Pluralità di parti ed unitarietà del termine di impugnazione

Corte di Cassazione, civile,
Sentenza|15 giugno 2022| n. 19274.

Pluralità di parti ed unitarietà del termine di impugnazione

In tema di impugnazioni, il principio secondo il quale, nel processo con pluralità di parti, vige la regola dell’unitarietà del termine dell’impugnazione (sicchè la notifica della sentenza eseguita a istanza di una sola delle parti segna l’inizio della decorrenza del termine breve per la proposizione dell’impugnazione contro tutte le altre parti) va interpretato nel senso che detto momento rileva per la decorrenza del termine breve per impugnare, nei confronti del notificante e delle altre parti del giudizio, solo per il notificante stesso e per la parte destinataria della notificazione, atteso che anche ciascuna delle altre parti ha diritto di ricevere la notifica della sentenza, che è condizione per far scattare il termine breve per l’impugnazione.

Sentenza|15 giugno 2022| n. 19274. Pluralità di parti ed unitarietà del termine di impugnazione

Data udienza 16 dicembre 2021

Integrale

Tag/parola chiave Equa riparazione – Processo con pluralità di parti – Unitarietà del termine di impugnazione – Notifica da una delle parti – Decorrenza del termine breve per l’impugnazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 35393/2018 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentate e difese dall’Avv. (OMISSIS), ed elettivamente domiciliate presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma alla Via dei PORTOGHESI 12 domicilia per legge;
– controricorrente –
avverso il decreto di rigetto n. 4565/2018 della CORTE d’APPELLO di BOLOGNA del 13.11.2018;
udita la relazione della causa svolta nella udienza pubblica del 16/12/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

Con decreto depositato in data 4.7.2018 il Consigliere delegato dalla Corte d’Appello di Bologna rigettava il ricorso articolo 3 L. n. 89 del 2001, ex articolo 3, proposto da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali eredi di (OMISSIS), per ottenere il risarcimento del danno per l’irragionevole durata del processo presupposto, ritenendolo inammissibile in quanto proposto oltre il termine semestrale dalla definitivita’ del giudizio.
Avverso detto decreto proponevano opposizione le soccombenti, le quali lamentavano che il Giudice di prima istanza avesse ritenuto applicabile, al fine di individuare il termine di proposizione del ricorso per cassazione nel giudizio presupposto e quindi la data di definitivita’ della sentenza di rinvio, il termine lungo di sei mesi anziche’ quello di un anno, applicabile ratione temporis alla fattispecie. Rilevavano che la sentenza di rinvio n. 884/2017 fosse stata notificata come titolo esecutivo alla controparte (OMISSIS) in data 1.8.2017 e alla controparte (OMISSIS) il 26.3.2018, sicche’ il termine per proporre ricorso per cassazione sarebbe stato quello del 25.5.2018, con conseguente tempestivita’ del ricorso L. n. 89 del 2001, ex articolo 3, depositato il 7.6.2018.
Resisteva al ricorso il Ministro della Giustizia.
Con decreto n. 4565/2018, depositato in data 9.11.2018, la Corte d’Appello di Bologna rigettava l’opposizione condannando le opponenti alle spese di lite. In particolare, osservava la Corte che il Consigliere delegato, nel respingere il ricorso, aveva rilevato che le ricorrenti avevano documentato di aver notificato alla controparte la sentenza del 5.4.2017 del grado di rinvio del processo presupposto in data 1.8.2017 e aveva ritenuto che, non essendo stata allegata e/o documentata la proposizione dell’eventuale ricorso per cassazione, il cui termine scadeva il 31.10.2017, detta sentenza era divenuta definitiva da quest’ultima data, mentre il ricorso per equa riparazione era stato depositato il 7.6.2018, oltre il termine semestrale di cui alla L. n. 89 del 2001, articolo 4. Secondo la Corte territoriale non aveva alcun rilievo la censura delle ricorrenti secondo cui il termine lungo di impugnazione sarebbe stato di un anno, in quanto la sentenza, emessa all’esito del giudizio di rinvio, era stata notificata da (OMISSIS) a tutte le altre parti. Si evidenziava che nei processi con pluralita’ di parti, quando di verta in ipotesi di litisconsorzio necessario, ovvero processuale, e’ applicabile la regola, propria delle cause inscindibili, dell’unitarieta’ del termine per proporre impugnazione, per cui “la notifica della sentenza eseguita ad istanza di una sola delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l’inizio del termine breve per la proposizione dell’impugnazione contro tutte le altre parti, sicche’, ove a causa della scadenza del termine, sia intervenuta la decadenza dall’impugnazione, questa esplica i suoi effetti non solo nei confronti della parte che abbia assunto l’iniziativa di notificare la sentenza, ma anche nei confronti di tutte le altre parti” (Cass. n. 19869/2011; n. 986/2016; n. 14722/2018). Nel caso di specie, nel processo presupposto si configurava una situazione di litisconsorzio necessario, avendo ad oggetto, tra l’altro, la domanda di accertamento della comunione agraria tra tutte le parti, per cui la scadenza del termine per il ricorso per cassazione doveva considerarsi intervenuta trascorsi 60 giorni dalla prima notifica, ossia il 31.10.2017. Pertanto, essendo divenuta definitiva da tale data la sentenza di rinvio, il ricorso della L. n. 89 del 2001, ex articolo 3, risultava tardivo in quanto depositato oltre il termine semestrale di cui alla L. n. 89 del 2001, articolo 4.
Avverso detto decreto propongono ricorso per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di due motivi. Resiste il Ministero della Giustizia con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, le ricorrenti lamentano la “Violazione di legge (articolo 360 c.p.c., n. 3) in connessione con l’articolo 102 c.p.c. in relazione all’articolo 2043 c.c., per avere la Corte ritenuto la sussistenza di un litisconsorzio necessario”, non trattandosi nella specie di una ipotesi di litisconsorzio necessario, bensi’ facoltativo. Infatti, la sentenza n. 884/2017 della Corte d’Appello di Bologna condannava il (OMISSIS) al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non, da quantificarsi e liquidarsi in separata sede.
1.1. – Il motivo non e’ fondato.
1.2. – In tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificita’ dei motivi, sancito dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilita’ della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che e’ tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. n. 23745 del 2020).
Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi e’ segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).
Peraltro, quando nel ricorso per cassazione viene denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1 n. 3, giusta il disposto di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1 n. 4, il vulnus deve essere dedotto, a pena d’inammissibilita’, mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 15177 del 2002; Cass. n. 1317 del 2004; Cass. n. 635 del 2015). Le Sezioni Unite (Cass., sez. un., n. 23745 del 2020) hanno ritenuto che l’onere di specificita’ dei motivi, di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, impone al ricorrente, a pena d’inammissibilita’ della censura, di indicare puntualmente le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che e’ tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare (con una ricerca esplorativa officiosa che trascende le sue funzioni) la norma violata o i punti della sentenza che vi si pongono in contrasto.
1.3. – Orbene, la parte ricorrente non richiama espressamente il punto del provvedimento che intende contrastare, ne’ si confronta con l’affermazione del giudice di merito, per la quale nel processo presupposto si configura una situazione di litisconsorzio necessario.
2. – Con il secondo motivo, le ricorrenti deducono la “Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 325 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”, non condividendo l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la notifica effettuata nei confronti di un litisconsorte necessario implicherebbe il decorso del termine breve per impugnare la sentenza nei confronti pure delle persone non destinatarie della notifica.
2.1. – Il motivo e’ fondato.
2.2. – Nei processi con pluralita’ di parti, quando si configuri l’ipotesi di litisconsorzio necessario, ovvero di litisconsorzio processuale (cd. litisconsorzio “unitario o quasi necessario”), e’ applicabile la regola, propria delle cause inscindibili, dell’unitarieta’ del termine per proporre impugnazione, con la conseguenza che la notifica della sentenza eseguita da una delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l’inizio del termine breve per impugnare contro tutte le altre parti, sicche’ la decadenza dall’impugnazione per scadenza del termine esplica effetto nei confronti di tutte le parti (Cass. 14722 del 2018; conf. Cass. n. 667 del 2021; Cass. n. 986 del 2016; Cass. n. 19869 del 2011).
Si deve ritenere che il litisconsorte che non abbia ricevuto la notifica non veda decorrere il termine breve; ma allora, per il principio di bilateralita’, detto termine breve non puo’ decorrere neppure nei confronti del notificante. L’unitarieta’ del termine dell’impugnazione va interpretata nel senso che detto momento rileva per la decorrenza del termine breve per impugnare, nei confronti del notificante e delle altre parti del giudizio, solo per il notificante stesso e per la parte destinataria della notificazione, atteso che anche ciascuna delle altre parti ha diritto di ricevere la notifica della sentenza, che e’ condizione per far scattare il termine breve per l’impugnazione (Cass. n. 8832 del 2007).
3. – In conclusione, va rigettato il primo motivo di ricorso. Va accolto il secondo motivo, onde verificare la coerenza dei termini di notifica dei soggetti processuali; la sentenza impugnata deve essere dunque cassata e rinviata alla Corte d’appello di Bologna, altra sezione, che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo. Accoglie il secondo: cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna, che provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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