In tema di detenzione illegale di un’arma

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 28 maggio 2020, n. 16221.

Massima estrapolata:

In tema di detenzione illegale di un’arma, l’errore di fatto sull’inefficienza della stessa ha efficacia scriminante, ai sensi dell’art. 47 cod. pen., solo quando attiene alla completezza ed interessa l’arma stessa in ogni sua parte essenziale, non quando riguarda un difetto di funzionamento. (Fattispecie relativa ad illecita detenzione di un’arma antica, risultata inefficiente ma riparabile da un armaiolo).

Sentenza 28 maggio 2020, n. 16221

Data udienza 4 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Armi – detenzione – Omessa denuncia – Arma antica – Rilevanza penale del possesso di arma – Temporanea inefficienza – Rilevanza – Esclusione – Condizioni

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano – Presidente

Dott. SIANI Vincenzo – Consigliere

Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – rel. Consigliere

Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
Avverso la sentenza n. 2183/2017 del Tribunale di Agrigento in data 21/03/2019;
Visti gli atti e il ricorso;
Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Antonio Minchella;
Udite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del Dott. Luigi Orsi, che ha chiesto la conversione del ricorso in appello;
Udito il difensore Avv. (OMISSIS), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 21/03/2019 il Tribunale di Agrigento condannava (OMISSIS) alla pena di Euro 200,00 di ammenda, per avere detenuto, senza averne fatto denunzia all’Autorita’, una pistola revolver da ritenersi quale “arma antica”.
Rilevava il Tribunale che in data 03/06/2016 la polizia giudiziaria procedeva ad un intervento in (OMISSIS) presso l’abitazione dell’imputato, dove era stata segnalata una violenta lite in famiglia; nell’occasione, si procedeva a perquisizione per verificare la presenza di armi denunziate e cosi’ si rinveniva una pistola revolver non denunziata dall’imputato, avvolta in un pezzo di stoffa e sita in un baule; si trattava di una pistola non efficiente, poiche’ mancava la molla del cane, ed era un’arma antica poiche’ era riconducibile ad un prototipo del 1880; l’imputato dichiarava di averla rinvenuta casualmente in campagna. Il Tribunale concludeva che certamente si trattava di un’arma antica, cioe’ anteriore all’anno 1890, per la cui detenzione era necessaria la previa denunzia all’Autorita’, e che essa, anche se non efficiente, poteva essere riparata da un armaiolo che l’avrebbe resa funzionante, per cui non cessava il pericolo per l’ordine pubblico; peraltro, l’imputato era detentore legittimo di altre armi, per cui non ignorava certamente l’obbligo di fare denunzia. Si riconoscevano le circostanze attenuanti generiche, ma non si applicava l’articolo 131 bis c.p. per la rilevanza degli interessi tutelati dalla norma di cui all’articolo 697 c.p..
2. Avverso detta sentenza propone ricorso l’interessato a mezzo del difensore Avv. (OMISSIS).
2.1. Con il primo motivo, ex articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera b) ed e), deduce erronea applicazione di legge e manifesta illogicita’ della motivazione: sostiene che il perito aveva fatto comprendere l’impossibilita’ di reperire in commercio i pezzi di ricambio occorrenti per la pistola del ricorrente, per cui la possibilita’ di una riparazione finiva per essere una congettura e la pistola rinvenuta non era che un rottame privo delle caratteristiche di arma.
2.2. Con il secondo motivo deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera b) ed e), erronea applicazione di legge e manifesta illogicita’ della motivazione: lamenta che il fatto che la pistola non fosse che una sorta di rottame aveva determinato un errore inevitabile sulla norma e quindi sull’obbligo di farne denunzia e indi sull’elemento soggettivo, anche perche’ il ricorrente aveva fatto regolare denunzia delle altre armi denunziate.
2.3. Con il terzo motivo deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), erronea applicazione di legge e manifesta illogicita’ della motivazione: afferma che sussistevano tutti i presupposti per applicare l’articolo 131 bis c.p., negato con una motivazione sostanzialmente apparente, considerata la non immediata funzionalita’ dell’arma.
3. In udienza le parti concludevano come indicato in epigrafe.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, poiche’ manifestamente infondato.
In primo luogo va precisato che non e’ possibile accedere alla richiesta del P.G. di convertire il ricorso in appello con trasmissione degli atti alla Corte territoriale competente: la pena inflitta, infatti, e’ soltanto pecuniaria, per cui l’unica impugnazione possibile era appunto il ricorso per cassazione.
2. Il primo motivo di doglianza sostiene che dall’istruttoria dibattimentale era emerso l’estrema difficolta’ di reperire in commercio i pezzi di ricambio occorrenti per porre in efficienza la pistola del ricorrente, per cui la possibilita’ di una riparazione finiva per essere una mera ipotesi: la pistola rinvenuta, in altri termini, avrebbe dovuto essere considerata come poco piu’ di un rottame privo delle caratteristiche di arma.
Si tratta argomentazioni manifestamente infondate: la sentenza impugnata precisa che l’arma rinvenuta, anche se non efficiente, poteva essere riparata da un armaiolo che avrebbe potuto renderla funzionante.
Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, perche’ possa escludersi rilevanza penale al possesso di un’arma occorre che la stessa sia inidonea in modo assoluto all’impiego cui e’ destinata, nel senso che, a causa di imperfezioni o anomalie che non possono essere agevolmente rimosse, perda addirittura ogni possibilita’ di utilizzazione (Sez. 1, n. 4556 del 13/03/1981, Rv. 148867; Rv. 141470).
Questo principio generale, che elide ogni considerazione sulla mera inattualita’ dell’efficienza dell’arma, e’ corroborato altro orientamento consolidato, secondo il quale ai fini della configurabilita’ di un’arma come tale, e’ necessario che essa non risulti totalmente e assolutamente inefficiente, poiche’ solo in tal caso viene a mancare quella situazione di pericolo per l’ordine pubblico e per la pubblica incolumita’ che costituisce la ratio della disciplina vigente in tema di detenzione e porto illegale di armi. Ne consegue che l’arma non perde tale qualita’ qualora, pur essendo guasta o priva di pezzi, anche essenziali, sia comunque riparabile con pezzi di ricambio o anche con altri accorgimenti in mancanza dei pezzi originali (Sez. 1, n. 35648 del 04/07/2008, Rv. 240677; Sez. 1, n. 28796 del 04/06/2018, Rv. 273297).
Se non puo’ dirsi, sulla base di quanto affermato dalla sentenza impugnata, che l’arma, per quanto vetusta, fosse del tutto inefficiente per cause non rimovibili e quindi inidonea in modo assoluto all’impiego, e’ corretto concludere per la sussistenza del reato di detenzione illegale, perche’ esso, come da consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, non viene meno qualora l’arma sia momentaneamente inefficiente per mancanza di un accessorio non indispensabile e, in ogni caso, facilmente reperibile per cui possa essere ripristinata nella sua funzione originaria (Sez. 1, n. 895 del 01/06/1985, Rv. 171652; Sez. 1, n. 610 del 17/10/1983, Rv. 162250).
3. Parimenti e’ inammissibile il secondo motivo di doglianza, secondo il quale la pistola rinvenuta era stata considerata dal ricorrente una sorta di rottame e cio’ aveva determinato un errore inevitabile sulla norma e quindi sull’obbligo di farne denunzia e indi sull’elemento soggettivo, anche perche’ il ricorrente aveva fatto regolare denunzia delle altre armi denunziate.
Il Tribunale, cioe’, avrebbe dovuto ritenere che il ricorrente agi’ in condizione di errore di diritto inevitabile, e quindi scusabile.
Al contrario, invece, non puo’ revocarsi in dubbio la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, atteso che, come da orientamento consolidato di questa Corte, non esclude il dolo del delitto di detenzione illegale di arma l’erroneo convincimento dell’agente circa l’obbligo di denunciare il possesso dell’arma all’autorita’ competente, trattandosi di errore su norme che integrano il precetto penale e non possono quindi essere ricondotte alla disciplina di cui all’articolo 47 c.p., comma 3, (Sez. 1, n. 10805 del 10/06/1986, Rv. 173937; Sez. 4, n. 33875 del 26/03/2014, n. 33875, Rv. 262073; Sez. 7, ord. n. 24231 del 06/02/2019, Rv. 276481).
Peraltro, questa Corte ha gia’ avuto modo di ribadire che, in tema di detenzione illegale di un’arma, l’errore di fatto sull’inefficienza della stessa ha efficacia discriminante, ai sensi dell’articolo 47 c.p., solo quando attenga alla completezza ed interessa l’arma stessa in ogni sua parte essenziale, non quando riguarda un difetto di funzionamento (Sez. 1, n. 5188 del 20/02/1985, Rv. 169434).
4. L’ultimo motivo di doglianza attiene al tema della mancata applicazione dell’articolo 131 bis c.p.: sostiene il ricorrente che la modestia del fatto in se’ avrebbe giustificato una valutazione favorevole in tal senso.
Ma l’argomentazione si limita ribadire concetti gia’ motivatamente respinti dal Tribunale.
In linea generale, in ordine all’istituto di cui all’articolo 131 bis c.p., per come osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il giudizio sulla tenuita’ del fatto richiede una valutazione complessa, che ha ad oggetto le modalita’ della condotta e l’esiguita’ del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 1, richiedendosi una equilibrata considerazione di tutte le peculiarita’ della fattispecie concreta e non solo di quelle che attengono all’entita’ dell’aggressione del bene giuridico protetto (Sez. Un., n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Cio’ posto, deve altresi’ ricordarsi come, in relazione ai requisiti della motivazione in genere, si sia specificato che la sentenza costituisce un tutto coerente ed organico, con la conseguenza che, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di un valido percorso giustificativo, ogni punto non puo’ essere autonomamente considerato, dovendo essere posto in relazione agli altri, con la conseguenza che la ragione di una determinata statuizione puo’ anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito (v. Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012, Rv. 255096). Piu’ in generale, si e’ affermato che la sentenza di merito non e’ tenuta a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo e’ stato tenuto presente, si’ da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 4, n. 26660 del 13/5/2011, Caruso e altro, Rv. 250900; Sez. 6, n. 20092 del 4/5/2011, Schowick, Rv. 250105).
Nel caso in esame emerge chiaramente, dalla complessiva analisi della sentenza impugnata, che il giudice, nel valutare la condotta contestata all’imputato, ha escluso la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’invocata causa di non punibilita’, sottolineando lo spessore della condotta tenuta da parte di un soggetto che, pur a conoscenza degli obblighi di denunzia, aveva violato una norma posta a baluardo di fondamentali istanze di tutela dell’ordine pubblico e della pubblica incolumita’.
5. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso consegue di diritto, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., comma 1, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sentenza n. 186 del 2000), al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una sanzione pecuniaria che si stima equo determinare in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro Tremila in favore della Cassa delle Ammende.

 

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