La domanda di risarcimento danni ex art. 96

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 9 dicembre 2019, n. 32029.

La massima estrapolata:

La domanda di risarcimento danni ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c. deve essere formulata necessariamente nel giudizio che si assume temerariamente iniziato o contrastato, non potendo essere proposta in via autonoma, riguardando un’attività processuale che come tale va valutata nel giudizio presupposto da parte del medesimo giudice, anche per esigenze di economia processuale e per evitare pronunce contraddittorie nei due giudizi.

Ordinanza 9 dicembre 2019, n. 32029

Data udienza 6 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria C. – Presidente

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 4071/2018 r.g. proposto da:
(OMISSIS) (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), presso il cui studio elettivamente domicilia in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato (OMISSIS), con cui elettivamente domicilia in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS).
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI depositata il 26/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 06/11/2019 dal Consigliere Dott. Campese Eduardo.
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Patrone Ignazio, che ha concluso chiedendo disporsi la trattazione della controversia in pubblica udienza.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 4/2005, divenuta cosa giudicata, accolse la domanda ex articolo 263 c.c. (nel testo anteriore alla modifica poi apportatagli dal Decreto Legislativo n. 154 del 2013) formulata da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), e, per l’effetto, dichiaro’ nullo, per difetto di veridicita’, il riconoscimento che il primo aveva precedentemente effettuato del presunto figlio naturale (OMISSIS), esonerando l’istante da ogni obbligo di mantenimento in favore di quest’ultimo.
1.1. In forza di detta statuizione, (OMISSIS) instauro’, innanzi allo stesso tribunale e nuovamente contro la (OMISSIS), un ulteriore giudizio, volto ad ottenere, ai sensi degli articoli 2033, 2041 e 2043 c.c., nonche’ articolo 96 c.p.c., la restituzione (ripetizione) delle somme gia’ erogate a titolo di mantenimento di (OMISSIS), il rimborso delle spese processuali sostenute nei vari giudizi, il risarcimento del danno, patrimoniale e non, derivatogli dalla vicenda e dalla ingiustificata resistenza della (OMISSIS), a suo dire consapevole della non veridicita’ del riconoscimento, nella controversia avente ad oggetto l’impugnazione del riconoscimento, e, infine, un indennizzo per ingiustificato arricchimento della stessa (OMISSIS) a suo danno.
1.2. L’adito tribunale, con sentenza del 29 dicembre 2009, n. 14400, respinse tali richieste, sostenendo l’irripetibilita’ delle somme versate a titolo di mantenimento, l’assenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda ex articolo 96 c.p.c. e l’infondatezza di ogni pretesa risarcitoria.
1.3. La Corte di appello di Napoli, statuendo sul gravame principale dell’ (OMISSIS) e su quello incidentale della (OMISSIS) (ivi dolutasi della compensazione delle spese processuali disposta dal tribunale), li ha respinti entrambi con sentenza del 26 giugno 2017, n. 2930.
1.3.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i) descrisse i dati fattuali (contenziosi promossi dalla (OMISSIS) fino al 2005, e cioe’ fino al passaggio in giudicato della pronuncia che aveva sancito la nullita’ del riconoscimento di paternita’ naturale; avvenuto versamento di somme, pari ad Euro 413,17 mensili, per un totale di Euro 39.043,48, corrisposte dall’ (OMISSIS) all’ (OMISSIS), per il mantenimento del minore, ed Euro 16.540,08 per spese processuali dal primo sostenute nei precedenti giudizi) della vicenda da considerarsi pacifici, perche’ non contestati o comunque non oggetto di gravame, benche’ indicati nella sentenza impugnata, e quelli ancora controversi (esistenza, o meno: a) di una relazione sentimentale tra le parti, con convivenza, sia pure more uxorio, fino alla sentenza di nullita’ del riconoscimento; b) di un inganno, perpetrato dalla (OMISSIS) in danno dell’ (OMISSIS), per ottenere il riconoscimento della paternita’ naturale di (OMISSIS); c) del nesso di causalita’ tra la condotta dell’ (OMISSIS) ed il danno dell’ (OMISSIS), oltre che della stessa esistenza di un danno ulteriore rispetto agli esborsi sopra menzionati); espose le ragioni del proprio convincimento quanto alla ritenuta carenza di adeguata dimostrazione circa la possibilita’ di ritenere fondate le menzionate circostanze fattuali in contestazione. Affermo’, conseguentemente, che “pur essendo ipotizzabile la teorica sussistenza del diritto al risarcimento del danno, patrimoniale e non, derivante dalla falsa attribuzione di paternita’, detta ipotesi non possa essere presa neppure in considerazione nella fattispecie in disamina, stanti le gravi carenze istruttorie gia’ evidenziate”, e che “la carenza della prova della malafede dell’ (OMISSIS) (rectius: (OMISSIS). NDott.), (…), comporta ex se, come corollario necessario ed ineliminabile, il rigetto di tutte le pretese legate ai danni”; iii) quanto, poi, alla domanda di restituzione delle somme versate a titolo di mantenimento per il minore, fino al passaggio in giudicato della sentenza di nullita’ del riconoscimento precedentemente effettuato, opino’ “…di non condividere i rilievi che l’appellante muove partendo dal presupposto che la giurisprudenza formatasi sul punto, che esclude la ripetizione delle somme versate, sia applicabile solo in tema di rapporti coniugali, inesistenti in questa fattispecie. In realta’ erra l’appellante ove menziona, che il Giudice riteneva che le somme non sono ripetibili “in quanto sostenute per il sostentamento del di lui coniuge e del figlio”. Il coniuge, cosi’ impropriamente indicata l’ (OMISSIS), in questa vicenda non aveva rilevanza alcuna e le somme versate non risultavano corrisposte alla donna per il suo mantenimento, bensi’ per il ragazzo, per le sue esigenze tutelate dall’ordinamento. Ne’ la Corte ritiene di poter concedere credito ad alcunche’ di diverso rispetto all’elemento costitutivo dell’originaria obbligazione, consistente nel rapporto filiale spontaneamente sorto in virtu’ dell’effettuato riconoscimento. In virtu’ del rapporto di filiazione, il genitore naturale assume nei confronti dei figlio i medesimi doveri spettanti ai genitori legittimi, inseriti in un contesto di coniugio. I doveri genitoriali trovano la loro fonte innanzitutto nella nostra Carta Fondamentale (articolo 30), e poi anche nell’articolo 147 c.c., e nell’articolo 148 c.c., comma 1″. Preciso’, inoltre, essere vero “quel che l’appellante sostiene circa il fatto che gli articoli 433 e segg. c.c., in tema di alimenti, si fondano sul vincolo di solidarieta’ che lega i soggetti in tali norme considerati e che egualmente dicasi per il mantenimento, che e’ un concetto piu’ ampio degli alimenti. Il punto sul quale il ragionamento dell’ (OMISSIS) non puo’ essere condiviso da questo giudice e’ costituito dal fatto che l’appellante individui come destinataria del versamenti eseguiti l’ (OMISSIS) e non, per suo tramite, considerato che si trattava di soggetto minorenne, il figlio (OMISSIS) all’epoca riconosciuto. La ripetizione richiesta, allora, non puo’ prescindere dalla previa individuazione dei versamenti eseguiti che erano in favore di terzo, il figlio (OMISSIS), frutto di un obbligo di rango costituzionale prima ancora che di legislazione ordinaria, e di natura, oltretutto, alimentare e quindi come tale irripetibile. La somma versata, indicata come Euro 413,17 mensili, neppure consente di addivenire ad una eventuale, ma neppur richiesta, scissione tra la parte strettamente alimentare, irripetibile, e quella inerente il piu’ ampio concetto di mantenimento che, per la parte non alimentare, e’ teoricamente sottratto, in taluni casi, all’irreperibilita’…”. Rigetto’, pertanto, il corrispondente motivo di gravame, “senza necessita’ di dover oltretutto approfondire la disamina sul fatto che la Corte ritiene che l’obbligazione sorta con la nascita ed il riconoscimento del ragazzo, e che lo vedeva ontologicamente destinatario dei mezzi adeguati al suo sostentamento, non possa coinvolgere soggetti terzi, quale e’ l’ (OMISSIS), tenuta alla tutela del figlio anche nei confronti dell’altro genitore, in virtu’ dei doveri sorti anche nei suoi confronti con la filiazione, ma senza che possa ritenersi che le somme percepite abbiano costituito un personale beneficio. L’ (OMISSIS) non puo’, quindi, anche per questo fatto, essere tenuta alla restituzione di alcunche’…”.
2. Avverso la fin qui descritta decisione ricorre per cassazione (OMISSIS), affidandosi a quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex articolo 380-bis c.p.c., comma 1. Resiste, con controricorso, la (OMISSIS).
2.1. Le formulate censure denunciano, rispettivamente:
1) “Dichiarata irripetibilita’ delle somme versate a titolo di mantenimento nel caso concreto – diverso orientamento pertinente della Corte di Cassazione violazione o falsa applicazione di norme di diritto (articolo 147 c.c., in combinato disposto con gli articoli 315-bis e 316 c.c., – articolo 263 c.c. – articolo 433 c.c.) ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, censurandosi la decisione impugnata nella parte in cui aveva fatto discendere la dichiarazione di irripetibilita’ ora dagli articoli 147 e 148 c.c., ora dall’articolo 433 c.c., che, tuttavia, non risultavano, secondo il ricorrente, correttamente applicati al caso di specie. Si assume, in sintesi, che la corte distrettuale avrebbe dovuto rispondere ai seguenti quesiti nascenti dalla specifica ipotesi configurabile nella concreta vicenda: esiste il diritto dell’ (OMISSIS) a trattenere le somme versate dall’ (OMISSIS) per il mantenimento del figlio nel momento in cui si accerta, con sentenza passato in giudicato, l’inesistenza del rapporto naturale di filiazione che e’ presupposto necessario perche’ i pagamenti effettuati possano ritenersi causalmente giustificati – Quali sono, rispetto al mantenimento gia’ versato, gli effetti della sentenza che, ex articolo 263 c.c., sancisce la nullita’, per difetto di veridicita’, di un precedente riconoscimento, e, dunque, fa venir meno il rapporto di filiazione tra il ricorrente e (OMISSIS). Tanto, pero’, non era avvenuto perche’ detto giudice aveva proceduto ad un’interpretazione e ad un’applicazione delle norme vigenti in tema di obbligo di mantenimento non compatibili, nel caso concreto, con l’assenza del presupposto fondamentale, ovvero del rapporto di filiazione, in tal modo dimenticando l’intervenuta riforma della L. n. 219 del 2012, in tema di filiazione, e richiamando un dovere genitoriale ab origine, invece, insussistente;
2) “Risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale – illecito civile endofamiliare – violazione o falsa applicazione di norme di diritto (articolo 2 Cost. – articoli 2043 e 2059 c.c.) ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, anche in relazione all’articolo 116 c.c.”, assumendosi essere, sul punto, la sentenza impugnata, “confusionaria e generica”. Si sostiene che, una volta accertata l’inesistenza del rapporto di filiazione, il diritto al risarcimento per la perdita subita – consistente in tutto quel complesso di situazioni giuridiche, connesse a detto rapporto che, nell’arco di tempo compreso tra il riconoscimento e l’accertamento della sua non veridicita’, si sono costituite, modificate e, poi, estinte – non puo’ non essere riconosciuto sulla base di alcuni elementi (“una serie di fatti noti che si sono susseguiti nel tempo: il riconoscimento avvenuto, la relazione parentale che si e’ sviluppata, la nascita dei doveri genitoriali che ne sono conseguiti, gli oneri ed obblighi economici, l’investimento affettivo, il sospetto confermato dalla prova genetica, il venir meno della relazione parentale ritenuta esistente dopo moltissimi anni; una serie di regole di comune esperienza che devono applicarsi ai fatti predetti: l’aver orientato tutta la propria vita e le proprie scelte in ragione di una paternita’ scoperta e l’aver dovuto verificare, dopo piu’ di venti anni, la inesistenza del legame biologico, non puo’ non ingenerare sofferenza per il senso di provazione che ne deriva”) che la corte distrettuale non aveva adeguatamente considerato come rilevanti e sufficienti;
3) “Risarcimento del danno ex articolo 96 c.p.c., – orientamento prevalente della Corte di Cassazione – violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (articolo 96 c.p.c.)”. Muovendosi dall’assunto che la prova della malafede dell’ (OMISSIS), per il risarcimento del danno endofamiliare, coincideva con la consapevolezza della stessa di aver avuto almeno un’altra relazione al momento del concepimento del bambino, e, cio’ malgrado, ella aveva chiesto ed ottenuto il risarcimento in danno dell’ (OMISSIS) dando inizio alla vicenda che aveva provocato a quest’ultimo ingiusti danni patrimoniali e non, il ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui aveva disatteso anche la sua domanda ex articolo 96 c.p.c.;
4) “Violazione degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c., e conseguente violazione di legge ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Contestuale nullita’ del procedimento o della sentenza, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – Il tutto in relazione all’articolo 2033 c.c.”, lamentandosi la violazione delle norme di diritto che impongono corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, non avendo la corte partenopea, nella sentenza impugnata, nulla detto o motivato in rapporto alla richiesta formulata in primo grado, e reiterata in sede di appello dal ricorrente, ex articolo 2033 c.c..
3. Il primo motivo e’ inammissibile.
3.1. Gli ampi passi motivazionali della sentenza oggi impugnata, di cui si e’ gia’ dato conto nel precedente § 1.3.1., sub punto iii, mostrano chiaramente che, con riguardo alla doglianza dell’appellante che aveva investito il diniego di ripetizione delle somme da questi versate a titolo di mantenimento per (OMISSIS), fino al passaggio in giudicato della sentenza di nullita’ del riconoscimento da lui precedentemente effettuato, la decisione reiettiva della corte distrettuale poggia, in realta’, su una duplice giustificazione: a) la prima, riconducibile alle affermazione per cui “… le somme versate non risultavano corrisposte alla donna per il suo mantenimento, bensi’ per il ragazzo, per le sue esigenze tutelate dall’ordinamento. Ne’ la Corte ritiene di poter concedere credito ad alcunche’ di diverso rispetto all’elemento costitutivo dell’originaria obbligazione, consistente nel rapporto filiale spontaneamente sorto in virtu’ dell’effettuato riconoscimento. In virtu’ del rapporto di filiazione, il genitore naturale assume nei confronti dei figlio i medesimi doveri spettanti ai genitori legittimi, inseriti in un contesto di coniugio. I doveri genitoriali trovano la loro fonte innanzitutto nella nostra Carta Fondamentale (articolo 30), e poi anche nell’articolo 147 c.c., e nell’articolo 148 c.c., comma 1” e “Il punto sul quale il ragionamento dell’ (OMISSIS) non puo’ essere condiviso da questo giudice e’ costituito dal fatto che l’appellante individui come destinataria del versamenti eseguiti l’ (OMISSIS) e non, per suo tramite, considerato che si trattava di soggetto minorenne, il figlio (OMISSIS) all’epoca riconosciuto. La ripetizione richiesta, allora, non puo’ prescindere dalla previa individuazione dei versamenti eseguiti che erano in favore di terzo, il figlio (OMISSIS), frutto di un obbligo di rango costituzionale prima ancora che di legislazione ordinaria, e di natura, oltretutto, alimentare e quindi come tale irripetibile….”; b) la seconda, chiaramente rinvenibile (benche’ gia’ in nuce nella prima) nell’ulteriore rilievo che, “…l’obbligazione sorta con la nascita ed il riconoscimento del ragazzo, e che lo vedeva ontologicamente destinatario dei mezzi adeguati al suo sostentamento, non possa coinvolgere soggetti terzi, quale e’ l’ (OMISSIS), tenuta alla tutela del figlio anche nei confronti dell’altro genitore, in virtu’ dei doveri sorti anche nei suoi confronti con la filiazione, ma senza che possa ritenersi che le somme percepite abbiano costituito un personale beneficio…”, dovendosi, in relazione ad esso, opportunamente rimarcare che e’ vero che la medesima corte premette, all’appena riportata osservazione, la non necessita’ di dover ulteriormente approfondire un tale aspetto, ma e’ altrettanto innegabile, poi, che la stessa conclude la disamina della doglianza de qua specificamente sostenendo che “L’ (OMISSIS) non puo’, quindi, anche per questo fatto, essere tenuta alla restituzione di alcunche’…”: indubbiamente, pertanto, l’affermata terzieta’ dell’appellata ha contribuito, come denota l’utilizzo della particella “anche”, qui con evidente valore rafforzativo, a giustificare – non rilevando, alla stregua dei principi di cui immediatamente appresso si dira’, la correttezza, o meno, di un tale convincimento della corte suddetta – il mancato accoglimento di detta doglianza.
3.2. Orbene, rileva il Collegio che questa seconda ratio decidendi, autonoma rispetto alla prima ed evidentemente in grado di sorreggere, pure da sola, il rigetto di quel motivo di appello dell’ (OMISSIS), non e’ stata da quest’ultimo in alcun modo censurata, specificamente, con il primo motivo (cfr. pag. 5-8) dell’odierno ricorso (ne’, per la verita’, con gli altri), le cui argomentazione sono volte, invece, esclusivamente, a cercare di smontare la predetta dichiarazione di irripetibilita’ giustificata dalla corte partenopea mediante il rinvio agli articoli 147, 148 e 433 c.c.: tanto, del resto, emerge, palesemente, anche dalle conclusioni che lo stesso ricorrente ha inteso trarre (anche a contrario) dalle pronunce di legittimita’ richiamate nel motivo in esame.
3.2.1. Deve, dunque, trovare applicazione il principio, pressoche’ costante nella giurisprudenza di legittimita’, secondo il quale, ove la decisione impugnata si fondi su di una pluralita’ di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, il (motivo di) ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi, ovvero la impugni in modo inadeguato, oppure infondatamente, e’ inammissibile per difetto di interesse, posto che la censura relativa alle altre non potrebbe produrre, in alcun caso, l’annullamento, in parte qua, della decisione medesima, essendo divenuta ormai definitiva l’autonoma motivazione (corretta, o meno) non impugnata (cfr., ex multis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 27544 del 2019; Cass. n. 15099 del 2019; Cass. n. 20957 del 2018; Cass. n. 15075 del 2018; Cass. n. 18641 del 2017; Cass. n. 15350 del 2017).
3.3. Ad una tale conclusione, peraltro, nemmeno e’ di ostacolo il rilievo che (OMISSIS), solo nella memoria ex articolo 380-bis c.p.c., comma 1, datata 21.10.2019, nel replicare all’avversa tesi difensiva (mutuata dalla sentenza oggi impugnata) – secondo cui “gli importi a titolo di mantenimento corrisposti nei confronti di (OMISSIS) non sarebbero ripetibili in quanto di natura alimentare e, comunque, perche’ si trattava di versamenti in favore di terzo ( (OMISSIS)), quindi non ripetibili dalla resistente” – ha affermato (cfr., amplius, pag. 1-3 della predetta memoria): i) “di non accettare il contraddittorio su tutti i fatti nuovi introdotti, per la prima volta, in questa sede giudicante”; ii) di respingere “il contraddittorio sull’assunta estraneita’ della (OMISSIS) dal rapporto creditorio oggetto di giudizio”; iii) che “l’assunto di controparte e del giudice di appello e’ stato sconfessato dalla costante giurisprudenza di legittimita’ (.4. Nel presente giudizio il sig. (OMISSIS), nelle more divenuto maggiorenne, mai e’ intervenuto, neppure ad adiuvandum, per avanzare richieste creditorie nei confronti del ricorrente, ne’ per supportare le pretese materne. Avendo omesso, in via diretta, di esercitare gli asseriti diritti al mantenimento nei confronti dell’arch. (OMISSIS), ed avendo la madre sempre incassato e gestito in via esclusiva le somme, la medesima (OMISSIS) e’ l’unica che puo’ considerarsi validamente costituita e citata per la restituzione delle somme. A lei l’eventuale esercizio di azione di rivalsa nei confronti del figlio, che rimane inconferente al presente giudizio”.
3.3.1. Cosi’ opinando, il ricorrente ha contestato quella che si e’ visto essere stata la seconda ratio decidendi utilizzata dalla corte napoletana (sicche’, diversamente da quanto da lui sostenuto, la corrispondente questione doveva considerarsi comunque gia’ nel giudizio) per respingere il suo motivo di gravame che aveva investito il rigetto, pronunciato dal giudice di prime cure, della sua domanda di ripetizione di cui si e’ detto.
3.3.2. Si tratta, pero’, di argomentazioni ormai tardive e, come tali, inammissibili, posto che la funzione della memoria ex articolo 380-bis c.p.c., comma 1, al pari di quella prevista dall’articolo 378 c.p.c., sussistendo identita’ di ratio – e’ di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso e non gia’ di integrarli (cfr. Cass. n. 30760 del 2018).
4. Parimenti inammissibile e’ il secondo motivo di ricorso, che censura le ragioni che hanno condotto la corte distrettuale a disattendere le richieste risarcitorie, ex articoli 2043 e 2059 c.c., dell’ (OMISSIS) sul duplice presupposto (i) dell’assenza di dimostrazione che la (OMISSIS) fosse stata ab origine a conoscenza della inesistenza della paternita’ del primo, ovvero che avesse su quest’ultimo esercitato pressioni e/o minacce, per indurlo a riconoscere come figlio (OMISSIS), ovvero che detto riconoscimento fosse stato determinato da inganno da lei perpetrato ai danni dell’odierno ricorrente, e (ii) della carenza di adeguata prova in ordine al nesso causale tra le condizioni del medesimo ricorrente e la condotta della (OMISSIS).
4.1. Secondo l’ (OMISSIS), invece, il fatto da cui scaturisce l’invocato risarcimento del danno, patrimoniale e non, deve individuarsi nell'”accertamento della non veridicita’ del riconoscimento, ovvero nel venir meno del rapporto di filiazione. Detto fatto (…) e’ sicuramente causalmente riconducibile solo ed esclusivamente all’ (OMISSIS). Senza la richiesta di riconoscimento della paternita’ formulata all’ (OMISSIS) dall’ (OMISSIS), l’ (OMISSIS) non avrebbe mai immaginato (o saputo) di avere un figlio, ne’ lo avrebbe mai riconosciuto come suo. Lo ha fatto in totale buona fede… perche’ il periodo del concepimento e’ coinciso con il periodo del loro unico incontro sentimentale” (cfr. pag. 9-10 del ricorso). Egli inoltre, argomenta circa la configurabilita’, nella specie, di un’ipotesi di illecito endofamiliare, ed assume come “provato anche il nesso di causalita’ rispetto ai danni che l’ (OMISSIS) ha subito e che sono derivati causalmente dall’originaria condotta della (OMISSIS), ovvero da un riconoscimento richiesto nella consapevolezza che potesse essere non veritiero” (cfr. pag. 11 del ricorso).
4.2. Orbene, e’ utile ricordare che questa Corte ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che: a) il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 puo’ rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto, intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente (perche’, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro) ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua (pur corretta) interpretazione (cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra, invece, violazione, ne’ falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiche’ essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) e’ segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non gia’ all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensi’ all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).
4.2.1. La doglianza in esame si risolve, invece, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione, totalmente obliterando, pero’, che il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – come si e’ appena detto – non puo’ essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilita’ del motivo giusta la disposizione dell’articolo 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare come determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.
4.3. In applicazione dei suesposti principi, allora, va rimarcato che la corte distrettuale – con una motivazione esaustiva, oltre che priva di vizi logici, siccome basata sulla puntuale e dettagliata descrizione e ponderazione di indici concreti – e’ giunta alla conclusione che, nella specie, il quadro istruttorio desumibile dalla documentazione prodotta in atti, valutato in ciascun elemento e nel suo complesso, fosse assolutamente inidoneo a far ritenere raggiunta la prova: i) che la (OMISSIS) fosse stata ab origine a conoscenza della inesistenza della paternita’ dell’ (OMISSIS), ovvero che avesse su quest’ultimo esercitato pressioni e/o minacce, per indurlo a riconoscere come figlio (OMISSIS), ovvero che detto riconoscimento fosse stato determinato da inganno da lei perpetrato ai danni dell’odierno ricorrente. La stessa corte, del resto, ha significativamente rimarcato (cfr. pag. 5-6 della sentenza impugnata) che “… agli atti, doc. n. 25) dei documenti allegati nelle note istruttorie ex articolo 184 c.p.c., dell’ (OMISSIS) del primo grado, v’e’ una scrittura sottoscritta dalle parti, chiamata “concordato tra le parti”, datata 16.4.86, con la quale venivano dettate le regole per il riconoscimento e la crescita del giovane in virtu’ “di un comune senso di rispetto”, che poco si concilia con il clima di minaccia adombrato dall’ (OMISSIS) e che, d’altra parte, non emerge aliunde…”; ii) dell’esistenza del nesso causale tra le condizioni di salute del medesimo ricorrente e la condotta della (OMISSIS).
4.3.1. Ne’ potrebbe sostenersi, fondatamente, che l’argomentare delle corte suddetta abbia trascurato alcuni dati dedotti dall’odierno ricorrente, per la semplice ragione di averli ritenuti, esplicitamente, o implicitamente, irrilevanti.
4.3.2. La corte partenopea, invero, ha ampiamente descritto (cfr. amplius, pag. 5-9 dell’impugnata sentenza) gli elementi istruttori che l’hanno indotta a quella conclusione, ed il corrispondente accertamento integra una valutazione fattuale, a fronte della quale l’ (OMISSIS), con i motivi in esame, tenta, sostanzialmente, di opporre alla ricostruzione dei fatti definitivamente sancita nella decisione impugnata una propria alternativa loro interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad essi sottesi, dando cosi’ liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
4.3.3. In altri termini, il ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno dell’articolo 116 c.p.c., puo’ porsi solo allorche’ si alleghi che il giudice di merito abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (cfr. Cass. n. 27000 del 2016). Del resto, affinche’ sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’articolo 132, n. 4 e degli articoli 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice suddetto di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. 24434 del 2016). La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attivita’ riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (cfr. Cass. n. 11176 del 2017, in motivazione). In effetti, non e’ compito di questa Corte quello di condividere, o non, la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, ne’ quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudici di merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008).
4.4. Infine, ed esclusivamente per ragioni di completezza, va rimarcato che la figura del cd. illecito endofamiliare, invocato dall’ (OMISSIS) ed oggetto della recente attenzione della dottrina e della giurisprudenza, rientra nel vasto ambito della responsabilita’ aquiliana nei rapporti familiari, e si colloca in quel processo di ampliamento del concetto di danno ingiusto al quale la stessa giurisprudenza ha significativamente contribuito con importanti sentenze, che hanno, negli anni, segnato il passo di una notevole evoluzione interpretativa per effetto della quale la tutela della persona non puo’ ammettere una limitazione e/o sospensione all’interno di quello che e’ il luogo principale di espressione della personalita’ di ciascun individuo. I diritti inviolabili della persona rimangono tali, cioe’, anche nell’ambito della famiglia, cosicche’ la loro lesione da parte di altro componente della famiglia puo’ costituire presupposto di responsabilita’ aquiliana.
4.4.1. Importanti applicazioni del concetto di danno endofamiliare riguardano, per esempio, la lesione dei diritti della persona subiti dal coniuge a causa della violazione dei doveri nascenti dal matrimonio ad opera dell’altro; oppure i danni subiti dai figli per la violazione da parte dei genitori dei loro doveri genitoriali (tra le ipotesi configurabili si riscontra la responsabilita’ del genitore che ostacola i rapporti tra il figlio e l’altro genitore; la responsabilita’ per il riconoscimento non veritiero di paternita’, per cattivo esercizio della responsabilita’ genitoriale, per le decisioni prese dai genitori riguardanti la salute del minore; la responsabilita’ per il mancato riconoscimento del figlio e la violazione dell’obbligo di mantenere, assistere e educare i figli).
4.4.2. Si tratta, tuttavia, pur sempre, di responsabilita’ civile da fatto illecito, sicche’, implicando l’applicazione del principio del neminem laedere, l’osservazione assume come punto centrale la lesione subita dall’istante, la quale obbliga il danneggiante al risarcimento ove ricorrano i presupposti di cui agli articoli 2043 e 2059 c.c.: danno ingiusto, condotta colposa e/o dolosa e nesso di causalita’.
4.4.3. E’ evidente, dunque, che, nella vicenda oggi all’esame di questa Suprema Corte, avendo il giudice di merito – con valutazione fattuale qui non ulteriormente sindacabile per effetto di quanto si e’ gia’ detto – negato la sussistenza della prova di una condotta colposa/dolosa della (OMISSIS) o del nesso di causalita’ tra detta condotta e la situazione attuale dell’ (OMISSIS), nemmeno e’ concretamente configurabile la fattispecie di illecito invocata da quest’ultimo.
5. Inammissibile e’ pure il terzo motivo di ricorso, che si rivolge contro il diniego opposto alla ulteriore richiesta risarcitoria dell’ (OMISSIS) ex articolo 96 c.p.c.. Esso censura l’affermazione della corte partenopea circa la carenza di riscontro probatorio in ordine alla “illegittimita’ della condotta della donna” basata sull’assunto per cui la stessa avrebbe agito “nell’esercizio del potere/dovere genitoriale di tutelare le ragioni del minorenne”. Ad avviso del ricorrente, invece, la (OMISSIS), lungi dall’aver agito nell’esercizio di un potere/dovere genitoriale, perche’ lo aveva fatto contro chi sapeva non avere responsabilita’ analoghe, avrebbe dovuto, piuttosto, determinarsi a far accertare subito la paternita’ del figlio per consentirgli di essere cresciuto e mantenuto dal suo genitore biologico, o comunque agire nei confronti del “vero” padre una volta acclarata la verita’.
5.1. Ritiene, pero’, questa Corte – anche volendosi sottacere che, nella specie, mancherebbe il requisito della soccombenza della (OMISSIS) nei giudizi di cui si duole il ricorrente – che, diversamente da quanto pur ritenuto da alcune pronunce di legittimita’ (cfr. Cass. n. 19179 del 2018; Cass. n. 25862 del 2017; Cass. n. 10518 del 2016), meriti di essere confermato il tradizionale orientamento per cui la domanda di risarcimento prevista nell’articolo 96 c.p.c., primi due commi, deve essere formulata necessariamente nel giudizio che si assume temerariamente iniziato o temerariamente contrastato, ovvero nel giudizio inteso a far dichiarare l’illegittimita’ della trascrizione, del pignoramento o del sequestro. Non puo’, per contro, condividersi l’opinione secondo cui la domanda predetta possa proporsi in via autonoma tutte le volte che il danneggiato vi abbia un interesse “meritevole di tutela”, atteso che, come chiarito, affatto condivisibilmente, da Cass. n. 28527 del 2018: i) la legittimita’ d’un processo non puo’ che essere giudicata dal giudice di quel processo. Ritenere il contrario significherebbe introdurre nell’ordinamento una sorta di impugnazione extravagante e non prevista; ii) la concentrazione, nel medesimo giudizio, dell’accertamento dell’eventuale responsabilita’ aggravata d’uno dei litiganti riduce il contenzioso ed evita lo spreco di attivita’ giurisdizionale; iii) a ritenere il contrario, si perverrebbe ad effetti paradossali (ad esempio, che la parte la quale ha agito con mala fede o colpa grave possa vedersi compensate le spese di lite nel giudizio presupposto, e soccombere nel giudizio di responsabilita’ ex articolo 96 c.p.c.); iv) e’ pacifico che la previsione contenuta nell’articolo 96 c.p.c., due commi, sia una sottospecie del fatto illecito, disciplinato in via generale dall’articolo 2043 c.c.. Rispetto a tale fatto, la condotta illecita consiste nell’iniziare un processo o resistervi, ovvero nell’eseguire iscrizioni o pignoramenti, in modo colposo. La condotta illecita, dunque, consiste in una attivita’ processuale, e non appare razionale che il medesimo atto processuale possa essere valutato da due giudici diversi: dal primo, ai fini dell’esame del merito della domanda, e dal secondo, ai fini dell’accertamento della diligenza o della negligenza con cui quell’atto fu compiuto; v) a svincolare la domanda di risarcimento del danno da lite temeraria (o pignoramento incauto) dall’obbligo di proporla nel giudizio presupposto, si creerebbero inestricabili intrecci tra i due giudizi: come nel caso in cui il giudizio di responsabilita’ sia introdotto prima che sia divenuta definitiva la decisione sul giudizio presupposto. In questo modo, al rischio che sia messo in mala fede in esecuzione un titolo esecutivo giudiziale provvisorio, s’aggiungerebbe quello che sia messa in mala fede in esecuzione una condanna ex articolo 96 c.p.c., non definitiva, pronunciata sulla base di un esito non definitivo del giudizio presupposto. E gia’ questo solo rischio basterebbe, anche a considerare come non implausibile la tesi qui in contestazione, a rifiutarla in virtu’ del principio imposto dall’articolo 6 CEDU, per cui l’interpretazione delle norme processuali deve essere la piu’ chiara, lineare e semplice possibile (cfr., ex multis, in tal senso, Corte EDU, sez. I, 15.9.2016, Trevisanato c. Italia, in causa n. 32610/07).
5.2. A quanto fin qui esposto, va soltanto aggiunto che: a) come reiteratamente affermato dal giudice delle leggi, il diritto di difesa e di azione non puo’ dirsi limitato o compresso sol perche’ la legge ne imponga l’esercizio con determinate forme o dinanzi ad un determinato giudice (cfr., ex multis, Corte Cost. (ord.), 15-01-2003, n. 8, secondo cui “l’esercizio del diritto di difesa (…) non impone che si esplichi con le medesime modalita’ in ogni tipo di procedimento”; si veda anche Corte Cost., 16-10-2014, n. 235, al § 8 del “Considerato in diritto”); b) colui il quale non formuli la domanda ex articolo 96 c.p.c., nel giudizio presupposto non perde il diritto, ma semplicemente la possibilita’ di farlo valere in giudizio: allo stesso modo, ad esempio, per cui chi non si avvale della facolta’ di cui all’articolo 89 c.p.c., non potra’ certo chiedere in un separato giudizio la cancellazione delle frasi sconvenienti.
6. Il quarto motivo, infine, e’ infondato, dovendosi negare l’asserita violazione dell’articolo 112 c.p.c., ivi denunciata, posto che la lettura della sentenza impugnata consente agevolmente di escludere qualsivoglia inosservanza, in essa, del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
6.1. Invero, e’ sufficiente considerare che (OMISSIS), nel giudizio instaurato, nei confronti della (OMISSIS), dopo il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Napoli n. 4/2005, – che aveva sancito la nullita’ del precedente suo riconoscimento di paternita’ naturale di (OMISSIS) – propose, sostanzialmente: i) una domanda restitutoria, afferente le somme gia’ erogate a titolo di mantenimento di (OMISSIS) ed il rimborso delle spese processuali sostenute nei vari giudizi intrapresi dalla (OMISSIS), contro l’odierno ricorrente, per tutelare le ragioni del medesimo (OMISSIS) a fronte del mancato pagamento, da parte del primo, del contributo mensile per il suo mantenimento); ii) una richiesta risarcitoria, in relazione ai danni, patrimoniali e non, derivatigli dall’intera vicenda e dalla ingiustificata resistenza della (OMISSIS), a suo dire consapevole della non veridicita’ del riconoscimento, nella controversia avente ad oggetto l’impugnazione del riconoscimento; iii) una domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento della stessa (OMISSIS) a suo danno.
6.2. La corte napoletana, con la decisone oggi impugnata, ha chiaramente ed espressamente respinto le richieste restitutorie (cfr. pag. 9-11) e risarcitorie (cfr. pag. 8-9). Inoltre, nelle sue gia’ riportate (cfr. § 1.3.1.) affermazioni secondo cui “Il coniuge, cosi’ impropriamente indicata l’ (OMISSIS), in questa vicenda non aveva rilevanza alcuna e le somme versate non risultavano corrisposte alla donna per il suo mantenimento, bensi’ per il ragazzo, per le sue esigenze tutelate dall’ordinamento. Ne’ la Corte ritiene di poter concedere credito ad alcunche’ di diverso rispetto all’elemento costitutivo dell’originaria obbligazione, consistente nel rapporto filiale spontaneamente sorto in virtu’ dell’effettuato riconoscimento…”, e “La somma versata, indicata come Euro 413,17 mensili, neppure consente di addivenire ad una eventuale, ma neppur richiesta, scissione tra la parte strettamente alimentare, irripetibile, e quella inerente il piu’ ampio concetto di mantenimento che, per la parte non alimentare, e’ teoricamente sottratto, in taluni casi, all’irreperibilita’…”, possono agevolmente rinvenirsi anche le ragioni di un implicito rigetto dell’ulteriore domanda ex articolo 2041 c.c., dovendo, qui, pertanto, solo ribadirsi che non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (cfr., ex multis, Cass. n. 20718 del 2018; Cass. n. 17956 del 2015; Cass. n. 20311 del 2011. In senso sostanzialmente analogo, si veda anche la piu’ recente Cass. n. 15255 del 2019).
7. Il ricorso va, dunque, respinto, restando le spese del giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo, regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto, altresi’, – in assenza di ogni discrezionalita’ al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
8. Va, disposta, da ultimo, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalita’ e degli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna (OMISSIS) al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta lo stesso articolo 13, comma 1-bis.
Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalita’ e degli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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