Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 29 maggio 2020, n. 16437.
Massima estrapolata:
Per la configurabilità del delitto di detenzione di sostanze farmacologicamente o biologicamente attive (cosiddetti anabolizzanti), previsto dall’art. 9, legge 14 dicembre 2000, n. 376 in materia di lotta contro il “doping”(fattispecie ora inserita nell’art. 586-bis cod. pen.), non è richiesto che l’attività sportiva sia svolta a livello professionistico o comunque agonistico.
Sentenza 29 maggio 2020, n. 16437
Data udienza 21 gennaio 2020
Tag – parola chiave: REATI CONTRO LA PERSONA – REATI CONTRO LA PERSONA (IN GENERE)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LIBERATI Giovanni – Presidente
Dott. GAI Emanuela – rel. Consigliere
Dott. CORBO Antonio – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposto da:
Procuratore generale della Corte d’appello di Milano;
e da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 13/05/2019 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Molino Pietro, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 13 maggio 2019, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Milano, ha ridotto la pena inflitta, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, a (OMISSIS), nella misura di anni due e mesi otto di reclusione e Euro 22.000,00 di multa, e a (OMISSIS), a mesi dieci di reclusione e Euro 4.000,00 di multa, confermando la pronuncia di condanna, rispettivamente, di (OMISSIS) per i reati di cui alla L. 18 dicembre 2000, n. 376, articolo 9, comma 7 (ora articolo 586 bis c.p.) per avere commercializzato sostanze dopanti ricomprese nelle classi di cui all’articolo 2 legge medesima (capo a), e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, per la detenzione a fini di cessione di n. 157 fiale di nandrolone (capo b), e di (OMISSIS) per il reato di cui alla L. 18 dicembre 2000, n. 376, articolo 9 comma 1 (ora articolo 586 bis c.p.), come derubricata l’originaria contestazione di violazione di cui alla L. 18 dicembre 2000, n. 376, articolo 9, comma 7 in relazione alla cessione di sostanze dopanti a favore di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (capo c). Accertati nel (OMISSIS).
2. Avverso la sentenza hanno presentato ricorsi il Procuratore generale e gli imputati, a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Il Procuratore generale deduce, con un unico motivo di ricorso, il vizio di motivazione in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con motivazione mancante, illogica e contraddittoria, per avere, la Corte d’appello, fatto un generico riferimento alla riduzione della pena per rapportarla “a piu’ congrui criteri” in contraddizione con l’affermazione della “benevole” concessione delle circostanze attenuanti generiche e della qualificazione del reato di cui al capo b) nell’alveo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5. Chiede l’annullamento della sentenza.
2.2. I ricorsi degli imputati sono affidati a motivi, anche comuni, che possono qui essere sintetizzati.
– Vizio di motivazione (comune) in relazione alla mancanza di motivazione sulla natura delle sostanze sequestrate quali sostanze dopanti, in assenza di accertamenti tecnici.
– Vizio di motivazione (comune) in relazione all’illogicita’ della motivazione sull’affermazione della responsabilita’ penale, in presenza di condotte commesse in ambito sportivo amatoriale, da parte di frequentatori della palestra. La norma incriminatrice punisce le condotte ivi descritte al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, soggetto destinatario della tutela, essendo l’atleta colui che partecipa regolarmente ad attivita’ sportive organizzate, situazione non sussistente nel caso in esame.
– Vizio di motivazione (comune) in relazione all’illogicita’ della motivazione sulla quantificazione della pena in misura eccessiva e immotivata.
– Violazione di legge e vizio di motivazione (ricorso (OMISSIS)) in relazione alla qualificazione giuridica del fatto ai sensi della L. 18 dicembre 2000, n. 376, articolo 9, comma 1 (ora articolo 586 bis c.p.), in luogo della ritenuta violazione di cui alla L. 18 dicembre 2000, n. 376, all’articolo 9 comma 7 in assenza della condotta di commercializzazione, non avendo assunto la condotta dell’imputato, il carattere organizzato e continuativo tipico dell’attivita’ commerciale.
– Violazione di legge e vizio di motivazione (ricorso (OMISSIS)) in relazione alla configurabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e illogicita’ della motivazione sulla finalita’ di cessione del nandrolone sequestrato.
3. Il Procuratore Generale ha chiesto l’inammissibilita’ dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso del Procuratore generale e’ inammissibile per difetto di specificita’ e manifesta infondatezza.
Esso e’ privo della necessaria e puntuale critica alla sentenza impugnata) limitandosi a dissentire alle argomentazioni della corte territoriale nella rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
La corte territoriale, in accoglimento dell’appello degli imputati, ha ritenuto di ridurre la pena detentiva (solo quella) inflitta in primo grado per”essere rapportata a piu’ congrui criteri”, motivazione rispetto alla quale il ricorso contesta in via del tutto generica la adeguatezza della motivazione correlata alla ritenuta congruita’ della misura inflitta, da cui il dedotto vizio di motivazione per non avere dato conto dell’esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena ex articolo 132 c.p..
In ogni caso, ferma la genericita’ della censura, deve rammentarsi che nell’ambito del potere discrezionale di commisurazione della pena, il giudice deve valutare, ai fini del corretto esercizio, gli elementi che attengono alla gravita’ del fatto e alla capacita’ a delinquere e indicare tra questi quelli che ritiene rilevanti ai fini della determinazione concreta della pena da infliggere di cui deve fornire congrua motivazione. Il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’articolo 125 c.p.p., comma 3, anche ove adoperi espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, ovvero si richiami alla gravita’ del reato o alla personalita’ del reo (Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007 Ruggeri, Rv. 237402), principio a cui si e’ attenuta la Corte d’appello che e’ pervenuta ad irrogare una pena nella mediana.
Con riguardo alle riduzioni di pena, ferma la genericita’ del ricorso che si limita a dissentire dai giudici del merito, il ricorso e’ anche diretto a richiedere una diversa valutazione delle circostanze di fatto che hanno indotto i giudici del merito a giustificare il trattamento sanzionatorio.
5. I ricorsi degli imputati non sono fondati in forza delle seguenti ragioni.
Non e’ fondato il primo (comune) motivo di ricorso in relazione alla prova della natura della sostanza sequestrata non essendo stato disposto alcun accertamento tecnico circa la efficacia dopante. Osserva il Collegio che la sentenza impugnata, nel rispondere alla medesima censura difensiva devoluta, ha ritenuto dimostrata la natura dopante delle sostanze sequestrate sulla scorta della classificazione operata dai Vigili Urbani al momento del sequestro e sulla base delle stesse indicazioni provenienti dagli imputati. In particolare, dalle stesse dichiarazioni rese dal (OMISSIS) che ammetteva il possesso di anabolizzanti (pag. 7 sentenza GUP) e delle dichiarazioni della (OMISSIS) che, trovata in possesso di n. 101 capsule, aveva dichiarato che contenevano efedrina (pag. 3), dichiarazioni utilizzabili in forza della richiesta di essere giudicati con le forme del giudizio abbreviato.
6. Non e’ fondato neppure il secondo (comune) motivo di ricorso.
Il Collegio non intende discostarsi dall’indirizzo giurisprudenziale secondo cui per la configurabilita’ del delitto di detenzione di sostanze farmacologicamente o biologicamente attive (cosiddetti anabolizzanti) – previsto dalla L. 14 dicembre 2000, n. 376, articolo 9 in materia di lotta contro il “doping” (fattispecie ora inserita nell’articolo 586 bis c.p.) – non e’ richiesto che l’attivita’ sportiva sia svolta a livello professionistico o comunque agonistico (Sez. 3, n. 32963 del 18/04/2013, Grasso, Rv. 257263 – 01). Non puo’ essere condivisa la tesi difensiva tesa a limitare la sfera dei possibili autori del reato a chi svolga una attivita’ di “atleta”. Come la Corte di cassazione ha avuto modo di chiarire in pronunce risalenti (Sez. 2, n. 43328 del 15/11/2011, Giorgini e altri, Rv. 251377 – 01), l’ipotesi di reato di cui alla L. 14 dicembre 2000, n. 376, articolo 9 costituisce fattispecie di pericolo e che ha la finalita’ di prevenire i rischi legati all’utilizzo e all’abuso di sostanze dopanti nelle attivita’ sportive.
A tale principio deve aggiungersi che non solo non vi e’ alcun elemento rinvenibile dalla descrizione della fattispecie normativa, ora articolo 586 bis c.p., che consenta di limitare le attivita’ sportive rilevanti alle sole svolte a livello professionistico o comunque agonistico, ma dalla collocazione operata della fattispecie nel Titolo XII, – Delitti contro la persona -, Capo I, – Dei delitti contro la vita e l’incolumita’ individuale – si trae la conferma della “ratio legis” della tutela dell’individuo e della sua salute da cui discende che devono essere prese in considerazione tutte le ipotesi in cui, anche nelle attivita’ sportive svolte a livello amatoriale, la persona ricorre all’ausilio di sostanze vietate.
In tale ambito, deve rilevarsi, per quanto qui di rilievo, che l’articolo 586 bis c.p. (Utilizzo o somministrazione di farmaci o di altre sostanze al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti) punisce: “- Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, e’ punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da Euro 2.582 a Euro 51.645 chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle classi previste dalla legge, che non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze.
La pena di cui al comma 1 si applica, salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, a chi adotta o si sottopone alle pratiche mediche ricomprese nelle classi previste dalla legge non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ovvero dirette a modificare i risultati dei controlli sul ricorso a tali pratiche.
La pena di cui al primo e comma 2 e’ aumentata:
a) se dal fatto deriva un danno per la salute;
b) se il fatto e’ commesso nei confronti di un minorenne;
c) se il fatto e’ commesso da un componente o da un dipendente del Comitato olimpico nazionale italiano ovvero di una federazione sportiva nazionale, di una societa’, di un’associazione o di un ente riconosciuti dal Comitato olimpico nazionale italiano.
Se il fatto e’ commesso da chi esercita una professione sanitaria, alla condanna consegue l’interdizione temporanea dall’esercizio della professione.
Nel caso previsto dal comma 3, lettera c), alla condanna consegue l’interdizione permanente dagli uffici direttivi del Comitato olimpico nazionale italiano, delle federazioni sportive nazionali, societa’, associazioni ed enti di promozione riconosciuti dal Comitato olimpico nazionale italiano.
Con la sentenza di condanna e’ sempre ordinata la confisca dei farmaci, delle sostanze farmaceutiche e delle altre cose servite o destinate a commettere il reato. Chiunque commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricompresi nelle classi indicate dalla legge, che siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ovvero idonei a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle altre strutture che detengono farmaci direttamente destinati alla utilizzazione sul paziente, e’ punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da Euro 5.164 a Euro 77.468”.
Ne consegue che per la configurabilita’ delle condotte vietate dall’articolo 586 bis c.p. (procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, nonche’ commercializza le medesime sostanze) non e’ richiesto che l’attivita’ sportiva sia svolta a livello professionistico o comunque agonistico, cosicche’ il commercio di tali sostanze da parte del (OMISSIS), titolare di una palestra, e la vendita da parte della (OMISSIS), come rispettivamente accertato, integra la fattispecie in allora contestata e ora sussunta nell’articolo 586 bis c.p. di cui vi e’ continuita’ normativa.
7. Quanto al terzo motivo di ricorso proposto dal solo (OMISSIS), esso appare diretto a sollecitare una rivalutazione del merito, non consentita in questa sede, laddove contesta la mancata derubricazione della fattispecie di commercio (articolo 9, comma 7 cit.) in quella di cui al medesimo articolo, comma 1.
Con accertamento di fatto insindacabile in questa sede, la sentenza impugnata in continuita’ con quella di primo grado, ha accertato che l’imputato aveva avviato un commercio in grande scala delle sostanze vietate, predisponendo un magazzino all’interno del quale era stata rinvenuta e sequestrata gran parte della merce. Alla quantita’ di sostanze vietate sequestrate si deve aggiungere il numero delle cessioni e, dunque, la vastita’ del commercio come attestato dalle intercettazioni telefoniche e dalle sommarie informazioni testimoniali. Egli stesso poi stimava in circa Euro 15/20.000,00 il valore della merce sequestrata.
Coerentemente con l’accertamento di fatto, le sentenze di merito hanno escluso la riconducibilita’ delle condotte a mere “cessioni” previste dal comma 1, dovendosi ritenere un vero e proprio commercio svolto in modo imprenditoriale e con fini di lucro (pag. 7 GUP), da cui la corretta qualificazione giuridica dei fatti (Sez. 3, n. 19198 del 28/02/2017, Forti, Rv. 269934 – 01).
Per completezza, va rilevato che il commercio posto in essere dal (OMISSIS), titolare di una palestra, era il punto di riferimento per moltissimi soggetti che ivi praticano competizioni sportive (sfilate di body building) si da integrare l’elemento di dolo specifico richiesto dalla norma (articolo 586 bis c.p., comma 7).
8. Manifestante infondato e’ il quarto motivo del (OMISSIS). L’imputato e’ stato tratto in arresto in flagranza del reato di detenzione a fini di cessione di n. 157 fiale di sostanza stupefacente tipo nandrolone, e nell’occasione aveva dichiarato che erano destinata anche ad altre persone (cfr. pag. 7 GUP).
La prova della finalita’ di cessione che ora il ricorrente contesta allegando l’uso personale, si infrange di fronte alla ammissione del fine predetto in sede di convalida dell’arresto.
9. Infine, non e’ fondato il motivo (comune) sul trattamento sanzionatorio ritenuto eccessivo. La sentenza impugnata ha argomentato la mitigazione del trattamento sanzionatorio inflitto in primo grado per rapportarla a “piu’ congrui criteri”.
Nell’ambito del potere discrezionale di commisurazione della pena, il giudice deve valutare, ai fini del corretto esercizio, gli elementi di cui all’articolo 133 c.p. e indicare tra questi quelli che ritiene rilevanti ai fini della determinazione concreta della pena da infliggere di cui deve fornire congrua motivazione. Il giudice non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi indicati nell’articolo 133 c.p., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti. L’imputato non puo’, in altri termini, dolersi della mancata e/o illogica motivazione in ordine alla determinazione della pena allorche’ – come nel caso di specie – il giudice abbia indicato gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti, nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui al citato articolo 133 c.p..
A tale proposito deve, ancora, ricordarsi che nel caso in cui, come quello in esame, la misura della pena irrogata e’ stata esplicitamente applicata in misura media, deve ritenersi adeguata la motivazione mediante richiamo ad espressioni del tipo “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravita del reato o alla capacita’ a delinquere (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv 256197; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 258356). Il provvedimento e’, dunque, corretto sul piano del diritto e sorretto da congrua motivazione che non presenta profili di illogicita’ sindacabili in questa sede.
10. I ricorsi devono, pertanto, essere rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi degli imputati, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply