Divieto di custodia in carcere per l’imputato ultrasettantenne

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 2 maggio 2019, n. 18195.

La massima estrapolata:

In tema di misure cautelari personali, il divieto di custodia in carcere per l’imputato ultrasettantenne opera, in assenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, anche quando il predetto abbia compiuto settant’anni dopo l’applicazione della misura per uno dei reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., dovendo quest’ultima conformarsi ai principi di adeguatezza e di gradualità durante tutto il corso del procedimento cautelare.

Sentenza 2 maggio 2019, n. 18195

Data udienza 20 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Presidente

Dott. GIORDANO Emilia An – Consigliere

Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere

Dott. COSTANTINI Antonio – Consigliere

Dott. SILVESTRI Piet – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale della liberta’ di Reggio Calabria il 19/06/2018;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. Pietro Silvestri;
udito il Sostituto Procuratore Generale, Dott. Salzano Francesco, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
uditi i difensori, avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale della liberta’ di Reggio Calabria ha rigettato l’appello cautelare proposto avverso l’ordinanza con cui lo stesso Tribunale aveva respinto la richiesta di revoca o di sostituzione della misura custodiale in corso nei confronti di (OMISSIS), gravemente indiziato per il reato previsto dall’articolo 353 c.p., aggravato dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, articolo 7.
Il fatto contestato attiene alla aggiudicazione provvisoria dell'(OMISSIS); (OMISSIS) avrebbe, con metodo mafioso, minacciato, anche con un complessivo atteggiamento intimidatorio, tali (OMISSIS) (funzionario della Corte di appello di Reggio Calabria), e (OMISSIS) al fine di costringere quest’ultimo a rinunciare ad un’offerta presentata per l’immobile in questione (capo K) (la vicenda e’ descritta nell’ordinanza impugnata alle pagg. 2 e ss.).
Sul titolo custodiale per cui si procede, secondo il Tribunale, si e’ formato il c.d. giudicato dopo che la Corte di cassazione ha annullato senza rinvio due ordinanze emesse in distinti procedimenti, ora riuniti, aventi ad oggetto il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso ed associazione segreta prevista dalla L. 25 gennaio 1982, n. 17, articoli 1-2, nonche’ altri reati.
La tesi cautelare originaria, riferita anche agli altri numerosi reati, era che (OMISSIS) avesse un ruolo apicale in un’associazione segreta, occultata all’interno di associazioni palesi – tra cui il (OMISSIS), la (OMISSIS) Onlus, (OMISSIS), (OMISSIS) – costituita al fine di porre in essere attivita’ dirette ad interferire sull’esercizio delle funzioni di amministrazioni pubbliche locali, influenzandone scelte ed indirizzi, cosi’ da consentire all’odierno indagato, al tessuto relazionale sottostante ed al grumo di interessi di cui questi sarebbe stato portatore, di restare “baricentrico” nella vita politica, nella relazione con i membri elettivi degli organi rappresentativi e con i dirigenti degli enti, indirizzando le determinazioni della pubbliche autorita’ in maniera osmotica verso gli interessi e le strategie della âEuroËœndrangheta calabrese.
2. A fondamento della richiesta difensiva di revoca o sostituzione della misura in corso vi sarebbe l’esigenza di un rinnovato vaglio sulle esigenze cautelari dopo che, nell’ambito di articolati procedimenti, oltre agli annullamenti senza rinvio delle ordinanze custodiali per i reati di associazione mafiosa e associazione segreta, anche gli altri originari reati che erano stati contestati in fase cautelare sono stati annullati in sede di giudizio di rinvio (Decreto Legge n. 356 del 1992, articolo 12 quinquies, (capo B), estorsione ai danni di (OMISSIS) e (OMISSIS) (Capo D); turbata liberta’ degli incanti nel procedimento di esecuzione immobiliare concernente l'(OMISSIS) (capo J); turbata liberta’ degli incanti aggravata dalla L. n. 203 del 1991, articolo 7, in relazione alle gare per la cessione di rami di azienda all’interno del (OMISSIS) (capo M).
L’assunto difensivo, riportato nella ordinanza impugnata era che, alla luce del mutato quadro generale di riferimento, sarebbe stato necessario revocare o sostituire il titolo custodiale in corso, tenuto conto che: a) l’imputato ha piu’ di settanta anni e non vi sarebbero esigenze cautelari di eccezionale rilevanza; b) la condotta delittuosa sarebbe stata isolata ed occasionale, ancorche’ aggravata dalla L. n. 203 del 1991, articolo 7: detta circostanza avrebbe tuttavia assunto dei contorni sbiaditi, nel rivisitato quadro generale; c) le esigenze di cautela non avrebbero potuto trovare valorizzazione nel precedente penale di concorso esterno in associazione mafiosa da cui e’ gravato l’imputato, trattandosi di condotta assai risalente nel tempo e tenuto conto altresi’ che le emergenze attuali non darebbero contezza di un persistente inserimento di (OMISSIS) in ambiti criminali organizzati; d) (OMISSIS) e’ stato assolto in via definitiva dall’accusa di associazione mafiosa nell’ambito di altro successivo processo celebrato a Catanzaro.
Secondo il Tribunale invece, la vicenda in esame non sarebbe affatto isolata ma espressione di un sistema e di una scelta di vita dell’imputato.
(OMISSIS), nonostante il trascorrere del tempo ed i fisiologici cambiamenti nei settori dell’economia ed imprenditoria locale, avrebbe continuato a mantenere un ruolo centrale nel governo reale delle dinamiche cittadine (cosi’ l’ordinanza impugnata).
Il Tribunale ha ritenuto, alla luce di una lunga ricostruzione, che la pericolosita’ sociale dell’indagato sia massima, “fuori dell’ordinario” (cosi’ il Tribunale), e non neutralizzabile con misure cautelari meno afflittive; ne’ sarebbe decisiva l’eta’ dell’imputato, atteso che il disposto di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 4, avrebbe esclusivo ambito applicativo al momento genetico del titolo cautelare.
2. Ha proposto ricorso per cassazione nell’interesse di (OMISSIS) l’avv. (OMISSIS) articolando tre motivi.
2.1. Con il primo, articolato in piu’ sottomotivi, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione; l’ordinanza sarebbe viziata, sotto il profilo del metodo di accertamento, per avere il Tribunale mantenuto il titolo custodiale facendo riferimento non al fatto per cui si procede, ma richiamando altri fatti per i quali sarebbe stato escluso il requisito della gravita’ indiziaria.
Si rivisita l’ordinanza nella parte in cui si e’ valorizzata la esistenza di un “sistema di potere”; il Tribunale avrebbe sostanzialmente riformulato un nuovo giudizio in relazione a fatti per i quali la cautela sarebbe gia’ venuta meno. Il reato associativo e’ stato escluso e tuttavia, si afferma, il giudizio sulle esigenze sarebbe stato formulato per un reato minore, quale quello per cui si procede, facendo riferimento e richiamando proprio il sistema di potere illecito escluso.
L’articolo 274 c.p.p., lettera c), richiama le specifiche modalita’ e circostanze del fatto non consentirebbe la valutazione di comportamenti e atti gia’ ritenuti penalmente non rilevanti; anche il riferimento alle risultanze del procedimento cd. (OMISSIS) non sarebbero decisive trattandosi di fatti per i quali il titolo cautelare e’ cessato per scadenza del termine, l’azione penale non sarebbe stata ancora esercitata ed i fatti non sarebbero aggravati ai sensi dell’articolo 7 cit..
L’assunto costitutivo della difesa e’ che il “fatto” privo di gravita’ indiziaria di colpevolezza non potrebbe essere preso in esame e considerato esistente per formulare il giudizio di pericolosita’ sociale riguardante un altro fatto.
Con il secondo sottomotivo si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al giudicato cautelare formatosi in relazione alle vicende ed ai fatti valorizzati dal Tribunale.
La Corte di cassazione avrebbe gia’ escluso che (OMISSIS) fosse il “baricentro nella citta’” (si richiamano stralci delle motivazioni delle sentenze emesse dalla prima e dalla quinta sezione penale della Corte in cui si e’ dubitato della esistenza di una struttura organizzata volta a condizionare, attraverso l’azione di un gruppo di potere illecito, la vita pubblica e privata della citta’).
Si evidenzia inoltre come proprio la vicenda per la quale si procede, in cui sostanzialmente sarebbero state inosservate le direttive di (OMISSIS), comproverebbe che i fatti in esame sarebbero scissi dal diffuso potere di cui l’imputato sarebbe espressione.
Sotto altro profilo, sempre nell’ambito del primo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge in ordine agli articoli 238 bis – 273 c.p.p.; l’ordinanza sarebbe viziata nella parte in cui il Tribunale ha utilizzato nei riguardi di (OMISSIS) il dispositivo della sentenza emessa all’esito del giudizio abbreviato celebrato nei confronti dei coimputati.
Il Tribunale, attraverso il richiamo alla condanna dei coimputati, avrebbe riesumato fatti e prove gia’ valutate per (OMISSIS).
La questione era stata dedotta ed il Tribunale sul punto non avrebbe fornito risposta.
Sotto ulteriore profilo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al giudicato cautelare formatosi in ordine alla vicenda della corruzione semplice nel processo “(OMISSIS)”, nella quale peraltro non sarebbe contestata l’aggravante di cui all’articolo 7; anche tale vicenda, si sostiene, avrebbe avuto una sua giustificazione strutturale in ragione della partecipazione all’associazione segreta, venuta, come detto, meno.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’articolo 274 c.p.p., lettera c); si assume che la Corte di cassazione, pur confermando il giudizio di gravita’ indiziaria, aveva annullato sotto il profilo delle esigenze cautelari anche con riguardo al capo di imputazione in esame e l’ordinanza impugnata sarebbe viziata nella parte in cui non avrebbe considerato che il reato per cui si procede e’ reato istantaneo, commesso nel (OMISSIS), scisso da finalita’ di agevolazione mafiosa; il Tribunale non si sarebbe confrontato con i principi di necessaria concretezza ed attualita’ del pericolo, in realta’ desunte in maniera errata dalla vicenda della associazione segreta.
L’ordinanza sarebbe viziata anche nella parte in cui ha ritenuto non adeguati gli arresti domiciliari, valorizzando elementi, quali la mole di conoscenze di (OMISSIS), che, a dire della difesa, non dovrebbero assumere rilievo; non sarebbe stato indicato nessun elemento da cui desumere che (OMISSIS) violerebbe, se disposta, la misura cautelare meno afflittiva.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’articolo 275 c.p.p., comma 4; sarebbe viziata l’affermazione del Tribunale secondo cui l’avere l’imputato compiuto settant’anni non rileverebbe in tale fase del rapporto cautelare, atteso che la norma attribuirebbe valenza al dato anagrafico solo al momento della costituzione del titolo genetico. Si assume che l’aver compiuto settanta anni costituirebbe comunque un fatto nuovo, valutabile ai sensi dell’articolo 299 c.p.p..
Ne’ il tribunale avrebbe esposto i concreti elementi da cui desumere la esistenza delle eccezionali esigenze cautelari.
3. Ha proposto ricorso per cassazione anche l’avvocato (OMISSIS) deducendo la sistematica violazione degli articoli 299- 273- 274 c.p.p..
Sono stati articolati tre motivi.
3.1. Con il primo si deduce violazione di legge penale, sostanziale e processuale, e vizio di motivazione. Il Tribunale avrebbe sistematicamente violato gli articoli 299 – 273 – 274 c.p.p.: le argomentazioni sono sostanzialmente le stesse gia’ enunciate, ma toccano anche la portata fattuale ed indiziaria del reato per cui si procede; si richiamano una serie di considerazioni compiute dalla Corte di cassazione sul punto, anche in ordine alla qualificazione della fattispecie in termini di tentativo.
3.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge penale, sostanziale e processuale, e vizio di motivazione.
Il tema e’ quello della pericolosita’ sociale di (OMISSIS) e del sistema di potere che, secondo il Tribunale, sarebbe stato creato e ruoterebbe attorno alla sua figura; nel caso di specie, si evidenzia, il fatto per cui si procede attesterebbe il contrario, atteso che (OMISSIS) e (OMISSIS) non avrebbero affatto sottostato ai voleri dell’imputato.
Il Tribunale non avrebbe fornito risposta adeguata nemmeno alle doglianze difensive relative, da una parte, alla limitata efficacia attuale della condanna di (OMISSIS) per concorso esterno in associazione mafiosa, relativa a fatti contestati sino al (OMISSIS), e, dall’altra, alla accertata estraneita’ di (OMISSIS) a circuiti di criminalita’ organizzata all’esito di altri procedimenti penali (Caso Reggio) e di prevenzione.
3.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge penale, sostanziale e processuale, e vizio di motivazione in relazione al profilo di attuale adeguatezza della misura in corso.
4. Il 3 dicembre 2018 sono stati presentati motivi nuovi dall’avv. (OMISSIS). Si ricostruisce l’intera vicenda e si ripropongono e si sviluppano le stesse argomentazioni gia’ indicate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato.
2. La motivazione dell’ordinanza impugnata e’ strutturata valorizzando un approccio storico ricostruttivo al fine di far emergere, con riferimento al reato per il quale si procede, un giudizio di assoluta gravita’ quanto alle esigenze cautelari, rispetto al quale ogni altra misura sarebbe inadeguata, nonostante (OMISSIS) sia un soggetto ultrasettantenne.
Si e’ gia’ detto di come la ricostruzione che il Tribunale della liberta’ di Reggio Calabria ha compiuto sia strumentale ad evidenziare un quadro generale per cui (OMISSIS) sarebbe “al centro di un sistema di potere” “esercitato attraverso un capillare sistema d’influenze e condizionamenti, sia pure senza necessita’ di ricorrere a forme esplicite di intimidazione, anche perche’ le evidenti condizioni di assoggettamento e di timore reverenziale con cui la collettivita’ si porge nei suoi confronti dimostrano, di per se’, l’esistenza di una latente forza intimidatrice gia’ da tutti riconosciuta” (cost testualmente l’ordinanza a pag. 4)
Per riempire di contenuti detta affermazione il Tribunale ha innanzitutto:
a) richiamato i fatti, risalenti agli anni novanta, posti a fondamento della condanna di (OMISSIS) per concorso esterno in associazione mafiosa;
b) fatto riferimento agli atti di del procedimento c.d. (OMISSIS), relativo ad una imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa per fatti commessi dal (OMISSIS); pur dando atto dell’assoluzione del ricorrente, si e’ ritenuto, attraverso un generico riferimento al contenuto delle conversazioni intercettate, che dagli atti in questione si avesse conferma del “ruolo determinante nelle principali dinamiche cittadine” di (OMISSIS), “capace di orientare i futuri assetti di potere e le vicende politico-amministrative della citta’” (cosi’ pag. 6).
Un sistema di potere considerato “torbido” che attraverserebbe gli ambienti politici, amministrativi, della criminalita’ organizzata mafiosa; (OMISSIS) sarebbe il riferimento, la cerniera e il punto di sintesi di un ampio sistema clientelare, mafioso, corruttivo.
Sulla base di tal dato di presupposizione e dunque in un una prospettiva di conferma della esistenza del sistema criminale di cui si e’ detto, sono stati valutati una serie di altri atti, relativi a procedimenti piu’ recenti ed aventi ad oggetto gravi vicende di corruzione, in cui pure (OMISSIS) sarebbe coinvolto.
In tale contesto; a) si sono richiamate le risultanze investigative relative ad altri procedimenti (proc. c.d. (OMISSIS)) nel cui ambito sarebbe stato emesso un altro titolo cautelare per vicende dello stesso tipo di quelle per cui si procede, oltre che per fatti di corruzione commessi sino al (OMISSIS): anche in tale procedimento un ruolo di rilievo avrebbe assunto (OMISSIS) ed sarebbero emersi i collegamenti perduranti tra l’imputato ed esponenti di spicco della ndrangheta ( (OMISSIS)); b) si e’ fatto riferimento agli incontri segreti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) verificatisi e favoriti da tale avv. (OMISSIS) ovvero quelli avuti presso lo studio di tale avv. (OMISSIS), e che, a differenza degli assunti difensivi, non avrebbero avuto ad oggetto la comune difesa assunta da (OMISSIS) nel processo c.d. “(OMISSIS)”, atteso che, se cosi’ fosse stato, non vi sarebbe stata ragione per la quale l’avvocato avrebbe dovuto contattare ed organizzare gli incontri facendo riferimento a nomi di fantasia.
Sono stati valorizzati nell’ordinanza impugnata anche i rapporti tra l’imputato ed altri soggetti finalizzati ad incidere sulle competizioni elettorali e legami con contesti massonici e mafiosi e, si aggiunge, il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria l’01/03/2018 ha condannato: a) tale (OMISSIS), all’epoca dei fatti sindaco di (OMISSIS), per il reato di cui all’articolo 318 c.p., la cui contestazione indica come concorrente proprio (OMISSIS); b) (OMISSIS) per il reato di cui all’articolo 416 bis c.p., per aver fatto parte, insieme a (OMISSIS), della componente riservata della ndrangheta (i fatti sono quelli per i quali il titolo cautelare e’ stato annullato dalla Corte di cassazione); c) (OMISSIS), per reati commessi “nel contesto relazionale che ha visto protagonista assoluto (OMISSIS)” (cosi’ l’ordinanza).
Tale quadro di riferimento ha indotto il Tribunale ha ritenere la misura cautelare in carcere l’unica misura adeguata a neutralizzare la personalita’ criminale del ricorrente e, di conseguenza, le gravissime ed eccezionali esigenze cautelari ravvisate, nonostante, peraltro, l’indagato sia un soggetto divenuto ultrasettenatenne.
3. La motivazione dell’ordinanza impugna e’ viziata.
4. Al fine di delineare la personalita’ dell’indagato e, quindi, formulare un giudizio prognostico sulle esigenze cautelari, e’ possibile fare riferimento a condotte e comportamenti pregressi, che possono assumere rilievo anche nel caso in cui sia stata esclusa, come nel caso di specie, la loro rilevanza penale, ma tale valorizzazione impone un rilevante onere motivazionale, nel senso che il giudice deve indicare le condotte concrete che si intendano valorizzate e spiegarne il senso, indicare le ragioni per le quali esse, pur penalmente irrilevanti, assumano significato al fine, diverso, della formulazione del giudizio relativo al pericolo di recidiva o delle altre esigenze cautelari previste dall’articolo 274 c.p.p..
La giurisprudenza della Corte di cassazione ha in piu’ occasioni chiarito che, al fine del giudizio sul pericolo di recidiva, occorre tenere conto dei “comportamenti o atti concreti”, specificamente rilevanti, anche nel caso in cui essi siano penalmente neutri e non necessariamente aventi natura processuale (cosi’, tra le tante, da ultimo Sez. 6, n. 45934 del 22/10/2015, Perricciolo, Rv. 265069; Sez. 5, n. 5644 del 25/09/2014, dep. 2015, Iov, Rv. 264212).
Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che (OMISSIS), pur essendo stato assolto, abbia continuato ad essere, fino al (OMISSIS) – quindi successivamente ai fatti per i quali ha riportato condanna – un riferimento del “sistema”, di cui si e’ detto, e che quindi le condotte per le quali l’indagato ha in precedenza riportato condanna sarebbero state nel corso degli anni continue, espressione di uno sviluppo coerente, “saldate” sul piano temporale fino al (OMISSIS).
Tuttavia, in presenza di una sentenza di assoluzione, il Tribunale non ha indicato quali sarebbero stati in concreto gli atti e i comportamenti posti in essere da (OMISSIS) fino al (OMISSIS) che assumerebbero rilievo ai fini del giudizio cautelare in esame -essendosi limitato a fare riferimento ad indistinti contatti con uomini politici, imprenditori, funzionari dello Stato – ne’ ha fatto riferimento al senso ed al significato di quegli atti e di quei comportamenti, per come essi sono stati accertati e valutati nel processo dall’Autorita’ Giudiziaria, ne’ si e’ confrontato con la sentenza di assoluzione per spiegare le ragioni per cui quelle condotte, pur penalmente irrilevanti, assumerebbero tuttavia rilievo nel presente segmento del procedimento cautelare.
Sul punto la motivazione della ordinanza e’ lacunosa, assertiva, nella parte in cui ricostruisce il ruolo ricoperto da (OMISSIS) fino al (OMISSIS).
5. Sotto altro profilo, il Tribunale, sempre al fine di ricostruire nel tempo il ruolo di (OMISSIS) e del sistema criminale trasversale di cui egli sarebbe stato espressione ed artefice, ha fatto riferimento ad un altro procedimento (cd. (OMISSIS)) per il quale e’ stata emessa uni ordinanza cautelare – anche nei confronti del ricorrente – per fatti commessi fino al (OMISSIS) “della stessa specie di quelle per cui si procede e di natura corruttiva” (pag. 7 ordinanza).
La vicenda avrebbe ad oggetto la gestione di alcuni appalti pubblici e (pare di comprendere) tre imputazioni provvisorie di corruzione: (OMISSIS) avrebbe in piu’ occasioni condizionato i funzionari dell’Ufficio tecnico del Comune di (OMISSIS) e, piu’ in generale, si fa riferimento ad un’altra vicenda corruttiva in relazione alla quale si evidenzia la “complicita’ fra pubblici funzionari…. imprenditori privati”: (OMISSIS) avrebbe sempre avuto un ruolo “da vero deus ex machina” (cosi’ il Tribunale).
Anche in relazione a tali passaggi argomentativi intermedi della motivazione, il Tribunale di Reggio Calabria, tuttavia, argomenta troppo.
La motivazione e’ viziata per illogicita’ nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto di fare discendere dalla esistenza dei gravi indizi di colpevolezza riguardanti il ruolo di assoluto rilievo che (OMISSIS) avrebbe avuto nelle specifiche vicende corruttive, l’inferenza generale che pone alla base del suo intero percorso motivazionale, e cioe’ che (OMISSIS) sia il “baricentro” di un sistema criminale che tutto dirige sul territorio, canalizzando in una visione unitaria, clientele, favori, corruzione, criminalita’ organizzata.
In realta’, l’ipotetico ruolo rilevante ricoperto dall’imputato in una o piu’ vicende corruttive non consente di far discendere automaticamente l’inferenza che il Tribunale vuole porre a fondamento del giudizio relativo alla esigenze cautelari.
Il coinvolgimento in una o piu’ rilevanti vicende corruttive non e’ certamente irrilevante nella formulazione di un giudizio prognostico sul pericolo di recidiva, ma deve essere declinato e valutato per cio’ che esso puntualmente rivela, non per avallare un convincimento slegato, scisso, esterno alle emergenze processuali e cioe’ che (OMISSIS) sia da decenni il baricentro di un sistema criminale diffuso, totalizzante, onnicomprensivo, cioe’ di una terra di approdo tra criminalita’ comune e mafiosa.
Il Tribunale non ha chiarito se per le vicende corruttive in questione sia stata contestata l’aggravante prevista dalla L. n. 203 del 1991, articolo 7 e se esista ed eventualmente quale sia la connessione fra le vicenda per cui si procede nel presente procedimento e quelle di corruzione oggetto del procedimento richiamato; ne’ e’ stato spiegato se le vicende corruttive di quest’ultimo procedimento siano caratterizzate da interessi, da connessioni con la criminalita’ organizzata mafiosa, di cui pure, si assume, (OMISSIS) sarebbe storicamente portatore.
Cio’ che, allo stato, vizia il ragionamento del Tribunale e’ l’assunto secondo cui la valutazione della posizione di (OMISSIS) debba essere compiuta in maniera inscindibile dall’idea della esistenza di un contropotere illegale a quello statuale, di cui lo stesso (OMISSIS) sarebbe espressione costitutiva.
Si tratta di un dato che la Corte di cassazione ha, allo stato, in piu’ occasioni non condiviso e che tuttavia continua a condizionare la valutazione dei singoli segmenti indiziari il cui reale significato, di per se’ rilevante ai fini del giudizio sulla personalita’ del ricorrente, viene tuttavia piegato e ricondotto ad una dimensione ed ad una prospettiva diversa e piu’ ampia.
L’esistenza di un sistema clientelare rispetto al quale (OMISSIS) avrebbe avuto un ruolo di rilievo non consente di ritenere esistente un contropotere statuale inquinato e criminale.
6. A conclusioni non dissimili deve giungersi anche per quel che concerne i rapporti tra (OMISSIS) ed “esponenti di spicco di sodalizi âEuroËœndranghetisti” (cosi’ l’ordinanza impugana); il riferimento e’ ai rapporti tra l’indagato e (OMISSIS).
Il Tribunale della liberta’ di Reggio Calabria al riguardo valorizza:
a) il dispositivo della sentenza di condanna, emessa il 1/03/2018 dal GUP dello stesso Tribunale all’esito del giudizio abbreviato, di (OMISSIS) per il reato previsto dall’articolo 416 bis c.p.: si tratterebbe “dello stesso ambito organizzativo contestato al (OMISSIS)” (cosi il Tribunale a pag. 14). La sentenza, sembra, riguarderebbe gli originari coindagati di (OMISSIS) che hanno deciso di definire la propria posizione con il giudizio abbreviato ed avrebbe ad oggetto l’esistenza e la partecipazione all’associazione segreta, di cui si e’ detto e della quale lo stesso (OMISSIS) avrebbe fatto parte; il giudice, con la stessa sentenza, avrebbe anche condannato (OMISSIS) per tutti i reati commessi “nel contesto relazionale che ha visto come protagonista assoluto il (OMISSIS), e tale (OMISSIS), all’epoca Sindaco del comune di (OMISSIS), per il reato previsto dall’articolo 318 c.p. contestato in concorso con l’odierno ricorrente);
b) il contenuto di una conversazione intercettata, in cui tale Avv. (OMISSIS), cioe’ un soggetto che avrebbe messo i locali della sua societa’ a disposizione di (OMISSIS) e di (OMISSIS)” parlando con altri, considera (OMISSIS) e (OMISSIS), appartenenti “alla storia di (OMISSIS)” e di un’altra conversazione del (OMISSIS) in cui si direbbe che “non si muove foglia che voi due non volete;
c) il ruolo avuto da tale avv. (OMISSIS) presso il cui studio legale si sarebbero incontrati periodicamente (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche’ il paventato coinvolgimento di (OMISSIS) nel tentativo di condizionare, anche attraverso (OMISSIS), le competizioni elettorali susseguitesi negli anni.
7. Anche in tal caso la motivazione e’ viziata per ragioni non diverse da quelle gia’ evidenziate.
Quanto al dispositivo della sentenza di condanna emessa dal Giudice dell’udienza preliminare, si tratta di una notizia di decisione da cui non puo’ farsi discendere alcun effetto estensivo automatico, soprattutto “in malam partem”, nei riguardi del ricorrente.
Quanto ai rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), si tratta di un tema che indubbiamente esiste ma che il Tribunale utilizza ancora una volta in maniera indistinta, sovrapponendo fatti molto risalenti nel tempo, valorizzando singole frasi intercettate in singole conversazioni telefoniche, attribuendo al tentativo di (OMISSIS) di infiltrarsi nella vita politica un significato che funge da presupposto per ritenere che (OMISSIS) sia il “motore immobile della movida politica – economica – istituzionale reggina” (cosi’ l’ordinanza a pag. 18).
Anche sotto tale profilo, il tema della partecipazione all’associazione segreta mafiosa e’ stato considerato sul piano cautelare inconsistente, ma il Tribunale della liberta’ finisce per attribuire a detto tema ancora un ruolo di cornice, di collante, di quadro di riferimento, al cui interno vengono poi collocate vicende, storie personali, fatti, relazioni clientelari, in astratto anche penalmente rilevanti, che, tuttavia, si possono porre in una dimensione potenzialmente illecita, ma diversa, in quanto “ordinaria”.
Esiste obiettivamente una scissione, una frattura, un salto motivazionale fra la premessa da cui l’ordinanza muove – (OMISSIS) avrebbe fatto parte di quella societa’ mafiosa, segreta, dal programma quanto mai ambizioso- e il contenuto delle condotte in concreto ascrivibili all’indagato, che paiono collocarsi, allo stato, su un livello obiettivamente grave ma inferiore; comportamenti gravi che potrebbero essere stati compiuti prescindendo dal tema dell’associazione segreta e che possono essere oggetto di valutazione al fine del giudizio sulla personalita’ dell’indagato e, dunque, del quadro cautelare.
Sul punto l’ordinanza deve essere annullata; il Tribunale riformulera’ il giudizio relativo alle esigenze cautelari, tenendo conto, quanto alla valutazione della personalita’ dell’indagato, delle considerazioni esposte.
Nel formulare il nuovo giudizio sulle esigenze cautelari alla stregua dei principi indicati, valutera’ inoltre il dato relativo alla eta’ anagrafica dell’indagato.
8. Il Tribunale della liberta’ di Reggio Calabria ha sostenuto che l’articolo 275 c.p.p., comma 4, secondo periodo, relativo al divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere, riferito agli imputati che abbiano superato l’eta’ di settanta anni troverebbe applicazione solo al momento genetico del titolo “non puo’ essere disposta” (cosi’ testualmente la norma) a differenza della previsione di cui al primo periodo dello stesso comma della norma in esame, che invece, quanto a determinate altre categorie di soggetti, farebbe riferimento anche al rapporto cautelare in corso “Non puo’ essere disposta ne’ mantenuta” (cosi’ la norma).
Si tratta di una interpretazione non condivisibile.
La norma, al di la’ del suo dato testuale, deve essere interpretata in conformita’ con i principi che reggono il sistema cautelare ed anche il dato testuale non pare incompatibile con una interpretazione differente da quella recepita nella ordinanza impugnata.
Il legislatore, nella logica delle puntualizzazioni applicative del principio di adeguatezza, ha previsto, operando in concreto un bilanciamento tra una pluralita’ di esigenze, che, ricorrendo in positivo o in negativo alcune condizioni soggettive, non sia applicata la misura della custodia cautelare in carcere.
Le situazioni soggettive prese in considerazione riguardano persone che – per condizioni fisiche o psichiche – manifestano una pericolosita’ attenuata.
La Corte costituzionale ha espressamente chiarito che il divieto di cui alla norma in esame ha carattere generale, prescinde dal titolo di reato e non e’ riferibile alle sole ipotesi considerate all’articolo 275 c.p.p., comma 3.
Si e’ in presenza di una deroga, sia pur soggetta a condizioni e limiti, ai criteri che i commi precedenti del medesimo articolo dettano in tema di applicazione delle misure cautelari e, quindi, anche, ma non solo, alla presunzione legale stabilita al comma precedente. (cosi’, testualmente Corte Cost. n. 17 del 2017; nello stesso e’ la giurisprudenza della Corte di cassazione, Sez. 2, n. 11714 del 30/04/2014; Sez. 1, n. 5840 del 15/01/2008).
Ha spiegato la Corte Costituzionale che il divieto in questione e’ dunque frutto del giudizio di valore operato dal legislatore, il quale stabilisce che, nei termini e nei limiti ricordati, sulla esigenza processuale e sociale della coercizione intramuraria deve prevalere la tutela di un altro interesse di rango costituzionale (sentenze n. 239 del 2014 e n. 177 del 2009; ordinanza n. 145 del 2009).
La protezione che viene assicurata dal sistema a determinate categorie di soggetti, definibili deboli, risponde dunque al piu’ generale principio che vieta di aggravare le conseguenze gia’ insite in una ordinaria detenzione e fa leva sul presupposto che, proprio le particolari condizioni di tali soggetti, affievoliscono le esigenze cautelari.
Per i soggetti in questione, lo Stato non rinuncia ad esercitare una qualsivoglia forma di prevenzione attraverso l’applicazione di misure cautelari, ma stabilisce come le esigenze possano essere soddisfatte da altre misure rispetto alla custodia carceraria, in applicazione dei principi vigenti in materia.
Quanto ai soggetti con eta’ maggiore a settanta anni, la giurisprudenza ha individuato la ratio della presunzione in esame nello “scadimento delle facolta’ fisiche e psichiche del soggetto (ultrasettantenne)” (Sez. 1, n. 2342 del 18/05/1994, Abbate, Rv. 198327 nelle “particolari esigenze di soggetti che si trovino in condizioni fisiche e psicofisiche particolari” (Sez. 1, n. 6610 del 10/12/1996, dep. 1997, Verdini, Rv 206773), nella “presupposizione di un “naturale” affievolimento delle esigenze cautelari, giustificato proprio dalle specifiche condizioni in cui tali soggetti (“soggetti deboli”) versano” con la conseguente necessita’ di approntare strutture “lato sensu alternative alla custodia intramuraria” (Sez. 2, n. 11714 del 16/03/2012, Ruoppolo).
L’articolo 275 c.p.p., comma 4, manifesta un vincolo normativo di inadeguatezza della custodia cautelare superabile solo a seguito dell’accertamento della sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.
Un divieto, anche quello nei riguardi delle persone con eta’ superiore ai settanta anni, che trova la sua ragione giustificativa nel principio di adeguatezza che esprime l’esigenza che vi sia una necessaria corrispondenza tra le ragioni cautelari da tutelare nel caso concreto e la misura al riguardo da adottare o adottata.
Tale necessaria corrispondenza deve sussistere costantemente, in ogni stato e grado del procedimento; la misura cautelare deve essere sempre quella che appare piu’ adeguata a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto e che restringa la liberta’ personale dell’indagato nella sola misura necessaria e sufficiente a tale scopo, senza sacrifici inutilmente vessatori.
Il principio di adeguatezza si ricollega infatti a quello di gradualita’ delle misure cautelari; esso assume rilievo durante tutto l’iter cautelare, dalla richiesta di applicazione della cautela, alla istanza di revoca o sostituzione; l’articolo 277 c.p.p. dispone in tal senso che le modalita’ di esecuzione delle misure devono salvaguardare i diritti delle persone ad esse sottoposte, il cui esercizio non sia incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto.
La vicenda cautelare presuppone una visione unitaria e diacronica dei presupposti che la legittimano, nel senso che le condizioni cui l’ordinamento subordina l’applicabilita’ di una determinata misura devono sussistere non soltanto all’atto della applicazione del provvedimento cautelare, ma anche per tutta la durata della relativa applicazione. Adeguatezza e proporzionalita’ devono quindi assistere la misura, “quella” specifica misura, non soltanto nella fase genetica, ma per l’intero arco della sua “vita” nel processo, giacche’, ove cosi’ non fosse, si assisterebbe ad una compressione della liberta’ personale qualitativamente o quantitativamente inadeguata alla funzione che essa deve soddisfare con evidente compromissione del quadro costituzionale di cui si e’ innanzi detto (cosi’ testualmente, Sez. U., n. 16085 del 31/03/2011, Khalil, Rv. 249324).
Se dunque la norma in esame e’ espressione del principio di adeguatezza e se il principio in questione costituisce per il giudice un riferimento continuo nel corso di tutto il procedimento cautelare, non vi sono ragioni per ritenere che detto principio debba essere derogato nel caso di indagato che abbia superato i settanta anni di eta’ nel corso della esecuzione della misura custodiale.
Tali principi sono stati direttamente o indirettamente recepiti dalla giurisprudenza dalla Corte di cassazione che ha ritenuto applicabile il disposto dell’articolo 275 c.p.p., comma 4, anche in un momento successivo alla emissione del titolo.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita’, la presunzione di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 3, che impone l’applicazione della custodia in carcere quando sussistano gravi indizi in ordine a determinati reati e non risultano acquisiti elementi di esclusione delle esigenze cautelari, e’ opposta a quella fissata dall’articolo cit., comma 4, che esclude l’applicabilita’ della custodia in carcere nei confronti di chi ha superato l’eta’ di settanta anni, a prescindere dalle condizioni di salute in cui versa, salvo la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.
La seconda presunzione, “in bonam partem”, prevale sulla prima “in malam partem”.
Da cio’ deriva che, secondo la Corte, per mantenere lo stato di custodia carceraria di un ultrasettantenne, il giudice deve valutare come eccezionali le esigenze cautelari, anche quando sussistano gravi indizi in ordine ai reati di cui all’articolo cit., comma 3, dando specifica e adeguata motivazione, e che, nell’assenza di siffatte eccezionali esigenze, ossia in presenza di esigenze cautelari tipiche o normali, e’ potere-dovere del giudice disporre misure coercitive meno afflittive della custodia in carcere (Sez. 1, n. 15911 del 19/032015, Caporrimo, Rv. 263088; Sez. 6, n. 3506 del 3/11/1999, Galgano, Rv. 214949, secondo cui “per mantenere lo stato di custodia carceraria di un ultrasettantenne, il Giudice deve valutare come eccezionali le esigenze cautelari anche quando sussistono gravi indizi in ordine ai reati di cui all’articolo cit., comma 3, dando specifica e adeguata motivazione, e che, nell’assenza di siffatte eccezionali esigenze, ossia in presenza di esigenze cautelari tipiche o normali, e’ potere – dovere del Giudice disporre misure coercitive meno afflittive della custodia in carcere; nello stesso senso, Sez. 1, n. 3096 del 19/04/1999, Gelli, Rv. 213389).
Non vi sono ragioni per ritenere che anche nel corso della fase cautelare il giudice non possa essere chiamato a valutare l’adeguatezza della misura custodiale rispetto ad un indagato che abbia compiuto settanta anni dopo l’emissione del titolo cautelare.
9. Il Tribunale della liberta’ di Reggio Calabria, riformulato nel senso indicato il giudizio prognostico sul pericolo di recidiva e verifichera’ se in concreto nel caso di specie sussistano esigenze di eccezionale rilevanza tali da prevalere sul divieto generale di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 4, in ragione dell’eta’ del ricorrente.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

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