Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 18840.
Deposito di copia analogica della sentenza notificata priva dell’attestazione di conformità
Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica del ricorso per cassazione, di copia analogica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione effettuata nei confronti della parte ricorrente dagli appellanti a mezzo p.e.c. ma non corredata dalla attestazione di conformità ai sensi dell’articolo 9, commi 1-bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilità per nessuno degli intimati quand’anche alcuni di questi siano rimasti tali, ove: a) ad essere intimati siano gli appellanti che nel giudizio “a quo” erano unitariamente difesi dal medesimo avvocato e questi abbia, in nome e per conto degli stessi, provveduto in unico contesto alla notifica della sentenza a mezzo p.e.c.; b) il controricorso, in rappresentanza di alcuni di detti intimati, sia stato depositato per ministero del medesimo avvocato. In tal caso, infatti, il soggetto processuale cui riferire la verifica del comportamento concludente previsto dall’articolo 23, comma 2, D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (mancato disconoscimento della conformità all’originale della copia analogica della notifica a mezzo p.e.c. e dei suoi allegati) è l’avvocato che in appello difendeva tutti gli intimati e che aveva provveduto alla notifica della sentenza; al di fuori del caso suindicato, ove sia proposto ricorso per cassazione nei confronti di una pluralità di intimati – che si rapportino con la parte ricorrente ciascuno all’interno di altrettante cause scindibili, sebbene unitariamente trattate e decise nel giudizio “a quo”, e dei quali però solo alcuni depositino controricorso, gli altri rimanendo tali – il deposito entro venti giorni dall’ultima notifica di copia analogica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione non corredata dalla attestazione di conformità ai sensi dell’articolo 9, commi 1-bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilità per colui (o coloro) tra i controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) che non abbia (o non abbiano) disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificato ex articolo 23, comma 2, del D.lgs. n. 82 del 2005, dovendo invece dichiararsi improcedibile il ricorso per coloro che siano rimasti intimati o che, depositando controricorso, abbiano disconosciuto la conformità all’originale della copia depositata (Nel caso di specie, enunciando i suddetti principi, la Suprema Corte, pur ritenendo scrutinabili i motivi proposti, ha rigettato il ricorso). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezioni civili unite, sentenza 25 marzo 2019, n. 8312; Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 22 dicembre 2017, n. 30765; Cassazione, sezioni civili unite, sentenza 2 maggio 2017, n. 10648).
Ordinanza|| n. 18840. Deposito di copia analogica della sentenza notificata priva dell’attestazione di conformità
Data udienza 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Ricorso per cassazione – Deposito di copia analogica della sentenza notificata priva dell’attestazione di conformità – Mancato disconoscimento della conformità all’originale da parte dei controricorrenti – Esclusione dell’improcedibilità per tutti gli intimati rappresentati dal medesimo avvocato – Considerazione dell’avvocato come unico soggetto processuale cui riferire la verifica del comportamento concludente – Rigetto del ricorso
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5627/2020 R.G. proposto da:
(OMISSIS) S.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS) (p.e.c. indicata: (OMISSIS)) e dall’Avv. (OMISSIS) (p.e.c. indicata: (OMISSIS)), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– controricorrenti –
e nei confronti di:
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– intimati –
e di:
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– intimati –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 1239/2019, depositata il 14 novembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 maggio 2023 dal Consigliere Emilio Iannello.
Deposito di copia analogica della sentenza notificata priva dell’attestazione di conformità
FATTI DI CAUSA
1. Pronunciando in giudizio promosso dagli enti indicati in epigrafe contro la (OMISSIS) S.p.a. (d’ora in poi (OMISSIS)), tendente all’accertamento negativo della debenza degli importi indicati nelle fatture nei loro confronti emesse dalla societa’ convenuta alla voce “Addebito per transazione 26/04/2007 – 26/01/2010”, la Corte d’appello di Lecce, investita del gravame proposto solo da alcuni dei detti enti (n. 28 su 35), con sentenza n. 1239/2019, depositata il 14 novembre 2019, in riforma della decisione di primo grado che tale domanda aveva rigettato, ha dichiarato – per quanto ancora interessa in questa sede – che nulla e’ dovuto dagli appellanti ad (OMISSIS) per la detta causale e, comunque, per l’erogazione dei servizi idrico fognanti in favore degli immobili Iacp costituiti nelle autogestioni e condomini appellanti dal 1 gennaio 2007 fino alla data di costituzione degli stessi; ha inoltre condannato l’appellata alla rifusione delle spese del doppio grado.
Ha infatti rilevato che:
– la menzionata transazione, sottoscritta tra Iacp e (OMISSIS) in data 26 aprile 2007 (con la quale le parti avevano concordato: il recesso dell’istituto dai precedenti contratti di fornitura a far data dal 1 gennaio 2007; l’impegno da parte dello stesso alla promozione della costituzione delle autogestioni ai sensi della Legge Regionale Puglia 20 dicembre 1984, n. 54; l’impegno di (OMISSIS) a non fatturare piu’ in capo a Iacp i canoni relativi alle future autogestioni, cosi’ da consentire la volturazione delle utenze ai nuovi soggetti, in ossequio al principio per cui i reali fruitori dovevano gestire e pagare direttamente i consumi) non puo’ spiegare effetto anche nei confronti delle Autogestioni successivamente costituite, ostandovi il principio di cui all’articolo 1372 c.c., comma 2, che esclude l’efficacia diretta del contratto nei confronti dei terzi, salvo che nei casi previsti dalla legge;
– quell’accordo, piuttosto, la’ dove prevede il recesso dall’Iacp dai rapporti contrattuali con (OMISSIS) inerenti ai servizi idrico-fognari a far data dal 1 gennaio 2007 e, pertanto, in epoca sicuramente non coincidente con quella dell’effettivo funzionamento delle Autogestioni, viola il disposto dell’articolo 38, comma 1, della menzionata legge regionale, il quale prevede espressamente che fino al momento dell’effettivo funzionamento delle autogestioni gli assegnatari sono tenuti a rimborsare agli enti gestori i costi diretti ed indiretti dei servizi erogati secondo acconti mensili e conguagli annuali su rendiconto redatto dall’Ente;
– ne’ vale rilevare che coloro che hanno formato l’autogestione sono i medesimi fruitori della somministrazione idrica che prima era intestata all’Iacp, dal momento che: a) da un lato, le autogestioni degli assegnatari di alloggi sono enti dotati di soggettivita’ giuridica e costituiscono un centro di imputazione autonomo e distinto rispetto ai singoli membri; b) dall’altro, la fruizione di fatto delle forniture del cui pagamento si tratta appare comunque circostanza irrilevante, trattandosi nella specie di valutare solo l’opponibilita’ agli enti appellanti del titolo contrattuale (la transazione) posto a fondamento del credito per cui e’ lite.
2. Avverso tale sentenza (OMISSIS) propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resistono con controricorso solo n. 23 degli enti intimati.
Gli altri, indicati in epigrafe, non svolgono difese.
3. La trattazione e’ stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Sia la societa’ ricorrente che gli enti controricorrenti hanno depositato memorie.
Deposito di copia analogica della sentenza notificata priva dell’attestazione di conformità
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la societa’ ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione degli articoli 1130, 1131, 82, 83 e 182 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5: inammissibilita’ della impugnazione proposta con conseguente nullita’ del procedimento d’appello e della sentenza oggetto del presente gravame”.
Rileva che l’appello e’ stato proposto in virtu’ di procura rilasciata dalla societa’ che amministra le autogestioni in difetto dell’autorizzazione assembleare prevista dall’articolo 5 del relativo regolamento che, dedicato ai “compiti dell’assemblea”, prevede espressamente l’approvazione assembleare per l’esperimento delle azioni nei confronti dei terzi.
2. Con il secondo motivo essa denuncia “motivazione della sentenza apparente: erronea ed omessa valutazione delle prove testimoniali e documentali, nonche’ illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione; Violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., in quanto e’ stato omesso l’esame delle prove testimoniali e dei documenti, tutti fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. conseguente nullita’ della sentenza ex articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.
Dalla successiva illustrazione si ricavano i seguenti argomenti di critica:
– (OMISSIS) e Iacp con le transazioni di cui e’ parola hanno esclusivamente regolato i propri rapporti debitori e creditori, nel mentre le determinazioni riguardanti le Autogestioni e i Condomini non sono altro che la reiterazione (forse anche del tutto ultronea) di adempimenti e di obblighi che erano gia’ presenti nella Legge Regionale n. 54 del 1984;
– tali adempimenti avrebbero dovuto essere effettuati dagli assegnatari degli alloggi gia’ da vari anni (la legge in parola e’ del 1984) ai sensi degli articoli 37 e 39 del testo normativo in parola con conseguente volturazione delle varie utenze fra cui appunto anche quella relativa alla fornitura di acqua;
– l’unica irregolarita’ commessa da (OMISSIS) e’ stata quella di inserire nelle fatture il riferimento alla transazione intervenuta con Iacp, ma le somme fatturate erano comunque relative a servizi successivi al 1 gennaio 2007 ed erano da addebitare ai singoli assegnatari degli alloggi ovvero alle autogestioni ove costituite;
– la Corte d’appello ha totalmente omesso di considerare le dichiarazioni rese dal teste Zappatore, Direttore Generale IACP, all’udienza del 4 ottobre 2013, e di esaminare la documentazione prodotta da (OMISSIS), inviata a tutti i responsabili delle Autogestioni e ai condomini, da cui si evince che (OMISSIS) ha solo utilizzato impropriamente nelle fatture la causale “addebito per transazione”, intendendo, invece, riferirsi ai consumi idrici a far data dal 1 gennaio 2007;
– la mancanza di ogni riferimento a elementi probatori acquisiti e che ben avrebbero potuto condurre ad una interpretazione dei fatti diversa da quella ricostruita in sentenza integra ipotesi di motivazione apparente.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia “violazione della Legge Regionale Puglia n. 54 del 1984, articolo 39 in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in particolare la’ dove prevede che “dopo dodici mesi dalla data in vigore della presente legge e’ fatto divieto agli enti gestori di iniziare o proseguire l’attivita’ di amministrazione negli stabili ceduti in proprieta’ integralmente o in parte”.
Sostiene che l’inerzia delle autogestioni, dei condomini e degli assegnatari dei vari alloggi nell’adempiere agli obblighi previsti dalla legge regionale non poteva certamente far venir meno l’obbligo di corrispondere il corrispettivo del servizio fornito da (OMISSIS), obbligo riveniente direttamente dal testo normativo regionale; il titolo opponibile agli enti e’ costituito dagli originari contratti di somministrazione stipulati tra (OMISSIS) e l’Iacp di cui le autogestioni e i condomini al momento della loro costituzione si sarebbero dovuti limitare a chiedere il semplice subentro.
4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, infine, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, per avere immotivatamente omesso di compensare, almeno parzialmente le spese, sebbene ne ricorressero nella specie i presupposti considerata la riforma solo parziale della decisione di primo grado.
5. Occorre preliminarmente rilevare che parte ricorrente ha depositato la copia analogica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione – che essa stessa afferma essere stata effettuata nei suoi confronti da parte degli appellanti vittoriosi a mezzo p.e.c. in data 29 novembre 2019 – non corredata dalla attestazione di conformita’ ai sensi della L. n. 53 del 1994, articolo 9, commi 1-bis e 1-ter.
Deposito di copia analogica della sentenza notificata priva dell’attestazione di conformità
5.1. Per tale ipotesi, come noto – in relazione alla questione del se e a quali condizioni il ricorso che sia seguito, nel termine di venti giorni dall’ultima sua notificazione, dal deposito di copia analogica della sentenza notificata a mezzo p.e.c. non asseverata conforme all’originale telematico (o con asseverazione di conformita’ priva di sottoscrizione autografa) puo’ considerarsi sottratto alla sanzione della improcedibilita’ ex articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2, – le Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 8312 del 25/03/2019) hanno enunciato i seguenti principi:
“1) il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformita’ del difensore L. n. 53 del 1994, ex articolo 9, commi 1-bis e 1-ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilita’ ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformita’ della copia informale all’originale notificatogli Decreto Legislativo n. 82 del 2005, ex articolo 23, comma 2. Invece, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilita’, il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformita’ all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio nell’ipotesi in cui l’unico destinatario della notificazione del ricorso rimanga soltanto intimato (oppure tali rimangano alcuni o anche uno solo tra i molteplici destinatari della notifica del ricorso) oppure comunque il/i controricorrente/i disconosca/no la conformita’ all’originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata;
2) i medesimi principi si applicano all’ipotesi di tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata – e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute – senza attestazione di conformita’ del difensore L. n. 53 del 1994, ex articolo 9, commi 1-bis e 1-ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa”.
Il fondamento razionale di tali principi, nella parte – che qui interessa – in cui attribuiscono rilievo al mancato disconoscimento da parte del/dei controricorrente/i della conformita’ della copia informale all’originale notificatogli Decreto Legislativo n. 82 del 2005, ex articolo 23, comma 2, e’ dato dalla constatazione:
a) da un lato, della impossibilita’ per la Corte di effettuare la verifica diretta sull’originale nativo digitale (nella specie la notifica telematica della sentenza, sia essa a sua volta nativa digitale oppure, come nel caso in esame, analogica e successivamente digitalizzata);
b) dall’altro, per converso, della possibilita’ della parte destinataria del ricorso di potere operare, o meno, il disconoscimento dell’atto processuale nativo digitale (ripetesi, nella specie, la notifica telematica di sentenza nativa analogica e successivamente digitalizzata) rispetto alla copia analogica depositata senza asseverazione (o con asseverazione priva di sottoscrizione autografa) dal ricorrente, in quanto in possesso proprio del suo originale.
Passaggio centrale in tale ragionamento e’ dato dall’attribuzione all’articolo 23, comma 2, del CAD, sulla base dell’articolo 2, comma 6, del medesimo testo normativo, del “ruolo di norma-cardine, idonea ad operare anche per verifiche, come quelle relative alla procedibilita’ del ricorso, che hanno implicazioni pubblicistiche e tradizionalmente non sono nella disponibilita’ delle parti, con una significativa evoluzione rispetto al precedente indirizzo secondo cui l’articolo 23 cit., al pari dell’articolo 2719 c.c., si ritenevano applicabili solo al fine di attribuire ad un documento efficacia probatoria, da valere tra le parti (v. par. 15, pag. 27, e, prima ancora, par. 13, e relativi sottoparagrafi, in particolare nn. 13.6 – 13.7, pagg. 22-23, ove si ripercorrono le motivazioni di Cass. Sez. U. n. 22438 del 2018, dei cui principi la successiva pronuncia qui evocata opera in sostanza una estensione al caso, con il quale gia’ l’arresto del 2018 ravvisava l’esistenza di “punti di contatto”, della notifica telematica della sentenza).
Il rilievo ostativo all’operativita’ di tale principio che, per contro, viene attribuito all’ipotesi in cui, essendo il ricorso diretto nei confronti di piu’ intimati, solo alcuni di essi depositino controricorso senza disconoscere la conformita’ della copia analogica, mentre altri, o anche uno solo di essi, rimangano invece tali, trova poi giustificazione, nell’arresto delle Sezioni Unite, nel superiore principio, di portata piu’ generale e che ne costituisce premessa logica, secondo cui “il detto comportamento concludente ex lege” (quello cioe’ i cui effetti sono in tal senso gia’ fissati dall’articolo 23, comma 2, CAD) “impegna solo la parte che lo pone in essere” (v., sentenza citata, pag. 24, ultimo inciso).
Mette conto ancora rilevare che, nello stesso arresto di Cass. Sez. U. n. 8312 del 2019, si rammenta che “tradizionalmente l’improcedibilita’, a differenza di quanto previsto in altre situazioni procedurali, trova la sua ragione nel presidiare, con efficacia sanzionatoria, un comportamento omissivo che ostacola la sequenza di avvio di un determinato processo” (v. Cass. Sez. U. 02/05/2017, n. 10648; Cass. 22/12/2017, n. 30765).
Deposito di copia analogica della sentenza notificata priva dell’attestazione di conformità
5.2. Alla luce di tali principi, e delle motivazioni che ne sono alla base, occorre dunque vagliare il caso di specie, caratterizzato dalle seguenti circostanze:
a) la sentenza e’ stata notificata ad (OMISSIS), a mezzo p.e.c., ai sensi della L. n. 53 del 1994, articolo 3-bis dai n. 28 enti appellanti vittoriosi, su iniziativa del medesimo difensore (Avv. (OMISSIS)) che in appello, congiuntamente e disgiuntamente ad altro, li rappresentava in giudizio;
b) solo ventitre dei ventotto enti appellanti hanno depositato controricorso nel presente giudizio di legittimita’, per ministero dello stesso avvocato (OMISSIS);
c) nel controricorso i detti ventitre controricorrenti – assistiti, si ripete, dal medesimo difensore che per essi era costituito in appello e, a nome e per conto di essi ma anche degli altri cinque in queste sede invece rimasti intimati, aveva notificato la sentenza – non hanno disconosciuto la conformita’ all’originale della notifica;
d) il ricorso e’ stato notificato anche ad altri sette enti ( (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
e) sei di questi peraltro ( (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
f) uno ( (OMISSIS)) si era bensi’ costituito in appello con altro difensore ma nei suoi confronti era stata dichiarata cessata la materia del contendere con (OMISSIS).
5.3. Cio’ detto, va anzitutto escluso che possano assumere alcuna incidenza nella questione che si tratta di analizzare le circostanze di cui alle lettere d), e) ed f), se non altro per l’assorbente considerazione che non si tratta di soggetti “intimati” (il ricorso non e’ cioe’ diretto nei loro confronti) ma solo destinatari di notifica ex articolo 332 c.p.c. e cio’ sul presupposto, corretto come conviene qui iniziare a rimarcare, della scindibilita’ delle cause che nei precedenti gradi erano state unitariamente trattate.
La questione da affrontare si concentra, dunque, sulle prime tre delle sopra dette circostanze, ossia sul rilievo da attribuire al fatto che dei ventotto intimati solo ventitre abbiano depositato controricorso senza disconoscere la conformita’ della copia analogica della sentenza notificata telematicamente, essendo invece gli altri cinque rimasti intimati.
5.4. Ebbene, reputa il Collegio che, in coerenza con le motivazioni che sorreggono i principi enunciati dalle Sezioni Unite e diversamente da quel che una lettura sommaria degli stessi potrebbe indurre a pensare, le descritte circostanze, tenuto conto delle altre peculiarita’ pure evidenziate, devono condurre ad escludere che, nel caso di specie, la mancata asseverazione della conformita’ della copia analogica della sentenza all’originale notificato a mezzo p.e.c. possa comportare la sanzione della improcedibilita’.
Delle due circostanze (sub b) e c)), infatti – ossia, da un lato, l’essere stata le conformita’ all’originale di detta copia analogica non disconosciuta dai controricorrenti, dall’altro, l’essere invece rimasti intimati gli altri cinque destinatari del ricorso – rilievo assorbente nel senso predetto deve assegnarsi alla prima, dovendosi invece escludere che, per le peculiarita’ del caso concreto, il fatto che il controricorso sia depositato a nome solo di alcuni degli intimati e che altri siano rimasti tali osti a quell’effetto.
Deposito di copia analogica della sentenza notificata priva dell’attestazione di conformità
Questo perche’ i controricorrenti sono rappresentati dal medesimo avvocato che, nel giudizio di appello, aveva svolto unica attivita’ difensiva nell’interesse di tutti gli enti (anche di quelli rimasti intimati in questa sede) e che, inoltre, quel che maggiormente rileva, aveva per conto di tutti provveduto a effettuare la notifica a mezzo p.e.c. ai sensi della L. n. 53 del 1994, articolo 3-bis della sentenza. Per tal motivo, infatti, era lui ad essere effettivamente in grado di verificare la conformita’ all’originale della copia analogica del messaggio p.e.c. e dei relativi allegati all’originale da lui stesso creato. Se la ragione per cui a tale mancato disconoscimento viene riconosciuto valore di “comportamento concludente” agli effetti di cui all’articolo 23, comma 2, C.A.D. sta nel fatto che la parte il cui mancato disconoscimento viene valorizzato e’ proprio quella che ha la disponibilita’ dell’originale, e’ giocoforza ritenere che tale effetto si produca nel caso di specie in dipendenza del deposito del controricorso in quanto patrocinato da quello stesso avvocato che tale disponibilita’ aveva. Sarebbe illogico ritenere che tale effetto venga invece meno per il fatto che, nel giudizio di legittimita’, quell’avvocato rappresenti solo alcuni degli appellati a nome e per conto dei quali quella notifica egli aveva effettuato. Anche in tal caso, infatti, il soggetto processuale cui riferire la verifica del comportamento concludente (mancato disconoscimento) resta a ben vedere uno solo (ossia l’avvocato che rappresentava in appello piu’ soggetti nella identica posizione processuale), e tale rimane ai fini che interessano, nel giudizio di cassazione, restando irrilevante che la pluralita’ dei soggetti che egli rappresentava al momento di compiere l’atto si frantumi e solo per alcuni il medesimo e unico originario difensore depositi controricorso. Per ritenere il contrario occorrerebbe supporre contro ogni logica che, pur trattandosi dell’unico medesimo atto proveniente dallo stesso avvocato, la valutazione di conformita’ o meno all’originale informatico della copia analogica, sottesa al disconoscimento o al mancato disconoscimento, possa essere mutevole e diversa a seconda della parte che tale avvocato rappresentava al momento di compierlo.
5.5. Varra’ peraltro rimarcare che, pur prescindendo dal superiore rilievo, e supponendo che si versi in ipotesi in cui l’esposto ragionamento non possa operare per mancanza dei relativi presupposti (es. gli intimati rimasti tali non erano compresi nell’unica parte complessa difesa dal medesimo avvocato o erano difesi da altro avvocato a sua volta autore di altra notifica della sentenza o erano destinatari essi stessi di tale notifica), trattandosi comunque di cause scindibili, i principi enunciati dalle Sezioni Unite nel 2019 potrebbero condurre alla declaratoria di improcedibilita’ del ricorso solo in quanto proposto nei confronti degli intimati rimasti tali non anche in quanto proposto nei confronti degli intimati per i quali sia stato depositato controricorso senza disconoscere la conformita’ della copia analogica.
Come s’e’ detto, infatti, costituisce principio consolidato l’affermazione secondo cui “l’improcedibilita’, a differenza di quanto previsto in altre situazioni procedurali, trova la sua ragione nel presidiare, con efficacia sanzionatoria, un comportamento omissivo che ostacola la sequenza di avvio di un determinato processo” (Cass. Sez. U. n. 8312 del 2019, in motivazione; Id. n. 10648 del 2017; Cass. n. 30765 del 2017).
Se, dunque, la procedibilita’ riguarda il singolo “determinato processo” che si intende instaurare e se, in ipotesi di scindibilita’ di cause, l’identita’ e l’autonomia di ciascuna di esse, quand’anche unitariamente introdotte e trattate, non viene a perdersi, ne discende allora anche la necessaria autonomia e separazione, per ciascuna di esse, della valutazione di procedibilita’ del ricorso in base agli enunciati principi.
Deposito di copia analogica della sentenza notificata priva dell’attestazione di conformità
Con la duplice conseguenza che: a) per coloro tra i diversi intimati che abbiano depositato controricorso senza disconoscere la conformita’ all’originale della copia analogica della sentenza notificata rimane fermo l’effetto impeditivo della sanzione di improcedibilita’; b) per coloro invece che non abbiano depositato il controricorso o che, depositandolo, tale conformita’ abbiano disconosciuto, ma solo per essi, l’improcedibilita’ andra’ dichiarata.
Cosi’ come la decisione, per quanto formalmente unica, non riguarda una sola causa e non scioglie la pluralita’ e la diversita’ delle cause, per effetto del solo dato estrinseco della trattazione unitaria nel giudizio di merito, allo stesso modo la scindibilita’ delle cause rende necessaria una distinta considerazione degli effetti dei comportamenti delle parti rilevanti nei modi detti ai fini della valutazione della procedibilita’ del ricorso.
Se e’ vero, dunque, che, come affermato dalle Sezioni Unite, “il comportamento concludente ex lege” (quello cioe’ i cui effetti sono in tal senso gia’ fissati dall’articolo 23, comma 2, CAD) “impegna solo la parte che lo pone in essere” e’ anche vero l’inverso, ossia che il mancato deposito di controricorso non puo’ paralizzare gli effetti che sulla procedibilita’ del ricorso ha la condotta degli altri intimati che invece abbiano depositato controricorso, tutte le volte in cui quegli effetti siano in grado di esplicarsi in ragione della scindibilita’ delle cause.
5.6. Concludendo sul punto appare opportuno enunciare, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 1, i seguenti principi:
– il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica del ricorso per cassazione, di copia analogica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione effettuata nei confronti della parte ricorrente dagli appellanti a mezzo p.e.c. ma non corredata dalla attestazione di conformita’ ai sensi della L. n. 53 del 1994, articolo 9, commi 1-bis e 1-ter, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilita’ per nessuno degli intimati quand’anche alcuni di questi siano rimasti tali, ove: a) ad essere intimati siano gli appellanti che nel giudizio a quo erano unitariamente difesi dal medesimo avvocato e questi abbia, in nome e per conto degli stessi, provveduto in unico contesto alla notifica della sentenza a mezzo p.e.c.; b) il controricorso, in rappresentanza di alcuni di detti intimati, sia stato depositato per ministero del medesimo avvocato. In tal caso, infatti, il soggetto processuale cui riferire la verifica del comportamento concludente previsto dal Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82, articolo 23, comma 2, (mancato disconoscimento della conformita’ all’originale della copia analogica della notifica a mezzo p.e.c. e dei suoi allegati) e’ l’avvocato che in appello difendeva tutti gli intimati e che aveva provveduto alla notifica della sentenza;
– al di fuori del caso suindicato, ove sia proposto ricorso per cassazione nei confronti di una pluralita’ di intimati – che si rapportino con la parte ricorrente ciascuno all’interno di altrettante cause scindibili, sebbene unitariamente trattate e decise nel giudizio a quo, e dei quali pero’ solo alcuni depositino controricorso, gli altri rimanendo tali – il deposito entro venti giorni dall’ultima notifica di copia analogica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione non corredata dalla attestazione di conformita’ ai sensi della L. n. 53 del 1994, articolo 9, commi 1-bis e 1-ter, non comporta l’applicazione della sanzione dell’improcedibilita’ per colui (o coloro) tra i controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) che non abbia (o non abbiano) disconosciuto la conformita’ della copia informale all’originale notificato Decreto Legislativo n. 82 del 2005, ex articolo 23, comma 2, dovendo invece dichiararsi improcedibile il ricorso per coloro che siano rimasti intimati o che, depositando controricorso, abbiano disconosciuto la conformita’ all’originale della copia depositata.
5.7. Le conclusioni che devono trarsi, nel caso di specie, alla luce delle considerazioni che precedono, sono le seguenti:
– trattandosi di cause scindibili, il ricorso non potrebbe in ogni caso essere dichiarato improcedibile nei confronti dei controricorrenti, ma solo nei confronti degli intimati rimasti tali;
– ricorrendo pero’ la particolare ipotesi cui e’ riferito il primo dei su enunciati principi, deve escludersi che il ricorso possa considerarsi improcedibile anche nei confronti degli intimati.
Puo’ dunque procedersi allo scrutinio dei motivi.
6. Il primo di essi e’ inammissibile.
Secondo principio affermatosi nella piu’ recente giurisprudenza di questa Corte, cui si intende dare continuita’, la questione relativa al difetto di legittimazione processuale, pur essendo rilevabile d’ufficio, deve essere coordinata con il sistema di preclusioni introdotto dalla L. n. 353 del 1990, come modificata dalla L. n. 354 del 1995, in forza del quale l’assenza dei poteri rappresentativi, in primo grado, va contestata non oltre l’udienza di trattazione mentre, in appello, puo’ essere inserita tra i motivi di impugnazione. Ne consegue che, in mancanza di tempestiva censura nel corso dei due predetti momenti processuali e qualora il giudice di merito non abbia ritenuto di chiedere d’ufficio, a una delle parti, la giustificazione dei poteri rappresentativi in capo alla persona che ha rilasciato la procura ad litem, la doglianza non e’ proponibile per la prima volta con il ricorso per cassazione (v. Cass. n. 33769 del 19/12/2019; n. 5328 del 04/04/2003).
Nella specie, non avendo la ricorrente provveduto alla corretta deduzione e allegazione degli atti processuali comprovanti l’avvenuta tempestiva sollevazione delle questioni in esame nel corso dei pregressi gradi di merito (con la conseguente dimostrazione che detta questione non e’ stata proposta per la prima volta con il ricorso per cassazione), l’odierna censura deve ritenersi radicalmente inammissibile.
7. Puo’ peraltro rilevarsi, ad ulteriore supporto, per altra via, della medesima conclusione, che a fondamento della censura viene evocata una norma contenuta nel regolamento per l’autogestione del quale nulla si dice circa la sua collocazione nel fascicolo di causa, ne’ se e dove essa sia stata prodotta nel giudizio di appello: indicazioni invece necessarie ai fini dell’osservanza dell’articolo 366 c.p.c., n. 6 (con riguardo al quale si veda, ex multis, Cass. Sez. U. n. 22726 del 2011, la quale, pur ammettendo che il ricorrente in Cassazione possa, agli effetti dell’osservanza dell’articolo 369 c.p.c., comma 2, n 4, fare riferimento alla presenza di atti processuali nel fascicolo d’ufficio della fase di merito, ha sottolineato che resta sempre fermo l’onere di indicazione specifica anche di tali atti, onere del tutto violato nella specie).
8. Mette conto ancora rilevare, ad abundantiam, che il motivo e’ comunque infondato nella parte in cui pone a fondamento della censura gli articoli 1130 – 1131 c.c..
Al di la’ della non argomentata pertinenza di tali riferimenti agli enti di autogestione, e’ comunque dirimente il rilievo che, secondo indirizzo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la necessita’ dell’autorizzazione o della ratifica assembleare per la costituzione in giudizio dell’amministratore (di condominio) va riferita soltanto alle cause che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore, ai sensi dell’articolo 1131 c.c., commi 2 e 3, (v. Cass. Sez. U. 06/08/2010, n. 18331; 23/01/2014, n. 1451; 25/05/2016, n. 10865; 21/05/2018, n. 12525).
Tale non puo’ considerarsi la controversia avente ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del condominio dal terzo creditore in adempimento di obbligazioni assunte per l’esercizio dei servizi condominiali, e quindi nei limiti di cui all’articolo 1130 c.c. (v. Cass. 03/08/2016, n. 16260; Cass. n. 12525 del 2018, cit.);
9. Il secondo motivo e’ parimenti inammissibile.
Cio’ che si lamenta non e’ in alcun modo riconducibile al vizio di motivazione mancante o apparente, quale definito dalla giurisprudenza di questa Corte.
Va al riguardo rammentato che e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U 07/04/2014, nn. 8053-8054).
10. La censura non si presta nemmeno ad essere ricondotta – nell’esercizio del potere di autonoma qualificazione della stessa secondo la sua effettiva consistenza (Cass. 24/07/2013, n. 17931) – al vizio cassatorio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 (omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti), occorrendo al riguardo rammentare che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per se’ vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Id. 22/09/2014, n. 19881).
Nella specie le circostanze che i documenti e le testimonianze indicate erano dirette a dimostrare sono state invero espressamente considerate dal giudice d’appello (v. pagg. 4-5 della sentenza, nelle quali si da’ conto esattamente della tesi difensiva dall’appellata e si menzionano altre note interlocutorie di contenuto sostanzialmente identico a quelle del cui omesso esame si duole la ricorrente), ma poi motivatamente giudicate irrilevanti alla luce dei rilievi sopra riassunti.
11. Il terzo motivo e’ inammissibile e, comunque, infondato.
Si assume, in sostanza, in termini meramente oppositivi rispetto alla seconda delle rationes decidendi addotte in sentenza, che dalla Legge Regionale Puglia n. 54 del 1987 e, segnatamente, dall’articolo 39, si dovrebbe trarre l’obbligo direttamente azionabile nei confronti degli assegnatari (siano o meno divenuti proprietari degli alloggi assegnati ovvero solo locatari) di assumere a proprio carico l’obbligo di corrispondere il corrispettivo dei servizi forniti da (OMISSIS), in via di subentro alle utenze in precedenza attivate dall’Iacp.
11.1. Tale tesi e’ anzitutto inammissibile perche’ non vale a contrastare:
a) ne’ il rilievo, costituente in sentenza autonoma ratio decidendi, secondo cui la pretesa cui e’ riferita la domanda di accertamento negativo e’ espressamente fondata su transazione inter alios acta e come tale inopponibile alle autogestioni ed ai condomini successivamente costituiti;
b) ne’ l’ulteriore rilievo, anch’esso costituente autonoma ratio decidendi, rappresentato dalla distinta soggettivita’ giuridica degli enti cui la pretesa in questione era riferita rispetto a quella dei singoli assegnatari.
11.2. Essa e’ in ogni caso manifestamente infondata.
Pur prescindendo dalla giusta obiezione dei controricorrenti secondo cui l’evocato articolo 39 Legge Regionale cit. e’ diretto a regolare la “attivita’ in amministrazione condominiale” e si riferisce, dunque, a stabili ceduti in proprieta’ integralmente o in parte (nella specie vertendosi, invece, per la massima parte degli intimati, in ipotesi di autogestione di alloggi concessi in locazione), deve comunque rilevarsi che ne’ da essa (per i condomini) ne’ dal precedente articolo 38 (riguardante le autogestioni) puo’ desumersi la previsione di un obbligo di legge posto direttamente a carico dei singoli assegnatari o condomini relativo al pagamento del corrispettivi dei servizi in questione, che sia direttamente azionabile nei loro confronti dall’ente che li eroga, al contrario essendo in entrambi i casi assai chiara e univoca la previsione della persistenza dell’obbligo in questione in capo all’ente gestore degli alloggi, fino al momento della costituzione delle autogestioni (articolo 38, comma 1) o delle amministrazioni condominiali (articolo 39, comma 1, secondo periodo).
12. Il quarto motivo e’, infine, inammissibile.
Secondo pacifica acquisizione, in tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione e’ limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunita’ di compensare in tutto o in parte le spese di lite, il cui mancato esercizio, come nella specie, per pacifico indirizzo, non e’ sindacabile nel giudizio di legittimita’ (Cass. Sez. U. 15/07/2005, n. 14989; Cass. 07/03/2001, n. 3272 e successive numerose conformi).
Nel caso di specie non e’ dubbio che l’esito finale della lite segni comunque una soccombenza, seppur parziale, dell’odierna ricorrente; cio’ certamente esclude, in base al suesposto principio, che possa avere ingresso nella presente sede la doglianza di mancata compensazione, neppure parziale, delle spese del giudizio di merito.
13. La memoria che, come detto, e’ stata depositata dalla ricorrente, ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c., non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi.
14. Il ricorso deve essere quindi rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo e da distrarre in favore dei procuratori antistatari che ne hanno fatto rituale richiesta nel controricorso e nella memoria.
15. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’articolo 1-bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate, in Euro 7.700 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge e distratte in favore dei difensori antistatari, Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS).
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’articolo 1-bis dello stesso articolo 13.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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