In tema di diritto all’interprete ed alla traduzione degli atti fondamentali

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 18 novembre 2019, n. 46584.

Massima estrapolata:

In tema di diritto all’interprete ed alla traduzione degli atti fondamentali, la mancata istituzione presso il tribunale dell’albo degli esperti in interpretariato e traduzione, previsto dall’art. 67 disp. att. cod. proc. pen., non determina alcuna nullità della nomina di un esperto appartenente a questa categoria, non essendo prevista alcuna sanzione per tale inosservanza.

Sentenza 18 novembre 2019, n. 46584

Data udienza 17 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato nella (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/02/2018 della Corte d’appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GAI Emanuela;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale TOCCI Stefano, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Viterbo con la quale (OMISSIS) era stato condannato, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la diminuente per il rito abbreviato, alla pena di anni tre, mesi sei e giorni 20 di reclusione e Euro 12.000,00 di multa, in relazione al reato di cui l’articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1, per avere trasportato e detenuto a fini di spaccio, in concorso con (OMISSIS), n. 3 involucri contenenti grammi 494 di sostanza stupefacente tipo cocaina. In (OMISSIS).
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’Avv. (OMISSIS), difensore di fiducia dell’imputato, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
2.1. Vizio di motivazione in relazione alla mancanza/apparente motivazione sulla affermazione della responsabilita’ penale, per avere la Corte d’appello, risposto alle censure mosse nei motivi di impugnazione in modo meramente apparente e apodittico, richiamando la motivazione della sentenza di primo grado per relationem, e finanche ritenuto provato il reato in ragione del silenzio serbato dall’imputato nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto e senza valutare le dichiarazioni rese dal coimputato che si era assunto la responsabilita’ penale anche per il quantitativo di stupefacente rinvenuto nel bagaglio del (OMISSIS), in quanto ivi riposto dal medesimo all’insaputa di quest’ultimo.
2.2. Violazione di legge processuale per avere aderito, il giudice dell’impugnazione, alle conclusioni del primo giudice senza valutare e disattendere le censure difensive, dando rilievo, quale elemento di prova, al silenzio serbato dell’imputato.
2.3. Violazione di legge in relazione all’erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1, avendo, la Corte d’appello, affermato la responsabilita’ dell’imputato sul mero dato del rinvenimento della sostanza stupefacente nel bagaglio dell’imputato e cioe’ con attribuzione di una responsabilita’ su base oggettiva.
2.4. Violazione di legge in relazione alla mancata assunzione di una prova decisiva e vizio di motivazione. Dall’errore di traduzione del verbale di fonoregistrazione delle dichiarazioni del coimputato (OMISSIS) sarebbe derivata una diversa ricostruzione della vicenda in pregiudizio dell’imputato, e cio’ sarebbe avvenuto nella errata traduzione del termine “Abultaba” in “pesante”, laddove la corretta traduzione era in “sporgente”. Il rigetto della rinnovazione istruttoria per l’espletamento della perizia di trascrizione sarebbe stato illogicamente argomentato poiche’ l’imputato aveva spostato la droga dal proprio bagaglio perche’ troppo pieno e sporgeva, situazione che destava sospetto.
2.5. Nullita’ assoluta per avere assunto l’ufficio di interprete un soggetto sprovvisto di qualifica professionale di interprete, in mancanza di adozione dell’elenco nazionale degli interpreti di cui all’articolo 67 disp. att. c.p.p., violazione degli articolo 143 c.p.p. e ss., anche dopo l’adeguamento alla Direttiva 2012/13/UE, nullita’ rilevabile anche nel caso di svolgimento del giudizio abbreviato. La mancata garanzia di una adeguata traduzione in sede di convalida dell’arresto e di interrogatorio, la nomina di un soggetto privo delle competenze linguistiche comportano, a giudizio del ricorrente, la violazione della direttiva e sollecita il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
Il difensore ha depositato memoria scritta con cui ha rilevato l’illegalita’ della pena inflitta a seguito della sentenza n. 40 del 2019 della Corte costituzionale.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio e rigetto nel resto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso non mostra ragioni di fondatezza. Non di meno, va rilevata l’illegalita’ della pena a seguito della pronuncia della sentenza n. 40 del 2019 della Corte costituzionale, con rideterminazione del trattamento sanzionatorio a cura della Corte di cassazione.
5. Seguendo l’ordine logico dei motivi di ricorso, va apprezzata la questione di nullita’ assoluta, devoluta con il quinto motivo di ricorso, per avere assunto l’ufficio di interprete un soggetto sprovvisto di qualifica professionale di interprete, in mancanza di adozione dell’elenco nazionale degli interpreti di cui all’articolo 67 disp. att. c.p.p., violazione degli articoli 143 c.p.p. e ss..
Essa non e’ fondata.
Va premesso, in punto di fatto, che nell’udienza di convalida dell’arresto il ricorrente era assistito, quale interprete, da un soggetto (altro detenuto) che parlava la lingua conosciuta dal ricorrente, che il Giudice aveva immediatamente reperito, stante la necessita’ di compimento dell’atto (convalida dell’arresto) e che il ricorrente, alla presenza del difensore d’ufficio, che nulla eccepiva, si avvaleva della facolta’ di non rispondere.
Ora, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte di legittimita’, anche dopo l’attuazione della direttiva 2010/64/UE ad opera del Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 32, la mancata nomina di un interprete all’imputato, che non conosce la lingua italiana, da’ luogo ad una nullita’ a regime intermedio, che deve essere eccepita dalla parte prima del compimento dell’atto ovvero, qualora cio’ non sia possibile, immediatamente dopo e, comunque, non puo’ piu’ essere rilevata ne’ dedotta dopo la deliberazione della sentenza di primo grado o, se si sia verificata nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo (Sez. 3, n. 5235 del 24/05/2016, Lo Verde, Rv. 269215 – 01; Sez. 2, n. 26078 del 09/06/2016, Ka, Rv. 267157 – 01; Sez. 3, n. 30891 del 24/06/2015. H., Rv. 264330 – 01).
Nel caso in esame, era presente un soggetto che il Giudice ha ritenuto potesse assumere la qualifica di interprete e nessuna eccezione era stata sollevata ne’ prima del compimento dell’interrogatorio, ne’ dopo il compimento di tale atto. Dunque, anche volendo equiparare la nomina si un soggetto privo di attestazione specifica di competenze linguistiche alla mancata nomina di interprete, la mancata deduzione nei termini di cui all’articolo 182 c.p.p., comporta la sanatoria della nullita’.
Neppure puo’ configurarsi, secondo la tesi difensiva, la nullita’ derivante dalla violazione dell’articolo 67 disp. att. c.p.p., per la mancata istituzione del registro degli interpreti, non essendo prevista alcuna sanzione per la sua inosservanza.
Peraltro, come affermato da Questa Corte di legittimita’, l’apprezzamento sulla sussistenza delle capacita’ professionali dell’interprete nominato, compete al giudice del merito ed e’ sottratto al sindacato di legittimita’, a nulla rilevando la circostanza che l’interprete non sia in possesso di un attestato di abilitazione ufficiale (Sez. 3, n. 8301 del 09/01/2008, Merlini, Rv. 239291 – 01).
Non sussistono pertanto i presupposti per sollevare questione pregiudiziale avanti alla corte di Giustizia.
Invero, puo’ parlarsi di “questione” da rinviare alla Corte di giustizia se il giudice nazionale, ex officio o su sollecitazione delle parti, avverta difficolta’ nella individuazione del senso e della portata da assegnare alla normativa comunitaria di cui deve fare applicazione, situazione non ricorrente (vedi supra) nel caso in esame. La disciplina della traduzione degli atti e dell’assistenza dell’imputato che non conosce la lingua italiana, a seguito della modifica dell’articolo 143 c.p.p. e ss., per effetto del Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 32, di attuazione della Direttiva 2012/13/UE, non pone dubbi interpretativi alla luce dei principi della normativa sovranazionale.
6. Nel merito, con il primo motivo il ricorrente deduce la carenza motivazionale, sotto il profilo della apparente e apodittica motivazione della sentenza impugnata, in relazione alla mancata risposta dei giudici dell’impugnazione sulle censure mosse nell’atto di appello. Deduce il ricorrente che la sentenza impugnata si sarebbe limitata a richiamare per relationem la motivazione della sentenza di primo grado senza diffondersi sulle censure mosse nei motivi di appello in ordine all’assenza di prova sulla consapevolezza della detenzione dello stupefacente, contestata dalla difesa che assume, invece, la non conoscenza che nel bagaglio dell’imputato vi fosse occultata la droga, droga cola’ occultata a sua insaputa dal coimputato.
Il motivo e’ infondato. Come e’ stato piu’ volte affermato da questa Corte, quando le sentenze di primo e secondo grado concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, sicche’ e’ possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado colmare eventuali lacune della sentenza di appello (tra le tante Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, Rv. 256435; Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, Rv. 239735).
L’affermato principio, va riaffermato e condiviso, con la precisazione che l’integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e secondo grado e’ possibile soltanto se nella sentenza d’appello sia riscontrabile un nucleo essenziale di argomentazione, da cui possa desumersi che il giudice del secondo grado, dopo avere proceduto all’esame delle censure dell’appellante, ha fatto proprie le considerazioni svolte dal primo giudice. Peraltro, va, altresi’, rilevato che l’ambito della necessaria autonoma motivazione del Giudice d’appello, di cui deve rivenirsi traccia nella sentenza di appello, risulta correlato alla qualita’ e alla consistenza delle censure rivolte dall’appellante. Sicche’ se questi si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto gia’ adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni genetiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione ben puo’ motivare per relazione e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati. (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Bruno, Rv. 259929; Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013, Autieri, Rv. 257056; Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, Santapaola, Rv. 256435; Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, Baretti, Rv. 239735).
7. Nella sentenza in esame, il giudice dell’impugnazione ha riportato i motivi di appello del ricorrente, incentrati nuovamente sul tema della prova della consapevolezza della detenzione dello stupefacente rinvenuto nel proprio bagaglio nonche’ sulla circostanza (oggetto di censura nel secondo motivo) che i giudici avrebbero tratto la prova dal silenzio serbato nel corso dell’interrogatorio in convalida dell’arresto, ed affermato la responsabilita’ sul mero rinvenimento della sostanza stupefacente nel bagaglio (oggetto di censura nel terzo motivo) e li ha disattesi con motivazione congrua, adeguata alla consistenza delle censure.
La motivazione non solo non e’ apparente, ma e’ altresi’ congrua e logica. La corte distrettuale ha ritenuto non convincente la protestata inconsapevolezza della detenzione nel proprio bagaglio della droga, affermata solo in un momento successivo all’arresto e alla detenzione in carcere, dopo che il coimputato si era assunta l’esclusiva responsabilita’ della detenzione dell’intero quantitativo, sul rilievo che, se non fosse stato a conoscenza di quanto trasportava, egli lo avrebbe subito denunciato davanti al giudice della convalida dell’arresto, motivazione che non presta in fianco a rilievi di illogicita’ manifesta. Ma, vi e’ di piu’, la motivazione della sentenza impugnata si integra con quella di primo grado che aveva valorizzato, quale elemento di prova della consapevolezza, l’atteggiamento dell’imputato al momento del controllo di polizia (si presentava nervoso e impaurito cfr. pag. 6) motivazione a fronte della quale il ricorso e’ privo di riferimenti critici al contenuto del provvedimento impugnato (S.U. n. 8825 del 27 ottobre 2016, Galtelli, Rv 268822) e, come tale, e’ inammissibile.
8. Non ha diversa sorte la censura di violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), per il mancato espletamento della perizia di trascrizione delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) e, segnatamente, della parola spagnola “Abultaba”, prova decisiva per la ricostruzione dei fatti.
Come affermato dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione l’error in procedendo, in cui si sostanza il vizio relativo alla lesione del diritto alla controprova, previsto dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), e’ prospettabile solo quando la prova sollecitata, ma negata, confrontata con le argomentazioni addotte in motivazione, a sostegno della sentenza, sarebbe risultata decisiva, nel senso che se quella fosse stata ammessa avrebbe potuto determinare una diversa decisione del giudice (Sez. 4, n. 235 del 14/03/2008, Didio, Rv. 240839; Sez. 1, n. 4495 del 08/01/2002, Ginoli, Rv. 220705).
Ora, nel caso in esame, difetta il requisito della decisivita’. Non rileva stabilire, nel caso in esame, se la droga, secondo il racconto del (OMISSIS), fossa stata occultata nel bagaglio del (OMISSIS), perche’ il bagaglio del primo era “pieno” o “sporgente”, posto che nel bagaglio del (OMISSIS) e’ stata rinvenuta parte della cocaina sequestrata, ma di stabilire l’attendibilita’ del (OMISSIS) sulla circostanza che egli la mise all’insaputa del (OMISSIS), e su questo la corte territoriale ha ritenuto non convincente la tesi difensive, che peraltro si scontra con il dato dell’atteggiamento del (OMISSIS) all’atto del controllo, e l’ha congruamente argomentata traendo, quale logica conseguenza, la dimostrazione della consapevolezza in capo a quest’ultimo della detenzione della sostanza stupefacente nel proprio bagaglio (vedi supra par. 7).
9. Come sollecitato nella memoria, va rilevata l’illegalita’ della pena irrogata al ricorrente, in relazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1, avente ad oggetto la sostanza stupefacente cocaina, per effetto della sentenza n. 40 del 2019 della Corte costituzionale.
Con la citata sentenza, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1, (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), nella parte in cui in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni, anziche’ di sei anni (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, Serie 1 Corte costituzionale, n. 11 del 13/03/2019).
Per effetto della citata pronuncia, le pene irrogate in applicazione della precedente cornice normativa, che prevedeva la pena detentiva nel minimo edittale di anni otto di reclusione, ora dichiarata incostituzionale, sono divenute pene illegali.
Tale e’ la pena irrogata al ricorrente per il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1, nella misura sopra indicata che muoveva da una pena base di anni otto di reclusione e Euro 27.000,00 di multa, e’ illegale.
Con riferimento alla tema in questione, deve rammentarsi che le Sezioni Unite di questa Corte avevano stabilito, che la pena determinata dal giudice deve ritenersi illegale quando la quantificazione sia stata operata attraverso un procedimento di commisurazione che si sia basato sui limiti edittali del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, come modificato dalla L. n. 49 del 2006, in vigore al momento del fatto, ma dichiarato successivamente incostituzionale con sentenza n. 32 del 2014, anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali previsti dall’originaria formulazione del medesimo articolo, prima della novella del 2006, rivissuto per effetto della stessa sentenza di incostituzionalita’ (Sez. U, n. 33040 del 26/2/2015, Jazouli, Rv. 264205).
Tale principio mantiene validita’ anche per il caso in esame per effetto della pronuncia n. 40 del 2019 della Corte costituzionale.
L’illegalita’ della pena, nel caso in esame, impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
L’annullamento deve essere disposto senza rinvio, potendo la Corte di cassazione, procedere alla rideterminazione della pena, ex articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera I), avendo il giudice del merito irrogato la pena detentiva nella misura del minimo edittale, in allora fissata in otto anni di reclusione, limite minimo edittale dichiarato incostituzionale, e tenuto conto del limite minimo edittale ora fissato dal Giudici delle leggi, in anni sei di reclusione, la pena detentiva base viene determinata in anni sei di reclusione (rimane invariata la multa non oggetto della pronuncia della sentenza n. 40 del 2019), e invariati gli altri elementi di calcolo, la pena viene ridotta per effetto delle gia’ riconosciute circostanze attenuanti generiche, ad anni quattro di reclusione, ridotta per effetto della diminuente per il rito abbreviato, ad anni due e mesi otto di reclusione cui va aggiunta la (invariata) multa di Euro 12.000,00.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla quantificazione della pena detentiva irrogata, che ridetermina in anni due e mesi otto di reclusione. Rigetta il ricorso nel resto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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