ritenuto che non fosse stato provato il nesso di causa sussistente tra gli inadempimenti del MIC e il danno subito dal Sig. (OMISSIS)”.
Lamenta che, sussistendo nel caso un rapporto contrattuale o da contatto sociale “fra il MIC (quale debitore garantito) e il sig. (OMISSIS) quale fideiussore (garante)”, e’ invero “chiaro” che “gli inadempimenti del MIC hanno leso anche la sfera giuridica del Sig. (OMISSIS) (che dunque aveva ed ha piena legittimazione a dolersi di cio’, come riconosciuto fin dal primo grado di giudizio) e, comunque, che lo stesso MIC ha altresi’ violato gli obblighi accessori e di protezione di detta sfera giuridica che sullo stesso incombevano, considerando che il suo interlocutore era non solo fideiussore ma anche socio e amministratore delle Societa’ garantite”.
Con il 2 (subordinato) motivo (indicato come “B”) denunzia “violazione e falsa applicazione” degli articoli 1223, 2043 e 2697 c.c., articoli 40 e 41 c.p., articolo 28 Cost., articolo 111 Cost., articolo 1 primo Protocollo CEDU, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito abbia “illegittimamente preteso la precisa e rigorosa prova di ogni singolo “anello” di cui si compone la “catena di causalita’” prospettata dal ricorrente”, a tale stregua “sostanzialmente eludendo” la valutazione che il criterio del piu’ probabile che non la obbligava a compiere, “essendo pacifico che detto criterio imponga al giudice di valutare il materiale probatorio acquisito per decidere, tramite una visione di sintesi, se la tesi dell’attore sia in definitiva piu’ probabile di quella avversaria”.
Lamenta che “il giudice territoriale avrebbe dovuto valutare se la condotta del MIC fosse o no idonea a provocare il dissesto della (OMISSIS) (e a cascata quello della (OMISSIS), che ne costituiva l’indotto) e se, di contro, la parte resistente avesse o no dedotto altre cause (se del caso “naturali”) piu’ credibilmente idonee a cagionare, in via indipendente, il citato dissesto”.
Con il 3 motivo (indicato come “B.1”) denunzia “violazione e falsa applicazione” degli articoli 1223, 2043 e 2697 c.c., articoli 40 e 41 c.p., articolo 28 Cost., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto che fosse suo onere provare “la “necessita’” del ricorso al credito”, invero del tutto “inconferente, estranea e non pertinente al nesso di causalita’ tra gli inadempimenti e i danni subiti dal (OMISSIS)”.
Con il 4 motivo (indicato come “B.2”) denunzia “violazione e falsa applicazione” degli articoli 2697 e 2729 c.c., articolo 115 c.p.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito non abbia ritenuto provata per presunzioni “la “necessita’” del ricorso al credito”.
Con il 5 motivo (indicato come “B.3”) denunzia “violazione e falsa applicazione” degli articoli 112 e 115 c.p.c., articolo 6 CEDU, articolo 117 Cost., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Con il 6 motivo (indicato come “B.4”) denunzia “violazione e falsa applicazione” degli articoli 1223, 2043 e 2697 c.c., articoli 40 e 41 c.p., articoli 112, 115 e 116 c.p.c., articolo 6 CEDU, articolo 117 Cost., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Con il 7 motivo (indicato come “C”) denunzia “violazione e falsa applicazione” degli articoli 1223, 2043, 2697 e 2729 c.c., articoli 40, 41 c.p., articoli 28 e 117 Cost., articoli 112, 115 e 116 c.p.c., articolo 6 CEDU, nonche’ per “vizio di impostazione logica della sentenza”, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Si duole che abbia ritenuto non provata “la “necessita’” del ricorso al credito”, non valutando o erroneamente valutando le emergenze probatorie, e non ammettendo la richiesta CTU contabile.
Con l’8 (subordinato) motivo (indicato come “D”) denunzia “violazione e falsa applicazione” degli articoli 40 e 41 c.p., articoli 28 e 117 Cost., articoli 112, 115 e 116 c.p.c., articolo 6 CEDU, nonche’ per “vizio di impostazione logica della sentenza”, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nonche’ degli articoli 1226 e 2056 c.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito abbia affermato non avere egli “dimostrato di aver subito l’escussione da parte della Comit (a sua volta illegittimamente escussa dal Mic)”, erroneamente o non completamente esaminando le emergenze probatorie, laddove il giudice del merito non deve limitarsi all’esame isolato di singoli elementi, ciascuno insufficiente a fornire ragionevole certezza su una determinata situazione di fatto, ma deve compiere un’organica e complessiva valutazione degli stessi nel quadro unitario dell’indagine probatoria.
Il ricorso e’ p.q.r. fondato e va accolto nei termini e limiti di seguito indicati.
E’ rimasto nel caso accertato che la societa’ (OMISSIS) s.p.a. ha stipulato un contratto con l’allora Ministero dell’Industria in attuazione della L. n. 219 del 1981 di agevolazione delle iniziative industriali nelle zone colpite dal terremoto del 1980. E che vi e’ stata da parte di detta Amministrazione altresi’ una contribuzione a fondo perduto in favore della societa’ (OMISSIS) s.p.a. per la realizzazione di uno stabilimento industriale. Con concessione di fideiussione da parte del (OMISSIS) in favore del Ministero, a garanzia dei contributi da quest’ultimo corrisposti ai sensi del Decreto Legge n. 75 del 1981 (conv. con modif. nella L. n. 219 del 1981) e del Decreto Legge n. 8 del 1987 (conv. con modif. nella L. n. 120 del 1987) alle societa’ (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a., di cui era socio accomandatario.
L’odierno ricorrente, nella qualita’ di socio accomandatario e di fideiussore, ha proposto domanda nei confronti del Ministero lamentando che all’esito dell’ingiustificata revoca dei contributi de quibus (accertata nel giudizio conclusosi con la sentenza Cass., 7/9/2016, n. 17680) e dell’inadempimento da parte del medesimo consistito in particolare nel mancato trasferimento alla (OMISSIS) del terreno e del sovrastante opificio (accertato nel giudizio conclusosi con la sentenza Cass., Sez Un., 19/4/2010, n. 9218), e’ venuta a determinarsi l’illecita incidenza “sulle condizioni di indebitamento di quest’ultima e, “a cascata”, sulla mancata ultimazione dei lavori di completamento dello stabilimento della (OMISSIS), che era diretta a realizzare lavorazioni complementari a quelle della (OMISSIS)”, con conseguente dissesto finanziario delle suindicate due societa’ (poi fallite), che ha indotto la detta Amministrazione all’illegittima escussione della garanzia fideiussoria (accertata nel procedimento conclusosi con le sentenze Cass., 1/3/2012, n. 3229 e Cass., 7/9/2016, n. 17680), provocandogli ingenti danni.
La domanda e’ stata rigettata nei due gradi di merito.
La corte di merito ha in particolare argomentato dal rilievo: a) che i soci di una societa’ di capitali non hanno titolo a domandare il risarcimento di danni costituenti mero riflesso del pregiudizio arrecato da terzi alla societa’, unica legittimata a far valere il danno in argomento; b) che non e’ stata nella specie fornita la prova del nesso di causalita’ tra i lamentati inadempimenti del Ministero e il mancato adempimento da parte del (OMISSIS) della prestata garanzia fideiussoria.
Orbene, avuto in particolare riferimento al 1, al 2, al 3 e all’8 motivo, va osservato quanto segue.
Come questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare, i soci di una societa’ di capitali (per la diversa situazione dei soci di una societa’ di persone v. Cass., 20/11/2018, n. 29829) non hanno titolo al risarcimento dei danni costituenti mero riflesso del pregiudizio arrecato da terzi alla societa’, in quanto integranti una mera porzione di quello stesso danno subito dalla (e risarcibile in favore della) stessa, con conseguente reintegrazione indiretta a favore del socio.
A tale stregua, un danno non puo’ considerarsi meramente riflesso allorquando una tale possibilita’ non sussista, come in caso di danni arrecati alla sfera personale del socio (diritto all’onore o alla reputazione) o per danni patrimoniali come quelli derivanti dalla perdita di opportunita’ personali, economiche e lavorative, o dalla riduzione del c.d. merito creditizio, che dal terzo responsabile vanno invero risarciti al socio (cfr., con riferimento a comportamenti illeciti tenuti da istituti bancari nei confronti di societa’ partecipate dai soci danneggiati e poi fallite, Cass., 11/12/2013, n. 27733).
Si e’ in proposito precisato che allorquando venga come nella specie dedotto che il dissesto economico comportante il fallimento di una societa’ di capitali sia stato cagionato dalla condotta della banca convenuta in giudizio, cui sia seguita l’escussione delle fideiussioni che non vi sarebbe altrimenti stata, la domanda risarcitoria proposta dall’attore (quale socio e fideiussore) nei confronti di chi tale condotta ha mantenuto e’ di natura extracontrattuale ex articolo 2043 c.c., facendosi con essa valere un lamentato danno ingiusto (nell’ampia nozione, generalmente accolta, comprensiva di qualsiasi lesione di interessi giuridicamente rilevanti) causato dal comportamento imputabile al creditore, inerente non gia’ ai rapporti diretti tra creditore e fideiussore a norma degli articoli 1944 e 1948 c.c.bensi’ alla violazione degli obblighi nascenti dal rapporto contrattuale tra creditore e debitore principale (cfr. Cass., 11/12/2013, n. 27733).
Va sotto altro profilo osservato che in tema di nesso di causalita’, mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (e pertanto in termini di – quasi – certezza: v. Cass., Sez. Un. pen., 10/7/2002, n. 30328, e, conformemente, Cass., pen., 25/08/2015, n. 41158; Cass., pen., 19/3/2015, n. 22378), in materia civile opera la diversa regola dell’ascrivibilita’ in termini di preponderanza dell’evidenza o del “piu’ probabile che non” (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576; Cass., 16/10/2007, n. 21619. E, da ultimo, Cass., 12/10/2018, n. 25365) dell’evento lesivo alla sua condotta dolosa o colposa, quest’ultima propriamente costituendone il criterio d’imputazione (v., in particolare, Cass., 29/2/2016, n. 3893; Cass., 21/4/2016, n. 8035; Cass., 22/2/2016, n. 3428; Cass., 20/2015, n. 3367; Cass., 17/09/2013, n. 21255).
Si e’ da questa Corte precisato che in sede civile il nesso causale indica la misura della relazione probabilistica concreta (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra condotta e fatto-evento dannoso (da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma violata), in base alla quale un evento e’ da considerarsi causato da un altro allorquando non si sarebbe senza quest’ultimo verificato, pertanto risolvendosi entro “i pragmatici confini della dimensione “storica””, e valendo ad ascrivere all’autore del fatto illecito le conseguenze che da questo discendono, laddove non intervenga un nuovo fatto rispetto al quale il medesimo non abbia il dovere o la possibilita’ di agire (cosi’ Cass., 16/10/2007, n. 21619. V. altresi’ Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576).
Nella relativa valutazione il giudice del merito non deve peraltro limitarsi ad un esame isolato di singoli elementi degli elementi (indiziari o presuntivi) al riguardo rilevanti, ciascuno insufficiente a fornire ragionevole certezza su una determinata situazione di fatto, ma deve compierne una complessiva ed organica valutazione nel quadro unitario dell’indagine probatoria (cfr., con riferimento alla prova per presunzioni, Cass., 21/12/1987, n. 9504), e il suo ragionamento non deve risultare viziato da illogicita’ o da errori giuridici, quale appunto e’ l’esame isolato dei singoli elementi della c.d. catena causale (cfr., con riferimento agli elementi idonei a fondare la prova presuntiva, gia’ Cass., 27/11/1982, n. 6460).
Orbene, i suindicati principi sono rimasti dalla corte di merito invero disattesi nell’impugnata sentenza.
Dopo aver premesso che “il criterio cosiddetto del piu’ probabile che non… non puo’ supplire alle carenze probatorie della parte, rilevabili nel caso in esame”, ed essere pervenuta ad affermare che “la catena di causalita’ prospettata da (OMISSIS) si compone di anelli la cui singola sussistenza non risulta in alcun modo provata”, la corte di merito ha invero completamente omesso di fare luogo alla disamina circa la fondatezza della pretesa dell’odierna ricorrente atteso il ravvisato difetto del relativo presupposto, indicato nei “comportamenti inadempienti posta in essere dall’Amministrazione e la contrazione dei mutui da parte della s.p.a. (OMISSIS) e garantiti da (OMISSIS) (“rilievo preliminare, che osta ad ogni ulteriore valutazione sugli effetti dell’inadempimento del mutuatario sull’escussione del garante”).
Ha altresi’ argomentato dall’ulteriore rilievo che “il criterio di causalita’ prospettata da (OMISSIS) si compone di anelli la cui singola sussistenza non risulta in alcun modo provata”.
Ha al riguardo sottolineato che “la necessita’ di ricorso al credito” per la societa’ (OMISSIS) s.p.a. avrebbe dovuto essere “provata sulla base della situazione contabile della societa’ medesima al momento della contrazione del debito, che avrebbe dovuto esser giustificata in relazione alla prospettiva ed agli obiettivi dell’azione personale”.
Ha ulteriormente evidenziato che “quando pur si potesse ritenere, in via presuntiva, che il ricorso al credito, da parte di un’impresa, sia sempre necessario, nella presente fattispecie il debito contratto era stato caratterizzato, dal momento che la menzionata s.p.a. (OMISSIS) non aveva acquisito la titolarita’ dominicale di un bene immobile, dalla corresponsione di interessi in misura maggiore rispetto a quella pattuibile, qualora la mutuataria avesse potuto prestare, in proprio, una garanzia reale. Quindi il maggior onere sopportato era stato pari al differenziale tra il tasso di interesse corrisposto e quello in ipotesi corrispondibile, se fosse stato possibile prestare in proprio la richiamata garanzia reale. La non sostenibilita’, tanto da determinare il dissesto della societa’, della corresponsione degli interessi nella maggior misura in effetti pattuita avrebbe dovuto essere dimostrata sulla base della situazione contabile, documentalmente provata, relativa al periodo in cui tali interessi erano stati pagati, onere probatorio non assolto dall’appellante. Ne’ d’altro canto e’ stato neppur quantificato il differenziale annuo dell’interesse gravante sulla s.p.a. (OMISSIS), rispetto a quello in ipotesi gravante nel caso di mutuo con garanzia reale, per cui l’insostenibilita’ della relativa corresponsione non puo’ essere neppur valutato in via presuntiva”.
Ha quindi concluso che “l’entita’ della somma richiesta a credito, quale conseguenza diretta dei dedotti inadempimenti, avrebbe dovuto essere quantificata, sulla base della situazione contabile, documentalmente provata, della societa’ al momento della richiesta, onde verificare se ed in quale misura i richiamati inadempimenti fossero stati etiologicamente incidenti sugli oneri contratti per l’erogazione di mutui. Una tale allegazione deduttiva e’ del tutto assente nelle prospettazioni difensive di (OMISSIS)… e’ pertanto assente la prova del nesso eziologico tra i comportamenti inadempienti posti in essere dall’Amministrazione ed i fatti, contrazione di mutui garantiti dall’appellante, che avrebbero determinato, per effetto dell’escussione delle garanzie, dei danni all’appellante medesimo”.
Orbene, dai riportati passi della motivazione emerge evidente come la corte di merito abbia ritenuto “non provato il nesso di causalita’”, in realta’ sostanzialmente onerando il danneggiato della prova “oltre il ragionevole dubbio” degli anelli in cui ha nella specie ravvisato scandirsi tale elemento costitutivo dell’illecito.
Ne’ la corte di merito ha spiegato in base a quali argomenti non abbia ritenuto derivare il lamentato dissesto delle “due societa’ poi dichiarate fallite” (dissesto che ha poi determinato l’escussione della garanzia fideiussoria in argomento), quantomeno in via presuntiva (“piu’ probabilmente che non” rispetto ad altri e diversi elementi causali – invero nemmeno indicati – abbia nella specie ravvisato in effetti sussistere e assumere al riguardo rilievo determinante), dagli accertati “numerosi inadempimenti agli obblighi nascenti dai disciplinari posti in essere dal Ministero” e “dall’illegittima revoca dei contributi”.
A parte il rilievo che – come dedotto dall’odierno ricorrente – risulta ultroneamente e comunque quantomeno immotivatamente dalla corte di merito richiesta la prova della necessita’ del ricorso al credito da parte delle “due societa’ poi dichiarate fallite”, la corte di merito non ha invero neanche valutato (e a fortiori spiegato) le ragioni del ravvisato mancato rilievo causale (sul piano del “piu’ probabile che non”), nella determinazione del dissesto economico de quo, del mancato abbattimento degli interessi sul credito.
Dell’impugnata sentenza, in accoglimento p.q.r. del 2, del 3 e dell’8 motivo, rigettato il 1 e assorbiti ogni ulteriore e diversa questione nonche’ gli altri motivi, s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, che in diversa composizione procedera’ a nuovo esame, facendo del suindicato disatteso principio applicazione.
Il giudice di rinvio provvedera’ anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie p.q.r. il ricorso. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply