Divieto di prestiti per acquisto azioni proprie

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|8 gennaio 2025| n. 372.

Divieto di prestiti per acquisto azioni proprie

Massima: L’art. 2358 cod. civ., lì dove vieta alla società di accordare prestiti ovvero fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, salve le condizioni legittimanti ivi previste, è compatibile e dunque applicabile alle società cooperative per azioni nonché, ed a maggior ragione, alle banche popolari che ne rivestono la forma.

 

Sentenza|8 gennaio 2025| n. 372. Divieto di prestiti per acquisto azioni proprie

Integrale

Tag/parola chiave: Fallimento – Contratto di mutuo fondiario – Nullità del finanziamento – Violazione dell’art. 2358 c.c. – Applicazione alle società cooperative e alle banche popolari che ne rivestono la forma – Collegamento negoziale esistente tra il contratto di finanziamento e l’acquisto delle zioni – Collegamento in senso tecnico tra più contratti – Cass. SU n. 19785 del 2015

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dai Magistrati:

Dott. TERRUSI Francesco – Presidente

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere/Rel.

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

sul ricorso 20109-2021 proposto da:

AM.AS. Spa, quale procuratore della BANCA PO.DI. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA in forza di procura del 5/5/2020, rappresentata e difesa dall’Avvocato MA.CA. per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO Cu.An. I.L. Srl, rappresentato e difeso dall’Avvocato FE.RA. per procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il DECRETO n. 113/2021 del TRIBUNALE DI TREVISO, depositato il 21/6/2021;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO nell’udienza pubblica del 10/12/2024;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica STANISLAO DE MATTEIS, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

sentito, per la ricorrente, l’Avvocato AR.GU. per delega dell’Avvocato MA.CA.;

sentito, per il controricorrente, l’Avvocato FE.RA..

Divieto di prestiti per acquisto azioni proprie

FATTI DI CAUSA

1.1. La AM.AS. Spa, quale procuratore della Banca PO.DI. in liquidazione coatta amministrativa, ha proposto opposizione allo stato passivo del Fallimento Cu.An. I.L. Srl, dichiarato con sentenza del 26/2/2020, chiedendo di esservi ammessa, con il riconoscimento della collocazione ipotecaria, per la somma di Euro 1.180.158,76, in forza del contratto di mutuo fondiario stipulato in data 13/6/2014 tra la già menzionata banca e la società poi fallita.

1.2. Il Fallimento, dal suo canto, ha chiesto il rigetto dell’opposizione, deducendo, tra l’altro, la nullità del finanziamento invocato per effetto dell’affermata violazione dell’art. 2358 c.c., applicabile alle società cooperative e alle banche popolari, in ragione del collegamento negoziale esistente tra il contratto di finanziamento e l’acquisto delle azioni della stessa banca mutuante da parte dei soci della Ku. Srl, a sua volta titolare dell’intero capitale sociale della Cu.An.

1.3. Il Tribunale, con il decreto in epigrafe, ha rigettato l’opposizione.

1.4. Il Tribunale, innanzitutto, ha affermato che la norma dell’art. 2358 c.c., dettata per le società per azioni, trova applicazione, in quanto senz’altro compatibile a norma dell’art. 2519, comma 1, c.c., anche alle società cooperative per azioni, come la Banca PO.DI., rilevando, tra l’altro, che: – “la ratio della disciplina relativa al divieto di assistenza finanziaria funzionale all’acquisto di azioni sta nell’esigenza di tutela dell’effettività del patrimonio sociale a salvaguardia delle ragioni dei creditori e dei soci”; – “l’acquisto delle azioni mediante denaro concesso a credito rende”, infatti, “incerta… misura ed effettività del capitale sociale”, “condizionato dalla capacità del sottoscrittore delle azioni di restituire il prestito”; – “la stabilità patrimoniale”, d’altra parte, “non può riferirsi alle sole società per azioni ma è un aspetto che ha rilevanza anche per le cooperative, tanto più se aventi ad oggetto l’esercizio di attività bancaria”; – “la norma”, infine, “vieta qualsiasi forma di agevolazione finalizzata all’acquisto di quote proprie della società, avvenga essa anteriormente o successivamente all’acquisto stesso, essendo rilevante la strumentalizzazione del prestito o della garanzia all’acquisto delle azioni proprie, dovendosi avere riguardo al raggiungimento da parte della società dello scopo vietato”.

1.5. Il Tribunale, in secondo luogo, ha ritenuto che il Fallimento avesse dimostrato la sussistenza di un collegamento funzionale tra l’erogazione del mutuo fondiario, sottoscritto il 16/3/2014 ed erogato il 4/7/2014, (oltre che di un finanziamento chirografario, stipulato il 18/9/2014 per la somma di Euro 900.000,00, ed oggetto di una diversa domanda di ammissione al passivo) e l’acquisto di azioni della stessa banca mutuante da parte dei soci della Ku. Srl, titolare dell’intero capitale sociale della Cu.An.

1.6. Le prove raccolte (tra cui le dichiarazioni di Cu.An., già rappresentante legale della società fallita, contenute nelle osservazioni prodotte in sede di udienza di verifica e “pienamente utilizzabili in quanto prodotte nell’ambito della verifica del passivo, procedimento con prova essenzialmente documentale, dove è espressamente previsto… che il legale rappresentante della società fallita possa essere sentito”, anche perché la banca “non ha contrapposto dichiarazioni scritte dei propri funzionali che potessero smentire la ricostruzione fatta da Cu.An. né ha chiesto l’ammissione di prove testimoniali”), infatti, ha osservato il Tribunale, dimostrano che: – la banca, in data 13/6/2014, ha accordato alla Cu.An. prestiti per la somma complessiva di Euro 2.000.000,00, di cui il primo di Euro 1.100.000,00 garantito da ipoteca ed il secondo di Euro 900.000,00 chirografario; – la Cu.An., il 4/7/2014, ha versato alla Ku. Srl la somma di Euro 500.000,00, a titolo di rimborso finanziamento, e lo stesso giorno la Ku. Srl ha versato ai soci tale somma; – questi ultimi, sempre nel mese di luglio, hanno presentato la domanda per sottoscrivere l’aumento di capitale della banca per la somma di Euro 500.000,00.

1.7. Gli elementi raccolti, come “la coincidenza temporale da una parte tra erogazione del mutuo…, bonifico a Ku. Srl della somma di Euro 500.000,00 e bonifico ai soci di Ku. della stessa somma e, dall’altra, l’acquisto, se pur di importo inferiore… da parte di quegli stessi soci di azioni BPVI nel periodo fine luglio-fine agosto 2014”, dimostrano, infatti, che “l’operazione era stata concordata a condizione che i soci sottoscrivessero l’aumento di capitale” della banca.

1.8. Il Tribunale, infine, dopo aver affermato che la definitiva esclusione dallo stato passivo del credito di Euro 900.000,00 in forza dell’indicato finanziamento chirografario e la formazione sul punto del giudicato endofallimentare non impediva di accertare il collegamento di tale finanziamento all’acquisto delle azioni proprie unitamente a quello ipotecario, tanto più che “nei motivi vi è proprio l’indicazione dell’unitarietà dell’operazione che involgeva i due finanziamenti e la nullità derivante d(a)la violazione dell’art. 2358 c.c.”, ha ritenuto che, in conseguenza della violazione dell’art. 2358 c.c., il contratto di mutuo fosse nullo sul rilievo che “l’assistenza finanziaria vietata comporta il rischio della non effettività dei conferimento e dell’aumento del capitale sociale” e che la banca non ha dimostrato in giudizio che l’operazione in questione era stata preventivamente autorizzata dall’assemblea ed era rispettosa dei limiti quantitativi stabiliti.

1.9. Il Tribunale, esclusa l’ammissibilità della domanda subordinata di ammissione al passivo in collocazione chirografaria a titolo di ripetizione dell’indebito o arricchimento senza causa, in quanto formulata per la prima volta solo in sede di opposizione allo stato passivo e, dunque, domanda nuova e diversa per petitum e causa petendi rispetto a quella originaria, volta all’ammissione del credito a titolo di adempimento del contratto di mutuo, ha, quindi, rigettato l’opposizione proposta.

1.10. La AM.AS. Spa, quale procuratore della Banca PO.DI. in liquidazione coatta amministrativa, con ricorso notificato il 21/7/2021, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione del decreto.

1.11. Il Fallimento ha resistito con controricorso.

1.12. La Corte, con ordinanza interlocutoria n. 1400/2024, ha ritenuto che le questioni poste dal ricorso meritassero un approfondimento in pubblica udienza sul rilievo che la questione della applicabilità o meno dell’art. 2358 c.c. alle società cooperative e alle banche popolari che ne rivestano la forma, è stata “risolta in senso positivo in un precedente di questa Corte (Cass. 9404/2015) ed senso negativo dalla preponderante e più recente giurisprudenza di merito”.

1.13. Le parti e il pubblico ministero hanno depositato memorie.

2.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1322 c.c. e dell’art. 96, comma 5, L. Fall., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato: – a) nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che sussistesse un collegamento funzionale tra il contratto di finanziamento ed il contratto d’acquisto di azioni dando rilievo ad elementi, come la contestualità temporale delle operazioni di finanziamento e di acquisto delle azioni, i quali, però, non attengono all’indagine della comune volontà delle parti di realizzare un’operazione diversa rispetto alla concessione di un finanziamento ipotecario, tanto più che, a fronte di contratti tipici (come il mutuo fondiario e l’acquisto di azioni) e formali (come il mutuo fondiario, stipulato con atto pubblico) e di pattuizioni contrattuali prive di qualsiasi riferimento alla sussistenza di un collegamento negoziale o al perseguimento di un interesse diverso o ulteriore rispetto alla causa tipica, nonché dei plurimi soggetti coinvolti, come la società fallita, la Ku. Srl che la controllava e i soci di quest’ultima, la comune intenzione delle parti doveva essere oggetto di un autonomo accertamento; – b) nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal fallito erano pienamente utilizzabili, senza, tuttavia, considerare che la partecipazione del fallito all’udienza di verifica dello stato passivo risponde ad un’esigenza meramente collaborativa e le sue dichiarazioni non possono dunque assurgere al rango di prova non essendo né parte del giudizio né testimone nello stesso; – c) nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che il giudicato endofallimentare formatosi a seguito della definitiva esclusione dallo stato passivo del credito di Euro 900.000,00 a titolo di finanziamento chirografario in quanto “operazione baciata”, non impediva poi di accertare che l’acquisto delle azioni della banca era avvenuto utilizzando la provvista fornita con il finanziamento ipotecario del 13/6/2014 anziché con quello chirografario del 18/9/2014, omettendo, tuttavia, di considerare che, una volta accertato in via definitiva che era stato il finanziamento chirografario ad essere utilizzato nei limiti dell’importo di Euro 288.383,90 per l’acquisto delle azioni della banca, non è più possibile, in seguito, affermare, come ha invece fatto il Tribunale, che l’acquisto delle stesse azioni era stato effettuato utilizzando la provvista rinveniente dal mutuo ipotecario del 13/6/2014 anziché, come statuito in via definitiva, quella proveniente dal mutuo chirografario.

Divieto di prestiti per acquisto azioni proprie

2.2. Il motivo è infondato in relazione a tutte le censure: a partire da quella (evidentemente preliminare) che riguarda l’efficacia asseritamente preclusiva del giudicato endofallimentare formatosi a seguito del definitivo rigetto della domanda d’ammissione del credito derivante dal mutuo chirografario.

2.3. Non v’è dubbio, in effetti, che, nel procedimento fallimentare, l’ammissione (o l’esclusione) di un credito allo stato passivo, una volta che sia divenuta definitiva, acquisisce, all’interno della procedura (a partire, evidentemente, dal giudizio di verificazione in tutte le fasi, tempestive e tardive, in cui lo stesso si articola: Cass. n. 4632 del 2023), un grado di stabilità assimilabile al giudicato (Cass. n. 19940 del 2006).

2.4. L’accertamento dell’esistenza (o dell’inesistenza) del diritto di credito verso il fallito azionato con la domanda, sia pure ai soli fini della procedura concorsuale nella quale è reso il decreto che rende esecutivo lo stato passivo (art. 96, comma 5, L. Fall.), impedisce, infatti, ove non impugnato (al pari dei decreti pronunciati dal Tribunale a seguito dei giudizi previsti dall’art. 99 L. Fall., una volta che siano definitivi), la successiva deduzione e (soprattutto) la differente soluzione, in successivi giudizi tra le medesime parti (e cioè, nel corso della procedura, il creditore istante ed il curatore del fallimento nel giudizio conseguente ad una ulteriore domanda d’ammissione al passivo): a) di tutte le questioni che riguardino l’esistenza e l’entità del credito, la validità e l’opponibilità del titolo dal quale il diritto deriva e l’esistenza delle cause di prelazione che eventualmente lo assistono; b) di tutte le questioni (esplicitamente o implicitamente definite) che costituiscono l’antecedente logico-giuridico necessario della decisione in precedenza assunta, ivi comprese quelle che, pur non essendo state espressamente dedotte, risultano necessariamente comprese nel thema decidendum (cfr. di recente, Cass. n. 15040 del 2024, in motiv.).

2.5. Se questi (e solo questi) sono gli effetti preclusivi conseguenti alla definitiva ammissione (o esclusione) di un credito dallo stato passivo del fallimento, risulta, allora, evidente che il decreto con il quale il giudice delegato ha definitivamente rigettato la domanda della banca d’ammissione allo stato passivo del credito di Euro 900.000,00 in forza del finanziamento chirografario del 18/9/2014 ed ha, dunque, escluso la sussistenza del diritto della banca alla restituzione della somma erogata in ragione della nullità del relativo contratto, non impediva affatto, come invece pretende la ricorrente, che il Tribunale, in sede di pronuncia su un’altra domanda d’ammissione (relativa al credito derivante da un diverso rapporto contrattuale, e cioè il mutuo fondiario del 13/6/2014), potesse legittimamente accertare la sussistenza, in fatto, di un collegamento funzionale all’acquisto delle stesse azioni tanto del primo finanziamento (chirografario), quanto (in aggiunta allo stesso) del secondo finanziamento (ipotecario), e, per l’effetto, dichiarare, a fronte dell’accertata “unitarietà dell’operazione che involgeva i due finanziamenti”, la nullità non solo dell’uno (come aveva già fatto) ma anche dell’altro contratto di mutuo per l'(affermata) violazione realizzata dagli stessi della norma prevista dall’art. 2358 c.c.

2.6. Quanto al resto, la Corte non può che ribadire che: – sussiste un collegamento in senso tecnico tra più contratti quando ricorre “sia un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale” (Cass. SU n. 19785 del 2015, in motiv.; Cass. n. 11974 del 2010; Cass. n. 23470 del 2004); – la sussistenza dei presupposti fattuali del collegamento soggettivo e funzionale tra più contratti distinti (come quello rilevante ai fini della violazione del divieto di cui all’art. 2358 c.c., che È finalizzato a impedire la concessione di prestiti preordinati all’acquisto di azioni della banca finanziatrice) costituisce l’oggetto di un accertamento riservato al giudice di merito; – quest’ultimo può a tal fine avvalersi anche di prove presuntive (come ha fatto, nel caso in esame, il Tribunale, con riferimento alla “coincidenza temporale… tra erogazione del mutuo… e… l’acquisto, se pur di importo inferiore… di azioni BPVI”: cfr., in tema, Cass. n. 28148 del 2023); – l’accertamento concernente la sussistenza degli indicati presupposti, al pari del giudizio relativo all’effettiva ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. (Cass. n. 1234 del 2019; Cass. n. 1216 del 2006) e all’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, i fatti ignoti da provare (Cass. n. 12002 del 2017), costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono censurabili in sede di legittimità se non per il vizio previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c. (nella specie, tuttavia, neppure dedotto) di omesso esame di fatti storici risultanti con certezza dal testo della pronuncia impugnata o dagli atti processuali ed aventi carattere decisivo (cfr. Cass. SU n. 8053 del 2014; Cass. SU n. 5792 del 2024, in motiv., punto 10.14); – le dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società fallita nel corso del giudizio di verifica (art. 95, comma 5, L. Fall.), in difetto di una norma che lo vieti e di un interesse in causa tale da comportarne l’incapacità a testimoniare, sono senz’altro utilizzabili, quali fonti di prova in ordine ai fatti storici rilevanti, da parte del giudice delegato e, in sede di opposizione allo stato passivo, dal Tribunale, e, come tali, assoggettate (com’è incontestatamente avvenuto nel caso in esame) al prudente apprezzamento ad opera degli stessi (art. 116, comma 1, L. Fall.).

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2.7. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2358, 2519, 2525 e 2529 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che l’art. 2358 c.c. trovava applicazione anche per le società cooperative e le banche popolari, come la Banca PO.DI., senza, tuttavia, considerare che: – nelle società cooperative, l’acquisto di azioni proprie è compiutamente regolato dall’art. 2529 c.c., mentre l’art. 2525 c.c. disciplina le azioni senza mai richiamare i divieti ed i limiti previsti nelle società per azioni dall’art. 2358 c.c.; – l’applicazione dell’art. 2358 c.c. alle società cooperative non è, del resto, compatibile con la speciale disciplina prevista per queste ultime, nelle quali, infatti, come emerge dall’art. 2529 c.c., le operazioni d’acquisto di azioni proprie sono devolute non all’assemblea straordinaria, come accade nelle società per azioni a norma degli artt. 2357 e 2358 c.c., ma all’organo amministrativo; – in tali società, del resto, l’acquisto di azioni proprie o l’erogazione di finanziamenti per l’acquisto di azioni proprie sono strumenti idonei ad agevolare l’ingresso di nuovi soci ed è, quindi, coerente con lo scopo mutualistico che le caratterizza; – la disciplina delle banche popolari, come la Banca PO.DI., non prevede alcun divieto espresso all’acquisto o alle anticipazioni sulle azioni proprie, tant’è che tale divieto, inizialmente previsto per le banche di credito cooperativo, è venuto meno con l’abrogazione dell’art. 34 n. 5 TUB ad opera dell’art. 5 del D.Lgs. n. 342/1999.

2.8. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 1418 c.c. e 2358 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che la sanzione per la violazione dell’art. 2358 c.c. sia la nullità del contratto di mutuo strumentale all’acquisto delle azioni, omettendo, tuttavia, di considerare che: – l’art. 2358 c.c. non prevede, in realtà, alcuna nullità testuale per le operazioni di assistenza finanziaria deliberate in violazione dei limiti procedurali e quantitativi ivi prescritti; – tale disposizione, non essendo dettata a tutela di un interesse generale della collettività, non ha natura di norma imperativa, per cui, in caso di violazione, la conseguenza non è la nullità virtuale delle operazioni di assistenza finanziaria compiute ma solo l’obbligo di risarcimento dei danni in capo ai soggetti che le hanno realizzate.

2.9. Il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

2.10. Ritiene, infatti, la Corte che:

2.11. L’art. 2519, comma 1, c.c. prevede che le disposizioni che disciplinano le società per azioni, “per (tutto) quanto non previsto” nel corrispondente titolo (e cioè il VI, composto dagli artt. 2511-2548 c.c.), si applicano, ove “compatibili”, alle cooperative, anche se si tratta di società, come quelle che esercitano l’attività bancaria (art. 28, comma 1, TUB), regolate da leggi speciali (art. 2520, comma 1, c.c.).

2.12. Tale disposizione, dunque, subordina l’applicazione alle società cooperative (per azioni) delle norme dettate per le società per azioni alla sussistenza di due presupposti, e cioè, da un lato, che un determinato profilo o aspetto dell’organizzazione o dell’attività della società cooperativa non sia disciplinato dalle disposizioni contenute negli artt. 2511-2548 c.c. e, dall’altro, che la disciplina dettata su tale profilo o aspetto per le società per azioni sia giuridicamente compatibile con il modello cooperativo adottato dalla società.

2.13. La norma che disciplina le operazioni di finanziamento per l’acquisto di azioni proprie da parte di società per azioni, così come contenuta nell’art. 2358, commi 1-6, c.c. (che l’art. 2525, comma 5, c.c. non richiama espressamente senza tuttavia escludere la sua applicabilità), risponde a tutti e due i presupposti appena indicati.

2.14. Il divieto di accordare “prestiti” finalizzati direttamente o indirettamente all’acquisto o alla sottoscrizione di azioni proprie, se non in presenza di alcune specifiche condizioni legittimanti (e cioè: – la predisposizione da parte degli amministratori della società di “una relazione che illustri – tra l’altro -, sotto il profilo giuridico ed economico, l’operazione, descrivendone le condizioni, evidenziando le ragioni e gli obiettivi imprenditoriali che la giustificano, lo specifico interesse che l’operazione presenta per la società, i rischi che essa comporta per la liquidità e la solvibilità della società ed indicando il prezzo al quale il terzo acquisirà le azioni”; – il deposito di tale relazione presso la sede della società, nei trenta giorni precedenti l’assemblea straordinaria, la cui delibera, corredato dalla relazione degli amministratori, è depositato per l’iscrizione nel registro delle imprese; – la necessità che “l’importo complessivo delle somme impiegate” per finanziare l’acquisto delle proprie azioni non ecceda “il limite degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato”, e che “una riserva indisponibile pari all’importo complessivo delle somme impiegate” sia contestualmente iscritta al passivo del bilancio) trova, di conseguenza, senz’altro applicazione anche nelle società cooperative per azioni: a partire dalla necessità (senz’altro compatibile con tali società e il loro funzionamento) di un’autorizzazione preventiva al compimento di un’operazione di tale genere da parte dell’assemblea straordinaria dei soci della società mutuante.

2.15. Non può, infatti, ragionevolmente dubitarsi che: – la concessione di prestiti in funzione della sottoscrizione di azioni proprie della società finanziatrice è un profilo dell’attività della società cooperativa per azioni non regolato (e, dunque, ai fini di cui all’art. 2519, comma 1, c.c., “non previsto”) né dall’art. 2529 c.c. (che pure disciplina l’acquisto da parte delle società cooperative di azioni proprie, stabilendo le condizioni necessarie ai fini della legittimità della relativa operazione, come il limite quantitativo, singolarmente uguale a quello previsto dall’art. 2358, comma 6, cit., “degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato”: ma non anche le “altre operazioni sulle proprie azioni”, previste dall’art. 2358 c.c., come, appunto, l’erogazione di prestiti per l’acquisto ad opera del soggetto finanziato di azioni della stessa società mutuante), né da altra norma contenuta tra gli artt. 2511-2548 c.c.; – il divieto di fornire assistenza finanziaria per l’acquisto di azioni proprie, così come fissato dall’art. 2358, commi 1 e ss., c.c., in quanto volto alla tutela (nell’interesse degli “azionisti” e dei “terzi” creditori: cfr. l’art. 23, parag. 1, della direttiva 77/91/CEE, così come modificato dalla direttiva 2006/68/CE cit., ed il considerando 5 di quest’ultima) dell’integrità del capitale sociale della società finanziatrice e dell’effettività del suo patrimonio (Cass. n. 15398 del 2013; Cass. n. 28148 del 2023), è compatibile:

2.17. Le banche popolari, pur se assoggettate ad una disciplina speciale, restano pur sempre (come esplicitamente confermato dall’art. 29, comma 1, TUB) costituite nella forma giuridica della società cooperativa per azioni (compreso, come detto, l’obbligo di destinare a riserva legale una quota, pari al dieci per cento, degli utili netti annuali ai sensi dell’art. 32, comma 1, TUB, nonché, come si evince a contrario dall’art. 150-bis, comma 2, TUB, il limite patrimoniale all’acquisto di azioni proprie previsto dall’art. 2529 c.c., che rinvia al secondo comma dell’art. 2545-quinquies c.c., e lo scioglimento automatico della società in caso di perdita del capitale ex art. 2545-duodecies c.c.), “il che non rileva solo sul piano definitorio, ma ha invece precisi riflessi anche in termini di disciplina “, nel senso che “non è consentito… sovvertire le indicazioni di diritto positivo per sottrarre queste particolari società alla disciplina generale delle cooperative… salvo che per specifiche norme incompatibili con le disposizioni delle leggi speciali che quelle banche riguardino” (Cass. n. 9445 del 1996, in motiv.), con la conseguenza che, in mancanza di un’esplicita disciplina che regoli i prestiti erogati da tali società in funzione dell’acquisto di azioni proprie ed a fronte di una comune ratio, tali operazioni rimangono senz’altro assoggettate alle disposizioni dettate in ordine al loro compimento da parte delle società per azioni e, come detto, delle società cooperativa per azioni in quanto compatibili con l’attività imprenditoriale (specie se bancaria) ed il funzionamento delle stesse.

Divieto di prestiti per acquisto azioni proprie

2.18. L’art. 150-bis, comma 2, TUB, così come introdotto dal D.Lgs. n. 310/2004, nel testo in vigore ratione temporis (ma anche in quello attuale), indica, del resto, le disposizioni del codice civile che non si applicano alle banche popolari, con un elenco che inizia con un articolo antecedente l’art. 2358 c.c. e prosegue con articoli ad esso successivi senza, tuttavia, includere tale articolo, con la conseguenza che, per tutte le disposizioni codicistiche non espressamente escluse, deve presumersi (salva l’incompatibilità prevista dall’art. 2520, comma 1, c.c.) la loro applicabilità, come, appunto, nel caso dell’art. 2358, commi 1 e ss., c.c.

2.19. Se, poi, si considera che l’art. 161 del TUB ha abrogato il D.Lgs. 105/1948 (contenente disposizioni sull’ordinamento delle banche popolari), il cui art. 9 prevedeva che “la società può accordare anticipazioni ai soci sulle proprie azioni entro i limiti stabiliti caso per caso dall’organo cui per legge è demandata la vigilanza sulle aziende di credito, limiti che non potranno in ogni caso eccedere il 40% delle riserve legali”), risulta, allora, evidente che il legislatore: a) non ha affatto inteso consentire alle banche popolari di finanziare l’acquisto di proprie azioni al di fuori di qualsiasi forma e condizione; b) ha, dunque, inteso (implicitamente ma inequivocamente) estendere a tali società il divieto di assistenza finanziaria previsto dall’art. 2358, commi 1 e ss., c.c. e la necessità al fine di consentirne eccezionalmente la deroga che sussistano le condizioni legittimanti ivi previste: a partire, come detto, dalla delibera di preventiva autorizzazione al compimento della singola operazione da parte dell’assemblea straordinaria dei soci.

2.20. Non merita, in effetti, consenso l’obiezione della ricorrente secondo cui l’operazione di assistenza finanziaria può essere legittimamente decisa dai soli amministratori sul rilievo che gli stessi, a norma dell’art. 2529 c.c., ove l’atto costitutivo lo consenta, possono autonomamente decidere di acquistare (o rimborsare) azioni della società: a fronte della diversità di tale operazione (che poi è quella sulla quale si è pronunciata la sentenza di questa Corte n. 9404 del 2015 e, come tale, non utilmente deducibile come precedente di legittimità idoneo ad orientare la decisione sul ricorso in esame) rispetto al prestito finalizzato all’acquisto di azioni proprie e dei differenti effetti che la quest’ultima è in grado di spiegare rispetto alla prima nei confronti dei soci già esistenti (posto che, come è stato ben detto, “la prestazione di assistenza finanziaria… è operazione che, a differenza dell’acquisto di azioni proprie, non risponde al principio di parità di trattamento dei soci ma, anzi, è strutturalmente diretta a favorire”, con l’ingresso in società di nuovi soci attraverso l’impiego di risorse della stessa società, “alcuni soci o terzi rispetto ad altri membri della compagine sociale”, condizionando, peraltro, sia pur attraverso il voto capitario ex art. 30, comma 1, TUB, il funzionamento dell’assemblea e, dunque, degli organi sociali), deve, per contro, ritenersi che l’erogazione in favore di alcuni soci o di terzi di prestiti finalizzati all’acquisto di azioni proprie della società finanziatrice resti, in applicazione integrale dell’art. 2358, commi 1 e ss., c.c., di esclusiva pertinenza dell’assemblea straordinaria dei soci, specie se si considera che: – il procedimento deliberativo di quest’ultima, a differenza di quello che riguarda le decisioni degli amministratori, consente (non a caso) ai soci di ricevere dagli stessi le necessarie informazioni, se del caso ulteriori rispetto a quelle già fornite, in ordine all’operazione di assistenza finanziaria posta all’ordine del giorno della riunione assembleare chiamata a pronunciarsi sulla relativa autorizzazione; – la competenza esclusiva degli amministratori in ordine all’ammissione di nuovi soci nella società cooperativa, a norma dell’art. 2528, comma 1, c.c. (applicabile, come si evince dall’art. 150-bis, comma 2, TUB, anche alle banche popolari, nelle quali, peraltro, l’ammissione dei nuovi soci è comunque e significativamente subordinata, come si evince dall’art. 30, comma 5, TUB, all’interesse della società), risulta senz’altro recessiva in favore dell’assemblea dei soci tutte le volte in cui, come nel caso del prestito finalizzato all’acquisto di azioni proprie, la stessa possa ledere, come detto, gli interessi dei soggetti già soci e quelli dei creditori della società.

2.21. Quanto al resto, la Corte intende ribadire i principi dettati da Cass. n. 28148 del 2023, vale a dire che: – il divieto previsto dall’art. 2358 c.c. è volto a presidiare interessi di carattere generale, come indubbiamente sono quelli dei soci e dei terzi (creditori) all’integrità patrimoniale della società, come È dato evincere dal limite quantitativo imposto dalla norma a fronte degli utili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato; – l’operazione compiuta in violazione dell’art. 2358 c.c. (e delle relative condizioni) integra, pertanto, l’inosservanza di una norma imperativa di grado elevato, com’È quella tesa a tutelare interessi di sistema; – il mancato rispetto del divieto, ove difettino le condizioni stabilite dalla norma in questione, produce, di conseguenza, la nullità, a norma dell’art. 1418, comma 1, c.c., dell’operazione d’assistenza finanziaria nel suo complesso, vale a dire tanto del contratto di finanziamento, quanto dell’atto d’acquisto delle azioni cui lo stesso era funzionale.

2.22. In effetti, “l’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell’art. 1418, comma 1, c.c., è… più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo”, essendovi “ricomprese sicuramente anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto”, con la conseguenza che “se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto (come nel caso in esame) viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni – se così può dirsi – ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo” (Cass. SU n. 26724 del 2007, in motiv.).

2.23. D’altra parte, se “non ogni violazione di norma imperativa può dare luogo ad una nullità contrattuale”, essendo a tal fine necessario che “il contratto” si ponga “in contrasto con lo specifico interesse che la norma imperativa intende tutelare” (Cass. SU n. 33719 del 2022, in motiv.), è tuttavia evidente come, nel caso in esame, la nullità dell’intera operazione di assistenza finanziaria (e cioè il contratto di finanziamento e l’atto d’acquisto delle azioni cui lo stesso era funzionale) compiuta in violazione del divieto previsto dall’art. 2358, commi 1 e ss., c.c. si giustifica proprio in ragione del fatto che la stessa è di per sé direttamente lesiva degli interessi degli “azionisti” (rispetto all’ingresso di nuovi soci) e dei “terzi” creditori (rispetto all’integrità del patrimonio sociale) che la menzionata norma ha inteso, appunto, proteggere: tanto più se si considera che, a fronte della violazione della norma in questione, la realizzazione degli interessi sottesi alla stessa non è presidiata da un meccanismo alternativo a quello della sanzione della nullità dell’intera operazione compiuta (cfr. Cass. n. 8499 del 2018). La violazione di una norma imperativa, infatti, non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto giacché l’art. 1418, comma 1, c.c., con l’inciso “salvo che la legge disponga diversamente”, esclude tale sanzione (soltanto) nel caso in cui sia predisposto un meccanismo (nel caso in esame insussistente) idoneo a realizzare ugualmente gli effetti voluti della norma, indipendentemente dalla sua concreta esperibilità e dal conseguimento reale degli effetti voluti (Cass. n. 8236 del 2003; Cass. n. 22625 del 2012; più di recente, Cass. n. 2176 del 2023, in motiv.).

2.24. Con il quarto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 1418 e 1419 c.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che il contratto di mutuo era affetto da nullità (o inefficacia) totale (art. 1418 c.c.), e cioè per l’intero importo pattuito, senza, tuttavia, considerare che l’acquisto delle azioni è avvenuto, come accertato dal Tribunale, per il minor importo di Euro 290.000,00, e che, di conseguenza, come l’opponente aveva richiesto nel corso del giudizio con la memoria autorizzata del 30/3/2021, la nullità del finanziamento poteva essere tutt’al più dichiarata, in forza dell’art. 1419 c.c., nei limiti della somma effettivamente impiegata per l’acquisto delle azioni, mentre, per la parte residua, il credito, pari alla somma di Euro 891.774,86, doveva essere ammesso al passivo e in collocazione ipotecaria.

2.25. Il motivo è inammissibile. Il decreto impugnato, infatti, non tratta in alcun modo la questione della nullità parziale del contratto di mutuo nei limiti delle somme effettivamente impiegate per l’acquisto delle azioni. La ricorrente, dal suo canto, a fronte di tale lacuna, non ha adempiuto all’onere, che gravava sulla stessa a pena d’inammissibilità della censura, non solo di allegare (come ha fatto) l’avvenuta deduzione della questione non trattata innanzi al giudice di merito, ma anche, in virtù del principio di specificità dei motivi del ricorso in cassazione, di riprodurne (per la parte rilevante) il contenuto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione.

2.26. I motivi del ricorso per cassazione possono, infatti, investire solo le questioni che abbiano formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, non potendo, per contro, riguardare nuove questioni di diritto se le stesse, come quella esposta, postulano accertamenti in fatto non compiuti dal giudice del merito e, come tali, esorbitanti dai limiti funzionali del giudizio di legittimità (Cass. n. 18018 del 2024; Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 16742 del 2005; Cass. n. 22154 del 2004; Cass. n. 2967 del 2001).

2.27. D’altra parte, il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione di cui all’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., può ritenersi rispettato soltanto a condizione che (a differenza di quanto ha fatto la ricorrente) l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi (come, nel caso in esame, la memoria autorizzata del 30/3/2021: v. il ricorso, p. 26, che lo indica con doc. 9), avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, essendo, per contro, sufficiente, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (cfr. Cass. n. 12481 del 2022).

Divieto di prestiti per acquisto azioni proprie

2.28. Il decreto impugnato, del resto, alla luce degli elementi di prova raccolti in giudizio, come “la coincidenza temporale da una parte tra erogazione del mutuo…, bonifico a Ku. Srl della somma di Euro 500.000,00 e bonifico ai soci di Ku. della stessa somma e, dall’altra, l’acquisto, se pur di importo inferiore… da parte di quegli stessi soci di azioni BPVI nel periodo fine luglio-fine agosto 2014”, ha ritenuto, in fatto, che “l’operazione”, “che involgeva i due finanziamenti”, era stata unitariamente “concordata”, compresa la “condizione che i soci sottoscrivessero l’aumento di capitale” della banca, così implicitamente ma inequivocamente escludendo che i contraenti avrebbero concluso il contratto di finanziamento a condizioni diverse (e cioè, in ipotesi, quale parte dello stesso non affetta da nullità, nei soli limiti della somma, pari ad Euro 891.774,86, non impiegata per l’acquisto delle azioni proprie) da quelle poi effettivamente concordate: laddove, agli effetti della disposizione contenuta nell’art. 1419, comma 1, c.c., il fatto che le parti avrebbero concluso il contratto anche senza la parte affetta da nullità, con la conseguente esclusione dell’estensione dell’invalidità all’intero contratto, costituisce l’oggetto di un apprezzamento rimesso al giudice del merito e, come tale, incensurabile in sede di legittimità se, come nel caso in esame, motivato in termini non apparenti o illogici in relazione alle circostanze rilevanti.

2.29. Con il quinto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 93, comma 4, 98 e 99 L. Fall., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il Tribunale ha dichiarato l’inammissibilità della domanda subordinata di ammissione al passivo del credito in via chirografaria, a titolo di ripetizione d’indebito o d’arricchimento senza causa, in quanto formulata solo nel ricorso ai sensi dell’art. 98 L. Fall., senza considerare che non si trattava di “domanda nuova” ma bensì di mera emendatio libelli, passibile di essere financo disposta d’ufficio dal giudice in applicazione dell’art. 93, comma 4, L. Fall.

2.30. Il motivo è infondato. Se, in effetti, è vero che dalla ritenuta nullità del contratto di mutuo consegue l’indebito oggettivo previsto dall’art. 2033 c.c., resta nondimeno il fatto che “si tratta di domanda, caratterizzata da specifico titolo, che la parte non ha proposto, neppure in via subordinata” (Cass. n. 15398 del 2013, in motiv.), se non, per la prima volta, nel ricorso in opposizione allo stato passivo.

2.31. Ed è, invece, noto che il procedimento d’opposizione allo stato passivo è un giudizio di carattere impugnatorio e, dunque, non consente, in difetto di una previsione espressa nell’art. 99 L. Fall. che integralmente lo disciplina, né l’introduzione di domande nuove né la c.d. emendatio libelli, le quali vanificherebbero, d’altronde, l’obiettivo di semplificazione e celerità perseguito dalla relativa disciplina nel rispetto dell’art. 24 Cost. (Cass. n. 32750 del 2022).

2.32. Si tratta, infatti, di un giudizio che ha natura impugnatoria ed è retto dal principio dell’immutabilità della domanda, nel quale non possono essere pertanto introdotte domande nuove o modificazioni sostanziali delle domande già avanzate in sede d’insinuazione al passivo (Cass. n. 26225 del 2017).

2.33. Nel procedimento d’opposizione allo stato passivo, in definitiva, sono inammissibili domande dell’opponente nuove rispetto a quelle spiegate nella precedente fase, non applicandosi il principio, proprio del giudizio di primo grado, secondo cui, entro il primo termine di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c., è consentita la mutatio di uno o entrambi gli elementi oggettivi della domanda (petitum e causa petendi) ove la stessa, così modificata, risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio (Cass. n. 6279 del 2022).

2.34. Non può, infine, dimenticarsi che, ai fini del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., la domanda d’ingiustificato arricchimento (avanzata autonomamente ovvero in via subordinata rispetto ad altra domanda principale) è proponibile ove la diversa azione (sia essa fondata sul contratto ovvero su una specifica disposizione di legge ovvero ancora su clausola generale) si riveli carente ab origine del titolo giustificativo, restando, viceversa, preclusa ove quest’ultima sia rigettata per prescrizione o decadenza del diritto azionato o per carenza di prova del pregiudizio subito o (come nel caso in esame) per nullità derivante dall’illiceità del titolo contrattuale per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico (Cass. SU n. 33954 del 2023; Cass. n. 27008 del 2024).

RAGIONI DELLA DECISIONE

a) l’art. 2358 c.c., nel testo in vigore (introdotto dal D.Lgs. n. 142/2008, in attuazione della direttiva 2006/68/CE), lì dove prevede che “la società non può, direttamente o indirettamente, accordare prestiti… per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni, se non alle condizioni previste” dallo stesso “articolo”, e, dunque, vieta il compimento di operazioni di assistenza finanziaria funzionali all’acquisto delle azioni proprie della società mutuante (salvo che non sussistano le condizioni stabilite dalla stessa, la cui mancanza “determina l’espansione del divieto, perché è codesto – e non il suo contrario – a integrare la regola generale”: Cass. n. 28148 del 2023, in motiv.), è una norma senz’altro compatibile e, come tale, applicabile alle società cooperative e, per l’effetto, alle banche popolari che ne rivestono la forma;

b) tale disposizione detta una norma imperativa di grado elevato, la sua violazione (compiuta attraverso la concessione di un finanziamento funzionale all’acquisto di azioni proprie ed in mancanza, come accertato nel caso in esame, delle condizioni legittimanti ivi previste) comporta, a norma dell’art. 1418, comma 1, c.c., la nullità del contratto di finanziamento.

a) tanto con la disciplina delle società cooperative per azioni, la quale, infatti, specie a fronte della variabilità del capitale (che non è determinato in un ammontare prestabilito: artt. 2511 e 2524 c.c.) e dell’esclusiva imputazione delle obbligazioni sociali alla società ed al suo patrimonio (art. 2518 c.c.), con il conseguente assoggettamento delle stesse, in caso d’insolvenza, alle procedure concorsuali a tal fine previste (art. 2545-terdecies c.c.) ed, in caso di perdita (integrale) del capitale sociale, alla liquidazione ordinaria (art. 2545-duodecies c.c.), condivide pienamente l’indicata finalità: come, del resto, si evince sia dall’art. 2529 c.c. che, per il caso di acquisto di azioni proprie, estende a tali società il limite quantitativo, previsto dall’art. 2357 c.c. per le società azionarie, degli “utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato”, sia dalla necessaria destinazione al fondo di riserva legale di almeno il trenta per cento degli utili netti annuali ai sensi dell’art. 2545-quater, comma 1, c.c.; ed ancora dall’art. 2545-quinquies, comma 2, c.c., che, con approccio più restrittivo di quello che caratterizza le società per azioni, condiziona l’acquisto di azioni proprie al rispetto di un rigido rapporto d’indebitamento, stabilendo che possono essere acquistate proprie azioni solo se il rapporto tra il patrimonio netto e l’indebitamento complessivo della società è superiore ad un quarto;

b) quanto, e a maggior ragione, con la normativa che regola le banche popolari (che sono costituite in forma di società cooperative per azioni: art. 29, comma 1, TUB), la cui attività è, in effetti, assoggettata a vincoli patrimoniali a carattere prudenziale (come la doverosa sussistenza, ai fini dell’autorizzazione all’attività bancaria, di un capitale versato di ammontare non inferiore a quello determinato dalla Banca d’Italia a norma dell’art. 14, comma 1, lett. b, del TUB, e l’obbligatoria destinazione a riserva legale di almeno il dieci per cento degli utili netti annuali a norma dell’art. 32, comma 1, TUB) e può, comunque, svolgersi soltanto se è preventivamente assicurata (anche attraverso le “garanzie” previste dal considerando 5 cit., come, appunto, il divieto generale previsto dall’art. 2358, commi 1 e ss., c.c. e la conseguente necessità che sussistano, onde consentirne eccezionalmente la deroga, le specifiche condizioni procedurali e sostanziali ivi previste) la protezione dell’integrità del capitale sociale e della relativa effettività (cfr. gli artt. 70 e 80, commi 1 e 6, TUB e l’art. 17, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 180/2015).

2.16. La ratio della normativa prevista dall’art. 2358, commi 1 e ss., c.c. (senz’altro compatibile con lo scopo mutualistico, che, specie nelle società esercenti l’attività bancaria, da solo certamente non basta a giustificare il compimento da parte delle stesse di operazioni tali da mettere a rischio l’equilibrio economico della struttura), per come è stata delineata dalla giurisprudenza di questa Corte, risulta, in effetti, sussistente tanto nelle società per azioni, quanto nelle società cooperative per azioni (tanto più se si tratta di banche che, come nel caso delle banche popolari, tale forma giuridica abbiano, appunto, assunto quale modello organizzativo dell’attività d’impresa). È utile richiamare Cass. n. 9445 del 1996, in motiv., secondo la quale “il connotato della mutualità, che tradizionalmente connota le cooperative sotto il profilo causale, è nelle banche popolari così attenuato da poter apparire talvolta persino sfuggente”; Cass. n. 15398 del 2013, secondo cui la ratio della norma è di “vietare la cd. assistenza finanziaria, sia nella forma del prestito che in quella della prestazione di garanzie, a favore di chiunque voglia acquistare o sottoscrivere le azioni della società medesima, onde impedire il compimento di operazioni che possano determinare un’erosione anche potenziale del capitale sociale, nell’interesse dei creditori della società, a tutela dell’interesse dei soci contro rimborsi preferenziali di conferimenti ad alcuni di essi, e dell’interesse della società a contrastare l’uso da parte degli amministratori delle quote comprate, anche e soprattutto in sede assembleare”; Cass. n. 4916 del 1984, che, nello stesso senso, sia pur con riguardo all’originario testo della norma, ha esteso il divieto previsto dall’art. 2358 c.c. alle società a responsabilità limitata ed ha inteso in senso ampio la norma in modo da ricomprendervi, ancor prima del recepimento della direttiva CE 77/91, ogni operazione finanziaria che persegua la medesima finalità, come, appunto, “finanziare un terzo per l’acquisto di quote (fare prestiti) o prestare fideiussioni a garanzia del pagamento delle quote stesse…”; Cass. n. 25005 del 2006, secondo cui la violazione dell’art. 2358, comma 1, c.c., comporta il rischio della non effettività, totale o parziale, dei nuovi conferimenti e al tempo stesso dell’aumento del capitale sociale, con ricaduta sul patrimonio netto, e tale rischio incide direttamente sull’interesse di ciascun socio a conservare il valore, in termini sia assoluti che relativi, della sua quota di partecipazione alla società, in quanto, nella misura in cui al formale incremento del capitale, cui corrisponde una riduzione proporzionale della sua quota di partecipazione, non si accompagni un effettivo incremento del patrimonio netto, il valore della quota si riduce, a tutto vantaggio dei sottoscrittori delle nuove azioni; infine e più di recente, Cass. n. 28148 del 2023, secondo cui l’art. 2358 c.c., nel testo attualmente in vigore, pur consentendo il prestito per l’acquisto di azioni proprie in presenza di specifiche condizioni, come l’autorizzazione dell’assemblea straordinaria e la predisposizione di una relazione illustrativa da parte degli amministratori, prevede ancora un divieto generale di tali operazioni di assistenza finanziaria, volto a tutelare l’interesse di soci e creditori alla conservazione del patrimonio sociale).

3. Il ricorso dev’essere, dunque, rigettato.

4. La Corte enuncia il seguente principio di diritto: “l’art. 2358 c.c., lì dove vieta alla società di accordare prestiti ovvero fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, salve le condizioni legittimanti ivi previste, è compatibile e dunque applicabile alle società cooperative per azioni nonché, e a maggior ragione, alle banche popolari che ne rivestono la forma”.

5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

6. La Corte dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore del Fallimento delle spese del giudizio, che liquida nella somma complessiva di Euro 18.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria l’8 gennaio 2025.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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