Corte di Cassazione, civile,
Ordinanza|15 giugno 2022| n. 19335.
Diritto d’autore e la titolarità esclusiva dei diritti di sfruttamento
In tema di diritto d’autore, la titolarità esclusiva dei diritti di sfruttamento economico, per le opere dell’ingegno realizzate su commissione, spetta al committente solo laddove l’attività inventiva e la creazione dell’opera costituiscano l’oggetto del contratto di lavoro autonomo o di appalto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito secondo cui la realizzazione dei “files sorgente” – ossia i files aperti e modificabili – non rientrava nell’oggetto del contratto concluso con una casa farmaceutica, avendo rappresentato un mero passaggio seguito dall’appaltatore per adempiere al contratto e fornire al committente il “corpus mechanicum”, ossia i files esecutivi relativi a immagini di confezioni, foglietti illustrativi e materiale pubblicitario inerente ai farmaci commercializzati).
Ordinanza|15 giugno 2022| n. 19335. Diritto d’autore e la titolarità esclusiva dei diritti di sfruttamento
Data udienza 8 giugno 2022
Integrale
Tag/parola chiave Diritto d’autore – Richiesta di restituzione dei files aperti – Files informatici in formato sorgente apribili e modificabili – Richiesta di una agenzia grafica alla società committente – Art. 12 bis l.d.a. aggiunto dall’articolo 3 dlgs 518/1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27059/2017 R.G. proposto da:
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo Studio Legale (OMISSIS) rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), in forza di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), e rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS), in forza di procura speciale su foglio separato allegato al ricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 3898/2017 depositata l’11.9.2017,
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8.6.2022 dal
Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.
Diritto d’autore e la titolarità esclusiva dei diritti di sfruttamento
FATTI DI CAUSA
1. La s.r.l. (OMISSIS), societa’ farmaceutica operante nel settore dell’importazione parallela di farmaci, ha evocato in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano la s.r.l. (OMISSIS), agenzia di grafica, per sentirla condannare alla restituzione dei files aperti, ossia dei files informatici in formato sorgente, apribili e modificabili, sulla base dei quali la convenuta aveva realizzato per conto di (OMISSIS), in assenza di un contratto scritto, nel periodo 2006-2012 i files grafici esecutivi, relativi a immagini di confezioni, foglietti illustrativi e materiale pubblicitario inerente ai farmaci che essa importava e commercializzava.
(OMISSIS), che non si era opposta alla consegna ma aveva preteso un corrispettivo, indicato dapprima in Euro 60.000,00 e poi ridotto a Euro 22.500,00, ha chiesto il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Milano con sentenza dell’11.9.2015 ha accertato che (OMISSIS) era esclusiva titolare di ogni diritto sui files e ha condannato (OMISSIS) alla loro restituzione, a condizione del versamento di Euro 4.000,00 a titolo di rimborso spese, nonche’ alla rifusione delle spese di lite.
2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello (OMISSIS), a cui ha resistito l’appellata (OMISSIS).
La Corte di appello di Milano con sentenza dell’11.9.2017 ha accolto il gravame, dichiarando che i diritti sui files sorgente realizzati dal 2006 al 2012 competeva a (OMISSIS), e, preso atto della disponibilita’ di (OMISSIS) alla consegna, peraltro ormai avvenuta, a fronte del pagamento di un equo corrispettivo, ha determinato tale importo in Euro 22.500,00, somma da ultimo indicata dalla stessa (OMISSIS), ponendo le spese di lite del doppio grado a carico di (OMISSIS).
La Corte di appello ha premesso che ai sensi della legge sul diritto d’autore era tutelabile l’opera dell’ingegno caratterizzata anche solo da un modesto grado di creativita’; ha quindi evidenziato che nella specie si discuteva di diritti su elaborati grafici realizzati con mezzi informatici e occorreva distinguere il corpus mysticum dal corpus mechanicum, ossia l’idea di concezione grafica dalla sua materiale rappresentazione; ha affermato che il contratto fra le parti riguardava solo i files esecutivi e non i files di lavorazione dell’agenzia grafica, che erano documenti digitali di lavoro in cui venivano collocate tutte le istruzioni dell’elaborato creativo; ha ritenuto che esistesse un contributo creativo, seppur modesto, di (OMISSIS), anche se questa riceveva da (OMISSIS) una serie di specifiche e vincolanti prescrizioni sul contenuto degli elaborati; ne ha tratto la conclusione che il titolo originario sull’opera competeva a (OMISSIS) e non vi era prova che il contratto riguardasse anche i files sorgente, tenuto conto anche dell’andamento del rapporto in cui per sei anni a (OMISSIS) erano stati consegnati solo i files immodificabili.
3. Avverso la predetta sentenza, notificata in data 15.9.2017, ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) con atto notificato l’11.9.2017, svolgendo tre motivi.
Con atto notificato il 21.12.2017 ha proposto controricorso (OMISSIS), chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ o il rigetto dell’avversaria impugnazione.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la ricorrente (OMISSIS) denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione della L. n. 633 del 1941, articoli 1, 2, 4, 6, 18 (di seguito, semplicemente l.d.a.), nonche’ degli articoli 1655, 1665, 2575 e 2576 c.c., nonche’ nullita’ della sentenza e del procedimento per violazione dell’articolo 115 c.p.c..
4.1. La ricorrente, in primo luogo, lamenta che la Corte territoriale abbia applicato la tutela autorale in favore di (OMISSIS), nonostante il riconoscimento dell’insussistenza dei presupposti della creativita’ e dell’autonomia dell’autore, e sia pervenuta per tale via ad escludere gli effetti del carattere generalmente traslativo dell’appalto.
Secondo la ricorrente, la stessa Corte di appello avrebbe riconosciuto per tabulas l’insussistenza dei presupposti necessari della creativita’ ed autonomia dell’autore, per poi tutelare contraddittoriamente il frutto della sua attivita’ come opera dell’ingegno.
4.2. La predetta censura si basa su di una lettura non corretta della sentenza impugnata che, dopo aver premesso la necessita’ di una elaborazione creativa originale per la configurabilita’ di un’opera dell’ingegno protetta, ha affermato che tuttavia erano tutelabili anche idee e nozioni semplici, purche’ formulate e organizzate in modo personale, e caratterizzate anche da un modesto tasso di creativita’ (sentenza impugnata, pag. 7).
A pagina 9, la Corte milanese, pur riconoscendo che (OMISSIS) doveva tradurre specifiche e vincolanti prescrizioni di mercato in istruzioni pratiche per (OMISSIS) e che la resa estetica relativa alle scelte cromatiche del confezionamento scontava la “pervasivita’ delle indicazioni di (OMISSIS)”, ha ritenuto che il frutto, pur modesto, dell’ingegno grafico nell’elaborazione dei files da parte di (OMISSIS) meritasse protezione in quanto oggetto di una autonoma elaborazione e caratterizzato da un atto creativo esternamente manifestato che “costituiva il frutto di una scelta autonoma fra quelle tecniche possibili e non imposte da (OMISSIS).”
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Non esiste quindi la contraddizione interna stigmatizzata dalla ricorrente.
4.3. Per il resto, la ricorrente chiede indebitamente a questa Corte di legittimita’ di rivalutare il materiale istruttorio e, confrontandosi direttamente con le prove, di rivedere il giudizio espresso dai giudici del merito circa il carattere non necessitato dell’attivita’ di elaborazione da parte di (OMISSIS) e del conseguente tasso, pur modesto, di creativita’ da essa scaturente.
4.4. Secondo la ricorrente, la Corte di appello avrebbe erroneamente attribuito al file sorgente – da essa altrettanto erroneamente confuso con il concetto di file aperto e modificabile la qualita’ di software, cosi’ risolvendo la quaestio facti sulla base di un doppio errore.
La confusione in cui la Corte sarebbe incorsa avrebbe conseguentemente viziato il suo ragionamento nell’applicare alla fattispecie le corrette norme giuridiche.
4.5. La Corte di appello non ha affatto qualificato come software i files esecutivi (sorgente apribili e modificabili) sulla base dei quali (OMISSIS) aveva realizzato i files esecutivi “in modo del tutto discrezionale, con esclusivo utilizzo delle competenze tecniche e con un’autonoma attivita’ creativa con l’impiego di propri software, licenze e plug-in specifici, avendo operato una scelta soggettiva per una forma piuttosto che per un’altra”.
La Corte, tuttavia, ha ritenuto che detti files, matrice suscettibile di combinazioni e modificazioni, frutto di una elaborazione originale, fossero tutelabili quale corpus mystichum del diritto d’autore, da tenersi concettualmente distinto dal corpus mechanicum, ossia i files esecutivi consegnati committente a (OMISSIS) committente in forza del contratto.
L’equivoco denunciato (e basato solo sulla citazione giurisprudenziale di Cass. 13524/2014) non sussiste.
La Corte a piu’ riprese distingue fra il software oggetto di apposita licenzia di cui (OMISSIS) si e’ avvalsa e il frutto di tale utilizzo, ossia i files sorgente aperti e modificabili, contrapposti ai files esecutivi che costituivano, a suo parere, l’unico oggetto della prestazione contrattuale di consegna.
4.6. In secondo luogo, la ricorrente lamenta che (OMISSIS) non avesse fornito prova alcuna dei presupposti per la tutela autorale, con riferimento all’attivita’ elaborativa da essa dispiegata con la conseguente violazione delle norme processuali in tema di prova (articolo 115 c.p.c. e articolo 2697 c.c.).
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Il motivo appare inammissibile perche’ rivolto chiaramente a richiedere una rivalutazione dell’accertamento di fatto e una vera e propria rivisitazione delle risultanze istruttorie.
Non e’ fuor di luogo ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la violazione dell’articolo 115 c.p.c., puo’ essere dedotta come vizio di legittimita’ solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi, riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre.
Analogamente, la violazione dell’articolo 116 c.p.c., e’ idonea a integrare il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4, denunciabile per cassazione, solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova; detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcun piuttosto che a altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso e’ rubricato “della valutazione delle prove” (Sez. 3, 28.2.2017, n. 5009; Sez. 2, 14.3.2018, n. 6231).
Infine la violazione del precetto di cui all’articolo 2697 c.c., si configura solo nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioe’ attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, ma non anche laddove si contesti il concreto apprezzamento delle risultanze istruttorie, assumendosi che le stesse non avrebbero dovuto portare al convincimento raggiunto dal giudice di merito (Sez. 2, 24.1.2020, n. 1634; Sez. lav., 19.8.2020, n. 17313; Sez. 6, 23.10.2018 n. 26769; Sez. 3, 29.5.2018, n. 13395; Sez. 2, 7.11.2017 n. 26366).
4.7. Lamenta infine la ricorrente che la Corte di appello, pur avendo condiviso la tesi di (OMISSIS) sulla configurabilita’ nella fattispecie di un’opera derivata, non ne avrebbe tratto le debite conseguenze subordinando al consenso di (OMISSIS) i diritti di utilizzazione economica dei files aperti.
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Il predetto profilo di censura si basa su di un evidente equivoco.
La Corte di appello non ha mai parlato di opera derivata e ben poco rileva che lo abbia fatto (OMISSIS) nelle sue difese, come rimarca la ricorrente, a pag. 18 del ricorso, con riferimento al tenore dell’avversaria memoria conclusionale di replica in appello; la condivisione dichiarata dalla Corte territoriale, espressa a pagina 9 della sentenza impugnata, penultimo capoverso, e su cui fa leva (OMISSIS), ha un tenore specifico, fra l’altro riportato testualmente fra virgolette, e ben circoscritto al tema della distinzione fra files sorgente e files esecutivi.
5. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli articoli 12 bis e 110 l.d.a., nonche’ degli articoli 1655, 1665, 2222, 2226 e 2581 c.c..
5.1. Secondo la ricorrente il trasferimento dei diritti di utilizzazione economica non era conseguenza della manifestazione della volonta’ delle parti, ma costituiva un effetto naturale del negozio e in particolare del contratto con cui era stata affidata a un soggetto, (OMISSIS), la realizzazione dell’opera.
Tale effetto naturale avrebbe potuto essere derogato ma solo in forza di un patto espresso, nel caso inesistente.
5.2. L’articolo 12 bis l.d.a. – aggiunto dal Decreto Legislativo 29 dicembre 1992, n. 518, articolo 3, e, successivamente, sostituito dal Decreto Legislativo 6 maggio 1999, n. 169, articolo 3, dispone che “Salvo patto contrario, il datore di lavoro e’ titolare del diritto esclusivo di utilizzazione economica del programma per elaboratore o della banca di dati creati dal lavoratore dipendente nell’esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro”.
La disposizione in questione non si riferisce alla fattispecie a giudizio, sia perche’ essa riguarda le opere dell’ingegno dei lavoratori subordinati, sia perche’ riguarda, quanto all’oggetto programmi per elaboratore o banche di dati e lo stesso ricorrente esclude che nella specie il frutto del lavoro di (OMISSIS) sia un software.
5.3. Le altre norme del codice civile invocate dalla ricorrente dettate in materia di contratto di appalto (articoli 1655 e 1665 c.c.) o di contratto di prestazione d’opera (articoli 2222 e 2226 c.c.) non hanno l’efficacia che la ricorrente vorrebbe ascriverle a sostegno della propugnata teoria dell’effetto “generalmente traslativo” del contratto sinallagmatico riconducibile allo schema “do ut facias” (prestazione d’opera o appalto).
Il punto attiene al concetto di opera oggetto della prestazione contrattuale: ci si chiede se esso nel caso concreto possa essere circoscritto al file esecutivo, richiesto, elaborato e consegnato, o si estenda anche al file sorgente o aperto, elaborato ma non consegnato.
5.4. Il tema delle opere dell’ingegno create da autori prestatori di lavoro autonomo su commissione e’ stato ampiamente indagato in dottrina, soprattutto con riferimento ai diritti morali d’autore, ritenuti inseparabili dalla persona dell’autore, irrinunciabili e imprescrittibili, per affermare la loro estraneita’ alla disputa sulla diretta o indiretta attribuzione dei diritti al committente.
Molto si e’ discusso, inoltre, sull’acquisto a titolo originario o derivativo dei diritti di utilizzazione economica sull’opera dell’ingegno da parte del committente; appare convincente al riguardo l’autorevole opinione che, dopo aver distinto fra carattere e modo dell’acquisto, lo ha qualificato derivativo ma effetto del contratto con l’impresa committente, secondo uno schema concettuale analogo a quello disciplinato dal codice per la vendita di cosa futura ex articolo 1472 c.c..
5.5. Il problema posto dalla ricorrente vorrebbe prescindere dal contenuto dell’accordo di volonta’ trasfuso nel contratto d’appalto o di opera e attribuire al committente, almeno presuntivamente e salvo patto contrario, tutti i diritti su tutto quanto realizzato per fornire la prestazione contrattuale.
Il primo e dirimente ostacolo all’accoglimento di questa prospettazione e’ che non vi e’ nessuna prova che oggetto del contratto fosse la elaborazione di un’opera dell’ingegno, e non gia’, come ritenuto dalla Corte di merito, semplicemente la consegna di files esecutivi che riproducessero le informazioni necessarie per il confezionamento e l’illustrazione dei prodotti farmaceutici.
L’elaborazione dell’opera dell’ingegno, ut supra definita, e’ stata configurata solo come un passaggio seguito dall’appaltatrice per adempiere al contratto e fornire a (OMISSIS) quel che e’ stato definito in sentenza come il corpus mechanicum, ossia i files esecutivi.
5.6. Non appaiono quindi pertinenti i richiami giurisprudenziali ai casi giurisprudenziali affrontati da questa Corte di legittimita’, nei quali pacificamente l’oggetto del contratto era la creazione dell’opera dell’ingegno: un format televisivo nel caso deciso dalla Sez. 1, 27.7.2017, n. 18633; uno slogan pubblicitario nel caso deciso dalla Sez. 1, 24.6.2016, n. 13171.
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Altrettanto non pertinente e per le stesse ragioni (anche in quel caso era accertato in fatto che oggetto del contratto d’opera era la realizzazione di un progetto di arredamento per negozi del tipo concept store), deve ritenersi la piu’ recente pronuncia di questa Sezione, n. 8433 del 30.4.2020, non massimata, citata dalla difesa ricorrente in memoria illustrativa, secondo cui “costituisce principio generale in materia di diritto d’autore quello per cui il committente e’ titolare, a titolo derivativo o originario (secondo contrapposte tesi dottrinali), ma in via esclusiva, dei diritti di sfruttamento economico delle opere dell’ingegno realizzate su commissione dal lavoratore autonomo, ove quest’ultimo si sia obbligato, dietro compenso, a svolgere un’attivita’ creativa affinche’ la controparte possa poi sfruttarne economicamente i risultati, spettando invece all’autore i diritti morali”.
Nel caso in esame, invece, non e’ affatto pacifico e nemmeno accertato che la prestazione demandata da (OMISSIS) a (OMISSIS) fosse l’elaborazione di un’opera dell’ingegno, ossia la creazione del file sorgente: questo, nella ricostruzione della sentenza impugnata, era solo un passaggio operativo per adempiere alla prestazione contrattuale di consegna dei files esecutivi.
L’accertamento dell’oggetto del contratto costituisce una questione di fatto, nel caso compiuta dalla Corte di appello alle pagine 10 e 11 della sentenza impugnata.
Non viene quindi in rilievo il principio di diritto invocato dalla ricorrente e certamente noto alla giurisprudenza di questa Corte che presuppone per l’acquisto del diritto di utilizzazione economica da parte del committente che l’oggetto del contratto di lavoro autonomo o di appalto sia proprio la creazione dell’opera.
5.7. La controricorrente menziona nei suoi scritti disciplina introdotta dalla L. 22 maggio 2017, n. 81, articolo 4, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato” (c.d. Jobs Act del lavoro autonomo) che in tema di “Apporti originali e invenzioni del lavoratore” dispone che “Salvo il caso in cui l’attivita’ inventiva sia prevista come oggetto del contratto di lavoro e a tale scopo compensata, i diritti di utilizzazione economica relativi ad apporti originali e a invenzioni realizzati nell’esecuzione del contratto stesso spettano al lavoratore autonomo, secondo le disposizioni di cui alla L. 22 aprile 1941, n. 633, e al codice della proprieta’ industriale, di cui al Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30”.
Tale disciplina, pur non venendo direttamente in rilievo ratione temporis, enuncia esplicitamente il principio, gia’ immanente nel sistema, sopra illustrato e applicato.
6. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli articoli 1362, 1366, 1370 c.c..
6.1. Secondo la ricorrente la sentenza impugnata aveva violato le norme sull’ermeneutica negoziale, dimenticando di applicare la regola interpretativa contro l’autore della clausola (articolo 1370 c.c.), errando nell’interpretazione letterale (articolo 1361 rectius articolo 1362 – c.c.), fondando il decisum sul solo criterio del comportamento delle parti (articolo 1361 – rectius articolo 1362 c.c., comma 2), valutando male il comportamento delle parti (articolo 1362 c.c., comma 2) e trascurando l’interpretazione secondo buona fede (articolo 1366 c.c.).
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6.2. Il motivo e’ inammissibile perche’ volto a contestare l’approdo dell’attivita’ interpretativa del giudice del merito, senza il sostegno – se non del tutto apparente – della deduzione di specifici canoni ermeneutici violati e dell’argomentazione coerente circa le ragioni di tale violazione.
Come ancora recentemente riaffermato da questa Corte (Sez. 2, n. 30686 del 25.11.2019), la denunzia della violazione dei canoni legali in materia d’interpretazione del contratto non puo’ costituire lo schermo, attraverso il quale sottoporre impropriamente al giudizio di legittimita’ valutazioni di esclusivo merito.
Posto che l’accertamento della volonta’ delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli articoli 1362 c.c. e segg., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma e’ tenuto, altresi’, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Sez. 1, n. 9461 del 9.4.2021, Rv. 661265 – 01).
Non e’ quindi certamente sufficiente la mera enunciazione della pretesa violazione di legge, volta a rivendicare il risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, ma e’ necessario, per contro, individuare puntualmente e specificamente il canone ermeneutico violato, correlato al materiale probatorio acquisito.
L’opera dell’interprete mira a determinare una realta’ storica ed obiettiva, ossia la volonta’ delle parti espressa nel contratto, e pertanto costituisce accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimita’ soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli articoli 1362 c.c. e segg., oltre che per vizi di motivazione nella loro applicazione. Percio’, per far valere la violazione di legge, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e ai principi in esse contenuti, ma e’ tenuto, altresi’, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali asseritamente violati; di conseguenza, ai fini dell’ammissibilita’ del motivo di ricorso, non e’ idonea la mera critica del convincimento espresso nella sentenza impugnata mediante la mera contrapposizione d’una difforme interpretazione, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non e’ consentito in sede di legittimita’ (ex multis, Sez. 3, n. 13603 del 21.5.2019, Rv. 653922 – 01; Sez. 3, n. 11254 del 10.5.2018, Rv. 648602 – 01; Sez. 1, n. 29111 del 5.12.2017, Rv. 646340 – 01; Sez. 3, n. 28319 del 28.11.2017, Rv. 646649 – 01; Sez. 1, n. 27136 del 15.11.2017, Rv. 646063 – 02; Sez. 2, n. 18587, 29.10.2012; Sez. 6-3, n. 2988, 7.2.2013).
6.3. Nella specie il ricorrente invoca il criterio della interpretatio contra adstipulatorem di cui all’articolo 1370 c.c. del tutto fuor di luogo, visto che non si verteva in tema di clausole inserite in condizioni generali di contratto, e tantomeno in tema di contratti basati su moduli e formulari predisposti ed anzi non sussisteva alcun contratto scritto, ma solo di pattuizioni verbali che facevano seguito ai preventivi predisposti da (OMISSIS).
Il richiamo agli altri criteri ermeneutici non maschera neppure l’intento di ottenere una rivalutazione dell’accertamento compiuto dal giudice del merito, a cui viene imputato di aver “errato” nell’interpretazione letterale, di aver “valutato male” e di aver “trascurato” l’interpretazione secondo buona fede.
7. Il ricorso, proposto con il corredo di motivi inammissibili infondati, deve quindi esser complessivamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, occorre dar atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte;
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 7.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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