Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 14 gennaio 2019, n. 1561.
La massima estrapolata:
Il presidente di un gruppo consiliare regionale riveste la qualifica di pubblico ufficiale perché partecipa, nell’esercizio del suo ruolo, alle modalità progettuali e attuative della funzione legislativa regionale, nonché alla procedura di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al proprio gruppo. Di conseguenza, si configura il delitto di peculato nei suoi confronti nel caso che abbia autorizzato spese in mancanza di qualsiasi giustificativo sulla causale della spesa o che abbia gestito i fondi pubblici per scopi di interesse privato.
Sentenza 14 gennaio 2019, n. 1561
Data udienza 11 settembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente
Dott. CONSTANZA Angelo – Consigliere
Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere
Dott. VILLONI Orlando – Consigliere
Dott. DE AMICIS Gaetano – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/11/2017 della Corte di Appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Gaetano De Amicis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MOLINO Pietro, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio in relazione al punto 4) della imputazione, con rideterminazione del trattamento sanzionatorio a cura della Corte mediante l’eliminazione dalla pena complessiva di gg. 15 di reclusione e rigetto nel resto del ricorso;
uditi i difensori delle parti civili: Avv. (OMISSIS), per la (OMISSIS), che chiede il rigetto del ricorso; Avv. (OMISSIS), per il Gruppo consiliare (OMISSIS), che chiede il rigetto del ricorso e deposita conclusioni e nota spese;
uditi, in difesa di (OMISSIS), l’Avv. (OMISSIS) e l’Avv. (OMISSIS), che concludono per l’accoglimento dei motivi di ricorso e chiedono l’annullamento della sentenza.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14 novembre 2017 la Corte d’appello di Roma ha parzialmente riformato la decisione di condanna assunta all’esito del giudizio abbreviato di primo grado e conseguentemente rideterminato in anni tre di reclusione la pena irrogata a (OMISSIS) per le condotte di peculato continuato ascrittegli nella sua qualita’ di presidente del gruppo consiliare “(OMISSIS)” del Consiglio regionale del (OMISSIS) in relazione ad un arco temporale ricompreso fra il (OMISSIS), dichiarandone la responsabilita’ anche per la condotta di cui al punto 16 del capo A) – dalla quale era stato assolto in primo grado – e diversamente qualificando a sensi dell’articolo 314 c.p., comma 1 l’ipotesi individuata nel punto 9 del capo A) – dal Giudice primo grado sussunta nella diversa fattispecie del peculato d’uso – con l’esclusione della concessa attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6, ultimo capoverso, il riconoscimento in suo favore delle circostanze attenuanti generiche e la conferma nel resto della decisione impugnata, che lo condannava altresi’ al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede e alla rifusione delle spese nei confronti delle costituite parti civili.
1.1. Muovendo dalle risultanze probatorie illustrate nelle relative decisioni, i Giudici di merito hanno ritenuto accertata la responsabilita’ dell’imputato in relazione ad una serie di condotte appropriative commesse: a) mediante ripetute operazioni di bonifico bancario disposte da un conto corrente intestato al predetto gruppo consiliare regionale – ove confluivano i contributi riconosciuti al gruppo ai sensi della Legge Regionale 15 marzo 1973, n. 6, articolo 3-bis – su conti personali a lui intestati ed accesi anche presso banche estere, nonche’ attraverso pagamenti per spese personali effettuati a mezzo di bonifici bancari, assegni bancari, carte bancomat o prelievi in contanti, per un complessivo ammontare di Euro 1.457.970,89 (capo A), dalla Corte d’appello precisato, nella motivazione della pronuncia impugnata, in misura pari alla somma di Euro 1.200.784,00; b) mediante l’utilizzo, in via esclusiva e per finalita’ private, di beni (due autovetture intestate al predetto gruppo consiliare ed acquistate con provviste derivanti da un conto corrente bancario ad esso intestato presso l’istituto (OMISSIS)) rientranti nella sua disponibilita’ per effetto della su indicata qualita’ soggettiva, dei quali acquistava la proprieta’, senza pagarne il prezzo, con un atto di vendita concluso il giorno successivo alla destituzione dal suo incarico di presidente del gruppo consiliare regionale (capo B).
2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore del predetto imputato, deducendo cinque motivi di doglianza il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato.
2.1. Con il primo motivo si lamenta la violazione dell’articolo 466 cod. proc. pen. con riferimento alla nullita’ di cui all’articolo 178 c.p.p., lettera c), per l’omesso deposito nella Cancelleria della Corte d’appello di atti e documenti contenuti nel fascicolo utilizzato per il giudizio di primo grado (documentazione allegata ad un’informativa della Guardia di Finanza e verbali di sequestro da quest’ultima effettuati), secondo le indicazioni dalla difesa rappresentate in due note, rispettivamente precedenti alle udienze del 3 giugno 2014 e del 7 aprile 2016, ove si indicava la rilevanza della non rinvenuta documentazione ai fini dell’esercizio del diritto di difesa.
2.2. Con il secondo motivo, inoltre, si censurano vizi della motivazione con riferimento alla condotta descritta nel punto 4 del capo sub A) – concernente l’utilizzo di somme accreditate su una carta prepagata per l’importo di Euro 50.283,15 – non essendo emersa al riguardo alcuna prova della destinazione del denaro caricato sulla carta per finalita’ estranee a quelle previste dall’articolo 3-bis Legge Regionale cit..
Si evidenzia, in particolare, che la Corte distrettuale ha non solo invertito l’onere della prova, ponendo a carico dell’imputato il compito di dimostrare l’impiego del denaro per finalita’ istituzionali, ma ha contraddittoriamente ritenuto coerente il ragionamento del primo Giudice – che ha qualificato il fatto in termini di peculato d’uso – da un lato assumendo come indimostrata la destinazione per fini istituzionali del denaro portato dalla carta prepagata, dall’altro lato, con riferimento alla disamina dell’appello dal P.M. proposto sul punto, assumendo come non provato l’utilizzo per fini personali delle somme prelevate e poi impiegate per finalita’ istituzionali.
2.3. Con il terzo motivo si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione con riferimento alle condotte descritte nei punti 10, 11, 16, 17, 20 e 21 del capo sub A), ponendo in rilievo: a) quanto all’uso delle due autovetture intestate al partito, che tutti i capigruppo regionali ne avevano a disposizione una per partecipare ad iniziative politiche sul territorio, e che delle due autovetture solo una era in uso al (OMISSIS) e veniva impiegata per fini istituzionali, mentre l’altra era nella disponibilita’ del personale; b) quanto ai fatti di cui ai punti 10, 11 e 21 del capo sub A), che tutti gli elementi di prova sono stati desunti da dichiarazioni (rese dal coimputato (OMISSIS)) prive di riscontro esterno e finanche smentite dalle risultanze investigative; c) quanto ai lavori di giardinaggio nella casa del Circeo, che la Corte di merito ha equivocato i fatti accomunando i vari episodi, senza considerare che difettava la prova dei prelievi in banca della relativa provvista economica e che l’impresa era stata pagata non dal (OMISSIS), ma da un altro collaboratore del gruppo ( (OMISSIS)), peraltro con denaro in parte suo, cui il (OMISSIS) avrebbe dovuto restituire la somma; d) quanto ai viaggi effettuati dall’imputato, che la sua responsabilita’ e’ stata ritenuta sulla scorta di un’annotazione conclusiva della Guardia di Finanza che avrebbe smentito l’assunto secondo cui, come sostenuto dal primo Giudice, tali viaggi erano stati da lui pagati, eccependosi al riguardo l’omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per la violazione dell’articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, potendo la predetta annotazione equipararsi ad una prova dichiarativa.
2.4. Con il quarto motivo si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione, anche per travisamento del contenuto delle deposizioni dei testi escussi, con riferimento alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi – e in particolare di quello psicologico – del delitto di peculato per quel che attiene, segnatamente, alle somme erogate a norma dell’articolo 3-bis cit. e destinate, come tali, all’attivita’ politica e non a quella istituzionale.
Si evidenzia, al riguardo, che negli anni in questione si registro’ un aumento vertiginoso delle somme destinate al finanziamento dei gruppi, deliberato all’unanimita’, ossia con l’accordo dei rappresentanti di tutte le forze politiche, dall’ufficio di presidenza del Consiglio regionale: variazioni, queste, effettuate mediante interventi di modificazione delle poste di bilancio, senza che il (OMISSIS), peraltro, facesse parte di quell’ufficio. Ne discende l’assenza del dolo tipico della fattispecie in contestazione, risultando con evidenza il fatto che l’imputato, la cui credibilita’ e’ documentalmente riscontrata, si e’ in buona fede rappresentato la natura ed il suo potere di disposizione sulle somme di denaro in forza di un accordo voluto da tutte forze politiche, della prassi da sempre vigente e di regolari determinazioni e procedure amministrative di previsione ed erogazione sottoposte al controllo degli organi di vigilanza, non potendosi pertanto ritenere che egli abbia voluto disporre del denaro per fini diversi da quelli istituzionali, considerandolo “altrui” perche’ a lui non dovuto.
2.4.1. Si evidenzia, ancora, che alcune delle somme versate al gruppo consiliare, e girate in quanto tali al suo presidente, venivano percepite dall’imputato (con prelievi effettuati dal conto bancario del gruppo e da lui costantemente tracciati e rendicontati circa le modalita’ di utilizzazione) al di fuori di qualsiasi causale ordinaria e in virtu’ di un generale accordo raggiunto dalle forze politiche sulla erogazione di cifre in surplus per tutti coloro che rivestissero determinate cariche amministrative (ufficio di presidenza, commissioni, ecc.), cui spettava un multiplo della quota dovuta come consigliere in ragione del numero delle cariche rivestite.
2.4.2. Sul punto si lamenta, infine, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) e lettera e), il mancato accoglimento della richiesta di’ rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, si’ come dalla difesa avanzata in sede di appello ed incentrata sull’assunzione di decisive prove a discarico, attraverso le audizioni di una serie di testimoni – ivi compresi quelli assunti in sede di indagini difensive che avrebbero potuto riferire in merito all’esistenza del su indicato accordo politico, alle sue ragioni, alle modalita’ di percezione del denaro e alla buona fede dei relativi destinatari.
2.5. Con il quinto motivo di doglianza si censurano violazioni di legge e vizi della motivazione riguardo alla configurabilita’ degli elementi – oggettivi e soggettivi – richiesti per la integrazione della fattispecie di peculato, dovendosi di contro ritenere sussistente, se del caso, il diverso reato di appropriazione indebita.
A sostegno di tale assunto si rimarca il fatto che l’imputato annualmente rimetteva al Comitato regionale di controllo della contabilita’ il rendiconto delle modalita’ di utilizzazione dei finanziamenti avendo cura di distinguere la voce relativa alle somme in questione da quelle riguardanti la dotazione di ciascun consigliere, pari all’importo di Euro 136.000,00 annui, e che il suddetto Comitato regionale ha effettuato specifici controlli in ordine alle spese del partito ed alle attivita’ svolte in favore del gruppo, senza mai contestare alcun tipo di addebito. Diversamente da quanto ritenuto dai Giudici di merito, inoltre, non puo’ riconoscersi all’imputato la qualifica di pubblico ufficiale nei termini richiesti dall’articolo 314 cod. pen., non ricoprendo egli, nel momento in cui si sarebbe appropriato dei contributi regionali erogati al gruppo consiliare della (OMISSIS) “(OMISSIS)” a norma dell’articolo 3-bis Legge Regionale cit., quei poteri, ruoli e facolta’ che lo rendevano partecipe della particolare modalita’ progettuale ed attuativa della funzione legislativa regionale, cui ricollegare, poi, l’assunzione della predetta qualita’ soggettiva.
2.5.1. Muovendo dall’esigenza di una corretta qualificazione giuridica dei gruppi consiliari, per il cui funzionamento si suole distinguere due piani di attivita’ (uno di carattere consiliare-istituzionale, legato all’espletamento della funzione legislativa, e l’altro di carattere politico, non immediatamente collegabile a specifiche forme di esercizio delle funzioni consiliari), il ricorrente ritiene necessario, di conseguenza, attribuire rilievo alla qualita’ dell’attivita’ svolta dal gruppo consiliare, per poi determinare la qualifica soggettiva dei suoi componenti e del suo presidente, che agisce quale pubblico ufficiale, se deve esplicare funzioni propriamente inerenti all’attivita’ di organizzazione dei lavori assembleari, ovvero come privato, se deve assolvere ai “compiti” del partito di riferimento, ossia nella sua veste di esponente politico, concludendosi, nel caso di specie, per la natura privatistica del gruppo consiliare, da considerare quale diretta proiezione del partito politico di riferimento, dunque non come organo del consiglio regionale, quanto, piuttosto, come libera associazione non riconosciuta.
2.5.2. Si contesta, al riguardo, il ragionamento seguito dalle decisioni di merito, secondo cui assumerebbe rilievo, ai fini della individuazione della qualifica soggettiva, la coerenza dell’utilizzo delle somme rispetto al vincolo di destinazione impressovi ab origine, muovendo dal diverso assunto ricostruttivo secondo cui, in ragione del carattere privatistico dell’attivita’ svolta in seno all’associazione non riconosciuta di diritto privato, quale deve intendersi quella del gruppo consiliare quando pone in essere un’attivita’ di carattere politico, i soggetti operanti all’interno del gruppo-partito sono privi della qualita’ di pubblico ufficiale, con la conseguenza che, in caso di appropriazione di somme di denaro erogate al gruppo-partito, essi ne rispondono non a titolo di peculato, ma di appropriazione indebita aggravata dalla qualita’ di pubblico ufficiale.
Ulteriore conferma di tale assunto si rinviene, ad avviso del ricorrente, nella mancanza del necessario requisito della disponibilita’ delle somme per ragioni d’ufficio, avendo l’istruttoria dibattimentale dimostrato che il (OMISSIS) si e’ trovato nella giuridica disponibilita’ di contributi regionali riconducibili alle attivita’ politiche proprie del gruppo-partito e non alla gestione delle attivita’ di organizzazione e svolgimento dei lavori consiliari del gruppo: contributi, peraltro, di natura privata, non pubblica, in quanto erogati per il funzionamento dei gruppi nella loro veste di proiezione dei partiti politici e non in quanto articolazione organizzativa del Consiglio regionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ parzialmente fondato in relazione al secondo motivo di doglianza e deve pertanto accogliersi entro i limiti e per gli effetti qui di seguito esposti e precisati, rigettandosi per gli ulteriori motivi.
2. Infondato deve ritenersi il primo motivo di ricorso, incentrato sulla evocazione di una nullita’ che l’ordinamento processuale non ha, in forza del principio di tassativita’ di cui all’articolo 177 cod. proc. pen., espressamente contemplato a presidio della attivita’ consentita alle parti e ai difensori dalla disposizione di cui all’articolo 466 cod. proc. pen..
Al riguardo, inoltre, la sentenza impugnata ha preso in esame la ragione di doglianza attinente alla segnalazione, da parte della difesa, del mancato rinvenimento di taluni degli atti contenuti nel fascicolo processuale e l’ha, con congrua motivazione, disattesa spiegando, da un lato, che la stessa, a seguito di accurate ricerche eseguite dal personale di cancelleria, e’ stata risolta mettendo a disposizione della difesa una serie di documenti acquisiti dalla Guardia di Finanza ed inizialmente non reperiti, dall’altro lato che la documentazione in atti versata, tenuto conto della sua completezza e della specifica rilevanza che la stessa poteva avere in ordine alla posizione dell’imputato, gli ha consentito comunque di elaborare la sua strategia difensiva, anche attraverso la prospettazione di una ricostruzione alternativa dei fatti oggetto della regiudicanda.
In relazione ai profili or ora considerati deve peraltro soggiungersi che il disposto di cui all’articolo 590 cod. proc. pen. stabilisce, in linea generale, la regola applicabile al caso di specie, anch’essa sprovvista di una tipica sanzione di nullita’, secondo cui al giudice dell’impugnazione sono trasmessi senza ritardo gli atti del procedimento.
Un’apposita procedura, al riguardo, fissa, negli articoli 112 c.p.p. e ss., le regole per provvedere alla ricostituzione degli atti eventualmente mancanti, stabilendone forme, condizioni e modalita’.
La disposizione di cui all’articolo 113 cod. proc. pen. assegna, infatti, al giudice il compito di stabilire con ordinanza le modalita’ di ricostituzione degli atti mancanti non individuando alcun vincolo di contenuto e non prevedendo alcuna sanzione per eventuali vizi nella relativa attivita’ di formazione, ferma restando la necessita’, che riflette il contenuto precettivo essenziale della norma, che la ricostituzione avvenga secondo forme ritenute dal giudice conformi allo scopo per il quale la procedura e’ prevista (cfr., in motivazione, Sez. 2, n. 1207 del 11/12/2008, dep. 2009, Friuli, Rv. 242749; v., inoltre, Sez. 6, n. 48428 del 08/10/2014, Barone, Rv. 261249).
Della possibilita’ di fare ricorso a tale specifico iter procedimentale, tuttavia, il ricorrente non risulta essersi avvalso.
3. Parimenti infondato deve ritenersi il quarto motivo di ricorso, le cui ragioni di doglianza costituiscono, per ragioni di pregiudizialita’ logica, oggetto di prioritaria trattazione secondo l’ordine espositivo qui di seguito illustrato.
3.1. La sentenza impugnata ha richiamato il quadro normativo gia’ esaminato nella prima decisione in ordine alla distinta tipologia dei contributi erogati ai gruppi consiliari, ponendo in evidenza segnatamente: a) che il gruppo consiliare regionale del (OMISSIS) era presieduto dal (OMISSIS) ed era titolare di due conti correnti bancari accesi presso un istituto di credito il 26 maggio 2010, in coincidenza con l’insediamento del nuovo Consiglio regionale; b) che l’unica persona abilitata ad operare su tali conti correnti era il (OMISSIS) nella sua qualita’ di presidente del su indicato gruppo consiliare, con possibilita’ di subdelegare il dirigente la propria segreteria; c) che i due conti erano alimentati unicamente dai contribuiti erogati dalla (OMISSIS) con specifici stanziamenti di bilancio in favore dei gruppi consiliari; d) che tale finanziamento in favore dei gruppi consiliari e’ specificamente previsto dalla normativa regionale, e in particolare dalla Legge Regionale Lazio 15 marzo 1973, n. 6 (e succ. mod.) sul funzionamento dei gruppi consiliari, il cui articolo 3 attribuisce a ciascun gruppo un contributo mensile per le “spese di funzionamento” composto da una quota fissa (Euro 1.291,00 per ogni gruppo) e da una quota variabile ragguagliata alla consistenza numerica di ogni gruppo (Euro 620,00 per ciascun consigliere); e) che l’articolo 3-bis della legge su menzionata prevede un ulteriore contributo mensile, annualmente quantificato con delibere dell’Ufficio di Presidenza della Regione e progressivamente accresciuto dal 2010, ma subordinato – pena l’automatica sospensione del contributo – alla presentazione entro il mese di febbraio di ciascun anno di una “relazione dettagliata” a cura del presidente del gruppo consiliare sull’impiego di tali fondi; f) che la Legge Regionale Lazio 18 maggio 1998, n. 14, articolo 8, recante disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio di previsione della (OMISSIS), prevede la corresponsione a ciascun consigliere regionale di “una somma a titolo di rimborso delle spese sostenute per mantenere il rapporto tra eletto ed elettori nonche’ per rendere piu’ agevole l’esercizio della funzione, restando escluso ogni vincolo di mandato”; g) che siffatto rimborso, il cui importo e’ per i consiglieri della (OMISSIS) pari ad Euro 4.190,00 netti mensili moltiplicati per il numero dei componenti del gruppo, viene erogato ai consiglieri “per il tramite del gruppo consiliare di appartenenza”; h) che le condotte appropriative contestate al (OMISSIS) attengono, secondo la correlativa imputazione, unicamente al conto corrente bancario n. (OMISSIS), sul quale sono affluiti i contributi previsti dalla Legge Regionale n. 6 del 1973, articolo 3 bis cit. per il funzionamento del gruppo consiliare, non riguardando l’accusa le somme accreditate sul secondo conto corrente (quello recante il n. (OMISSIS)) intestato al predetto gruppo consiliare, ove sono invece confluiti i finanziamenti erogati a ciascun consigliere per curare i rapporti con il proprio collegio elettorale secondo quanto previsto Legge Regionale n. 14 del 1998, ex articolo 8 cit.; i) che l’indennita’ erogata ai consiglieri regionali – diversa dalle due, sopra indicate, forme di contributo viene erogata direttamente dal Consiglio regionale (nella busta paga), non prevede alcun obbligo di rendiconto ed e’ fissata, con deliberazione del Consiglio regionale del Lazio n. 356/2003, nella misura massima dell’80% dell’indennita’ mensile lorda percepita dai parlamentari, mentre ai consiglieri regionali che svolgono particolari funzioni (ad es., quelle di presidenti di gruppo o presidenti di commissioni consiliari) compete in aggiunta un’ulteriore indennita’ – pari al 15% per il presidente del gruppo -, fermo restando che, ai sensi della Legge Regionale n. 19 del 1995, articolo 4, le indennita’ non sono tra di loro cumulabili, con la conseguenza che “al consigliere regionale che svolga piu’ di una delle funzioni indicate e’ corrisposta l’indennita’ piu’ favorevole”.
La Legge Regionale n. 6 del 1973, articolo 3-bis cit. stabilisce, in particolare, al comma 1, che “ciascun gruppo consiliare ha inoltre diritto ad un contributo mensile per le spese di aggiornamento studio e documentazione compresa l’acquisizione di collaborazioni nonche’ per diffondere tra la societa’ civile la conoscenza dell’attivita’ dei gruppi consiliari, anche al fine di promuoverne la partecipazione all’attivita’ dei gruppi stessi e particolarmente all’esame delle questioni ed all’elaborazione di progetti e proposte di leggi e di provvedimenti di competenza del Consiglio regionale”.
Si tratta di un contributo (comma 2) quantificato annualmente ed assegnato ai gruppi consiliari, nell’ambito degli stanziamenti iscritti in bilancio, con deliberazione assunta dall’Ufficio di presidenza.
L’articolo 4, comma 1, della medesima legge stabilisce, inoltre, che “entro il mese di febbraio di ogni anno i presidenti dei gruppi consiliari inviano al Comitato regionale di controllo contabile una relazione dettagliata sull’impiego dei fondi erogati. Il mancato adempimento di tale prescrizione determina l’automatica sospensione del contributo”. Il comma 2 di tale disposizione precisa, a sua volta, che “Gli oneri conseguenti all’applicazione della presente legge gravano sulle spese generali di funzionamento del Consiglio, nel quadro della piena autonomia funzionale e contabile dello stesso ai sensi dell’articolo 11 dello Statuto”.
3.2. Dalla disamina della documentazione bancaria inerente alla movimentazione del su indicato conto corrente n. (OMISSIS) – intestato al gruppo consiliare denominato “(OMISSIS)” – e’ emerso che l’imputato ha disposto n. 634 bonifici nazionali per l’importo di Euro 2.702.670,00, quarantasei dei quali – dell’importo di Euro 755.046,20 – erano in favore di conti correnti personali con l’indicazione della causale riconducibile alla Legge Regionale n. 14 del 1998, articolo 8 cit. (causale pertinente, di contro, unicamente all’altro conto corrente), ed altri cinquantaquattro venivano disposti all’estero per l’importo complessivo di Euro 399,482,40 in favore di conti correnti bancari spagnoli intestati all’imputato, sempre riportandovi la medesima causale.
Ulteriori condotte appropriative, alla stregua dell”impostazione ricostruttiva delineata nella sentenza impugnata, sono state dai Giudici di merito concordemente accertate e valutate in relazione a spese effettuate sul medesimo conto per l’acquisto di una caldaia e di una lampada, a compensi erogati alla fidanzata e alla compagna del padre per asserite collaborazioni, al pagamento di circa Euro 30.000,00 per una vacanza in Sardegna, al pagamento di viaggi all’estero per motivi personali, a somme riscosse attraverso assegni e prelievi effettuati al bancomat senza indicazione della relativa causale, nonche’ ad esborsi mensili per l’importo di Euro 2.896,51 in favore della ” (OMISSIS)”, per un’autovettura acquistata nella qualita’ di presidente del gruppo consiliare, ma destinata al suo esclusivo utilizzo e successivamente trasferita in proprieta’ a se’ medesimo, comparendo l’imputato, nei relativi atti di compravendita, nella duplice veste di venditore, quale presidente del gruppo consiliare, ed acquirente.
3.3. Al riguardo, inoltre, muovendo dal complesso delle emergenze probatorie compiutamente illustrate in motivazione, la Corte distrettuale ha puntualmente esaminato e congruamente disatteso le medesime obiezioni difensive qui sostanzialmente reiterate, confermando le ragioni giustificative addotte a sostegno dell’epilogo decisorio cui era pervenuto il primo Giudice ed altresi’ evidenziando, con argomenti immuni da vizi logico-giuridici in questa Sede rilevabili, i seguenti, dirimenti, elementi ricostruttivi in punto di fatto: a) che nessuna conferma probatoria ha ricevuto la prospettata tesi difensiva dell’esistenza di un accordo politico intervenuto nella Commissione bilancio – di cui l’imputato era Presidente – con il Presidente del Consiglio regionale, in forza del quale, attraverso lo stanziamento di fondi operato ex articolo 3-bis cit. in favore dei gruppi consiliari, e in ossequio ad una prassi vigente nella (OMISSIS), al capogruppo titolare di ulteriori incarichi sarebbero state attribuite maggiori erogazioni pecuniarie (la cd. “doppia e tripla quota”); b) che le risultanze offerte dalle dichiarazioni rese dai numerosi testimoni sotto tali profili esaminati sono state univoche nell’escludere l’esistenza di siffatta, ipotizzata, prassi amministrativa, ponendo in rilievo il fatto che le relative indennita’ venivano direttamente erogate sulle buste paga personali, quali parti integranti il trattamento economico spettante ai consiglieri che assumevano le relative cariche; c) che tali emergenze probatorie hanno ricevuto ulteriori elementi di riscontro sul piano documentale, attraverso la disamina degli importi mensilmente accreditati all’imputato, secondo le indicazioni desumibili dalle voci dei vari emolumenti riportati nei relativi cedolini stipendiali; d) che un’eventuale intesa in tal senso raggiunta con il Presidente del Consiglio regionale giammai avrebbe potuto, per cio’ solo, ritenersi lecita in virtu’ del chiaro divieto normativo di cumulo delle indennita’ vigente, come dianzi osservato, nell’ambito della (OMISSIS); e) che ad analoghe conclusioni, peraltro, e’ stato possibile pervenire attraverso l’analisi dei bonifici ordinati sul conto corrente bancario su menzionato, ove erano giustappunto accreditati gli stanziamenti previsti per il gruppo consiliare, atteso che i prelievi dal (OMISSIS) effettuati su tale conto risultavano essere ben superiori al limite della cd. “doppia e tripla quota” sopra richiamata.
Nessuna buona fede puo’ fondatamente invocarsi, dunque, in relazione al, pur documentato, aumento degli stanziamenti disposti dall’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale ex articolo 3-bis cit. per effetto della deliberazione n. 82/2012, e in tal guisa notevolmente innalzati passando, attraverso tre variazioni di bilancio, dal limite iniziale di un milione a quello di tredici milioni di Euro: oltre alle su esposte considerazioni, gia’ di per se’ dirimenti, i Giudici di merito hanno correttamente argomentato facendo leva, da un lato, sul vincolo di destinazione obiettivamente impresso alle somme di denaro pubblico attribuite (come piu’ innanzi meglio si vedra’) ai sensi della su citata disposizione normativa, dall’altro lato sull’irrilevanza della tesi difensiva al riguardo sostenuta, atteso che nessun ulteriore finanziamento, seppure abnorme nella sua entita’ e, formalmente, approvato dal Comitato regionale di controllo, potrebbe consentire di aggirare la norma che espressamente impone il divieto di cumulo delle indennita’, avuto riguardo al fatto che, quand’anche un accordo politico fosse stato raggiunto, la sua finalita’ elusiva della sostanza del divieto normativo costituirebbe, semmai, una evidente prova di mala fede.
Ne’, sotto altro ma connesso profilo, puo’ trascurarsi di considerare il quadro delle implicazioni logicamente sottese all’ulteriore rilievo per cui all’imputato, come dai Giudici di merito correttamente osservato, si contesta la realizzazione di condotte inerenti all’indebito utilizzo di denaro pubblico per finalita’ private, non certo la motivazione e il quantum degli stanziamenti correlativamente previsti in favore dei gruppi consiliari regionali.
Deve ribadirsi, al riguardo, l’insegnamento di questa Suprema Corte (v., in motivazione, Sez. 6, n. 22523 del 20/03/2018, Aliberti, Rv. 273102), secondo cui nessuna valenza scriminante puo’ attribuirsi ad un comportamento contra legem alla cui formazione lo stesso pubblico ufficiale abbia contribuito: grava, infatti, su chi e’ professionalmente inserito in un settore collegato alla materia disciplinata dalla norma integratrice del precetto penale, un dovere di diligenza “rafforzato” di rispettare la legge ed i regolamenti che ne contemplano l’attivita’.
3.4. Discende, altresi’, da tali considerazioni la correttezza del vaglio delibativo dai Giudici di merito effettuato riguardo alla ritenuta irrilevanza dell’oggetto delle denegate richieste di rinnovazione dell’istruttoria, ove si ponga mente all’assetto interpretativo sotto tale profilo delineatosi nella giurisprudenza di questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, PR., Rv. 261799), secondo cui non e’ deducibile al riguardo un vizio ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), poiche’ non e’ configurabile un diritto dell’imputato alla prova integrativa, una volta che il giudizio abbreviato sia stato introdotto su sua domanda, e dunque, eventualmente, accogliendo le originarie istanze integrative della base cognitiva (Sez. 3, n. 20262 del 18/03/2014, L., Rv. 259663; in precedenza, Sez. 6, n. 7485 del 16/10/2008, Monetti, Rv. 242905).
Correlativamente, e sul piano del preteso vizio di motivazione, si e’ stabilito che la “celebrazione del processo nelle forme del rito abbreviato, se non impedisce al giudice d’appello di esercitare i poteri di integrazione probatoria, comporta tuttavia l’esclusione di un diritto dell’imputato a richiedere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ed un corrispondente obbligo per il giudice di motivare il diniego di tale richiesta” (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Rv. 249161). Il giudice del rito abbreviato, in sostanza, esercita in punto di integrazione della prova, ed in particolare nella prospettiva della rinnovazione dell’istruzione, un potere discrezionale che attiene al merito, e che sotto questo profilo e’ insuscettibile di sindacato, anche nella forma indiretta costituita dal parametro della motivazione esplicita (v., in motivazione, Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, PR., cit.).
Cio’ non toglie, ovviamente, che possano rilevare eventuali vizi della deliberazione assunta sulla regiudicanda, e della relativa motivazione, dei quali appaia manifesta la dipendenza dall’erronea decisione di non provvedere all’integrazione della prova, d’ufficio o su richiesta delle parti processuali.
La censura della mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria deve tuttavia legarsi alla dimostrazione – nel caso di specie, per quanto si e’ visto, non offerta dal ricorrente – dell’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicita’, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (ex multis v. Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzeri, Rv. 273577; Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, Pircher, Rv. 265323). Dall’esame della base argomentativa della sentenza, posta in relazione alle censure difensive in punto di rigetto delle istanze di integrazione probatoria, dovrebbe emergere, in definitiva, una grave lacuna del ragionamento probatorio e della sua rappresentazione giustificativa, che nel caso di specie, di contro, sotto alcun profilo (v., supra, il par. 3.3.) potrebbe risultare concretamente apprezzabile alla luce delle lineari sequenze espositive del ragionamento probatorio complessivamente articolato dai Giudici di merito nella motivazione dell’impugnata sentenza.
3.5. Analoghe considerazioni, sotto altro ma connesso profilo, devono svolgersi, poi, riguardo alla eccezione dell’omessa audizione delle persone sentite in sede di indagini difensive ex articolo 327-bis cod. proc. pen., avendo l’imputato richiesto la definizione del processo con il rito abbreviato condizionato alla sola escussione di alcuni funzionari della Regione (quelli dalla Corte d’appello espressamente menzionati nella pag. 14 della sentenza impugnata), in tal guisa accettando che la relativa decisione fosse assunta allo stato degli atti, senza alcuna possibilita’ di introdurre successivamente, nel giudizio di appello, nuovi elementi di prova attraverso l’allegazione di dichiarazioni assunte senza contraddittorio, vanificando i poteri istruttori dall’accusa eventualmente attivabili ex articolo 438 c.p.p., comma 5.
La previsione della spendibilita’ degli atti di indagine difensiva in ogni stato e grado del procedimento (articolo 327-bis c.p.p., comma 2) deve infatti coordinarsi, come da questa Suprema Corte affermato (v., in motivazione, Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, PR., cit.), con le regole fisiologiche di utilizzabilita’ degli atti di parte ed anche con le caratteristiche proprie della fase e del grado (Sez. 3, n. 35372 del 26/05/2010, G., Rv. 248366), tanto che, per esempio, resta preclusa la produzione degli esiti di investigazione difensiva nell’ambito del giudizio di legittimita’ (Sez. 3, n. 41127 del 23/05/2013, D’A., Rv. 256852). In armonia con principi di carattere generale, la legge stabilisce espressamente che anche nel giudizio abbreviato le prove integrative, quando si tratti di fonti dichiarative, debbano essere assunte e condotte dal giudice, con la conseguente inammissibilita’ della produzione, nel rito speciale (altra questione e’ quella delle produzioni antecedenti), di verbali formati unilateralmente dalle parti. E’ inequivoca in tal senso la lettera dell’articolo 441 c.p.p., comma 6, ove si stabilisce, per la prova integrativa assunta su disposizione officiosa od in base a richiesta condizionata dell’imputato, l’osservanza delle forme indicate ai commi 2, 3 e 4 del precedente articolo 422, con il logico corollario che i testimoni vanno citati e sentiti dal giudice, con le parti ammesse a formulare domande solo per il tramite del giudice medesimo.
Muovendo da tale approdo interpretativo questa Corte (Sez. 2, n. 9198 del 16/02/2017, Orsini, Rv. 269344) ha successivamente precisato che, in tema di giudizio abbreviato, i risultati delle investigazioni difensive sono utilizzabili ai fini della decisione a condizione che i relativi atti siano stati depositati nel fascicolo del P.M. prima dell’ammissione al rito speciale; ne consegue che, nell’ipotesi di giudizio abbreviato a seguito di udienza preliminare, tali atti possono essere prodotti anche nel corso dell’udienza preliminare e sino alla scadenza del termine per la richiesta del rito abbreviato, a norma dell’articolo 438 cod. proc. pen..
4. Parimenti infondate devono ritenersi le ragioni di doglianza sotto diversi profili prospettate nel quinto motivo di ricorso.
4.1. Vanno preliminarmente richiamate, al riguardo, le condivisibili argomentazioni da questa Suprema Corte gia’ svolte in sede cautelare (Sez. 6, n. 49976 del 03/12/2012, (OMISSIS), Rv. 254033), allorquando ha affermato il principio secondo cui il presidente di un gruppo consiliare regionale riveste la qualifica di pubblico ufficiale poiche’ partecipa, nel suo ruolo, alle modalita’ progettuali ed attuative della funzione legislativa regionale, nonche’ alla procedura di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al gruppo.
Linea interpretativa, questa, che la Corte ha in seguito ribadito (Sez. 6, n. 14580 del 02/02/2017, Narduzzi, Rv. 269536), nel ritenere configurabile il delitto di peculato nei confronti del presidente di un gruppo consiliare regionale che abbia autorizzato il rimborso ai singoli consiglieri delle c.d. “spese minute”, nonostante la mancanza di qualsiasi giustificativo comprovante la causale e il beneficiario della spesa, essendo egli obbligato, dalla vigente normativa regionale in tema di obbligo di rendicontazione, al controllo della destinazione dei fondi a lui resi disponibili in ragione del ruolo istituzionale ricoperto.
Presupposto fondamentale di tale assetto ermeneutico e’ la corretta individuazione della natura dell’attivita’ svolta dal presidente di un gruppo consiliare regionale, che proprio in ragione del ruolo da lui rivestito si ritiene assumere una posizione di particolare incidenza funzionale ed organizzativa nella vita del Consiglio regionale: egli, infatti, concorre – attraverso la partecipazione alla Conferenza dei Presidenti dei gruppi – alla organizzazione e calendarizzazione dei lavori dell’assemblea, alla organizzazione delle altre attivita’ consiliari propedeutiche a quelle direttamente legiferanti e alla indicazione dei membri del proprio gruppo di riferimento che compongono le commissioni previste dallo Statuto in seno al Consiglio regionale.
Una serie di facolta’ e di poteri il cui esercizio, come affermato da questa Corte (Sez. 6, n. 49976 del 03/12/2012, (OMISSIS), cit.), “esalta la rilevanza della figura del presidente del gruppo, rendendolo diretto partecipe di una peculiare modalita’ progettuale ed attuativa della funzione legislativa regionale, che lo qualifica senza dubbio come pubblico ufficiale ai sensi dell’articolo 357 c.p., comma 1”. Siffatta qualifica soggettiva, a prescindere dalla natura giuridica che voglia riconoscersi ai gruppi consiliari (ancor oggi controversa e di non agevole definizione sia in dottrina che in giurisprudenza), si coniuga alla disciplina di diritto pubblico dell’azione svolta dal gruppo in seno al Consiglio regionale e alla stessa rilevanza pubblica che in questo specifico contesto operativo assumono le attivita’ svolte dai presidenti dei vari gruppi consiliari, anche in relazione al su indicato, rilevante, profilo della partecipazione all’esercizio della funzione legislativa regionale.
Un ulteriore passaggio argomentativo delineato nella su richiamata decisione di questa Corte e’ incentrato sulle cause fondanti la disponibilita’ giuridica delle somme di denaro appartenenti al gruppo consiliare, atteso che il (OMISSIS), proprio in ragione della posizione da lui rivestita, “ha esercitato poteri di organizzazione del gruppo e di gestione diretta delle sue fonti finanziarie, essendo l’unico componente dell’aggregato consiliare autorizzato ad operare sui due soli conti correnti bancari intestati al gruppo, su uno soltanto dei quali sono affluite le erogazioni previste dalla Legge Regionale n. 6 del 1973, articolo 3-bis ( (OMISSIS) aveva possibilita’ di subdelega di firma in favore dei soli capi della propria segreteria personale succedutisi nel tempo e da lui stesso cooptati in tale incarico fiduciario).”.
Ne discende, pertanto, che solo per effetto della pubblica funzione di presidente del gruppo consiliare regionale dal ricorrente rivestita – dunque “per ragione del suo ufficio”, come previsto dall’articolo 314 c.p., comma 1, – egli e’ venuto a trovarsi in possesso delle somme di denaro oggetto delle erogazioni regionali, “sul cui corretto impiego era altresi’ chiamato a vigilare, ma che invece – ha ritenuto di fare in gran parte proprie, con criteri di persistente sistematicita’ per ben due anni e per motivi soltanto privati”.
Ininfluenti, all’interno della prospettiva tracciata da questa Corte, devono ritenersi due ulteriori, e distinti, profili ricostruttivi della fattispecie in esame: a) la qualita’ del soggetto giuridico cui appartiene il denaro in possesso del pubblico ufficiale che se ne appropria, essendo sufficiente la sola “altruita’” del bene (denaro nel caso di specie) sul quale il pubblico ufficiale ha il potere – per ragioni del suo ufficio – di compiere atti dispositivi ed essendo irrilevante che il suo proprietario sia un soggetto pubblico o un soggetto privato, con l’ulteriore ovvia conseguenza logica, nel caso di specie, della irrilevanza della soluzione che si intenda fornire al quesito circa la natura pubblicistica o privatistica dei gruppi consiliari regionali; b) l’analisi “dei coefficienti di discrezionalita’ riconoscibili al soggetto politico agente nella individuazione delle causali delle singole operazioni di spendita del predetto denaro, allorquando la condotta di personale appropriazione di questo stesso soggetto risulti conclamata ed inequivoca” (Sez. 6, n. 49976 del 03/12/2012, (OMISSIS), cit.).
Nel caso di specie, infatti, non puo’ dirsi che le diverse operazioni oggetto delle condotte appropriative enucleate nei correlativi temi d’accusa (ossia, i numerosi bonifici in favore dei suoi conti privati, i prelievi di denaro contante e gli acquisti e pagamenti personali per soggiorni turistici, viaggi all’estero, acquisto di una vettura ecc.) siano state dal ricorrente orientate verso l’obiettivo del buon “funzionamento” del suo gruppo consiliare, ovvero del soddisfacimento dei suoi fini, siano essi di natura pubblicistica o strettamente politico-partitica.
4.2. Ne’ validi argomenti in senso contrario potrebbero trarsi, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, dalla prospettata interpretazione di un precedente giurisprudenziale di questa Corte (Sez. 6, n. 33069 del 12/5/2003, Tretter, Rv. 226531), secondo cui l’attivita’ di un gruppo consiliare estranea alla diretta partecipazione ai lavori dell’assemblea dell’ente pubblico territoriale sarebbe sempre scandita da nessi di collegamento funzionale con la vita e le esigenze del gruppo inteso come proiezione del partito politico dei cui progetti e interessi e’ portatore.
Con tale pronuncia, per vero, la Corte ha affermato il principio secondo cui non risponde del delitto di peculato il presidente del gruppo consiliare provinciale che si appropri di contributi ottenuti dalla provincia per l’esplicazione dei compiti del proprio gruppo, impiegandoli per sostenere spese di propaganda politica o di rappresentanza (nella specie, per l’acquisto di materiale propagandistico e di oggetto-regalo di modesto valore per gli elettori, per pranzi e rinfreschi in occasione di incontri pre-elettorali), trattandosi di attivita’, benche’ non istituzionali, comunque legate da nesso funzionale con la vita e le esigenze del gruppo.
Siffatta decisione, come gia’ posto in rilievo in un condivisibile passaggio argomentativo delineato dalla richiamata decisione n. 49976 del 03/12/2012, (OMISSIS), “non si pone l’obiettivo di dare una risposta al quesito sulla vera e/o persistente, in tutte le situazioni, natura giuridica (pubblica o privata) del gruppo consiliare presente in una assemblea provinciale”, ma si pone, invece, “il problema di definire limiti e portata del vincolo di destinazione impresso ai contributi erogati dall’ente Provincia al gruppo consiliare”. Cio’ al fine di tracciare, secondo criteri compatibili con il principio di determinatezza delle condotte penalmente rilevanti, “la pertinenzialita’ dell’avvenuto impiego (spendita) da parte del gruppo (e per esso del suo presidente) dei contributi provinciali agli scopi e obiettivi che di essi contributi costituiscono causa”.
In tal senso, tenuto conto dell’ampiezza della nozione dei “compiti” del gruppo consiliare utilizzata dal regolamento del Consiglio provinciale per vincolare, in quel determinato caso, l’erogazione contributiva allo svolgimento dei predetti compiti, la sentenza Tretter “ha rimarcato come siffatta nozione impedisse di considerare le spese effettuate dal presidente del gruppo consiliare per attivita’ di propaganda e per altre iniziative politiche di partito (tutte opportunamente documentate dall’imputato) avulse, e per cio’ stesso elusive del vincolo di destinazione dei supporti finanziari della Provincia, dalla attuazione dei compiti e delle funzioni del proprio gruppo consiliare”.
Problematica diversa, dunque, da quella investita dalla vicenda storico-fattuale presa in esame nel caso qui considerato, ove “non viene in alcun modo in discussione, come si e’ piu’ volte chiarito, la eventuale finalizzazione di segno latamente “politico” delle accertate indebite spese e autoassegnazioni del denaro del gruppo consiliare regionale presieduto dal ricorrente indagato e da costui realizzate”.
Nel caso in esame, infatti, come rilevato da questa Corte nella menzionata pronuncia resa in sede cautelare, pur ammettendo che le erogazioni regionali ex articolo 3-bis Legge Regionale cit. includano o consentano una mediata destinazione ad attivita’ politiche di partito non immediatamente collegabili ai profili c.d. pubblicistici dell’operare dei gruppi consiliari, emerge con evidenza che “di siffatte ipotizzabili iniziative non vi e’ traccia alcuna, tutte le spendite del denaro formato dai contributi regionali e i trasferimenti di esso sui conti correnti privati dell’indagato essendo privi di qualsiasi giustificazione anche solo larvatamente politica o partitica”.
Presupposto logico e giuridico della decisione Tretter era, dunque, una “larga accezione” dei “compiti” assegnati dal regolamento al gruppo consiliare provinciale: siffatta interpretazione dei compiti esplicati dal gruppo, ritenuta dalla Corte “assai lata”, si’ da ricomprendervi anche attivita’ esterne al consiglio e riconducibili alla natura essenzialmente politica del gruppo stesso, era giustificata in quel caso dall’assenza nella disciplina regolamentare di prescrizioni tali da imporre “una pubblicita’ analitica del modo di impiego del contributo”. Nel caso in esame, di contro, la citata disposizione di cui alla Legge Regionale n. 6 del 1973, articolo 4 stabilisce, come si e’ visto, che i presidenti dei gruppi consiliari inviano ogni anno al Comitato regionale di controllo contabile una relazione dettagliata sull’impiego dei fondi erogati: prescrizione normativa, questa, il cui mancato adempimento determina l’automatica sospensione del contributo.
4.3. Analoghe considerazioni devono svolgersi, poi, sotto diverso ma connesso profilo, in relazione ad un altro precedente di questa Corte (Sez. 6, n. 35683 del 01/06/2017, Adamo, Rv. 270549), che ha escluso il delitto di peculato nel caso in cui non sia fornita giustificazione in ordine al contributo erogato per l’esercizio delle funzioni di un gruppo consiliare regionale, non potendo derivare l’illiceita’ della spesa da tale mancanza, ma dovendosi comunque fornire piena prova dell’appropriazione e dell’offensivita’ della condotta, quanto meno in termini di alterazione del buon andamento della pubblica amministrazione.
A tale esito decisorio la Corte e’ pervenuta muovendo dall’assunto che, nel caso ivi sottoposto alla sua cognizione, uno specifico obbligo di rendiconto in capo ai presidenti dei gruppi, tale da costituire parametro idoneo all’espletamento di un controllo cui correlare l’esplicitazione documentale delle relative giustificazioni di spesa, non era contemplato dalla normativa vigente nella Regione Sicilia ed e’ stato introdotto in via generale solo dal Decreto Legge 174 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 213 del 2012, cui la Regione Sicilia ha dato attuazione nel 2014, con il logico corollario che in ambito penale la mancanza di coeva giustificazione non integra strutturalmente il reato de quo, discendendo quest’ultimo pur sempre da una concreta condotta di appropriazione, che va provata dalla parte pubblica, laddove una diversa impostazione ricostruttiva condurrebbe a ravvisare il reato anche in presenza di una destinazione lecita della spesa, pur debitamente allegata.
Anche nel caso or ora citato, tuttavia, questa Corte ha ribadito nella motivazione la configurabilita’ del delitto di peculato “allorche’ possa dirsi che il soggetto beneficiario della contribuzione l’abbia destinata ad un utilizzo diverso e non compatibile con quello ragionevolmente riconducibile all’ambito delle attivita’ che il Gruppo svolge o puo’ svolgere in funzione dell’apporto che deve arrecare all’Organo assembleare”. In un caso del genere, infatti, si registra sia il presupposto rappresentato dalla disponibilita’ da parte del pubblico ufficiale, per ragioni inerenti alla sua veste e alla sua funzione, di una somma di denaro, sia l’elemento costitutivo del delitto, rappresentato dall’appropriazione di quella somma, attraverso l’esercizio di un potere di disposizione non corrispondente a quello conferito, implicante l’utilizzo del bene come cosa propria, da cui puo’ discendere sia un profilo di danno patrimoniale, sia una lesione dell’interesse al buon andamento della P.A..
Nella medesima prospettiva ermeneutica e’ significativo rilevare come, in altro passaggio motivazionale della pronunzia da ultimo citata, si sia ulteriormente rimarcato, nel solco dell’indirizzo gia’ delineato alla luce del su indicato tracciato interpretativo, che “la complessita’ e il multiforme carattere delle funzioni del Gruppo (riconosciuta anche da Corte Conti, Sez. Riun. n. 30 del 28/5/2014), non vale ad escludere la dimensione pubblicistica dell’erogazione dei contributi e la veste di pubblico ufficiale del Presidente del Gruppo (Cass. Sez. 6, n. 49976 del 3/12/2012, (OMISSIS), Rv. 254033; piu’ di recente anche Cass. Sez. 6, n. 4126 del 12/11/2015, dep. nel 2016, Acierno, non massimata sul punto)…”.
4.4. Perfettamente in linea con tali approdi interpretativi deve altresi’ ritenersi il quadro di principii delineato dalle Sezioni Unite civili di questa Suprema Corte (Sez. U, ord. n. 23257 del 31/10/2014, Rv. 632757) in tema di giurisdizione di responsabilita’ contabile sulla gestione delle dotazioni pubbliche dei gruppi partitici dei consigli regionali (successivamente ribadito da: Sez. U, n. 8077 del 21/04/2015; Sez. U, n. 8570 del 28/04/2015; Sez. U, n. 8622 del 29/04/2015; Sez. U, n. 6894 del 08/04/2016; Sez. U, ord. n. 4880 del 27/02/2017, Rv. 643278; Sez. U, n. 21927 del 13/02/2018).
A tale riguardo, infatti, nel richiamare i medesimi presupposti logico-giuridici da cui ha preso le mosse la su citata sentenza (OMISSIS) per valorizzare l’incidenza dell’attivita’ dei gruppi e dei relativi presidenti sullo svolgimento delle funzioni dell’assemblea regionale, la Corte ha affermato il principio secondo cui la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali e’ soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti, che puo’ giudicare, quindi, sulla responsabilita’ erariale del componente del gruppo autore di “spese di rappresentanza” prive di giustificativi; ne’ rileva, ai fini della sussistenza della giurisdizione contabile, la natura – privatistica o pubblicistica – dei gruppi consiliari, attesa l’origine pubblica delle risorse e la definizione legale del loro scopo, o il principio dell’insindacabilita’ di opinioni e voti ex articolo 122 Cost., comma 4, che non puo’ estendersi alla gestione dei contributi, attesa la natura derogatoria delle norme di immunita’.
L’affermazione della giurisdizione contabile trova adeguata giustificazione, come posto in risalto dalla su richiamata decisione delle Sezioni Unite civili, “nell’avvenuta prospettazione di un pregiudizio connesso a condotta idonea a frustrare la coerenza dell’utilizzazione dei contributi pubblici erogati con gli specifici vincoli ad essi impressi dalla legge”. Nella elaborazione giurisprudenziale delle Sezioni unite civili, infatti, la giurisdizione della Corte dei conti viene a radicarsi in funzione non della qualita’ dell’agente (che ben puo’ essere un privato), ma della natura delle risorse utilizzate e della predeterminazione dello scopo attraverso di esse perseguito: circostanze, queste, che, “attribuendo centralita’ alla configurabilita’ di un danno a carico della cosa pubblica e non al quadro di riferimento, pubblico o privato, nel quale si colloca la condotta produttiva del danno medesimo, elidono la rilevanza del carattere privato dell’attributario”.
Ne discende, pertanto, che “l’eventuale carattere puramente privatistico dei gruppi consiliari e dei relativi componenti non presenterebbe comunque carattere dirimente ai fini dell’esclusione del sindacato della giurisdizione contabile della Corte dei conti sulla gestione dei contributi pubblici erogati ai gruppi consiliari per il loro funzionamento” (Sez. U, ord. n. 23257 del 31/10/2014, cit.).
A tale riguardo, peraltro, e’ la stessa Corte costituzionale, nel riprendere affermazioni risalenti alle proprie decisioni n. 187/1990 e n. 1130/1988, nonche’ ad una precedente pronuncia delle Sezioni Unite civili di questa Corte (Sez. U, n. 609 del 01/09/1999, Rv. 529547), ad accentuare la connotazione pubblicistica delle funzioni svolte dai gruppi costituiti in seno ai consigli regionali definendoli, nella sentenza n. 39 del 26 febbraio 2014, come “organi del consiglio e proiezioni dei partiti politici in assemblea regionale, ovvero come uffici comunque necessari e strumentali alla formazione degli organi interni del consiglio”, in sintonia con la circostanza, che pure ne evidenzia la funzionale inerenza all’istituzione regionale piuttosto che al partito, della esistenza di gruppi “misti” (afferenti a plurime ed eterogenee istanze politiche) nonche’ di gruppi unipersonali.
Analoga accentuazione della dimensione pubblicistica delle funzioni svolte dai gruppi consiliari, del resto, e’ visibile nella evoluzione della giurisprudenza del Consiglio di Stato, che dopo un’iniziale pronunzia (n. 932 del 1992) ove erano state tenute distinte le strutture burocratico-amministrative del Consiglio regionale e della Regione dall’organizzazione interna del gruppo, dovendosi considerare lo stesso quale formazione associativa a carattere politico e temporaneo e proiezione in Consiglio dei partiti, con la sentenza n. 8145 del 2010 ha attribuito minor rilievo alla connessione gruppi-partiti. Secondo tale giudice amministrativo infatti: “(…) in via generale il gruppo consiliare non e’ un’appendice del partito politico di cui e’ esponenziale ma ha una specifica configurazione istituzionale come articolazione del consiglio regionale, i cui componenti esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato dai partiti e dagli elettori (…)”.
Sulla medesima linea interpretativa dianzi illustrata in tema di giurisdizione sulla gestione delle dotazioni pubbliche dei gruppi consiliari si colloca, inoltre, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, una successiva decisione delle Sezioni Unite civili (Sez. U, ord. n. 10094 del 18/05/2015, Rv. 635272). Nell’affermare il principio secondo cui le somme erogate ai partiti politici a titolo di rimborso delle spese elettorali, nella disciplina anteriore alla L. 6 luglio 2012, n. 96, non recano un vincolo di destinazione pubblicistica, sicche’ la condotta appropriativa del tesoriere del partito non da’ luogo a responsabilita’ erariale soggetta alla giurisdizione del giudice contabile, ma a responsabilita’ civile soggetta alla giurisdizione del giudice ordinario, tale pronuncia della Corte ha avuto cura di precisare “la diversita’ della materia sottoposta alla sua cognizione, siccome concernente, giustappunto, le questioni relative alla gestione delle somme erogate ai partiti politici a titolo di rimborso delle spese elettorali.
Nella motivazione della decisione or ora citata, infatti, il Supremo Collegio ha espressamente affermato che la soluzione in tal guisa adottata non intendeva certo discostarsi da quella “adottata da queste Sezioni Unite (con l’ordinanza 31 ottobre 2014, n. 23257, cui hanno fatto seguito le ordinanze 21 aprile 2015, n. 8077, 28 aprile 2015, n. 8570, e 29 aprile 2015, n. 8622) con riguardo alla gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali, la quale e’ stata ritenuta soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti, che puo’ quindi giudicare sulla responsabilita’ erariale del componente del gruppo autore di “spese di rappresentanza” prive di giustificativi. A detta conclusione, infatti, la Corte e’ pervenuta, nella citata ordinanza n. 23257 del 2014, sulla base dei seguenti presupposti: (a) considerando che i gruppi consiliari hanno “natura pubblicistica” “in rapporto all’attivita’ che li attrae nell’orbita della funzione istituzionale del soggetto giuridico, assemblea… regionale, nel cui ambito sono destinati ad operare”; (b) sottolineando che i contributi pubblici sono erogati ai gruppi consiliari “con gli specifici vincoli ad essi impressi dalla legge”: vincoli “dettagliatamente predefiniti… con esplicito esclusivo asservimento a finalita’ istituzionali del consiglio regionale e non a quelle delle associazioni partitiche o, tanto meno, alle esigenze personali di ciascun componente”; (c) tenendo conto della qualifica di pubblico ufficiale, ai sensi dell’articolo 357 c.p., comma 1, che la giurisprudenza penale della Corte attribuisce al presidente del gruppo partitico del consiglio regionale: questi infatti, nel suo ruolo, partecipa alle modalita’ progettuali ed attuative della funzione legislativa regionale, nonche’ alla procedura di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al gruppo”.
4.5. In una prospettiva del tutto analoga a quella dettata dalla Corte di cassazione si e’ sviluppata la riflessione giurisprudenziale della Corte dei conti (Sez. giur. Regione Lazio del 11/02/2014, n. 154), che proprio all’esito di un giudizio riguardante la posizione dell’odierno ricorrente ha riconosciuto la natura pubblica sia delle funzioni del presidente del gruppo consiliare regionale che dei contributi erogati dalla (OMISSIS) con destinazione vincolata al funzionamento dello stesso gruppo, richiamando, in tal senso, il contenuto delle disposizioni appositamente introdotte dal legislatore nazionale per garantire il funzionamento dei gruppi consiliari regionali (in particolare, la L. 6 dicembre 1973, n. 853, articoli 1 e 2, che classificano tali contributi quali uscite per “Servizi degli organi statutari” nell’ambito delle spese generali del Consiglio) ed osservando conseguentemente: a) che i gruppi consiliari sono organi della Regione, ossia soggetti pubblici il cui funzionamento e’ regolato da norme di diritto pubblico; b) che il funzionamento di tali gruppi e’ finanziato da risorse pubbliche alle quali e’ per legge impreso un vincolo di destinazione funzionale e qualitativo; c) che la garanzia che tali mezzi siano utilizzati per le finalita’ effettivamente indicate dalla legge e’ affidata ai presidenti del gruppi, tenuti per legge ad osservare e a far osservare tali vincoli di destinazione, relazionando dettagliatamente sull’impiego dei fondi erogati.
4.6. Sulla base delle su esposte considerazioni deve ritenersi, in definitiva, che del complessivo quadro di principii da questa Suprema Corte stabiliti ha fatto buon governo la decisione impugnata, ad essi correttamente uniformatasi la’ dove ha posto in rilievo: a) che i vari trasferimenti dall’imputato operati dal conto corrente ove confluivano i contributi erogati ex articolo 3-bis cit. sui suoi conti privati ovvero per spese personali erano privi di qualsiasi giustificazione riferibile ad iniziative di tipo politico o partitico; b) che l’utilizzo di tali contributi e’ dunque avvenuto a fini esclusivamente personali, rendendo in tal guisa irrilevanti gli argomenti difensivi prospettati in ordine alle finalita’ di raccordo fra i gruppi consiliari e la societa’ civile che pur permeano, in tesi, l’erogazione dei contributi regionali in relazione ad eventuali iniziative di ordine politico non direttamente ricollegabili alle attivita’ di segno pubblicistico del Consiglio regionale; c) che in forza della qualita’ di pubblico ufficiale del (OMISSIS) i fatti oggetto della regiudicanda non sono sussumibili nella diversa fattispecie incriminatrice dell’appropriazione indebita, ne’ possono qualificarsi come malversazione ai danni della Regione, non potendo egli, quale pubblico amministratore per carica elettiva, ritenersi figura estranea alla pubblica amministrazione, ed anzi dovendosi ritenere obbligato, proprio nell’esercizio delle sue funzioni di presidente di un gruppo consiliare regionale, a controllare il vincolo di destinazione gravante sui contributi in favore del suo gruppo erogati, attraverso la predisposizione di una dettagliata relazione sulle modalita’ d’impiego dei fondi a tal fine assegnati, da sottoporre successivamente al vaglio del Comitato di controllo contabile della Regione (arg. ex Sez. 6, n. 41178 del 29/09/2005, Mallardo, Rv. 233479).
Gli atti dispositivi, di tipo bancario e negoziale, dall’imputato compiuti in assenza di giustificazioni diverse da quelle riconducibili al perseguimento di un interesse meramente privato o di arricchimento personale, rientrano dunque nel perimetro applicativo della figura criminosa tipizzata dall’articolo 314 c.p., correlandosi alla oggettiva connotazione di “altruita’” del denaro, sottratto al gruppo consiliare che ne era proprietario avvalendosi della disponibilita’ giuridica a lui direttamente facente capo in ragione della assunzione della pubblica funzione di presidente del gruppo consiliare regionale.
Dei contributi previsti dall’articolo 3-bis Legge Regionale cit., pubblici e legalmente definiti in ordine alle specifiche finalita’ dell’erogazione, l’imputato ha ricevuto la disponibilita’ proprio nella veste di presidente del gruppo consiliare, appropriandosene per motivi personali e non per destinarne l’utilizzo all’esercizio di attivita’ di natura politica. Il soggetto percettore di tali fondi, pero’, non puo’ alterare lo scopo perseguito dalla legge nell’accordarne lo stanziamento e l’erogazione disponendone in modo diverso da quello prescritto, poiche’ il vincolo ad essi funzionalmente impresso ne condiziona l’impiego al perseguimento delle finalita’ istituzionali del Consiglio regionale, senza creare alcuna “riserva” cui poter liberamente attingere per soddisfare le esigenze personali dei suoi componenti.
La stessa formulazione letterale della su menzionata norma regionale impone di ritenere la erogazione dei contributi come finalizzata ed oggettivamente attratta non certo all’interno di una dimensione politico-partitica del gruppo consiliare regionale, come dal ricorrente prospettato, ma nell’orbita dell’attivita’ e delle funzioni di segno tipicamente pubblicistico-istituzionale dei gruppi consiliari regionali, considerati quali indispensabili articolazioni organizzative del Consiglio regionale, le cui attivita’ quei fondi tendono non solo a tutelare (sostenendo le spese di aggiornamento, studio e documentazione), ma anche a diffondere e promuovere pubblicamente, favorendo la crescita della partecipazione della cittadinanza regionale e della societa’ civile al processo democratico e, segnatamente, all’elaborazione e alla progettazione della normativa regionale.
Deve poi soggiungersi, e il dato e’ fattualmente dirimente, che nelle riscontrate modalita’ di spesa dei contributi regionali non e’ mai emersa traccia di una loro destinazione all’attivita’ politico-partitica del gruppo consiliare di cui il ricorrente era membro, essendosi trattato, come si e’ gia’ avuto modo di rilevare, di un utilizzo effettuato sempre per ragioni di tipo personale o privato.
Ai diversi bonifici bancari, nazionali ed esteri, dall’imputato eseguiti in suo favore, secondo le risultanze probatorie evidenziate nelle decisioni di merito, risulta esser stata attribuita, infatti, la non pertinente causale fondata sul richiamo alla Legge Regionale n. 14 del 1998, articolo 8: disposizione, questa, che prevede una contribuzione (destinata pro quota ai singoli consiglieri di ciascun gruppo consiliare) di tutt’altra natura di quella di cui alla Legge Regionale n. 6 del 1973, articolo 3-bis, e che e’ accreditata su un conto corrente (del medesimo gruppo consiliare) separato da quello di pertinenza dei contributi ex articolo 3-bis (ossia il conto n. (OMISSIS)), sul quale soltanto, come dai Giudici di merito posto in rilievo, sono avvenute le operazioni oggetto degli indebiti prelievi in contestazione.
5. Infondate, sino a lambire i margini dell’inammissibilita’, devono poi ritenersi le ragioni di doglianza oggetto del terzo motivo di ricorso, in quanto sostanzialmente orientate a riprodurre un quadro di argomentazioni gia’ ampiamente vagliate e correttamente disattese dalla Corte distrettuale, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, poiche’ imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal guisa richiedendo l’esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearita’ e della logica conseguenzialita’ che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell’impugnata decisione.
Sotto tali profili, dunque, il ricorso non e’ volto a rilevare mancanze argomentative ed illogicita’ ictu oculi percepibili, bensi’ ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento dei temi d’accusa enucleati con riferimento alle condotte oggetto dei rispettivi capi d’imputazione in narrativa richiamati (v., supra, il par. 2.3.).
Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella prima decisione, la cui struttura motivazionale viene a saldarsi perfettamente con quella di secondo grado, si’ da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di merito ha esaminato e puntualmente disatteso la diversa impostazione ricostruttiva prospettata dalla difesa, ponendo in evidenza, attraverso il richiamo ai passaggi motivazionali gia’ esaustivamente delineati nella prima decisione, le specifiche e convergenti fonti di prova orale o documentale partitamente individuate (cfr., particolare, le pagg. 15-24) ai fini dell’accertamento delle relative condotte di appropriazione, coerentemente escludendo qualsiasi possibilita’ di ancorare la ragione giustificativa delle diverse spese o dei bonifici al riguardo effettuati dall’imputato (ad es. per le spese di soggiorno in Positano, con la fidanzata, dal 15 al 21 agosto 2011) alle finalita’ istituzionali proprie del contributo erogato ai sensi dell’articolo 3-bis cit..
Congruamente argomentata, alla luce delle convergenti risultanze probatorie offerte dalle deposizioni dei testi in motivazione citati, deve altresi’ ritenersi l’affermazione secondo cui entrambe le autovetture di cui al capo B) erano nell’uso esclusivo dell’imputato e non venivano utilizzate dal personale: la proprieta’ di tali beni, entrambi intestati al gruppo consiliare del “(OMISSIS)”, e’ stata acquisita dall’imputato il giorno successivo alla sua sostituzione nella predetta carica pubblica da parte di altra persona, dunque in difetto di qualsiasi potere di rappresentanza del gruppo, illegittimamente comparendo nei relativi atti di trasferimento nella duplice veste di venditore – quale presidente del suddetto gruppo consiliare – e di acquirente dei beni come persona fisica.
Anche in relazione alle modalita’ di accertamento sul piano probatorio delle condotte appropriative enucleate nei punti 10), 11), 20) e 21) del capo A) le decisioni di merito hanno correttamente disatteso le su esposte obiezioni difensive (v., in narrativa, il par. 2.3.), basando i risultati delle relative argomentazioni su un vaglio delibativo non limitato alla disamina del contenuto delle fonti dichiarative ivi richiamate, ma esteso al combinato apprezzamento di un insieme di elementi, oggettivi (luogo e modalita’ di rinvenimento dei beni e delle fatture), documentali (accertamenti bancari e causali delle fatture) e, soprattutto, logici (natura stessa delle spese, qualita’ e pregio dei materiali, collocazione temporale degli acquisti, ecc.), alla cui complessiva valutazione si e’ affiancata una lineare esposizione – dal ricorrente sotto alcun profilo disarticolata o incrinata sul piano della coerenza e della tenuta logica – delle ragioni giustificative dell’epilogo decisorio cui la Corte distrettuale e’ al riguardo pervenuta.
Analoghe considerazioni devono svolgersi in merito alla condotta di peculato contestata nel punto 16) del capo A), avendo la sentenza impugnata congruamente argomentato, sul piano documentale e senza la necessita’, dunque, di rinnovare alcuna prova dichiarativa sul punto, le ragioni del diverso esito decisorio cui la Corte distrettuale e’ pervenuta rispetto alla prima decisione, confutandone radicalmente l’assunto sul rilievo che la somma di denaro (assegno bancario dell’importo di Euro 3.010,00 in favore di un’agenzia di viaggio) impiegata per il pagamento di due voli – e relativo noleggio auto – per un viaggio a Tenerife, non giustificato da alcun motivo di ordine istituzionale, era stata prelevata dal conto corrente del su indicato gruppo consiliare.
Sul punto deve solo soggiungersi che le annotazioni redatte dagli organi di Polizia giudiziaria costituiscono una forma alternativa di documentazione delle relative attivita’ ai sensi dell’articolo 357 c.p.p., comma 1: proprio per tale ragione esse costituiscono la doverosa documentazione di attivita’ d’indagine riconducibile all’espletamento di compiti istituzionali, ritualmente acquisita al fascicolo del P.M. e, dunque, suscettibile di utilizzazione – come e’ correttamente avvenuto nel caso di specie – ai fini della decisione nell’ambito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, dato che l’accesso a tale rito – la cui scelta e’ rimessa all’imputato – attribuisce agli atti di indagine un valore probatorio del quale sono fisiologicamente sprovvisti quando il giudizio stesso sia condotto nelle forme ordinarie (cfr. Sez. 1, n. 16411 del 03/03/2005, Baldassarre, Rv. 231571).
Si tratta, in definitiva, di un quadro argomentativo logicamente articolato nelle premesse e nelle relative conclusioni, esulando, come e’ noto, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’ riservata in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente piu’ adeguate (Sez. Un., 2 luglio 1997, n. 6402, Dessimone).
6. In relazione alle su esposte ragioni di doglianza s’impone, pertanto, il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla costituita parte civile Gruppo consiliare (OMISSIS) presso il Consiglio regionale della (OMISSIS).
Tali spese, avuto riguardo al contenuto della richiesta sul punto formulata dalla parte e alla natura ed entita’ delle questioni dedotte, vanno complessivamente liquidate secondo le correlative statuizioni decisorie in dispositivo meglio indicate, non procedendosi peraltro ad analoga liquidazione per l’altra parte civile costituita, che non ne ha fatto richiesta.
7. Fondato, di contro, deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, le cui doglianze investono profili di contraddittorieta’ ed illogicita’ della motivazione con riferimento alla condotta di peculato d’uso contestata nel punto 4 del capo A), avente ad oggetto sei bonifici compiuti su un rapporto di conto corrente intestato all’imputato e corrispondente ad una carta prepagata per l’importo complessivo di Euro 50.283,15.
Al riguardo, invero, l’esame della motivazione della decisione impugnata restituisce, pur all’esito del necessario raffronto con quella di primo grado, un quadro probatorio solo genericamente delineato, del tutto incerto nelle sue implicazioni di ordine inferenziale ed intimamente contraddittorio nei relativi passaggi argomentativi, ne’ coerentemente integrabile e risolvibile attraverso un ulteriore approfondimento, ove si consideri che: a) nella decisione di primo grado si fa riferimento alla mancata dimostrazione della finalita’ personale dell’impiego delle somme di denaro transitate sulla predetta carta, muovendo dall’assunto, perplesso e genericamente prospettato, che la condotta appropriativa si sarebbe verificata solo in via “del tutto transitoria”, poiche’ il denaro ivi transitato sarebbe stato poi devoluto a spese di natura istituzionale; b) nella sentenza impugnata, da un lato, si riconosce, senza precisare sotto alcun profilo le note modali della condotta in contestazione, che vi e’ un deficit di prova riguardo all’utilizzo per fini personali delle somme prelevate – e poi impiegate per finalita’ istituzionali -, dall’altro lato si fa contraddittoriamente riferimento al fatto che, in mancanza di precise indicazioni e di un’adeguata documentazione, non vi e’ prova che l’impiego del denaro a fini istituzionali sia avvenuto “contestualmente alla ricarica della carta prepagata”, in tal guisa invertendo l’onus probandi a carico dell’imputato, cui viene illogicamente attribuito il compito di ricostruire i contorni temporali, le modalita’ e i fini di una condotta non compiutamente ricostruita ne’ accertata dall’organo inquirente.
S’impone, conclusivamente, in relazione alla condotta di cui al punto 4 del capo A), l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con la formula in dispositivo indicata, rideterminandosi per l’effetto la entita’ della pena complessivamente irrogata attraverso la eliminazione della porzione relativa a giorni quindici di reclusione, dai Giudici di merito al riguardo individuata a titolo di continuazione interna nella sentenza di secondo grado, si’ da pervenire alla pena finale di anni due, mesi undici e giorni quindici di reclusione, in luogo della diversa dosimetria della pena (pari a tre anni di reclusione) stabilita dalla Corte di appello.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al peculato di cui al punto 4 del capo A), perche’ il fatto non sussiste ed elimina la corrispondente pena di giorni quindici di reclusione, rideterminando la pena in anni due, mesi undici e giorni quindici di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso. Condanna inoltre il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Gruppo consiliare (OMISSIS) presso il Consiglio regionale della (OMISSIS), liquidandole in complessivi Euro tremilacinquecento, oltre rimborso spese al 15%, IVA e CPA.
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