Distinzione tra domanda ed eccezione riconvenzionale

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 5 marzo 2019, n. 6318.

La massima estrapolata:

La distinzione tra domanda ed eccezione riconvenzionale non dipende dal titolo posto a base della difesa del convenuto, ma dal relativo oggetto, vale a dire dal risultato processuale che lo stesso intende con essa ottenere, che e’ limitato, nel secondo caso, quello dell’eccezione riconvenzionale, al rigetto della domanda proposta dall’attore. Solo in tale ipotesi, che pero’ non ricorre nel caso di specie, non sussistono limiti al possibile ampliamento del tema della controversia da parte del convenuto, il quale puo’ allegare fatti o rapporti giuridici prospettati come idonei a determinare l’estinzione o la modificazione dei diritti fatti valere dall’attore, ed in base ai quali si chiede la reiezione delle domande da questo proposte e non una pronunzia di accoglimento di ulteriori e diverse domande
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non basta la prova dell’espletamento dell’opera e dell’entita’ delle prestazioni fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale (articolo 636 c.p.c.), spettando al professionista, nella sua qualita’ di attore, fornire gli elementi dimostrativi della pretesa, per consentire al giudice la verifica delle singole prestazioni svolte e la loro corrispondenza con le voci e gli importi indicati nella parcella;
Ogni contestazione, anche generica, in ordine all’espletamento e alla consistenza dell’attivita’, e’ idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di verificare anche il “quantum debeatur” senza incorrere nella violazione dell’articolo 112 c.p.c.

Sentenza 5 marzo 2019, n. 6318

Data udienza 14 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5755/2017 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), con domicilio ex lege in Roma presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso Studio (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 371/16 della Corte d’Appello di Salerno, depositata il 12/07/2016.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 14 dicembre 2018 dal Consigliere Dott. Marilena Gorgoni.



FATTI DI CAUSA

(OMISSIS), assumendo di aver diritto alle competenze professionali relative alla realizzazione del progetto e alla direzione dei lavori di sopraelevazione e di ristrutturazione della villa di proprieta’ di (OMISSIS), otteneva dal Tribunale di Salerno il decreto n. 2736/1994, con cui veniva ingiunto alla proprietaria il pagamento della somma di Lire 62.570.173, maggiorata dell’IVA e degli interessi di mora.
L’opposizione di (OMISSIS) veniva rigettata dal Tribunale che confermava il decreto ingiuntivo, condannava alle spese l’opponente e ne rigettava la domanda riconvenzionale.
La Corte d’Appello di Salerno, con la sentenza, n. 371/16, oggetto della odierna impugnazione, confermava la decisione di primo grado.
In particolare, la Corte territoriale riteneva che l’eccezione di inadempimento, formulata con la domanda riconvenzionale, avesse contenuto innovativo rispetto alla questione da decidere come originariamente rappresentata – la natura gratuita delle prestazioni professionali rese dall’opposto – e che essendo stata presentata per l’udienza di trattazione, in assenza di contraddittorio, dovesse reputarsi inammissibile. Da tale inammissibilita’ il giudice faceva discendere l’inammissibilita’ della domanda di compensazione, dato che il credito vantato dall’opponente sarebbe derivato proprio dall’asserita negligenza nell’esecuzione della prestazione professionale da parte dell’ingegnere. Quanto alla gratuita’ della prestazione essa veniva ritenuta non provata dall’opponente, non bastando a tal fine la circostanza che con il professionista all’epoca dello svolgimento dell’incarico ricorresse una relazione affettiva ne’ le prove testimoniali raccolte, una delle quali proveniente dalla figlia dell’attuale ricorrente; quale conseguenza di cio’ il giudicante riteneva non vi fossero i presupposti per invocare la prescrizione presuntiva. Le censure relative al quantum venivano rigettate per difetto di prova da parte dell’opponente di una diversa qualificazione del compenso richiesto dal professionista e per l’indetraibilita’ della somma di Lire 23.000.000 versata a (OMISSIS), stante l’incertezza del titolo di tale spostamento patrimoniale.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione (OMISSIS), fondato su tre motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso (OMISSIS).



RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo la ricorrente denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., comma 1, nonche’ dell’intero Titolo II del libro VI del codice civile – L’attore in senso sostanziale non ha in alcun modo provato di avere eseguito tutte le prestazioni professionali indicate nella parcella posta base del decreto ingiuntivo opposto ed esplicitamente contestata dalla convenuta”.
La censura riguarda l’asserita carenza probatoria in ordine all’ammontare delle competenze professionali richieste da (OMISSIS), dato che l’unica prova relativa al valore delle opere effettivamente realizzate era, ad avviso della ricorrente, costituita dal “computo metrico finale dei lavori eseguiti debitamente sottoscritto dal professionista”.
2) Il motivo e’ infondato.
I principi che regolano la fattispecie sono i seguenti:
– nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non basta la prova dell’espletamento dell’opera e dell’entita’ delle prestazioni fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale (articolo 636 c.p.c.), spettando al professionista, nella sua qualita’ di attore, fornire gli elementi dimostrativi della pretesa, per consentire al giudice la verifica delle singole prestazioni svolte e la loro corrispondenza con le voci e gli importi indicati nella parcella (Cass. 15/01/2018, n. 712);
– ogni contestazione, anche generica, in ordine all’espletamento e alla consistenza dell’attivita’, e’ idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di verificare anche il “quantum debeatur” senza incorrere nella violazione dell’articolo 112 c.p.c. (ex multis Cass. 15/01/2018, n. 712).
Applicando tali principi alla fattispecie concreta, si rileva che la Corte territoriale aveva preso atto che l’opponente aveva contestato le voci relative all’assistenza e al collaudo, ma non le altre voci, ed aveva proceduto, proprio sulla scorta di tale contestazione, alla richiesta verifica del quantum debeatur, traendo la conseguenza che tutta la fase di realizzazione dei lavori di sopraelevazione della villa risultasse documentalmente e che la qualita’ di direttore dei lavori presupponesse anche la tenuta della contabilita’ e il collaudo dell’opera, salvo prova contraria che tra le parti sul punto fosse intercorsa una diversa pattuizione (difettante nel caso di specie).
Va ribadito, inoltre, che la valutazione delle prove e’ attivita’ che spetta al giudice di merito e non puo’ essere oggetto di scrutinio di legittimita’; va aggiunto che (OMISSIS) non ha eccepito di non avere conferito sia l’incarico di redazione del progetto sia di quello di direzione dei lavori a (OMISSIS) cui si riferiscono le pretese creditorie di quest’ultimo (si’ da contestarne il titolo, avendo solo cercato di dimostrare la gratuita’ dell’accordo), ma non ha neppure eccepito l’inadempimento totale o parziale della prestazione professionale; tantomeno ha provato di avere versato al professionista quanto gli spettava.
2) Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la “violazione e falsa applicazione degli articoli 166, 183 e 184 c.p.c., nella previgente formulazione ante riforma ex L. n. 353/90 – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., sulle eccezioni riconvenzionali”.
In particolare (OMISSIS) lamenta che il giudice a quo, pur avendo corre’ttamente osservato che al giudizio a cognizione piena si applicavano gli articoli 166, 183 e 184 c.p.c., nel testo precedente la riforma del 1990, aveva dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale e, in aggiunta, non aveva emesso alcuna pronuncia sulla eccezione di compensazione.



3) Con il terzo motivo la ricorrente rinuncia alla domanda riconvenzionale nel tentativo di risolvere finalmente la pluriennale controversia facendo valere solo quali eccezioni riconvenzionali le relative doglianze in subordine rispetto all’eccezione di cui al primo motivo di ricorso.
4) Le questioni sono connesse e percio’ possono essere oggetto di trattazione unitaria.
La censura formulata con il secondo motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha chiarito in modo corretto che la domanda riconvenzionale veniva respinta non in ragione della sua (eventuale) intempestivita’, cui si riferiscono le argomentazioni della ricorrente, bensi’ per il suo contenuto innovativo, non avendo la ricorrente mai dedotto in precedenza – si’ da consentire il contraddittorio sul punto e, quindi, l’esercizio del diritto di difesa – che (OMISSIS), nell’espletamento dell’incarico, fosse incorso in negligenza professionale, con relativa domanda risarcitoria.
Il risultato non cambia riqualificando la richiesta come eccezione riconvenzionale, perche’ il suo contenuto – il risarcimento dei danni derivanti dal mancato utilizzo del fabbricato per il periodo di sospensione dei lavori e dai costi necessari a rimuovere i vizi causati dalle omissioni e dalle negligenze del professionista – esorbita da quello della eccezione riconvenzionale, avvalendosi della quale il deducente non puo’ tendere a conseguire una utilita’ pratica (il risarcimento del danno, nel caso di specie).
La distinzione tra domanda ed eccezione riconvenzionale, insegna la giurisprudenza di questa Corte, non dipende dal titolo posto a base della difesa del convenuto, ma dal relativo oggetto, vale a dire dal risultato processuale che lo stesso intende con essa ottenere, che e’ limitato, nel secondo caso, quello dell’eccezione riconvenzionale, al rigetto della domanda proposta dall’attore. Solo in tale ipotesi, che pero’ non ricorre nel caso di specie, non sussistono limiti al possibile ampliamento del tema della controversia da parte del convenuto, il quale puo’ allegare fatti o rapporti giuridici prospettati come idonei a determinare l’estinzione o la modificazione dei diritti fatti valere dall’attore, ed in base ai quali si chiede la reiezione delle domande da questo proposte e non una pronunzia di accoglimento di ulteriori e diverse domande (Cass. 25/10/2016, n. 21472).
5) Ne consegue il rigetto del ricorso.
6) Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
7) Si da’ atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico della ricorrente il doppio del contributo unificato.



P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 4.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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