Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 6 febbraio 2019, n. 906.
La massima estrapolata:
Ai fini dell’esercizio del diritto di accesso è sufficiente che il contribuente faccia riferimento, nella domanda, al proprio ruolo, attraverso il quale il concessionario della riscossione può agevolmente individuare le cartelle di pagamento emesse in relazione al medesimo, e in particolare quelle già notificate.
Sentenza 6 febbraio 2019, n. 906
Data udienza 10 gennaio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7860 del 2018, proposto da
Ci. Ba., rappresentato e difeso dall’avvocato Si. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ader – Agenzia delle Entrate – Riscossione – Direzione Regionale Campania, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania n. 1318 del 2018.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ader, Agenzia delle Entrate – Riscossione – Direzione Regionale Campania;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2019 il Cons. Silvia Martino;
Uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, l’avvocato Si. Ma. e l’avvocato dello Stato Al. Pe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso notificato in data 18 settembre 2017, proposto innanzi al TAR per la Campania, l’odierno appellante rappresentava che, essendo venuto a conoscenza di un debito nei confronti dell’erario, con l’istanza di accesso inviata a Equitalia in data 21 luglio 2017 aveva chiesto il rilascio dei seguenti documenti: 1) copia conforme all’originale del ruolo nominativo; 2) copia conforme all’originale di tutte le cartelle di pagamento relative al proprio ruolo (ex art. 49 del d.P.R. n. 602/73) così come notificate; 3) relate di notifica delle suddette cartelle.
Non avendo ottenuto riscontro alla propria istanza di accesso aveva quindi adito il suddetto TAR per ottenere l’annullamento del diniego maturato per silentium e l’accertamento del diritto di accesso alla documentazione richiesta, con conseguente condanna della società intimata agli adempimenti consequenziali.
All’uopo deduceva che la conoscenza dei documenti richiesti era necessaria per esercitare appieno il proprio diritto di difesa, in sede tributaria, nonché per il risarcimento degli eventuali danni causati dal comportamento del concessionario, il quale, peraltro è soggetto agli obblighi specificamente disciplinati dall’art. 26 del cit. d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.
Sottolineava, altresì, che l’accesso cartella esattoriale è strumentale alla tutela dei diritti del contribuente in tutte le forme consentite dall’ordinamento giuridico ritenute più rispondenti ed opportune.
2. Nelle resistenza dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione (subentrata nelle more del giudizio alla società Equitalia) il TAR dichiarava il ricorso inammissibile per “sopravvenuta carenza di interesse”.
A tal fine considerava che, secondo quanto rappresentato dall’Agenzia, il ricorrente avrebbe avuto l’onere di impugnare la sopravvenuta nota del concessionario del 4 ottobre 2017 con la quale la domanda di accesso era stata ritenuta inammissibile per genericità e con la quale l’ente “aveva fatto cessare la propria (precedente) inerzia”.
Ciò, anche in considerazione della pacifica natura impugnatoria del giudizio in materia di accesso e della natura, non meramente “confermativa”, del suddetto diniego.
3. La sentenza è stata impugnata dall’originario ricorrente, rimasto soccombente, il quale deduce:
1. Erronea valutazione della natura della nota del 4 ottobre 2017.
La nota del 4 ottobre 2017, versata in atti, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure non può essere considerata un atto “di riconferma a carattere rinnovativo”, che il ricorrente aveva l’onere di impugnare. La nota in questione è infatti la relazione dell’Agenzia, indirizzata all’Avvocatura dello Stato per la difesa in giudizio, con cui la stessa esponeva di avere dato riscontro alla richiesta di accesso già con nota del 10 agosto 2017, a mezzo PEC.
Tuttavia tale documento non è mai stata versato agli atti del giudizi di primo grado, così come non è stata depositata la ricevuta di consegna della stessa.
Peraltro, si tratterebbe, sostanzialmente, di atto a carattere meramente confermativo, di contenuto ana al silenzio – rigetto avverso il quale il ricorrente si era già tempestivamente gravato.
L’appellante ha poi evidenziato di avere tuttora interesse all’ostensione dei titoli esecutivi per i quali l’amministrazione ha intenzione di procedere.
4. Si è costituita, per resistere, l’Ader (Agenzia delle Entrate – Riscossione – Direzione generale per la Campania) che ha rappresentato quanto segue.
Il fatto che il ricorrente non abbia impugnato, autonomamente, la nota di riscontro del 10 agosto 2017 avrebbe determinato la inammissibilità o comunque l’improcedibilità del ricorso originario.
In ogni caso, la richiesta di accesso non poteva essere accolta in quanto generica nonché priva degli elementi idonei ad individuare i documenti oggetto della richiesta.
La stessa sarebbe comunque radicalmente ineseguibile per inesistenza del documento “ruolo nominativo”.
La nozione giuridica di “ruolo” è contenuta nell’art. 12 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602.
L’adempimento dell’obbligo, risultante dal ruolo, è intimato tramite la cartella di pagamento; sebbene l’uno (il ruolo) sia presupposto necessario dell’altro (la cartella), tra i due atti non sussiste, né potrebbe sussistere, data la funzionale differenza tra loro, corrispondenza formale o grafica.
Al riguardo, l’art. 25, secondo comma, del d.P.R. n. 602 del 1973, dispone che “la cartella di pagamento, redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle finanze, contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata” e l’art. 6 del d.m. 3 settembre 1999, n, 321 ne precisa il contenuto prevedendo, al comma 1, che “il contenuto minimo della cartella di pagamento è costituito dagli elementi che (…) devono essere elencati nel ruolo ad eccezione della data di consegna del ruolo stesso al Concessionario (…)”.
La formazione del ruolo avviene ai sensi dell’art. 2, comma 1, del d.m. n. 321 del 1999, (“i ruoli formati direttamente dall’ente creditore sono redatti, firmati e consegnati, mediante trasmissione telematica al CNC, ai competenti concessionari del servizio nazionale della riscossione […]”) ovvero mediante trasmissione telematica.
La parte del flusso telematico riferibile al singolo debitore è rappresentata da ciò che viene, generalmente, denominato “estratto dì ruolo”.
L’identità e l’univocità dei dati in parola fa sì che quando si parla di “estratto dì ruolo” ci si intenda riferire alla porzione dei soli dati dell’interessato, come enucleati dall’insieme dei dati del flusso riguardante tutti gli iscritti nel ruolo.
L’estratto di ruolo non è quindi né la copia, né la rielaborazione de! documento originale che si assume essere il ruolo ma è esso stesso il ruolo, per la parte che afferisce all’interessato.
5. L’appello è passato in decisione alla camera di consiglio del 10 gennaio 2019.
6. Il ricorso è in parte fondato.
Al riguardo, valga quanto segue.
7. E’ anzitutto fondato il motivo con cui l’appellante deduce che erroneamente il TAR ha dato rilievo al provvedimento esplicito di rigetto dell’istanza di accesso menzionato, unitamente alla ricevuta di consegna a mezzo PEC, nella relazione dell’Ader depositata in giudizio dall’Avvocatura dello Stato.
A tale relazione non risulta infatti allegata documentazione alcuna, sicché, in presenza della contestazione formulata dall’odierno appellante nella memoria di replica del 16 febbraio 2018, il primo giudice avrebbe dovuto quantomeno disporre un approfondimento istruttorio non trattandosi di un fatto “non specificamente contestato” ai sensi dell’art. 64, comma 2, del c.p.a..
Né può darsi rilievo alla documentazione prodotta dall’Ader in sede di appello, poiché ciò è avvenuto in violazione del divieto di cui all’art. 104, comma 2, c.p.a..
Ad ogni buon conto, tale documentazione non appare idonea a precludere l’esame, nel merito, del ricorso instaurativo del giudizio di primo grado.
Va infatti considerato che il giudizio in materia di accesso, anche se si atteggia come impugnatorio, in quanto rivolto avverso il provvedimento di diniego o avverso il silenzio – rigetto formatosi sulla relativa istanza, ha per oggetto l’accertamento della spettanza o meno del diritto medesimo, piuttosto che la verifica della sussistenza di vizi di legittimità dell’eventuale diniego opposto dall’amministrazione (cfr., Cons. Stato, Sez. III, 5 marzo 2018, n. 1396).
Come già da tempo sottolineato dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio (decisione n. 6 del 18 aprile 2006), la tesi della natura del diritto di accesso quale diritto soggettivo si fonda sul carattere vincolato dei poteri rimessi all’amministrazione in sede di esame della relativa istanza, poteri aventi ad oggetto la mera ricognizione della sussistenza dei presupposti di legge e l’assenza di elementi ostativi.
Essa risulta poi corroborata dall’inclusione del diritto di accesso nei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e politici ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione (art. 22, comma 2, della legge n. 241/90 come modificata dalla legge n. 15 del 2005, nella versione precedente alle modifiche apportata dall’art. 10, comma 1, lett. a), l. 18 giugno 2009, n. 69; cfr. oggi l’art. 29, comma 2 – bis, della medesima l. n. 241, come novellata dal cit. d.l. n. 69/2009) e dalla riconduzione del giudizio in tema di accesso alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 25, comma 5, della legge n. 241, come modificata dalla legge n. 80 del 2005 e successivamente trasfuso nell’art. 133, comma 1, lett. a) n. 6 del codice del processo amministrativo).
Ne deriva che, se il giudizio ex art. art. 116 c.p.a. è stato già incardinato sul presupposto dell’avvenuta formazione del silenzio – rigetto, il fatto che l’amministrazione adotti un’esplicita determinazione di segno negativo non ha alcun effetto sulla procedibilità dell’azione, in quanto rivolta all’accertamento di un diritto.
Nel caso di specie, invero, il ricorso per l’accesso è stato notificato in data 18 settembre 2017, sull’assunto che non fosse stato emanato un provvedimento espresso e prendendo quindi come punto di riferimento la formazione del silenzio sull’istanza del 21 luglio 2017 (formatosi quindi il 21 agosto 2017), laddove invece l’amministrazione, in sede di appello, ha prodotto una nota di diniego comunicata via PEC già dal precedente 10 agosto.
Tuttavia, pur volendo superare la preclusione derivante dall’art. 104, comma 2, c.p.a, e dare per acquisiti i documenti di cui è stata omessa la produzione in primo grado, il ricorso si appaleserebbe comunque tempestivo atteso che tale provvedimento di diniego è stato emesso durante il mese di agosto, in cui sono sospesi i termini processuali, sicché il termine di trenta giorni dalla conoscenza del diniego, previsto dall’art. 116, comma 1 c.p.a. per la proposizione del ricorso, ha ripreso a decorrere solo dal 16 settembre 2017, ovvero solo due giorni prima della notifica del ricorso avverso il (preteso) silenzio – rigetto.
8. Si impone dunque l’esame, nel merito, del ricorso instaurativo del giudizio di primo grado.
Esso è in parte improcedibile e in parte fondato.
8.1. Per quanto concerne la richiesta del “ruolo nominativo”, risulta che lo stesso ricorrente abbia prodotto, in primo grado, l’estratto di ruolo del quale l’Agenzia delle Entrate, in sede di appello, ha, in maniera convincente, dimostrato la sovrapponibilità, se non identità, con il documento richiesto al punto a) dell’istanza di accesso del 21 luglio 2017 (il “ruolo nominativo”).
Per tale profilo, può pertanto confermarsi la statuizione di improcedibilità resa dal primo giudice, atteso che il ricorrente non ha interesse ad acquisire un atto che è già nella sua disponibilità e che, secondo quanto asserito dallo stesso concessionario della riscossione, coincide con il “ruolo nominativo” nella parte di interesse del contribuente.
8.2. Relativamente, invece, alle cartelle esattoriali e alle relate di notifica, la giurisprudenza di questo Consiglio è ormai consolidata nel ritenere che il contribuente abbia diritto ad accedere alla documentazione che attiene alla gestione del rapporto di imposta, ovvero a tutti quegli atti intesi a sollecitare il pagamento della pretesa tributaria e dalla cui conoscenza (o inesistenza) possano emergere vizi sostanziali e/o procedimentali tali da palesare l’illegittimità totale o parziale della pretesa medesima.
Ferma infatti, in linea di principio, l’esclusione del diritto di accesso nei procedimenti tributari sancita dall’art. 24 comma 1 lett. b) della l. 7 agosto 1990, n. 241, vale comunque il comma 7, primo periodo, del medesimo art. 24, secondo il quale deve essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici (Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2018, n. 3847).
A ciò deve aggiungersi che, come già chiarito da questa Sezione, soltanto nella fase di pendenza del procedimento tributario gli atti relativi ad un accertamento fiscale sono inaccessibili, non rilevando, al contrario, alcuna esigenze di segretezza nella fase che segue la conclusione del procedimento, con l’adozione del provvedimento definitivo di accertamento, essendo tale fase deputata alla tutela in giudizio delle proprie situazioni giuridiche soggettive, ritenute lese dal provvedimento impositivo. (cfr. IV Sez. 3 dicembre 2018, n. 6825).
L’amministrazione, pertanto, non solo è obbligata a rendere disponibili gli atti richiesti dal contribuente, ma non è titolare di alcun margine di discrezionalità in ordine alla determinazione di quali atti esibire (Cons. St. sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 317).
L’interesse del contribuente all’ostensione degli atti propedeutici a procedure di riscossione è peraltro riconosciuto anche in via legislativa, mediante la previsione di specifici obblighi in capo al concessionario per la riscossione.
L’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, stabilisce infatti che “il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso del ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione”.
Ai fini dell’esercizio del diritto di accesso, è poi sufficiente che, come avvenuto nel caso di specie, il contribuente faccia riferimento, nella domanda, al proprio ruolo, attraverso il quale il concessionario della riscossione può agevolmente individuare le cartelle di pagamento emesse in relazione al medesimo, e in particolare quelle già notificate (cfr.., Cons. St, sez. IV, 7 agosto 2017, n. 3947).
9. Per quanto testé evidenziato l’appello merita in parte accoglimento, ed, in parziale riforma della sentenza impugnata, deve dichiararsi il diritto del signor Ci. Ba. all’ostensione delle cartelle di pagamento e delle relate di notifica oggetto dell’istanza di accesso del 21 luglio 2017, secondo le modalità meglio indicate in dispositivo.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, di cui in premessa, lo accoglie in parte, come da motivazione, e, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie in parte il ricorso di primo grado.
Per l’effetto:
– accerta e dichiara il diritto dell’appellante all’ostensione delle cartelle di pagamento e delle relate di notifica oggetto dell’istanza di accesso del 21 luglio 2017;
– ordina all’Agenzia delle Entrate – Riscossione – di esibire (anche mediante estrazione di copia e salva la corresponsione del costo di riproduzione) gli atti richiesti con l’istanza predetta nel termine di trenta giorni dalla comunicazione e/o notificazione, se anteriore, della presente sentenza.
Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida, complessivamente, in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre gli accessori, se dovuti, come per legge, da distrarsi in favore del difensore dell’appellante, dichiaratosi antistatario.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Alessandro Verrico – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere, Estensore
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