Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|10 febbraio 2023| n. 4242.
In tema di diffamazione a mezzo stampa e l’esercizio del diritto di cronaca con efficacia esimente
In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esercizio del diritto di cronaca ha efficacia esimente, sotto il profilo della verità putativa della notizia, ove questa sia tratta da un procedimento disciplinare interno a una P.A., valido ed efficace al momento della sua divulgazione, trattandosi di un atto di investigazione interna, di rilievo pubblico sul quale il giornalista può fare legittimo affidamento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato una legittima espressione del diritto di cronaca in relazione ad una trasmissione televisiva nella quale il conduttore aveva riportato la notizia della sospensione dal servizio del ricorrente, medico, a seguito di una inchiesta amministrativa sull’assenteismo in ospedale, a nulla rilevando la successiva revoca del provvedimento, dovendo la verosimiglianza del fatto essere valutata al momento in cui ne è fatta divulgazione).
Ordinanza|10 febbraio 2023| n. 4242. In tema di diffamazione a mezzo stampa e l’esercizio del diritto di cronaca con efficacia esimente
Data udienza 14 dicembre 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Diffamazione – Assenteismo – Verità putativa – Censure inammissibili
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2422/2020 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) Spa in persona del Legale Rappresentante pro tempore, domiciliati ex lege in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2524/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 04/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/12/2022 da Dr. CRICENTI GIUSEPPE.
In tema di diffamazione a mezzo stampa e l’esercizio del diritto di cronaca con efficacia esimente
RITENUTO IN FATTO
Che:
1.- (OMISSIS) e’ medico ortopedico del (OMISSIS). Rispetto al suo reparto e’ stata avviata una inchiesta amministrativa sull’assenteismo dei medici, che, in particolare nel settembre del 2009, si sarebbero fatti sostituire da studenti, facendo svolgere a quest’ultimi compiti che invece erano loro, e persino la stessa visita dei pazienti.
Per questi fatti, in un primo momento, il prof. (OMISSIS) era stato sospeso dal servizio, per esservi poi riammesso a seguito di una piu’ approfondita valutazione delle circostanze.
2.-Poiche’ la vicenda aveva avuto una certa risonanza, anche nazionale (ne avevano riportato notizia quotidiani diffusi, come “(OMISSIS)” ed il “(OMISSIS)”, oltre che trasmissioni televisive, come “(OMISSIS)”), il ricorrente venne invitato a discutere del tema, in una trasmissione televisiva diffusa dalla emittente locale “(OMISSIS)”.
In realta’, egli sostiene, come si vedra’ meglio in seguito, di essere stato rassicurato in un primo momento dall’organizzatore della trasmissione, tale (OMISSIS), che non si sarebbe discusso della vicenda di assenteismo che lo riguardava, e fu sulla base di tale rassicurazione che (OMISSIS) accetto’ di partecipare: salvo ad accorgersi poi che solo sul quell’argomento la trasmissione verteva.
In particolare, egli trovo’, in studio, oltre che il conduttore, anche un invitato del programma “(OMISSIS):”, che lo incalzo’ con domande sulla sua abitudine di falsificare le firme, e che il ricorrente ha trovato diffamatorie.
3.- (OMISSIS), a seguito di tale trasmissione, ha citato in giudizio il responsabile della trasmissione stessa, ossia (OMISSIS), il conduttore (OMISSIS), e (OMISSIS), il satirico personaggio di “(OMISSIS)”, sostenendo non solo di essere stato invitato con l’inganno, ossia di essere stato rassicurato del fatto che si trattava di una trasmissione su temi diversi, ma soprattutto di essersi visto attribuire un fatto falso – vale a dire di essere oggetto di indagine penale e di sanzione amministrativa- e di essere stato dileggiato dal (OMISSIS), con le sue continue allusioni alle false sottoscrizioni, che rimandavano all’accusa di essersi fatto sostituire da studenti durante i turni ospedalieri.
4.- Il Tribunale ha rigettato la domanda ed ha ritenuto che il conduttore aveva riferito un fatto ritenuto verosimile, poiche’ riportato dai mezzi di comunicazione di diffusione nazionale, mentre il (OMISSIS) aveva in realta’ fatto satira, ossia aveva utilizzato una forma espressiva che non richiede verita’, ma e’ che percepibile come ironica dal pubblico.
4.1.-Questa decisione e’ stata confermata in appello: i giudici di secondo grado hanno intanto ritenuto inammissibili alcune prove che il ricorrente aveva proposto per dimostrare che i fatti lui attributi (di essere un assenteista) erano falsi; ma hanno altresi’ ritenuto che i due giornalisti hanno esercitato correttamente il diritto di cronaca in quanto ritenevano verosimili quei fatti, la cui verita’ poteva dirsi putativa. Infine, hanno riconosciuto nelle parole del (OMISSIS) un legittimo esercizio del diritto di satira.
4.2.- (OMISSIS) ricorre avverso tale decisione con otto motivi di censura (la numerazione contenuta in ricorso e’ fallace dal terzo al sesto). Resistono con unico controricorso gli originari convenuti, altresi’ con memoria.
In tema di diffamazione a mezzo stampa e l’esercizio del diritto di cronaca con efficacia esimente
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che:
5.-I primi sei motivi mirano ad evidenziare una serie di errori processuali della decisione impugnata, che avrebbe disatteso non solo alcune prove gia’ in atti, ma avrebbe altresi’ negato l’ammissione di altre, le quali invece dimostravano che il fatto attribuito al ricorrente- ossia il suo assenteismo- era falso.
Questi primi sei motivi dunque censurano una ratio autonoma della decisione impugnata: quella, per l’appunto, sulla omessa considerazione della falsita’ del fatto attribuito al ricorrente.
6.-Infatti, con il primo motivo si denuncia violazione dell’articolo 115 c.p.c.: la Corte di Appello ha ritenuto inammissibili alcune prove (segnatamente quelle testimoniali) perche’ la loro richiesta di ammissione non era stata reiterata con le conclusioni. Invece, il ricorrente assume di averla reiterata avendo nella conclusionale affermato di “riportarsi alla propria nota conclusiva”, nota nella quale, per l’appunto, si indicavano le prove.
7.-Con il secondo motivo si denuncia nuovamente violazione dell’articolo 115 c.p.c.. Il ricorrente aveva chiesto di produrre in giudizio i documenti della inchiesta amministrativa interna, dai quali sarebbe emerso, se fossero stati acquisiti, che l’amministrazione aveva ritenuto insussistenti le accuse di assenteismo: egli aveva piu’ volte chiesto, alla amministrazione che li possedeva, di averne copia, ma solo dopo il primo grado di giudizio li aveva ottenuti, cosi’ che non avrebbe potuto produrli prima. La Corte, oltre a ritenerli tardivi, li ha comunque considerati irrilevanti, alla luce di quanto si dira’ in seguito.
8.- Il terzo motivo denuncia omesso esame di un fatto rilevante e controverso, oltre che motivazione apparente e comunque violazione dell’articolo 115 c.p.c.. Il ricorrente, con quei documenti, presi dalla ispezione effettuata nel suo reparto, avrebbe dimostrato che era falso che i giorni (OMISSIS) egli era assente ingiustificato. Alla sua richiesta di ammissione, la Corte ha replicato che tuttavia, quei documenti non dimostravano che egli fosse presente anche il 19 di settembre, altro giorno di ritenuta sua ingiustificata assenza. Ma, secondo il ricorrente, il 19 settembre non era invece giorno in contestazione: nessuno gli attribuiva l’assenza in quella data. Cosi che la Corte e’ incorsa in una omissione – se avesse letto i documenti non le sarebbe sfuggita la circostanza- oltre che in violazione delle prove emerse agli atti.
9.- Il quarto motivo, che denuncia pure esso violazione dell’articolo 115 c.p.c., e’ uno sviluppo del precedente: la Corte avrebbe erroneamente tratto la convinzione che si parlasse anche del giorno 19 settembre, mai menzionato pero’ dal ricorrente.
10.- Il quinto motivo, che denuncia violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c., ritorna sulla questione dei giorni di assenza e della loro prova: come gia’ denunciato con il secondo motivo, a parere del ricorrente, la Corte ha ritenuto in modo ingiustificato inammissibile la richiesta di produrre documenti in appello; nell’adottare tale pronuncia la Corte di Appello, oltre a non considerare, in base a quanto detto nel secondo motivo, che non era stato possibile procurarsi quei documenti per tempo, non ha tenuto conto della prova, che pure era in atti, di tale difficolta: era stata depositata l’ennesima istanza con cui il ricorrente chiedeva di avere i verbali ispettivi e da cui emergeva che invece era presente, a dimostrazione del fatto che egli si era attivato per produrre il documento, ma che, per fatto del terzo- l’amministrazione che lo possedeva-. non aveva potuto averlo prima.
11.- Il sesto motivo denuncia violazione dell’articolo 2727 c.c. e ss. e articolo 2697 c.c..
La Corte ha ritenuto che mai, con gli atti introduttivi, il ricorrente ha posto la questione della falsita’ della sua iscrizione nel registro degli indagati. Questa circostanza, della verita’ della iscrizione nel registro degli indagati, secondo il ricorrente e’ valorizzato dalla Corte per dimostrare l’irrilevanza di una censura contenuta altresi’ nel secondo motivo: il ricorrente mirava a dimostrare che era stato indotto in inganno, nel senso che gli avevano assicurato che nella trasmissione televisiva non si sarebbe parlato della questione dell’assenteismo; se invece lo avessero avvisato non ci sarebbe andato. Secondo la Corte quella dimostrazione e’ irrilevante in quanto il ricorrente comunque avrebbe dovuto immaginare per cosa lo avevano invitato, anche a causa del fatto di essere indagato per quello: ecco dunque, che, cadendo la verita’ della indagine penale in corso, cade anche la supposizione della Corte di Appello. Non essendo di fatto indagato, il ricorrente non poteva presumere che lo avessero invitato per via dell’indagine.
In tema di diffamazione a mezzo stampa e l’esercizio del diritto di cronaca con efficacia esimente
12.- Questi motivi mirano essenzialmente a dimostrare che, ove certi fatti fossero stati provati, o meglio ove il ricorrente fosse stato messo in condizione di farlo, ne sarebbe derivata la prova che essi erano falsi e che dunque illegittimamente era stato esercitato il diritto di cronaca, il quale presuppone che si riferiscano notizie vere.
Risultava infatti la sua presenza, e non gia’ l’assenza, nei giorni presi ad oggetto della ispezione, ed era irrilevante invece il giorno (19 settembre) su cui fa leva la decisione impugnata.
Il ricorrente cioe’ si duole del fatto che non sono state ammesse prove che avrebbero dimostrato la falsita’ della notizia del suo assenteismo, o che avrebbero dimostrato che, se lui avesse saputo di cosa si parlava in trasmissione, non ci sarebbe andato, cosi impedendo che la trasmissione avesse quel contenuto.
13.- In realta’ le rationes decidendi, quanto alla posizione del conduttore e dell’organizzatore della trasmissione, sono due.
Una e’, per l’appunto, quella contestata dai sei motivi precedenti, ed attiene alla prova della verita’ della notizia divulgata o commentata, oltre che alla circostanza dell’inganno sul tema della trasmissione. Ma l’altra verte sulla circostanza che la notizia era ritenuta verosimile dai giornalisti, e dunque la verita’ di essa era putativa e come tale scusabile. La Corte infatti osserva che poiche’ vi era una indagine amministrativa che ha portato alla momentanea sospensione del ricorrente, poiche’ la notizia dell’assenteismo in quell’Ospedale era riportata da quotidiani a diffusione nazionale, poiche’ lo stesso ricorrente non aveva negato la sua sospensione, doveva concludersi che i giornalisti avevano giustamente ritenuto verisimile il fatto, ossia l’assenza ingiustificata del ricorrente dal posto di lavoro (p.5).
14.- Questa ratio e’ contestata dal ricorrente con il settimo motivo, che denuncia violazione della legge sulla stampa (L. n. 47 del 1948) e degli articoli 112, 115 e 345 c.p.c..
La tesi e’ che non poteva ritenersi putativamente vero un fatto non adeguatamente verificato. Meglio: i giornalisti non potevano limitarsi a prendere atto delle notizie divulgate da altri, ma dovevano verificarle per stabilirne l’attendibilita’. Solo questa verifica rende putativa la verita’ del fatto, ossia rende incolpevole la credenza che il fatto fosse vero.
15.- Questa seconda ratio decidendi e’ dirimente. E dunque l’esame del settimo motivo, per cio’ che attiene alla posizione del responsabile e del conduttore del programma televisivo, e’ assorbente.
In altri termini, se il fatto attribuito al ricorrente, benche’ rivelatosi poi falso, fosse stato al momento della trasmissione verosimilmente vero e se tale verosimiglianza poteva dirsi ragionevole ai giornalisti, ossia se sussiste il presupposto della verita’ putativa, non ha alcuna utilita’ la dimostrazione che la notizia era falsa, che il fatto attribuito al ricorrente era falso: anche se una tale dimostrazione vi fosse, non inciderebbe, poiche’ l’irresponsabilita’ dei giornalisti deriverebbe dall’avere confidato legittimamente nella verita’ della notizia, ossia deriverebbe dalla dimensione putativa della verita’.
Ora, su tale questione il principio di diritto di questa Corte e’ nel senso che i giornalisti possono esimersi dal verificare le notizie che hanno fonte in atti investigativi o giudiziari, ma devono controllare l’attendibilita’ delle altre fonti (Cass. 29265/ 2022; Cass. 21969/ 2020).
Nella fattispecie, la notizia dell’assenteismo, non tanto risultava da altre fonti giornalistiche, circostanza che, se considerata da sola, avrebbe imposto maggiori verifiche, ma era emersa da indagini interne all’ospedale, ed in particolare dal provvedimento di sospensione che l’amministrazione di appartenenza aveva adottato ai danni del ricorrente proprio per assenteismo.
Si tratta di un atto di investigazione interna, di rilievo pubblico, su cui i giornalisti hanno fatto affidamento.
Essi, come risulta dalla sentenza impugnata (p. 2), hanno riferito che nel (OMISSIS) era invalso il malcostume dell’assenteismo, e della sostituzione dei medici con studenti, che sottoscrivevano i referti al posto di quelli.
La sentenza impugnata riferisce altresi’ il contenuto- non contestato- del provvedimento di sospensione, che e’ stato emesso esattamente per quei fatti. Ora, se si ammette che il giornalista non ha onere di verificare la fondatezza di una investigazione o di una indagine penale, e la ratio di tale regola e’ nel fatto che una tale verifica si dimostrerebbe soverchia, non potendo il giornalista sindacare l’indagine, oltre che per il fatto che l’indagine condotta da organi pubblici conferisce al fatto una certa verosimiglianza, sufficiente di per se’ al giornalista; se si ammette cio’, allora questa regola vale anche per l’indagine amministrativa ed il provvedimento pubblico che ne segue: sarebbe soverchio onere imporre una contro-indagine al giornalista, il quale puo’ fare invece affidamento su un provvedimento in quel momento valido ed efficace, che manifesta la posizione di una pubblica amministrazione, e poco importa che esso sia stato successivamente revocato, in quanto ovviamente la verosimiglianza del fatto va valutata in relazione al momento in cui ne e’ fatta divulgazione, non gia’ con il senno di poi (Cass. 12013/ 2017).
Se dunque si ammette che la Corte di Appello ha fatto corretta applicazione del criterio della verita’ putativa, ossia se si amrnette che l’accertamento circa la apparente verosimiglianza del fatto e’ fondato, allora ne deriva che le censure relative alla sua falsita’ sono assorbite. Ossia: non ha rilevanza stabilire se il fatto era vero o falso, poiche’ anche ad ammetterlo come falso, in quel momento, era ritenuto verosimilmente vero dai giornalisti.
16.- L’ottavo motivo verte sulla posizione del (OMISSIS), che e’ l’inviato del programma “(OMISSIS)” e denuncia violazione dell’articolo 115 e 112 c.p.c..
La Corte ha ritenuto che le espressioni utilizzate dal (OMISSIS) fossero, anche in ragione della abituale veste di costui, di istrionico inviato della trasmissione “(OMISSIS)”, espressione del diritto di satira, che non e’ vincolata dalla verita’ dei fatti, trattandosi, come avevano evidenziato i giudici di primo grado, di una forma di espressione caratterizzata da metafore e trasfigurazioni della realta’.
Il ricorrente contesta questa ricostruzione, che secondo lui, sarebbe il frutto di un travisamento dei fatti emersi in giudizio, e dunque delle stesse prove.
Era ossia emerso che il (OMISSIS) non si era limitato a fare ironia, secondo il suo mestiere, ma aveva insinuato “fatti”, aveva cioe’ presentato ai telespettatori la sua versione dei fatti, non come di uno che ci fa ironia sopra, ma come di uno ha che compiuto una inchiesta e li ha accertati.
Dunque, saremmo fuori dalla satira.
Il motivo e’ infondato per due ordini di ragioni.
Intanto, che si sia trattato di satira dipende da una interpretazione dei fatti adeguatamente motivata: i giudici di merito ricavano che quella di (OMISSIS) fosse satira, anziche’ cronaca, dalla circostanza che costui altro non faceva di mestiere che quello, ossia dal fatto che veniva invitato solo a fare ironia e che il pubblico lo conosceva come un istrionico inviato.
Non si puo’ dire che i giudici non hanno tenuto conto dei fatti emersi in giudizio nel momento in cui hanno qualificato come satira anziche’ come cronaca la condotta del (OMISSIS): li hanno invece considerati, ma qualificati in modo diverso da come il ricorrente assume.
Cio’ posto, vale il principio per cui “la satira costituisce una modalita’ corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicche’, diversamente dalla cronaca, e’ sottratta all’obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalita’ delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito. Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purche’ siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato”. (Cass. 6919/ 2018).
Se pure e’ vero che il (OMISSIS) agiva all’interno di una trasmissione di cronaca, e’ altresi’ vero che il contesto non ha fatto mutare il suo ruolo da comico o satirico commentatore a quello di cronista o giornalista di inchiesta.
E dunque la satira oltre a non essere necessariamente vincolata al requisito della verita’ dei fatti, puo’ avere lo scopo di denuncia sociale e politica, come in questo caso, e spingersi fino all’uso di espressioni lesive della reputazione: cio’ si giustifica proprio in quanto essa e’ percepita dal pubblico come satira piuttosto che come resoconto di fatti che devono essere veri.
Il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 3000, 00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore imposto a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
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