Deducibilità di un debito tributario nella determinazione dell’imposta di successione dovuta

Corte di Cassazione, sezione tributaria, Ordinanza 13 febbraio 2019, n. 4176.

La massima estrapolata:

Ai fini della deducibilità di un debito tributario nella determinazione dell’imposta di successione dovuta non occorre che esso sia rappresentato da un atto con data certa anteriore all’apertura della successione perché rileva anche l’accertamento notificato successivamente a tale momento purché fondato su elementi di fatto verificatisi anteriormente. Nel caso in cui sia stata proposta opposizione giudiziale il contribuente obbligato lo potrà far valere entro sei mesi dalla data in cui la sentenza relativa è passata in giudicato anche se non indicato nella dichiarazione di successione.

Ordinanza 13 febbraio 2019, n. 4176

Data udienza 21 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere

Dott. D’OVIDIO Paola – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 5074-2013 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI AVERSA, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI CASERTA;
– intimati –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente con atto di costituzione –
sul ricorso 5076-2013 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI AVERSA, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI CASERTA;
– intimati –
avverso le sentenze n. 198/2012 e n. 199/2012 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI, depositate il 29/06/2012; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2018 dal Consigliere Dott. PAOLA D’OVIDIO.

RILEVATO

CHE:
1. (OMISSIS) impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta l’avviso di liquidazione dell’imposta di successione n. (OMISSIS), notificato dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Aversa, relativo alla successione di (OMISSIS), deceduto in data (OMISSIS).
In particolare, la ricorrente lamentava il mancato riconoscimento di un debito d’imposta da decurtare quale passivita’ dell’asse ereditario, indicato nel quadro D della denuncia di successione e costituito dal debito di cui all’avviso di accertamento n. (OMISSIS), notificato il 23/12/2009, per l’anno d’imposta 2004.
1.1. La CTP di Caserta, con sentenza n. 868/14/2010 del 6/12/2010, rigettava il ricorso sul presupposto che il debito d’imposta dedotto non costituiva un debito esigibile in quanto non vi era sentenza definitiva.
1.2. Avverso tale sentenza proponeva appello la contribuente lamentando la contraddittorieta’ della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto che la controversia dipendeva dall’esito del contenzioso relativo all’accertamento per l’anno 2004, senza trarne le dovute conseguenze in termini di sospensione del giudizio dipendente in attesa della definizione di quello pregiudiziale, e comunque senza assumere alcuna decisione sul punto; nel merito, l’appellante riproduceva gli argomenti gia’ dedotti in primo grado.
1.3. La Commissione Tributaria Regionale di Napoli, con sentenza n. 199/32/12, depositata il 29/6/2012, rigettava l’appello della contribuente.
1.4. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la contribuente sulla base di due motivi (procedimento rg. n. 5074/2013). L’Agenzia delle Entrate si e’ costituita oltre i termini di legge, ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’articolo 370 c.p.c., comma 1.
2. Con altro ricorso, (OMISSIS), nella qualita’ di erede di (OMISSIS), impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate di Caserta aveva accertato, per l’anno 2004, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 41bis, un reddito del signor (OMISSIS) di Euro. 1.387.256,00, a fronte di Euro 67.256,00 dichiarati, per una plusvalenza di cessione d’azienda non dichiarata.
In particolare, la ricorrente eccepiva la nullita’ dell’atto per mancata allegazione dell’accertamento per imposta di registro sul quale si fondava l’accertamento impugnato e, in subordine, chiedeva la riduzione del valore accertato.
2.1. La CTP di Caserta, con sentenza n. 831/16/2010 del 26/11/2010, in parziale accoglimento del ricorso proposto dalla contribuente, determinava il valore accertato in Euro 1.000.000,00, ritenendo che tale era l’importo percepito dalla cessione d’azienda avvenuta nel 2004 e non dichiarato.
2.2. Avverso tale sentenza proponeva appello la contribuente insistendo per l’annullamento dell’accertamento impugnato per carenza di motivazione, non essendo stato ad esso allegato l’avviso emesso dall’Ufficio del Registro di Avellino (atto propedeutico all’accertamento de quo): al riguardo deduceva che destinatario dell’avviso di accertamento dell’imposta di registro era il signor (OMISSIS), deceduto il (OMISSIS), e tale avviso, secondo l’Agenzia, sarebbe stato notificato il 16/5/2006, ma detto atto non era stato prodotto neppure in corso di giudizio, ne’ era stata provata l’avvenuta notifica dello stesso in data 16/5/2006.
L’Agenzia delle Entrate si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo a sua volta appello incidentale.
2.3 La Commissione Tributaria Regionale di Napoli, con sentenza n. 198/32/12, depositata il 29/6/2012, rigettava sia l’appello principale che l’appello incidentale, confermando la sentenza impugnata, con compensazione delle spese.
2.4. Avverso tale sentenza la contribuente ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi (procedimento rg. n. 5076/2013). Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

CONSIDERATO

CHE:
1. Va pregiudizialmente disposta la riunione del procedimento n. 5076/2013 al procedimento n. 5074/2013, vertendo le due cause tra le stesse parti ed essendo indiscutibile la connessione oggettiva delle questioni da affrontare, atteso che nel procedimento rg. n. 5074/2013 si controverte circa il mancato riconoscimento della detrazione di un debito di imposta la cui esigibilita’ e’ oggetto di accertamento nel procedimento rg. n. 5076/2013, sicche’ l’esito di quest’ultimo giudizio costituisce il presupposto logico-giuridico per la definizione del primo.
1.1. Invero, “la riunione delle impugnazioni, che e’ obbligatoria, ai sensi dell’articolo 335 c.p.c., ove investano lo stesso provvedimento, puo’ altresi’ essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimita’, ove esse siano proposte contro provvedimenti diversi ma fra loro connessi, quando la loro trattazione separata prospetti l’eventualita’ di soluzioni contrastanti, siano ravvisabili ragioni di economia processuale ovvero siano configurabili profili di unitarieta’ sostanziale e processuale delle controversie” (cosi’ Cass. S.U. n. 1521 del 23/01/2013; conf. Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27550, Rv. 651065 – 01).
2. SUL PROCEDIMENTO CONCERNENTE L’IMPUGNAZIONE AVVERSO L’ACCERTAMENTO DI RETTIFICA DEL REDDITO DEL DEFUNTO SIGNOR (OMISSIS) PER L’ANNO 2004 (procedimento rg. n. 5076/2013).
2.1. Ragioni di priorita’ logica conducono ad esaminare con precedenza il presente ricorso, ancorche’ iscritto successivamente a quello cui e’ stato riunito (recante il n. di rg. 5074/2013), trattandosi del giudizio pregiudicante.
2.2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto: L. 17 luglio 2000, n. 212, articolo 7, ed del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42 comma 2; L. n. 241 del 1990, articolo 3, – Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
Deduce la ricorrente che la sentenza impugnata si porrebbe in contrasto con la normativa richiamata, relativa all’obbligo di motivazione degli atti tributari, non avendo considerato le censure mosse dalla stessa contribuente circa la carenza di motivazione del provvedimento di imposizione impugnato, atteso che quest’ultimo rinvia per relationem ad un avviso di accertamento, asseritamente notificato al defunto (ma tale circostanza non risulterebbe neppure provata), che non sarebbe stato ne’ allegato ne’ prodotto.
2.2.1 Il motivo e’ fondato.
La sentenza impugnata, nella parte dedicata alla descrizione del fatto, da’ atto delle doglianze della ricorrente relative alla carenza di motivazione per non essere stato allegato l’avviso emesso dall’Ufficio del Registro di Avellino (atto propedeutico all’accertamento impugnato), ne’ prodotto in corso di giudizio, e per non essere stata neppure provata la sua notifica al defunto in data 16/5/2006.
Nella parte motiva la medesima sentenza, su tale questione, cosi’ statuisce: “L’appellante…. in particolare evidenzia la mancata allegazione all’avviso di accertamento (oggetto della primaria impugnazione) di quello con il quale l’Ufficio del Registro ha rettificato la plusvalenza per cessione d’azienda, avvenuta nel 2004 e non dichiarata, elevando il valore ad Euro 1.387.256,00. Nel caso di specie l’accertamento ai fini IRPEF, nei confronti della ricorrente, si e’ concretizzato a seguito di segnalazione dell’Anagrafe Tributaria per la mancata dichiarazione della plusvalenza realizzata con la cessione di azienda avvenuta nel 2004 nonche’ sul presupposto che la signora (OMISSIS), benche’ invitata dall’A.F., non ha prodotto idonea documentazione fiscale a seguito dell’invito n. (OMISSIS), notificato in data 27/6/2009”.
Tale motivazione, sebbene poco chiara, si risolve nell’implicita (ma univoca) affermazione dell’irrilevanza della omessa allegazione, produzione e notifica dell’atto prodromico, richiamato per relationem dall’avviso di accertamento impugnato (circostanza pacifica in causa), ritenendo sufficiente che quest’ultimo si fosse “concretiato” a seguito di “segnalazione dell’Anagrafe Tributaria”, nonche’ sul presupposto della mancata produzione di “idonea documentazione fiscale” da parte della (OMISSIS), benche’ a cio’ invitata dall’A.F.
Con tali affermazione, tuttavia, la CTR ha violato il disposto della L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 7 e del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 42, comma 2, come successivamente modificato dal Decreto Legislativo 26 gennaio 2001, n. 32, articolo 1, comma 1, lettera c).
Ai sensi delle norme citate, infatti, l’obbligo di motivazione degli atti tributari puo’ essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, pero’, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass., sez. 5, 25/03/2011, n. 6914, Rv. 617325 – 01), o, ancora, che gli atti richiamati siano gia’ conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione (Cass., sez. 5, 25/07/2012, n. 13110, Rv. 623857 – 01).
In particolare, deve ritenersi che anche lo Statuto del contribuente, articolo 7, comma 1, (cosi’ come espressamente previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica citato, articolo 42), nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisca esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia gia’ integrale e legale conoscenza (Cass., sez. 5, 4/7/2014, n. 15327, Rv. 631550 01).
Peraltro, l’avviso di accertamento privo, in violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, e della L. n. 212 del 2000, articolo 7, di una congrua motivazione e’ illegittimo, senza che la stessa possa, essere “integrata” in giudizio dall’Amministrazione finanziaria, in ragione della natura impugnatoria del processo tributario (Cass., sez. 6-5, 21/05/2018, n. 12400, Rv. 648519 – 01).
Alla luce di tali principi, la CTR, per applicare correttamente le norme citate, avrebbe dovuto verificare se l’accertamento dell’Ufficio del registro, richiamato nell’atto impugnato ma non allegato (della mancata allegazione da’ atto la stessa sentenza impugnata nel prosieguo della motivazione, ancorche’ nella parte di motivazione riferita all’appello incidentale proposto dell’Agenzia), fosse comunque conosciuto dalla contribuente e, in particolare, se fosse stato notificato al de cuius, come sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, ovvero se il suo contenuto essenziale risultasse riprodotto nell’atto impugnato.
Con riferimento alla necessita’ di accertare l’avvenuta notifica nei confronti del de cuius, infatti, non puo’ essere condivisa la tesi sostenuta in controricorso dall’Agenzia delle Entrate, secondo la quale, poiche’ “nell’avviso di accertamento si da’ espressamente atto dell’avvenuta notifica dell’atto presupposto, trattandosi di atto pubblico, tale dichiarazione avrebbe dovuto essere oggetto di impugnazione di falso, in concreto non avvenuto. Invero, la fede privilegiata assiste solo i fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui stesso compiuti, ma non gli effetti giuridici di tali atti: nella specie, anche ove l’avviso di accertamento contenga effettivamente l’indicazione dell’avvenuta notifica al de cuius (circostanza di fatto solo affermata dall’Agenzia ma non verificabile in sede di legittimita’), cio’ proverebbe esclusivamente che l’adempimento e’ stato compiuto dal notificante, ma non potrebbe dimostrare ne’ il contenuto dell’atto notificato, ne’ il perfezionamento della notifica nei confronti del destinatario, potendo detta notifica, in ipotesi, essere affetta da vizi tali da comportarne la nullita’ o l’inesistenza.
Va altresi’ precisato che, se risultasse accertata l’avvenuta notifica nei confronti del de cuius dell’atto presupposto, cui rinvia “per relationem” la motivazione dell’atto impugnato in questa sede, dovra’ ritenersi, con presunzione juris tantum, che tale atto presupposto sia pervenuto nella disponibilita’ dell’erede, quale avente causa dal contribuente defunto, e sia pertanto da esso conosciuto.
2.3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la “omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo prospettato dal ricorrente – Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vecchia formulazione”.
In particolare, la ricorrente si duole che la CTR avrebbe omesso qualsiasi motivazione in ordine alla eccepita mancata all’allegazione, sia all’atto impugnato (relativo all’accertamento per l’anno d’imposta 2004) che agli atti del presente giudizio, dell’atto presupposto sul quale esso si fonda (avviso di accertamento ai fini dell’imposta di registro relativa ad una cessione di azienda avvenuta nel 2004), non risultando pertanto provata ne’ l’emissione di tale provvedimento ne’ la sua notifica al de cuius, che l’Agenzia delle Entrate assume essere stata effettuata in data 16/5/2006.
2.3.1. Anche il secondo motivo e’ fondato.
Preliminarmente, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilita’ di tale motivo, sollevata dalla controricorrente affermando che con il vizio dedotto “in realta’ viene censurato l’omesso pronunciamento su un motivo di censura, che avrebbe dovuto essere dedotto dinanzi al giudice di legittimita’ a diverso titolo”.
Invero, dall’illustrazione del motivo emerge che la censura riguarda propriamente una omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (costituito dalla mancata allegazione dell’atto propedeutico all’accertamento e della sua notifica al de cuius), e non gia’ una omessa pronuncia sulla questione, posto che tale questione e’ stata esaminata, ancorche’ risolta “giustificando l’accertamento con incomprensibili richiami a una segnalazione dell’Anagrafe tributaria… ed ad una presunta ed indimostrata mancata produzione di documenti da parte della (OMISSIS)”, senza spiegare “perche’ in assenza dell’avviso del Registro di Avellino, l’atto impugnato che lo richiama possa ritenersi fondato” (v. pag. 18 del ricorso).
La pronuncia, dunque, vi e’ stata, ma la stessa, nella prospettazione della ricorrente, risulterebbe incongrua e non terrebbe conto di un fatto decisivo per il giudizio.
Tale doglianza e’ fondata, come si evince dalla motivazione della sentenza sul punto, gia’ interamente riportata nel paragrafo che precede, la quale, nel motivare sull’appello principale proposto dalla ricorrente, non esamina affatto la questione relativa all’omessa allegazione ed alla mancata notifica dell’atto richiamato.
Non solo, ma la medesima sentenza, passando poi ad esaminare l’appello incidentale proposto dall’Agenzia, afferma che “âEuro¦ nel caso in esame non risulta fornita ne’ la prova dell’esistenza di tale accertamento, in quanto non allegato all’atto impugnato, ne’ che esso si sia reso definitivo”.
Trova, nella specie, applicazione l’articolo 360 c.p.c., n. 5, come risultante dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006; in proposito, questa Corte ha chiarito che il “fatto” ivi considerato e’ un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass., sez. 5, 3/10/2018, n. 24035, Rv. 650798 – 01), il quale deve essere decisivo: per potersi configurare il vizio e’ necessario che la sua assenza avrebbe condotto a diversa decisione con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’, in un rapporto di causalita’ fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data (Cass., sez. 2, 27/08/2018, n. 21223, Rv. 650030 – 01).
Orbene, nel caso in esame la circostanza della mancata allegazione dell’atto prodromico, accertata nella stessa sentenza sia pure con riferimento all’appello incidentale, costituisce un fatto preciso e certamente decisivo per il giudizio, atteso che, se considerato, ed in assenza di prova della precedente notificazione dell’atto medesimo al de cuius o della sua conoscenza da parte dell’odierna ricorrente (circostanze neppure esaminate dalla sentenza impugnata), avrebbe dovuto portare ad una diversa soluzione giuridica sull’appello principale, facendo corretta applicazione delle norme in tema di obbligo di motivazione degli atti tributari, come evidenziato esaminando il primo motivo.
3. SUL PROCEDIMENTO CONCERNENTE L’IMPUGNAZIONE DELL’AVVISO DI LIQUIDAZIONE DELL’IMPOSTA DI SUCCESSIONE PER MANCATO RICONOSCIMENTO DELLA DEDUCIBILITA’ DEL DEBITO D’IMPOSTA RELATIVO ALL’ANNO 2004 (procedimento rg. n. 5074/2013).
3.1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto: articolo 295 c.p.c.; del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 39, – Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; Nullita’ del procedimento e della sentenza ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.
In particolare la ricorrente si duole del mancato accoglimento dell’istanza, proposta sin dal primo grado, di sospensione del presente giudizio in attesa della definizione del giudizio, ritenuto pregiudiziale, avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2004, essendo il relativo debito tributario (la cui sussistenza e’ oggetto del procedimento rg. n. 5076/2013 sopra esaminato) presupposto necessario ai fini del calcolo delle passivita’ deducibili dall’imposta di successione di cui si discorre nel presente giudizio.
3.2. Con il secondo motivo si deduce la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto: articoli 21 e 23 del dlgs n. 346/1990 – Art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”.
In proposito, nell’illustrazione del motivo si sostiene la erronea applicazione delle norme citate da parte della CTR, in quanto quest’ultima, affermando che “le contestate passivita’ del de cuius non risultano attestate da atto scritto avente data certa anteriore all’apertura della successione o da titolo giudiziario definitivo”, non avrebbe tenuto conto che, ai fini della prova del debito tributario, ai sensi del Decreto Legislativo citato, articolo 21, comma 5, e articolo 23, comma 1, lettera c), l’atto scritto avente data certa puo’ anche sopravvenire all’apertura della successione e che “l’attestazione rilasciata dall’amministrazione creditrice” idonea a provare i debiti verso l’Amministrazione (e, dunque, anche il debito tributario) ben puo’ essere integrata (come nella specie) dall’avviso di accertamento relativo alla pretesa tributaria di cui si invoca la detrazione. Non condivisibile, inoltre, sarebbe l’assunto della sentenza impugnata secondo il quale il debito in questione non sarebbe deducibile perche’ il relativo avviso di accertamento era stato impugnato e, dunque, non era divenuto definitivo.
3.2.1. Il secondo motivo, da esaminare prioritariamente in quanto l’esito del giudizio sullo stesso e’ destinato a riverberarsi sul primo motivo, che attiene alle conseguenze processuali, e’ fondato.
In linea generale, in tema di imposta sulle successioni, il regime di deducibilita’ dei debiti della massa ereditaria – disciplinato dal Decreto Legislativo n. 346 del 1990, articoli da 20 a 24, – va ricostruito nel senso che tali debiti sono deducibili, purche’ sussistano le condizioni previste dall’articolo 21 e subordinatamente alle dimostrazioni, integranti sistema di prova legale, prescritte dall’articolo 23 (Cass., sez. 5, 26/11/2007, n. 24547, Rv. 601059 – 01).
Con specifico riferimento al debito tributario, rilevano in particolare all’articolo 21 citato, commi 1 e 5, a tenore dei quali: “1. I debiti del defunto devono risultare da atto scritto di data certa anteriore all’apertura della successione o da provvedimento giurisdizionale definitivo…. 5. I debiti verso lo Stato, gli enti pubblici territoriali e gli enti pubblici che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e di assistenza sociale, esistenti alla data di apertura della successione, nonche’ i debiti tributari, il cui presupposto si e’ verificato anteriormente alla stessa data, sono deducibili anche se accertati in data posteriore ….”.
Il D.Lgs n. 346 del 1990, articolo 23, comma 1, che si riferisce a tutti i debiti detraibili e non contiene specifiche disposizioni riferite ai debiti tributari, stabilisce a sua volta che “1. La deduzione dei debiti e’ subordinata alla produzione, in originale o in copia autentica, del titolo o provvedimento di cui all’articolo 21, comma 1, ovvero: a) di estratto notarile delle scritture contabili obbligatorie del defunto, per i debiti inerenti all’esercizio di imprese; b) di estratto notarile delle scritture contabili obbligatorie del trattario o del prenditore, per i debiti cambiari; c) di attestazione rilasciata dall’amministrazione creditrice, o di copia autentica della quietanza del pagamento avvenuto dopo l’apertura della successione, per i debiti verso pubbliche amministrazioni; d) di attestazione rilasciata dall’ispettorato provinciale del lavoro, per i debiti verso i lavoratori dipendenti”.
Dal combinato disposto di tali norme emerge che i debiti di natura tributaria sono deducibili qualora il presupposto per la loro insorgenza, inteso come evento storico, risulti gia’ verificatosi al momento dell’apertura della successione, ancorche’ sia stato accertato solo successivamente (articolo 21, comma 5, u.p.), e che, conseguentemente, la prova della loro esistenza puo’ essere data tramite la produzione dell’avviso di accertamento (successivo, appunto), atteso che quest’ultimo, costituendo espressione autoritativa della pretesa tributaria dell’amministrazione, costituisce, se definitivo, un quid pluris rispetto alla semplice “attestazione rilasciata dall’amministrazione creditrice”, cui fa riferimento il Decreto Legislativo citato, articolo 23, comma 1, lettera c).
Va evidenziato, tuttavia, che l’avviso di accertamento puo’ costituire prova idonea ai sensi dell’articolo 23, comma 1, lettera c) cit., solo qualora sia divenuto definitivo, posto che il concetto di “attestazione” richiamato dalla norma da ultimo citata implica l’affermazione di un fatto certo e non piu’ discutibile, situazione che, per quanto qui interessa, si verifica, alternativamente, quando sia spirato il termine di impugnazione dell’atto di accertamento emesso dall’amministrazione finanziaria ovvero, in caso di impugnazione di tale atto, quando sia passata in giudicato la sentenza che decide il relativo contenzioso (cit., articolo 21, comma 1).
In quest’ultimo caso, ossia quando vi sia stata impugnazione dell’accertamento, il contribuente puo’ dimostrare il suo debito (tributario), ancorche’ non indicato nella dichiarazione della successione, nel termine di sei mesi dalla data in cui il provvedimento giurisdizionale e’ divenuto definitivo, come previsto dal Decreto Legislativo n. 346 del 1990, articolo 23, comma 4.
Cio’ posto, nel caso in esame risulta pacificamente accertato dalla CTR, e non contestato, che il presupposto del debito tributario di cui la ricorrente invoca la deducibilita’ si e’ verificato nell’anno 2004, e dunque prima della apertura della successione (avvenuta, con il decesso del signor (OMISSIS), il (OMISSIS)), mentre il suo accertamento e’ stato effettuato successivamente, con l’avviso notificato alla (OMISSIS), quale erede del (OMISSIS), il 23/12/2009. Parimenti incontestata e’ la circostanza che tale avviso di accertamento e’ stato impugnato (la relativa controversia costituisce oggetto del ricorso n. 5074/2013, riunito al presente in questa sede) e, pertanto, non e’ ancora divenuto definitivo.
A fronte di tale situazione, la CTR non ha fatto buon governo dei principi sopra enunciati la’ dove ha affermato che “essendo stato impugnato, il debito di imposta non e’ definitivo e quindi non puo’ essere sottratto all’importo in contenzioso” e che pertanto “le contestate passivita’ del de cuius non risultano attestate da atto scritto avente data certa anteriore all’apertura della successione o da titolo giudiziario definitivo, secondo la normativa concernete il regime di detrazione dei debiti ereditari, contenuta nel Testo unico delle successione, articoli da 20 a 24, (Decreto Legislativo n. 346 del 1990)”: invero, trattandosi di debito tributario, da un lato esso non doveva necessariamente essere attestato da atto scritto avente data certa anteriore all’apertura della successione, ben potendo risultare da un avviso di accertamento successivo a tale momento (purche’ fondato su presupposti di fatto anteriormente verificatisi, come nella specie), mentre, dall’altro lato, la mancata definitivita’ di detto avviso di accertamento, conseguente alla sua impugnazione ancora sub iudice, non poteva di per se’ determinare il rigetto del ricorso, essendo in tal caso consentito al contribuente dimostrare l’esistenza del debito, ancorche’ non indicato nella dichiarazione della successione (nella specie, peraltro, secondo quanto riferisce la ricorrente a pag. 2 del ricorso, tale indicazione era stata riportata nel quadro D della denuncia di successione), nel termine di sei mesi dalla data in cui il provvedimento giurisdizionale e’ divenuto definitivo (cit. articolo 23, comma 4).
Ne deriva che la CTR, ai fini di una corretta applicazione delle nonne in esame, avrebbe dovuto riunire i due giudizi, ricorrendone i presupposti processuali, ovvero, in caso di impossibilita’ di procedere alla riunione, avrebbe dovuto sospendere il presente giudizio (pregiudicato) in attesa della definizione di quello pregiudicante.
Tale questione consequenziale, concernente lo strumento processuale applicabile nella fattispecie, e’ oggetto del primo motivo di ricorso, che si procede ad esaminare nel paragrafo che segue.
3.2.2. Anche il primo motivo e’ fondato.
Giova in primo luogo osservare che nella specie le due cause di cui si discorre pendevano dinanzi alla stessa sezione della CTR Campania, nella medesima composizione, e sono state entrambe decise nella camera di consiglio del 15/6/2012, nonche’ entrambe pubblicate il 29/6/2012, con una successione cronologica che ha visto decisa prima la causa pregiudicante (relativa al debito d’imposta dell’anno 2004), con sentenza della CTR n. 198/32/12, e poi la causa pregiudicata (relativa alla detraibilita’ del predetto debito d’imposta dalla dichiarazione di successione), con sentenza n. 199/32/12.
Cio’ premesso, in linea generale giova ricordare che e’ principio consolidato nella giurisprudenza di legittimita’ quello secondo il quale, nel caso di cause connesse pendenti innanzi al medesimo giudice, questi puo’ disporre la sospensione ex articolo 295 c.c.. solo ove verifichi che i giudizi si trovino irrimediabilmente in fasi diverse, si’ da renderne impossibile la riunione (come nel caso, ad esempio, in cui una causa sia gia’ rimessa in decisione e l’altra ancora in trattazione o in fase istruttoria), ovvero quest’ultima non sia comunque realizzabile ritardando il procedere dell’uno in attesa della maturazione della fase istruttoria anche per l’altro (cfr., per il caso inverso, Cass. Sez. 6-2, 17/09/2015, n. 18286, Rv. 637013 – 01).
Nel caso concreto, dunque, la CTR, una volta deciso il giudizio pregiudicante, avrebbe dovuto sospendere il presente giudizio (pregiudicato), ricorrendone sia le condizioni sostanziali (ossia un rapporto di pregiudizialita’ tra i due giudizi tale che la definizione dell’uno costituisce indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto di giudicati), che la condizione processuale della impossibilita’ di procedere alla riunione.
Quest’ultima condizione discendeva – oltre che dalla diversa fase in cui si trovava il giudizio pregiudicante (gia’ deciso) quando e’ stato esaminato (successivamente, ancorche’ nello stesso giorno, come risulta dal numero cronologico della relativa sentenza) quello pregiudicato – dalla corretta applicazione delle norme illustrate nel primo motivo (che consentono la prova del debito tributario, in caso di impugnazione del relativo accertamento, nel termine di sei mesi dalla data in cui il provvedimento giurisdizionale e’ divenuto definitivo, come previsto dal Decreto Legislativo n. 346 del 1990, articolo 23, comma 4), la quale rendeva impossibile la riunione in fase decisoria (o, piu’ esattamente, la contestuale decisione dei giudizi riuniti, nel caso, non verificatosi nella specie, che tale riunione fosse stata disposta, come pure sarebbe stato corretto), atteso che la definizione del giudizio pregiudicante non solo non poteva essere ritardata, ma doveva prioritariamente intervenire con efficacia di giudicato, mentre la conclusione dell’istruttoria dell’altro giudizio (pregiudicato) era a sua volta subordinata al passaggio in giudicato della decisione sul primo.
4. In conclusione, con riferimento al procedimento n. 5076/2013, va accolto il ricorso in relazione ad entrambi i motivi, cassata la sentenza impugnata e rinviata la causa dinanzi alla CTR della Campania, in diversa composizione, la quale riesaminera’ il giudizio considerando la circostanza costituita dalla mancata allegazione all’atto impugnato dell’atto di accertamento presupposto, procedendo conseguentemente a verificare la conoscenza di quest’ultimo da parte della contribuente o del suo dante causa, ed in particolare l’avvenuta notifica o meno di tale atto al de cuius ovvero la riproduzione del suo contenuto nell’atto impugnato, come meglio sopra precisato, e, all’esito, applicando il seguente principio di diritto: “Ai sensi della L. n. 212 del 2000, articolo 7, e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, gli atti tributari sono soggetti all’obbligo di motivazione, il quale puo’ essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fratto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano alleati all’atto notificato, ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, oppure che gli atti richiamati siano gia’ legalmente ed integralmente conosciuti dal contribuente,- ove non ricorrano tali condizioni, l’avviso di accertamento e’ illegittimo in quanto privo di una congrua motivazione, senza che la stessa possa essere “integrata” in giudizio dall’Amministrazione finanziaria.
Parimenti, va accolto il ricorso n. 5074/2013 in relazione ad entrambi i motivi, cassata la sentenza impugnata e rinviata la causa dinanzi alla CTR della Campania, in diversa composizione, che, previa sospensione del presente giudizio relativo alla liquidazione dell’imposta di successione, decidera’ la sola controversia ad esso in questa sede riunita (relativa alla questione pregiudicante della sussistenza o meno del debito di imposta per l’anno 2004) e, all’esito del passaggio in giudicato della decisione su quest’ultima, decidera’ il giudizio pregiudicato applicando il seguente principio di diritto: “Ai sensi del Decreto Legislativo n. 346 del 1990, articolo 21, commi 1 e 5, e articolo 23, comma 1, lettera c) e articolo 4, ai fini della deducibilita’ di un debito tributario, quest’ultimo non deve necessariamente risultare da un atto scritto avente data certa anteriore all’apertura della successione, ben potendo risultare da un avviso di accertamento successivo a tale momento (purche’ fondato su presupposti di fatto anteriormente verificatisi) e divenuto definitivo per essere spirato il termine per la sua impugnazione ovvero, in caso di impugnazione, per essere passata in giudicato la sentenza che abbia deciso il relativo contenzioso.
In quest’ultimo caso, ossia quando vi sia stata impugnazione dell’accertamento, il contribuente puo’ dimostrare il suo debito (tributario), ancorche’ non indicato nella dichiarazione della successione, nel termine di sei mesi dalla data in cui il provvedimento giurisdizionale e’ divenuto definitivo, come previsto dal Decreto Legislativo n. 346 del 1990, articolo 23, comma 4”.
La CTR della Campania provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio di legittimita’ per entrambe le cause.

P.Q.M.

La Corte, dispone la riunione del procedimento rg. n. 5074/14 al procedimento rg. n. 5076/2013, accoglie entrambi i ricorsi, cassa le sentenze impugnate e rinvia alla CTR della Campania, in diversa composizione, la quale provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio di legittimita’.

Per aprire la mia pagina facebook Avv. Renato D’Isa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *