Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 5 luglio 2019, n. 29426.
La massima estrapolata:
I dati informatici scambiati attraverso la comunicazione (quali e-mail, sms e messaggi whatsapp), contenuti in uno strumento elettronico (computer o telefono cellulare) e archiviati su apposita memoria, hanno natura documentale ai sensi dell’articolo 234 del Cpp, sicché la loro acquisizione non costituisce attività di intercettazione disciplinata dagli articoli 266 e seguenti del Cpp, e, in particolare, dall’articolo 266-bis del Cpp, atteso che quest’ultima esige la captazione di un flusso di comunicazioni in atto ed è, pertanto, attività diversa dall’acquisizione ex post del dato conservato in memoria che documenta flussi già avvenuti. Tali dati, pertanto, possono essere acquisiti attraverso lo strumento del sequestro, senza peraltro dovere adottare la disciplina stabilita per la “corrispondenza” (articolo 254 del Cpp) perché detti messaggi non rientrano nel concetto di “corrispondenza”, la cui nozione implica un’attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito. Diverso ragionamento deve farsi, invece, per l’intercettazione di e-mail o altri messaggi similari (che di solito si attua attraverso la clonazione dell’account di posta elettronica dell’indagato e immediata trasmissione dei dati presso una postazione di decodifica), la quale si caratterizza, invece, per la contestualità tra la captazione dei messaggi e la loro trasmissione e, quindi, ha a oggetto un flusso comunicativo in atto e in ragione di ciò l’articolo 266-bis del Cpp predispone, proprio perché trattasi di un’attività di intercettazione telematica, una tutela rafforzata e l’adozione delle garanzie relative ai presupposti di applicabilità e alla necessità della autorizzazione giurisdizionale.
Sentenza 5 luglio 2019, n. 29426
Data udienza 16 aprile 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACETO Aldo – Presidente
Dott. DI STASI Antonella – rel. Consigliere
Dott. REYNAUD Gianni F. – Consigliere
Dott. CORBO Antonio – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 19/12/2018 del Tribunale di Campobasso;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Cuomo Luigi, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 19/12/2018, il Tribunale di Campobasso rigettava l’istanza di riesame, proposta nell’interesse di (OMISSIS), avverso il provvedimento del 28/11/2018, con il quale il P.M. aveva disposto l’ispezione ed il sequestro dei luoghi, degli atti e documenti ivi descritti in relazione al fumus del reato di cui all’articolo 110 c.p. e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, articolando sei motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione di legge per omessa dichiarazione di nullita’ del decreto di perquisizione e sequestro per inefficacia a seguito di mancata trasmissione degli atti al Tribunale del riesame.
Lamenta che il PM aveva inviato la relazione di servizio della Polizia di Stato e le comunicazioni del 11.12.2010, con allegata solo la fotocopia del lato fronte del DVD contenente la documentazione sequestrata (dati informatici relativi alla casella di posta elettronica); pertanto, la mancata trasmissione integrale dei documenti contenuti nel fascicolo del Pm aveva determinato l’inefficacia del sequestro.
Con il secondo motivo deduce la nullita’ del decreto di perquisizione e sequestro per difetto di correlazione tra reato ipotizzato e documentazione sequestrata, lamentando che la motivazione esposta dal Pm non era idonea a dare conto della relazione di immediatezza tra la res sequestrata ed il reato oggetto di indagine.
Con il terzo motivo deduce la violazione degli articoli 266 e 266 bis c.p.p. e ss., lamentando che era stato acquisito in modo indiscriminato l’intero contenuto della casella di posta elettronica ponendo in essere non un’attivita’ di sequestro ma una intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche, senza l’autorizzazione del GIP.
Con il quarto motivo deduce violazione di legge per vizio di motivazione in ordine alla nullita’ del decreto di perquisizione e sequestro per difetto del fumus commissi delicti in relazione al reato ipotizzato, risultando la motivazione espressa dal Tribunale, come emergente dall’esame degli atti presenti nel fascicolo del PM., erronea e non condivisibile quanto alla valutazione dei rapporti commerciali intercorsi tra la societa’ (OMISSIS) srl e la societa’ (OMISSIS) srl e la qualificazione di quest’ultima quale societa’ cartiera.
Con il quinto motivo deduce violazione di legge per vizio di motivazione in relazione al difetto di ogni presupposto per l’attribuzione al ricorrente della qualifica soggettiva di amministratore di fatto della societa’ (OMISSIS) s.r.l., emergendo, invece, dagli atti processuali una semplice qualifica di dipendente di fatto della predetta societa’.
Con il sesto motivo deduce la divergenza tra il contenuto della documentazione da sequestrare e la documentazione effettivamente sequestrata dalla Guardia di Finanza.
Chiede, pertanto, l’annullamento della ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il primo motivo di ricorso, peraltro formulato in maniera generica, e’ manifestamente infondato.
Il Tribunale ha dato atto che il Pm ha trasmesso tutti gli atti su cui si fonda il provvedimento oggetto del riesame, onde consentire l’adeguato controllo sulla legittimita’ del provvedimento adottato, rimarcando che la presenza di fotocopia e non del DVD allegato alla informativa di PG, non incideva sulla completezza del contenuto degli atti trasmessi; e sul punto la difesa ricorrente nulla deduce di specifico a confutazione, ponendosi la censure al limite della ammissibilita’ per genericita’; inoltre, la dedotta violazione del diritto di difesa presuppone che la difesa abbia richiesto copia della riproduzione di cui si tratta e che alla stessa sia seguita la omessa consegna del supporto informatico, ipotesi che qui non ricorre, come dato atto dalla ordinanza impugnata e non oggetto, neppure su tale punto, di rilievo critico da parte del ricorrente.
In ogni caso, va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, l’omesso deposito per tre giorni liberi e consecutivi, nella cancelleria dello stesso Tribunale, degli atti sui quali si fonda la misura cautelare comporta una nullita’ di ordine generale a regime intermedio che, se tempestivamente dedotta e non sanata, determina l’invalidita’ dell’ordinanza conclusiva del procedimento, ma – contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente – non determina l’inefficacia del sequestro, collegata esclusivamente all’infruttuoso decorso del termine perentorio di dieci giorni dalla trasmissione degli atti, entro il quale deve intervenire la decisione sull’impugnazione cautelare (cfr Sez. 3, n. 3939/14 del 5 dicembre 2013, Spigno, Rv. 258837 e piu’ di recente Sez. 3, n. 44640 del 29 settembre 2015, Zullo, Rv. 265571 che ha confermato l’orientamento decisamente maggioritario nella giurisprudenza di legittimita’ anche alla luce delle modifiche apportate all’articolo 324 c.p.p. dalla L. n. 47 del 2015, trovando implicita conferma in Sez. Un., 31 marzo 2016, Capasso e, da ultim, Sez.5, n. 35156 del 19/04/2016, Rv.267860).
2. Il secondo motivo di ricorso e’ inammissibile per genericita’.
Il ricorrente non indica quali siano i documenti completamente estranei a quelli oggetto di ricerca e per i quali necessitava la convalida o che, comunque, non potevano essere appresi perche’ privi della relazione di immediatezza con il reato oggetto di indagine.
Il motivo, quindi, caratterizzandosi per genericita’, integra la violazione dell’articolo 581 c.p.p., lettera c), che nel dettare, in generale, quindi anche per il ricorso per cassazione, le regole cui bisogna attenersi nel proporre l’impugnazione, stabilisce che nel relativo atto scritto debbano essere enunciati, tra gli altri, “I motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”; violazione che, ai sensi dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), determina, per l’appunto, l’inammissibilita’ dell’impugnazione stessa (cfr. Sez. 6, 30.10.2008, n. 47414, Rv. 242129; Sez. 6, 21.12.2000, n. 8596, Rv. 219087).
3. Il terzo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, i dati informatici, scambiati attraverso la comunicazione (quali e-mail, sms e messaggi wathsapp), contenuti in uno strumento elettronico in uso all’indagato (computer o telefono cellulare) ed archiviati su apposita memoria, hanno natura documentale ai sensi dell’articolo 234 c.p.p., sicche’ la loro acquisizione non costituisce attivita’ di intercettazione disciplinata dall’articolo 266 c.p.p. e ss., ed, in particolare, dall’articolo 266 bis c.p.p., atteso che quest’ultima esige la captazione di un flusso di comunicazioni in atto ed e’, pertanto, attivita’ diversa dall’acquisizione ex post del dato conservato in memoria che documenta flussi gia’ avvenuti (cfr Sez.5, n. 1822 del 21/11/2017, dep.16/01/2018, Rv.272319).
Va, quindi, osservato che le e-mail allocate su una memoria (sul dispositivo dell’utente o sul server del gestore del servizio), in quanto frutto di una dinamica comunicativa gia’ avvenuta, hanno natura di prova precostituita, la cui acquisizione, come correttamente avvenuto nella specie, si traduce in un’attivita’ di sequestro.
Le attivita’ successive al flusso della comunicazione, invero, attengono all’aspetto statico della corrispondenza, in quanto relative alla conservazione ed archiviazione del messaggio, che costituisce un documento informatico.
La relativa attivita’ acquisitiva, pertanto, non soggiace ne’ alle regole stabilite per la corrispondenza, ne’ tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche.
Quanto al primo profilo, questa Corte ha gia’ chiarito che non e’ applicabile la disciplina dettata dall’articolo 254 c.p.p. con riferimento a messaggi WhatsApp e SMS rinvenuti in un telefono cellulare sottoposto a sequestro, in quanto questi testi non rientrano nel concetto di “corrispondenza”, la cui nozione implica un’attivita’ di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito (Sez. 3, n. 928 del 25/11/2015, dep. 2016, Giorgi, Rv. 265991).
Con riferimento al secondo profilo, deve rilevarsi che l’intercettazione di e-mail (che di solito si attua attraverso la clonazione dell’account di posta elettronica dell’indagato ed immediata trasmissione dei dati presso una postazione di decodifica) si caratterizza, invece, per la contestualita’ tra la captazione dei messaggi e la loro trasmissione e, quindi, ha ad oggetto un flusso comunicativo in atto ed in ragione di cio’ l’articolo 266 bis c.p.p. predispone, anche per l’attivita’ di intercettazione telematica, una tutela rafforzata e l’adozione delle garanzie relative ai presupposti di applicabilita’ ed alla necessita della autorizzazione giurisdizionale.
Non sussiste, pertanto, il vizio dedotto.
4. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso hanno ad oggetto censure non proponibili in sede di legittimita’.
Deve rilevarsi che, nonostante si dichiari in ricorso che i motivi in esame sono rivolti alla formulazione di doglianze concernenti la violazione di legge, essi in realta’ si risolvono nella formulazione di rilievi concernenti la motivazione del provvedimento impugnato che, come e’ noto, non e’ consentito proporre in questa sede, in quanto il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa in sede di riesame di provvedimenti di sequestro (probatorio o preventivo) puo’ essere proposto esclusivamente per violazione di legge; tale nozione comprende sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez.U, n. 25932 del 29/05/2008, Rv.239692;Sez.U, n. 5876 del 28/01/2004, Rv.226710; Sez.5, n. 43068 del 13/10/2009, Rv.245093; Sez.2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv.269656).
Nella specie, non ricorre ne’ l’ipotesi di violazione di legge ne’ quella di apparenza della motivazione; le censure mosse sono, pertanto, inammissibili, risolvendosi essenzialmente nella formulazione di rilievi in fatto, concernenti la motivazione del provvedimento impugnato, che, alla luce dei principi di diritto suesposti, non e’ consentito proporre in questa sede.
5. Il sesto motivo di ricorso e’ inammissibile.
Esso ripropone la censura proposta con il secondo motivo e risulta parimenti formulato in termini generici, senza indicare quali siano i documenti completamente estranei a quelli oggetto di ricerca; si richiamano, sul punto, le argomentazioni gia’ espresse al punto 2.
6. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.
7. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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