Fideiussione: termine semestrale, eccezione in senso stretto

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|13 gennaio 2025| n. 835.

Fideiussione e il termine semestrale quale eccezione in senso stretto

Massima: L’eccezione di estinzione della garanzia fideiussoria, per decorso del termine semestrale di decadenza previsto dall’art. 1957 c.c., costituisce eccezione in senso stretto ed è soggetta alle preclusioni previste dal codice di rito.

 

Ordinanza|13 gennaio 2025| n. 835. Fideiussione e il termine semestrale quale eccezione in senso stretto

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Tag/parola chiave: Fideiussione – Eccezione di decadenza ex art. 1957 c.c. – Verifica della tempestività – Impego del debitore a soddisfare il credito garantito “a semplice richiesta” – Sufficienza della richiesta di pagamento formulata dal creditore al fideiussore a prescindere dalla proposizione di un’azione giudiziaria – Rigetto del ricorso

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente

Dott. SIMONE Roberto – Consigliere

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere

Dott. AMBROSI Irene – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Relatore

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16274/2022 R.G. proposto da:

Ag.Gi., Ag.Kr., Ro.Fr., elettivamente domiciliati in Roma Via Pa.Me., presso lo studio dell’avvocato PA.MA. rappresentati e difesi dall’avvocato DO.PA.;

– ricorrente –

contro

BANCA PO.DE. Spa, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA VIA PO.12., presso lo studio dell’avvocato CA.GI. che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CE.NI.;

– controricorrente –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 857/2022 depositata il 11/04/2022.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dalla Consigliera ANTONELLA PELLECCHIA.

Fideiussione e il termine semestrale quale eccezione in senso stretto

FATTI DI CAUSA

1. Ro.Fr., Ag.Gi. e Ag.Kr., proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1087/2016 con il quale il Tribunale di Vicenza, su richiesta della Banca Po.Di., gli aveva ingiunto, quali fideiussori di L. Srl (nelle more dichiarata fallita), il pagamento della somma di Euro 398.344,30, oltre interessi, a titolo di residuo del mutuo fondiario contratto con la debitrice principale.

A sostegno dell’opposizione i garanti eccepivano l’applicazione da parte dell’istituto di credito di interessi anatocistici e usurari sia nell’ambito del rapporto di mutuo quanto in quello di contratto di conto corrente stipulato sempre con la debitrice principale. Chiedevano, quindi, la nullità della fideiussione come conseguenza della nullità del rapporto sottostante e la condanna della banca alla restituzione della somma di 97.899,77 Euro quanto al conto corrente e di Euro 91.204,34 per il mutuo, oltre al risarcimento dei danni da lite temeraria e per violazione della buona fede contrattuale.

Con la sentenza n. 698/2020, il Tribunale di Vicenza, respingeva l’opposizione al decreto ingiuntivo e confermava il credito relativo al rapporto di mutuo. Condannava, invece, la banca, in relazione al rapporto di conto corrente, a rettificare il saldo in Euro 18.327,13 a credito del correntista.

2. Con la sentenza n. 857 del 11 aprile 2022, la Corte d’Appello di Venezia, accogliendo unicamente il quarto motivo di appello, con cui i garanti lamentavano che il Tribunale, pur avendo accertato la rettifica del saldo di conto corrente a favore del correntista per Euro 18.327,13, aveva escluso la compensazione di tale somma con l’importo ingiunto ai fideiussori e aveva errato nell’applicazione del principio di accessorietà della garanzia fideiussoria sancito dall’art. 1941 c.c., ha riformato sul punto la sentenza impugnata. Confermava per il resto la sentenza.

3. Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito Ro.Fr., Ag.Gi. e Ag.Kr. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

3.1. Resiste con controricorso la Banca PO.DE..

3.2. Le parti hanno depositato rispettiva memoria.

Fideiussione e il termine semestrale quale eccezione in senso stretto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicazione degli artt. 329, 112, 116, 342 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.

La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto non impugnato il capo della sentenza relativo alla mancata prova del c.d. ‘fido di fatto’, mentre, al contrario, i ricorrenti avrebbero fondato su tale aspetto il motivo di appello relativo all’usurarietà dei tassi. Inoltre, con riferimento a questo stesso motivo, i ricorrenti sostengono che le argomentazioni del Tribunale non configurerebbero due concorrenti e autonome rationes decidendi. In particolare, rispetto al c.d. fido di fatto, il primo giudice si sarebbe limitato a chiarire su chi gravasse l’onere della prova, motivo per cui non vi sarebbe stata alcuna ragione di censurare sul punto la sentenza (cfr. p. 21 ricorso).

4.2. Con il secondo motivo denunziano la violazione o falsa applicazione dell’art. 1957 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).

Il giudice del gravame avrebbe erroneamente ritenuto che: (i) la lettera di messa in mora del 15.10.2015 avrebbe interrotto il termine decadenziale di cui all’art. 1957 c.c., quando invece per giurisprudenza, il concetto di ‘istanza’, ivi contenuto, si riferirebbe esclusivamente ai mezzi di tutela giurisdizionale del diritto di credito, per cui non sarebbe sufficiente un atto stragiudiziale come la messa in mora del debitore; (ii) la clausola ‘a semplice richiesta’, contenuta nell’art. 7 della fideiussione, costituirebbe una valida deroga pattizia all’art. 1957 c.c. A tal proposito, il richiamo compiuto dalla Corte territoriale alle pronunce di legittimità nn. 7345/1995 e 13078/2008 non sarebbe pertinente, sussistendo comunque un orientamento, anche recente, a sostegno della tesi contraria. In ragione di quanto sopra, il giudice di appello avrebbe dovuto rilevare l’intervenuta decadenza della fideiussione, per mancato rispetto del termine di cui all’art. 1957 c.c.

5. Il primo motivo di ricorso è infondato e va rigettato nei termini di seguito indicati.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, laddove con la sentenza di primo grado la domanda venga decisa sulla base di una pluralità di ragioni, ciascuna di per sé sufficiente a giustificare la decisione sul punto, in sede di appello la parte soccombente ha l’onere di censurarle ognuna in modo specifico, “non potendosi, in difetto, trattare successivamente della ragione non tempestivamente contestata e non potendosi, conseguentemente, più nemmeno utilmente discutere, sotto qualsiasi profilo, della stessa statuizione che nella detta ragione trova autonomo sostegno, a nulla valendo a tal fine la richiesta di integrale riforma della sentenza, poiché la non contestata autonoma ragione di decisione resta anche in tal caso idonea a sorreggere la pronunzia impugnata”. Di tal che, il giudice d’appello non può estendere il suo esame a punti della decisione non esplicitamente impugnati, incorrendo, in detta ipotesi, nella violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. (cfr. in questo senso, per tutte: Cass. civ., Sez. I, Ord., 13 marzo 2023, n. 7274; Cass. civ., Sez. VI-5, Ord., 6 marzo 2020, n. 6502; Cass. civ., Sez. III, Ord., 20 marzo 2018, n. 6854).

Nel caso in esame, gli appellanti hanno riferito che il focus delle loro doglianze “si era spostato sull’argomentazione principale e assorbente, ovvero la tardività delle osservazioni svolte” (cfr. pp. 22-23 ricorso).

Pertanto, non avendo gli allora appellanti e odierni ricorrenti censurato in modo specifico la prima ratio decidendi della motivazione quella relativa al c.d. fido di fatto, ma solo la seconda, afferente per l’appunto alla pronuncia di tardività della contestazione (cfr. pp. 19-21 ricorso), la corte territoriale ha fatto buon governo dei suddetti principi.

Che si tratti di autonoma ragione della decisione non può esservi invero dubbio, non essendosi il Tribunale limitato a ravvisare come gravante sui garanti l’onere di provare il c.d. fido di fatto ma avendo anche posto in rilievo il relativo mancato assolvimento da parte dei medesimi, e tale statuizione manca di autonoma impugnazione, risultando all’uopo irrilevanti, come correttamente affermato dalla corte territoriale, anche le ulteriori questioni delle aperture di credito non concluse tramite la forma prevista per i contratti bancari (cfr. p. 7 sentenza impugnata n. 857/2022).

5.1. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso, nella parte in cui, viene denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 1957 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.

Sul punto, infatti, la sentenza della Corte d’Appello vicentina merita di essere confermata, seppur con le seguenti precisazioni.

Va infatti, preliminarmente, rilevato che, nell’impugnare la decisione di primo grado, gli appellanti hanno lamentato che il Tribunale non avesse considerato che, al momento in cui la banca aveva agito in via monitoria, la fideiussione si era estinta per decorso del termine semestrale previsto, a pena di decadenza, dall’art. 1957 c.c.

Secondo la loro prospettazione, infatti, il creditore avrebbe agito dopo sei mesi dalla dichiarazione di fallimento della debitrice principale, con conseguente liberazione dei garanti (v. terzo motivo di appello per come riassunto a p. 4 della sentenza impugnata n. 857/2022).

Fideiussione e il termine semestrale quale eccezione in senso stretto

Si osserva come la Corte d’Appello, nel pronunciarsi su tale motivo di impugnazione, non abbia dato rilievo alla tardività della formulazione di detta eccezione, essendo stata proposta solo con comparsa conclusionale.

Sotto il profilo processuale, infatti, l’eccezione di decadenza prevista dall’art. 1957 c.c., costituisce eccezione in senso stretto, perché il termine semestrale per proporre l’azione contro il debitore principale attiene a diritti disponibili e, al relativo termine, può rinunciare solo il fideiussore, anche implicitamente, non eccependo la decadenza nel corso del giudizio di merito, entro i termini previsti per l’individuazione del thema decidendum.

Ebbene, a mente dell’art. 183, comma 5, c.p.c., applicabile ratione temporis, l’attore, in conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto, poteva proporre domande e eccezioni con le relative memorie.

Nel caso in questione, risulta agli atti che la Banca opposta aveva allegato, al ricorso per decreto ingiuntivo, la lettera di messa in mora inviata ai fideiussori (cfr. p. 11 sentenza impugnata n. 857/2022, in cui la Corte d’Appello fa riferimento al doc. 8 del fascicolo monitorio). Pertanto, l’eccezione di decadenza, per essere tempestiva, avrebbe dovuto essere sollevata dai fideiussori con l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, non potendosi considerare una simile eccezione conseguenza della difesa dell’opposta contenuta in comparsa di costituzione e risposta. Ma anche a volerla considerare tale, l’eccezione di decadenza al più avrebbe dovuto essere formulata in sede di memorie istruttorie ex art. 183, comma 5, c.p.c., e così non è stato.

Nel decidere sull’impugnazione, quindi, la Corte d’Appello avrebbe dovuto rilevare l’inammissibilità di tale eccezione, stante l’ampliamento del thema decidendum compiuto dagli opponenti con gli scritti conclusivi.

Dunque, va confermata la decisione della Corte d’Appello in punto di infondatezza del motivo di appello in rassegna, ma per le ragioni appena illustrate.

Passando ora al merito delle censure del secondo motivo di ricorso, si osserva quanto segue.

Innanzitutto, nel caso in esame, non è messa in discussione la natura del contratto de quo, avendo il Tribunale qualificato la garanzia prestata come fideiussione e non essendo stata impugnata sul punto la statuizione.

In tema di fideiussione essendo il diritto del terzo creditore assoggettato alla decadenza di cui all’art. 1957 c.c., secondo i principi riguardanti la fideiussione solidale, pur non richiedendosi la tempestiva escussione del debitore principale, deve ritenersi comunque indispensabile, ad impedire l’estinzione della garanzia, che il creditore eserciti tempestivamente l’azione nei confronti, a sua scelta, del debitore principale o del fideiussore (Sez. 3, Sentenza n. 11759 del 06/08/2002, Rv. 556691 – 01);

La natura di tale ‘azione’ (o, secondo il linguaggio di cui all’art. 1957 c.c., delle ‘istanze’ creditorie) deve intendersi necessariamente riferita all’invocazione giudiziale della tutela civile, atteso che l’art. 1957 c.c., nell’imporre al creditore di proporre la sua ‘istanza’ contro il debitore entro sei mesi dalla scadenza per l’adempimento dell’obbligazione garantita dal fideiussore, a pena di decadenza dal suo diritto verso quest’ultimo, tende a far sì che il creditore stesso prenda sollecite e serie iniziative contro il debitore principale per recuperare il proprio credito, in modo che la posizione del garante non resti indefinitamente sospesa (cfr. ex plurimis, Sez. 2, Sentenza n. 1724 del 29/01/2016, Rv. 638531 – 01); che, pertanto, il termine ‘istanza’ si riferisce ai vari mezzi di tutela giurisdizionale del diritto di credito, in via di cognizione o di esecuzione, che possano ritenersi esperibili al fine di conseguire il pagamento, indipendentemente dal loro esito e dalla loro idoneità a sortire il risultato sperato (Sez. 2, Sentenza n. 1724 del 29/01/2016, cit.);

Ebbene se è vero che, in linea generale, agli effetti dell’art. 1957, non è sufficiente un semplice atto stragiudiziale, occorrendo un’istanza giudiziale – intesa come concreto rimedio processuale volto ad ottenere, in via di cognizione o in executivis, l’accertamento e il soddisfacimento della pretesa creditrice (cfr. Cass. civ., Sez. I, 29 gennaio 2024, n. 2607; Cass. civ., Sez. III, Ord., 13 febbraio 2018, n. 3421; principio sancito da Cass. civ., Sez. I, 8 febbraio 2005, n. 2532) – è altrettanto vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ormai consolidata, in assenza di ragioni che persuadano del contrario, non può che essere confermato, ove il debitore si sia impegnato a soddisfare il credito garantito “a semplice richiesta”, tale previsione può essere interpretata come deroga pattizia al termine previsto da tale articolo. Dunque, in una tale ipotesi, “l’osservanza dell’onere di cui alla citata disposizione può essere considerata soddisfatta dalla stessa richiesta di pagamento formulata dal creditore al fideiussore, prescindendo dalla proposizione di un’azione giudiziaria” (principio affermato da Cass. civ., Sez. III, 21 maggio 2008, n. 13078; nelle successive pronunce, in motivazione, v. Cass. civ., Sez. I, Ord., 20 settembre 2024, n. 25344; Cass. civ. Sez. III, 14 ottobre 2022, n. 30185; Cass. civ. Sez. III, 26 settembre 2017, n. 22346).

Fideiussione e il termine semestrale quale eccezione in senso stretto

Dette argomentazioni hanno trovato ulteriore riscontro nelle più recenti pronunce di legittimità, con cui è stato precisato che: “ove le parti abbiano convenuto che il pagamento debba avvenire a prima richiesta, l’eventuale rinvio pattizio alla previsione della clausola di decadenza di cui all’art. 1957, comma 1, c.c., deve intendersi riferito, giusta applicazione del criterio ermeneutico di cui all’art. 1363 c.c., esclusivamente al termine semestrale indicato dalla predetta disposizione” (cfr. Cass. civ., Sez. I, 3 novembre 2021, n. 31509; Cass. civ. n. 22346/2017 cit.).

Del resto, la stessa giurisprudenza, avuto riguardo alla tradizionale esegesi del citato art. 1957 c.c., ha precisato che la decadenza del creditore dal diritto di escutere la fideiussione non è posta a presidio di alcun interesse di ordine pubblico, per cui può essere derogata dalle parti, pure implicitamente (cfr. Cass. n. 31509/2021 cit.).

Nella fattispecie, la fideiussione rilasciata dagli odierni ricorrenti conteneva l’impegno del garante ad adempiere “a semplice richiesta scritta”, clausola derogativa della previsione di cui all’art. 1957 c.c., non colpita da nullità, per cui, come correttamente statuito dalla Corte d’Appello, la lettera di messa in mora del 15.10.2015 ha validamente interrotto il relativo termine semestrale decadenziale (cfr. p. 11 sentenza impugnata n. 857/2022, in cui la Corte d’Appello fa riferimento all’art. 7 della fideiussione).

5.2. All’inammissibilità e infondatezza nei suindicati termini dei motivi, assorbiti ogni altra questione e diverso profilo, consegue il rigetto del ricorso.

6. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 11.200,00, di cui Euro 11.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2025.

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