Responsabilità solidale ex art. 57 del d.P.R. n. 131 del 1986

Corte di Cassazione, sezione tributaria, Sentenza 18 gennaio 2019, n. 1298.

La massima estrapolata:

In tema di imposta di registro, la responsabilità solidale ex art. 57 del d.P.R. n. 131 del 1986 non viene meno per effetto dell’adesione di uno dei coobbligati alla definizione per adesione, essendo necessario che ad essa segua l’integrale estinzione del debito tributario, come definito in sede di adesione (nei confronti del coobbligato aderente), ovvero accertato in sede giudiziale (nei confronti del coobbligato non aderente).

Sentenza 18 gennaio 2019, n. 1298

Data udienza 9 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere

Dott. D’OVIDIO Paola – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 26633-2013 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta delega in calce;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE (OMISSIS) DI ROMA UFFICIO DI ROMA (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI LATINA, MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 304/2012 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 21/12/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/10/2018 dal Consigliere Dott. PAOLA D’OVIDIO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione dei motivi 3 e 4;
udito per il ricorrente l’Avvocato (OMISSIS) per delega dell’Avvocato (OMISSIS) che si riporta e chiede l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto.

FATTI DI CAUSA

1. In data 30 dicembre 2008 (OMISSIS) proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma impugnando l’avviso di rettifica e liquidazione, notificatogli a mezzo posta in data 23 maggio 2008, con il quale l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Roma (OMISSIS), previa verifica del valore dei beni (costituiti da un terreno ed un fabbricato in costruzione) oggetto dell’atto di compravendita stipulato in data 26 maggio 2006 tra il ricorrente e la societa’ (OMISSIS) s.r.l., e registrato il 6 giugno 2006, aveva ritenuto di elevare la stima da complessivi Euro 135.000,00 ad Euro 354.825,00, liquidando conseguentemente le maggiori imposte di registro, ipotecarie e catastali dovute.
In precedenza era stata presentata proposta di adesione all’avviso di rettifica e liquidazione su iniziativa dello stesso ricorrente unitamente alla societa’ acquirente, ma la relativa procedura conciliativa si era conclusa con l’adesione solo di quest’ultima e non anche del Cipriari, il quale proponeva dunque il suindicato ricorso alla CTP di Roma.
Il ricorrente, in particolare, deduceva l’irritualita’ della notifica, in quanto eseguita in maniera difforme dalle norme procedurali, la illegittimita’ della sottoscrizione, in quanto non riferibile al dirigente responsabile, nonche’, nel merito, l’inidoneita’ della motivazione dell’avviso di liquidazione e l’erroneita’ dei presupposti.
Si costituiva l’Ufficio contestando le avverse deduzioni sotto ogni profilo.
2. La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza n. 243/36/11, respingeva il ricorso del contribuente, compensando le spese di lite.
3. Avverso tale sentenza proponeva appello il (OMISSIS) riproponendo i motivi di ricorso gia’ espressi in primo grado.
Si costituiva l’Ufficio appellato chiedendo la conferma della decisione impugnata.
4. La Commissione Tributaria Regionale di Roma, con sentenza n. 304/29/12 del 17 ottobre 2012, depositata il 21 dicembre 2012, respingeva l’appello e condannava il (OMISSIS) al pagamento delle spese.
5. Avvero tale sentenza il (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Il ricorrente ha depositato memoria difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 111 Cost. e degli articoli 116, 132 e 360 c.p.c.”.
In particolare, il ricorrente eccepisce la nullita’ della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, ritenendo tale provvedimento privo di argomentazioni e meramente adesivo alle conclusioni dell’Ufficio, cosi’ da porsi in contrasto con l’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 111 Cost., comma 6, nonche’ dall’articolo 132 c.p.c., per tutti i provvedimenti giurisdizionali. In tal modo, risulterebbe anche violato l’articolo 116 c.p.c., non essendo state adeguatamente valutate, secondo il (OMISSIS), le prove fornite dalle parti.
1.1 Il motivo e’ infondato.
Si legge nella motivazione della sentenza impugnata che “l’ufficio aveva correttamente operato nel pieno rispetto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articoli 51 e 52, e non risulta fondata l’eccezione di parte, relativa al presunto vizio di notifica dell’atto impositivo, per altro ritualmente notificato ai sensi della L. n. 890 del 1982 a mezzo posta, ed era stata puntuale la procedura con la quale il direttore dell’ufficio aveva delegato il Capo Area controllo, alla firma degli avvisi di accertamento. Nel merito, la pretesa tributaria indicata dall’Amministrazione era basata su elementi similari, confrontabili con altri trasferimenti immobiliari, relativi a prezzi di mercato praticati per cessioni analoghe, ed in relazione alla porzione di terreno agricolo, oggetto di compravendita, il valore indicato era stato ritenuto congruo dall’ufficio, e quindi non rettificato, mentre la rivalutazione parziale era stata operata soltanto sul valore del fabbricato in costruzione e del terreno ad esso pertinente, riferito all’anno, pur anche alle fondamenta ed alle strutture portanti, ed era stata applicata una riduzione del 60% rispetto ai valori di riferimento O.M.I. Pertanto le valutazioni indicate dall’ufficio, e gli importi iscritti a ruolo sono ritenuti congrui, nella misura di Euro 15.620,00 per l’appellante, in solido con l’acquirente”.
La C.T.R., dunque, ha esaminato tutti i motivi di appello, spiegando sia le ragioni di fatto che le norme di legge, opportunamente richiamate, poste alla base della propria decisione.
Come emerge dall’illustrazione del motivo, il ricorrente lamenta in particolare che i giudici di appello non avrebbero “fatto riferimento ad alcuna interpretazione delle norme applicate per addivenire alla decisione ne’ tantomeno agli argomenti di prova sui quali hanno fondato il proprio convincimento”, e neppure avrebbero “valutato adeguatamente le prove fornite dalle parti, in falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c.”, poiche’ “la sentenza impugnata e’ fondata su una erronea ed illogica valutione del materiale probatorio fornito dal contribuente”.
Orbene, per quanto riguarda l’asserita mancanza di motivazione su questioni di diritto (i.d.: interpretazione delle norme applicate), osserva il collegio che, per un verso, l’interpretazione delle norme richiamate nella sentenza impugnata e’ implicitamente, ma univocamente, desumibile dalla concreta applicazione che di esse e’ stata compiuta dalla CTR e, per l’altro verso, che la mancanza di motivazione su questione di diritto, e non di fatto, deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, infatti, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonche’ dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’articolo 111 Cost., comma 2, ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta (Cass., SU, 2 febbraio 2017, n. 2131, Rv. 642269-01).
Nella specie, come emerge dall’esame dei successivi motivi di ricorso, la soluzione giuridica accolta dalla CTR risulta corretta, sicche’ la censura risulterebbe comunque irrilevante anche ritenendo insufficiente la motivazione sulle questioni di diritto riproposte in questa sede.
Infondato e’ altresi’ il secondo profilo di censura dedotto dal ricorrente, ossia la asseritamente erronea ed illogica valutazione delle prove fornite dalle parti, atteso che il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli articoli 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimita’, sicche’ la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensi’ un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (entrata in vigore il 12/8/2012 ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012), trattandosi nella specie di ricorso per cassazione proposto avverso una sentenza pubblicata il 21 dicembre 2012 (Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940, Rv. 645828-02).
Nella specie, tuttavia, il ricorrente non ha proposto esplicitamente tale vizio motivazionale, ne’ ha indicato l’omesso esame di un fatto specifico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio, avendo invece lamentato l’omessa considerazione di alcune prove (sulla congruita’ del prezzo di vendita dichiarato e sulla intervenuta adesione all’accertamento da parte della coobbligata societa’ acquirente), cosi’ sostanzialmente censurando la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimita’ degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito. La censura, pertanto, si risolve in una inammissibile sollecitazione di una diversa lettura delle risultanze probatorie, proponendo un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (V., con riferimento al testo previgente dell’articolo 360, n. 5, c.p.c., Cass., sez. 1, 30/03/2007, n. 7972, Rv. 596019-01).
Del resto, questa Corte ha in piu’ occasioni affermato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Cio’ e’ quanto avvenuto nella specie, la’ dove, peraltro, le prove asseritamente non valutate riguardavano non “un fatto”, bensi’ la corretta valutazione dell’immobile oggetto di accertamento e la sussistenza dell’obbligazione tributaria in capo all’odierno ricorrente.
Con riferimento a quest’ultimo aspetto, il (OMISSIS) lamenta che la CTR non avrebbe considerato l’intervenuta adesione all’accertamento da parte della coobbligata societa’ acquirente, circostanza che, si assume in ricorso, avrebbe dovuto escludere la responsabilita’ solidale della parte alienante.
Si osserva in proposito che, sebbene tale “fatto” non sia state espressamente esaminato nella sentenza impugnata, cio’ non potrebbe comunque fondare una censura ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (peraltro neppure esplicitamente proposta dal ricorrente), trattandosi di un fatto che, se esaminato, non avrebbe determinato un esito diverso della controversia (V. Cass., sez. L, 31/07/2013, n. 18368, Rv. 627810-01), per le ragioni che saranno illustrate esaminando il quarto motivo di ricorso.
2. Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la “violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 26, della L. n. 890 del 1982, articoli 2 e 3, dell’articolo 149 c.p.c., per nullita’ della notificazione, nonche’ violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, articolo 7, e violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 16, per illegittimita’ della sottoscrizione”.
Il motivo si articola in due diverse censure, tutte attinenti ad asserite violazioni di legge.
In primo luogo, il ricorrente lamenta che la notifica dell’atto di accertamento, avvenuta a mezzo posta direttamente ad opera dell’Ufficio L. n. 890 del 1982, ex articolo 14, sarebbe inesistente in quanto priva della necessaria relata, come prescritto dalle norme del codice di rito, ed in particolare dall’articolo 149 c.p.c., comma 2, ritenute applicabili nella specie in virtu’ del combinato disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 52, comma 3, e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 60.
Il secondo profilo di censura attiene alla asserita violazione dell’articolo 7 dello Statuto del contribuente e del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 16, derivante dalla circostanza che l’atto impositivo non risultava sottoscritto dal Dirigente Responsabile, a nulla rilevando, secondo il ricorrente, le giustificazioni dell’Ufficio impositore relative all’esistenza della delega conferita al Capo Area Controllo.
2.1 Il motivo e’ infondato.
Con riferimento al primo profilo, il Collegio intende dare continuita’ al principio gia’ affermato da questa Corte secondo il quale, in tema di notificazioni a mezzo posta, la disciplina relativa alla raccomandata con avviso di ricevimento, mediante la quale puo’ essere notificato, ai sensi della L. n. 890 del 1982, articolo 14, l’avviso di accertamento o liquidazione senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario, e’ quella dettata dalle disposizioni concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, in quanto le disposizioni di cui alla legge citata attengono esclusivamente alla notifica eseguita dall’ufficiale giudiziario ex articolo 140 c.p.c., mentre l’articolo 149 c.p.c. riguarda solo la notifica a mezzo posta eseguita dall’ufficiale giudiziario Ne consegue che, difettando apposite previsioni della disciplina postale, non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona cui e’ stato consegnato il plico, e l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’articolo 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato nella impossibilita’ senza sua colpa di prenderne cognizione. (V. Cass., sez. 5, 15/07/2016, n. 14501, Rv. 640546-01; conf. Cass., sez. 5, 6/06/2012, n. 9111, Rv. 622974-01).
Con riferimento al secondo profilo di censura in cui si articola il motivo, vale il principio secondo il quale l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria non e’ richiesta, dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 7 (c.d. Statuto del contribuente), a pena di nullita’, in quanto tale sanzione e’ stata introdotta per le sole cartelle di pagamento dal Decreto Legge 31 dicembre 2007, n. 248, articolo 36, comma 4-ter, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2008, n. 31, applicabile soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008 (Cfr. Cass. SU, 14/05/2010, n. 11711, Rv. 613232-01; Cass., sez. 5, 12/5/2017, n. 11856, Rv. 644115-01).
3. Con il terzo motivo di ricorso si prospetta la “violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articoli 51 e 52, richiamati dal D.P.R n. 643 del 1972, articolo 31, in ordine alla corretta individuazione del valore dell’immobile, nonche’ dell’articolo 2697 c.c.”.
Nell’illustrazione del motivo si lamenta che la sentenza impugnata si sarebbe uniformata all’operato dell’Agenzia, senza verificare la congruita’ del valore dei criteri utilizzati dall’Ufficio, in particolare senza tenere conto ne’ della documentazione prodotta dal ricorrente ne’ dei criteri indicati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 51, considerato che nell’atto impositivo non erano state indicate le caratteristiche degli eventuali immobili posti a parametro di confronto con quello oggetto di verifica (con riferimento allo stato in cui si trovavano, alla loro ubicazione, alla metratura, ecc.), impedendo al contribuente di verificare la correttezza della valutazione e violando altresi’ l’articolo 2697 c.c., in virtu’ del quale l’Agenzia avrebbe dovuto, non solo enunciare nell’atto, ma anche provare in giudizio gli elementi concreti posti a base della propria pretesa. Inoltre, la CTR non avrebbe tenuto conto che il criterio di valutazione richiamato dall’Agenzia, ossia il cosiddetto valore OMI, per giurisprudenza nazionale ed europea ormai consolidata, non puo’ piu’ considerarsi sufficiente fonte di accertamento dei valori.
3.1 Il motivo e’ inammissibile.
Invero la censura, benche’ rubricata e sviluppata come violazione di legge, in concreto non contiene alcuna denuncia di una erronea applicazione della norma in linea teorica, risolvendosi in una doglianza circa un preteso mal governo delle risultanze probatorie, per non essere state adeguatamente considerata la documentazione prodotta dal ricorrente, per essere stati ritenuti congrui i criteri della valutazione sintetico-comparativa utilizzata dall’Ufficio, per non aver tenuto conto delle modifiche dello stato dei luoghi intervenute tra la data di stipula dell’atto di compravendita (2006) e quella dell’accertamento (2008): in sostanza, si deducono vizi di motivazione da far valere nei limiti di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, nel testo successivo alla novella del 2012, applicabile ratione temporis per quanto gia’ evidenziato con riferimento al primo motivo.
E’ appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa che, nella specie, non e’ stato sollevato; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, attraverso il vizio di motivazione (cfr. tra le tante: Cass., sez. L, 11 gennaio 2016 n. 195, Rv. 638425-01; Cass., sez. 5, 30 dicembre 2015, n. 26610 Rv. 638171-01).
A cio’ deve aggiungersi che la CTR non ha affatto deviato dalla corretta applicazione del riparto dell’onere probatorio, come ipotizza il ricorrente lamentando che l’Ufficio non avrebbe prodotto alcuna documentazione comprovante la corretta individuazione dei criteri utilizzati, ma ha piuttosto valutato nel merito le risultanze istruttorie, ritenendo che “la pretesa tributaria indicata dall’Amministrazione era basata su elementi similari, confrontabili con altri trasferimenti immobiliari, relativi a prezzi di mercato praticati per cessioni analoghe”, ed osservando che “la rivalutazione parziale era stata operata soltanto sul valore del fabbricato in costruzione e del terreno ad esso pertinente, riferito all’anno, pur anche alle fondamenta ed alle strutture portanti, ed era stata applicata una riduzione del 60% rispetto ai valori di riferimento O.M.I.”, circostanze che hanno fondato il giudizio di congruita’ espresso nella sentenza impugnata.
4. Con il quarto motivo di ricorso si prospetta la “violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 57”.
In proposito il ricorrente si duole che la sentenza impugnata non abbia tenuto conto dell’avvenuta definizione per adesione dell’accertamento de quo da parte della societa’ acquirente ( (OMISSIS) s.r.l.), in conseguenza della quale la pretesa fiscale dovrebbe ritenersi “definita” ed il (OMISSIS) del tutto svincolato, dalla data della detta adesione, dalla responsabilita’ solidale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 57.
4.1. Il motivo e’ infondato.
La mancata partecipazione del ricorrente alla definizione per adesione effettuata dalla societa’ coobbligata Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, ex articolo 57, ha avuto l’unico effetto di impedire che, nei confronti del primo, l’importo globale della pretesa tributaria coincidesse con la somma dell’accertamento de quo, consentendogli di contrastare tale pretesa mediante opposizione alla stessa in sede giudiziale, come in effetti e’ avvenuto.
Resta invece ferma la responsabilita’ solidale, la quale non viene automaticamente meno per effetto dell’adesione di uno dei coobbligati, essendo necessario che ad essa segua l’integrale estinzione del debito tributario, come definito in sede di adesione (nei confronti del coobbligato aderente), ovvero accertato in sede giudiziale (nei confronti del coobbligato non aderente).
Nella specie, come eccepito dall’Agenzia e non contestato dal ricorrente, alla adesione della societa’ acquirente non e’ seguito l’integrale pagamento dell’importo, essendo stata versata solo una rata, sicche’ il debito non risulta integralmente estinto, con la conseguenza che il ricorrente rimane responsabile solidale per la parte ancora non versata dall’acquirente.
5. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato, cosi’ che restano a carico della parte ricorrente sia le spese di questa fase (liquidate come in dispositivo), sia il raddoppio del contributo unificato, dovendo darsi atto dell’esistenza dei relativi presupposti ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, applicabile ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, trattandosi di ricorso per cassazione notificato in data 15/11/2013.

P.Q.M.

La Corte,
– rigetta il ricorso;
– condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 1.800,00 per compensi, oltre rimborso forfettario, oneri fiscali e previdenziali di legge;
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

Avv. Renato D’Isa

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