Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 4 maggio 2016, n. 18512
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Genova, con provvedimento del 26/01/2016, ha respinto l’appello presentato nell’interesse di K.Y. escludendo che sia decorso il termine massimo della custodia cautelare in carcere alla quale è sottoposto dal 4 aprile 2015 per i reati ex artt. 337 e 582 cod. pen., anche tenendo conto della sentenza di condanna in primo grado a otto mesi e venti giorni di reclusione emessa l’11/05/2015. A questa conclusione il Tribunale perviene rilevando che nel corso della custodia cautelare in carcere – nei confronti di K. è stato emesso ordine di carcerazione per espiare, per altra causa, una pena detentiva di cinque mesi e venticinque giorni decorrenti dall’ordine di carcerazione, e da questo derivando che il decorso del termine della durata della misura cautelare è sospeso dal 31 ottobre 2015, giorno in cui è stato notificato l’ordine di carcerazione.
2. Nel ricorso in esame, il difensore di K. chiede che l’ordinanza del Tribunale di Genova sia annullata deducendo che, comunque, la custodia cautelare perde efficacia quando la sua durata risulta non inferiore alla pena irrogata con la sentenza di condanna, sia pure non definitiva, anche se nel frattempo il ricorrente è stato detenuto in esecuzione di un preesistente titolo.
Considerato in diritto
1. L’articolo 300, comma 4, cod. proc. pen. dispone che la custodia cautelare perde efficacia “quando è pronunciata sentenza di condanna, ancorché sottoposta a impugnazione, se la durata della custodia già subita non è inferiore all’entità della pena irrogata”.
1.1. Secondo un indirizzo, nella sua applicazione deve tenersi conto del periodo in cui il soggetto è stato contestualmente detenuto in custodia cautelare e in esecuzione di pena per un preesistente titolo, perché anche in questo caso sono superati i termini massimi di custodia cautelare ex art. 297, comma 5, cod. proc. pen., da computare – stante la sentenza di condanna – non ex art. 303 cod. proc. pen., ma in relazione alla pena in concreto inflitta. Il limite posto alla durata della custodia cautelare deriva da una proporzione, fissa dal legislatore, tra la gravità del reato e la limitazione della libertà personale di un soggetto per il quale vale la presunzione di innocenza, sicché quando alla astratta previsione normativa (tra un minimo e un massimo di pena) subentra la quantificazione giudiziale della pena, nel caso previsto dall’art. 300, comma 4 cod. proc. pen., la misura cautelare deve cessare. Il duplice (e provvisorio) collegamento dello stesso periodo di detenzione sia alla finalità cautelare sia a quella espiativa evita una dilatazione dello custodia cautelare e, al contempo, la rende impermeabile alle vicende della esecuzione della pena carceraria. Tuttavia, dopo che è stata determinata (seppur con sentenza non passata in giudicato) una pena inferiore o pari alla custodia cautelare già sofferta, la porzione di carcerazione che la eccede perde giustificazione, sicché il suo protrarsi va attribuito solo alla pena in fase di espiazione. Se un soggetto in custodia cautelare deve essere scarcerato per il superamento dei termini massimi ex art. 303 cod. proc. pen., allora – a fortiori deve esserlo quando la custodia cautelare supera, in concreto, la pena inflitta (Cass. pen., Sez. 5, n. 47998 del 10/10/2014, Rv. 262102).
1.2. Invece, secondo altro indirizzo – che applica il principio per cui uno stesso periodo di detenzione non può connettersi a più titoli giustificativi – se è emesso ordine di esecuzione della pena nei confronti di chi è sottoposto a custodia cautelare per altro fatto, il periodo successivo all’inizio della carcerazione non può computarsi nella pena detentiva che per quel fatto andrà scontata (se interviene condanna definitiva), tranne che per la frazione trascorsa in stato di custodia cautelare senza sovrapposizione con l’espiazione della pena. L’idea è che, essendo la durata massima della custodia cautelare e la durata della pena inflitta categorie eterogenee (la prima è relativa a un profilo astratto, mentre la seconda è un dato concreto), devono escludersi esecuzioni sincrone della custodia cautelare e del titolo esecutivo, con la sola eccezione della equiparabilità “ai soli effetti del computo dei termini di durata massima” della custodia cautelare (Cass. pen., Sez. 2, n. 4152 del 20/01/2015, Rv. 263192; Sez. 1, n. 30831 del 27/06/2006, Rv. 234795).
1.3. I due indirizzi sopra richiamati si ispirano a approcci diversi alla questione: il primo cura di mantenere una effettiva correlazione fra lo scorrere temporale della custodia e il decorso dei termini della sua durata, il secondo obbedisce a canoni di rigore concettuale tanto nitidi quanto astratti. Tuttavia, entrambi tralasciano una piana interpretazione letterale dell’art. 297, comma 5, cod. proc. pen.: “Se l’imputato è detenuto per un altro reato o è internato per misura di sicurezza, gli effetti della misura decorrono dal giorno in cui è notificata l’ordinanza che la dispone, se sono compatibili con lo stato di detenzione o di internamento; altrimenti decorrono dalla cessazione di questo. Ai soli effetti del computo dei termini di durata massima, la custodia cautelare si considera compatibile con lo stato di detenzione per esecuzione di pena o di internamento per misura di sicurezza”. Diversamente da altre misure cautelari, la custodia cautelare in carcere è pienamente compatibile con la detenzione per l’espiazione di una pena detentiva, infatti esse sono eseguibili contemporaneamente. Ne deriva che, per tutti gli effetti “del computo dei termini di durata massima” – quindi anche quello ex art. 300, comma 4, cod. proc. pen. – l’instaurarsi della seconda non sospende il decorso della durata della prima, sicché la custodia cautelare in carcere perde efficacia “quando è pronunciata sentenza di condanna, ancorché sottoposta a impugnazione, se la durata della custodia già subita non è inferiore all’entità della pena irrogata”.
2. Nel caso in esame, il termine di nove mesi ex art. 303, comma 1, lett. c) n. 1. cod. proc. pen. decorre dalla data della sentenza di condanna in primo grado emessa l’11 maggio 2015 e sarebbe scaduto ordinariamente l’11 febbraio 2016 ma, essendo intervenuta condanna in primo grado a una pena minore (otto mesi e giorni 20), risulta scaduto prima ex art. 300, comma 4, cod. proc. pen. prima, ossia il 24 dicembre 2015.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone l’immediata scarcerazione di K.Y. se non detenuto per altra causa.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 cod. proc. pen
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