Danno non patrimoniale da lesione della salute

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|28 marzo 2022| n. 9878.

In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (nella specie, le tabelle milanesi) può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna personalizzazione in aumento. (codice civile, articoli 1218, 1458, 2014 e 2033)

Ordinanza|28 marzo 2022| n. 9878. Danno non patrimoniale da lesione della salute

Data udienza 16 febbraio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilità medica – Danno non patrimoniale – Liquidazione secondo le tabelle milanesi – Incremento da parte del giudice – Limiti.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35469/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) S.p.a.;
– intimati –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze, n. 2141/2019, pubblicata il 17 settembre 2019.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16 febbraio 2022 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

Danno non patrimoniale da lesione della salute

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) convenne in giudizio avanti il Tribunale di Firenze i dentisti (OMISSIS) e (OMISSIS) chiedendone la condanna, in solido, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa della non corretta esecuzione di prestazioni odontoiatriche, siccome gia’ accertato dal giudice penale che aveva entrambi riconosciuto colpevoli del reato di lesioni colpose gravi.
Esteso il contraddittorio nei confronti della (OMISSIS) S.p.a., chiamata in garanzia dai convenuti, il Tribunale, espletata c.t.u., condanno’ gli (OMISSIS) al pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro 5.980,00 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale e di Euro 11.154,74 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale nonche’ alla restituzione delle somme percepite a titolo di compenso, ma solo nella misura del 20% pari ad Euro 3.098,75; condanno’ la (OMISSIS) a tenere indenne (OMISSIS) nei limiti della polizza.
2. Con sentenza n. 2141/2019, pubblicata il 17 settembre 2019, la Corte d’appello ha confermato tale decisione, rigettando il gravame interposto dalla (OMISSIS) in punto di quantificazione del danno e liquidazione del risarcimento.
3. Avverso tale decisione (OMISSIS) propone ricorso per cassazione.
Gli intimati non svolgono difese.
La trattazione e’ stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

 

Danno non patrimoniale da lesione della salute

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso esibisce la seguente struttura redazionale:
A) subito dopo l’epigrafe (pag. 1) e’ esposta (ed occupa la prima meta’ di pag. 2) questa testuale “Sintesi dei motivi:
“1. Violazione del principio del contraddittorio delle parti in punto di mancata replica alle osservazioni mosse dal CTP di parte (OMISSIS) da parte del CTU Dott. (OMISSIS);
“2. Errata e/o falsa applicazione degli articoli 138 e 139 Codice delle Assicurazioni in punto di inabilita’ temporanea;
“3. Errata e/o falsa applicazione dell’articolo 139, comma 4 Codice delle assicurazioni in punto di criterio applicabile per la liquidazione della menomazione all’integrita’ psico-fisica subita dalla odierna ricorrente;
“4. Errata e/o mancata applicazione del principio della cd. Personalizzazione del danno come riconosciuto da recenti e costanti pronunce della Suprema Corte;
“5. Errata e/o falsa applicazione degli articoli 1218, 1458, 2014 e 2033 c.c., in punto di ripetizione del compenso versato ai professionisti inadempimenti”;
B) seguono considerazioni critiche sulle valutazioni svolte dal c.t.u. e dai giudici di merito in ordine alla gravita’ ed alla durata dei danni sofferti (dalla seconda meta’ di pag. 2 a pag. 8).
C) vi e’ poi una terza parte (da pag. 8 a pag. 11) dedicata alla descrizione della vicenda sostanziale presupposta;
D) segue la descrizione dello “svolgimento del giudizio penale” (da pag. 11 a pag. 14);
E) vi e’ infine una quinta parte (da pag. 14 a pag. 28) dedicata allo “Svolgimento del giudizio di I e II grado in sede civile”.
All’interno di quest’ultima parte, ma senza alcuna separazione grafica o redazionale, e’ distinguibile una seconda porzione (da pag. 19 a pag. 28) nella quale vengono svolte considerazioni, insieme descrittive e critiche, sulla sentenza d’appello.
Se ne riporta anzitutto il dispositivo e si trascrivono poi i passaggi motivazionali salienti, a ciascuno dei quali sono dedicati alcuni capoversi dell’unitario testo, il primo dei quali, per ogni gruppo, e’ graficamente segnalato da un alinea; all’interno di ciascun gruppo alcuni capoversi contengono considerazioni critiche.

 

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2. Una siffatta impostazione redazionale espone il ricorso ad un preliminare ed assorbente rilievo di inammissibilita’, per violazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 4, che impone l’indicazione, a pena di inammissibilita’, de “i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”.
Tale requisito, come chiarito dalle Sezioni Unite, comporta “l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimita’ di individuare la volonta’ dell’impugnante e stabilire se la stessa, cosi’ come esposta nel mezzo di impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimita’ sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all’articolo 360 c.p.c.” (Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931).
Tutt’al contrario la tecnica adottata nella specie dalla ricorrente impedisce di comprendere con chiarezza quali siano esattamente le censure proposte tra quelle tipizzate dall’articolo 360 c.p.c., per il giudizio di cassazione.
Le considerazioni critiche sono svolte discorsivamente all’interno di una parte del ricorso che, in realta’, e’ dedicata, come dice la sua stessa intitolazione, non alla indicazione dei motivi, ma allo “Svolgimento del giudizio di I e II grado in sede civile” e, non a caso esse, in tale contesto redazionale: a) si presentano in realta’ quasi come una riproposizione dei motivi di appello disattesi dalla corte di merito; b) si indirizzano, quasi tutte, alle valutazioni del c.t.u. o del primo giudice piuttosto che alla sentenza d’appello ed alle sue motivazioni; c) non precisano sotto quale dei paradigmi censori previsti per il giudizio di cassazione esse debbano intendersi proposte e per quale ragione.
Ne’ puo’ giovare la “sintesi dei motivi” come detto anteposta a pag. 2 del ricorso.
La distanza anche grafica tra essa e la parte finale del ricorso di cui s’e’ detto impedisce un’agevole riconduzione delle critiche a tali sintesi e, comunque, gia’ il fatto stesso di “costringere” la Corte ad una preliminare opera di cucitura tra parti slegate e distanti del ricorso per ricostruire i motivi che possono intendersi esserne posti a fondamento e’ esattamente cio’ che il requisito previsto dall’articolo 366 c.p.c., n. 4, non consente che possa accadere.
Ferma tale preliminare e assorbente considerazione, puo’ comunque osservarsi che l’esame delle dette considerazioni critiche non potrebbe in ogni caso condurre a diverso esito.
3. La prima di esse dovrebbe ricavarsi dalle pagg. 20-21 del ricorso, nelle quali:
– si premette che: con l’appello era stata censurata la sentenza di primo grado per avere acriticamente fatto proprie le considerazioni del c.t.u.; la corte d’appello ha in proposito rilevato che il tribunale, nel ritenere corrette le valutazioni di merito, fa esplicito riferimento anche alla parte in cui l’ausiliario ha replicato alle contestazioni fatte dalla parte e dal suo c.t.p. e ne ha valutato le conclusioni; in tal modo, secondo la corte d’appello, il primo giudice aveva assolto il suo onere motivazionale;

 

Danno non patrimoniale da lesione della salute

– si osserva quindi che: non si era eccepito un difetto di motivazione della sentenza di primo grado; la questione invece stava nel fatto che il c.t.u. nella propria relazione non aveva minimamente tenuto conto delle osservazioni e delle critiche mosse dal c.t.p.; l’affermazione secondo cui il c.t.u. aveva “implicitamente disatteso” le osservazioni del c.t.p., pur senza in alcun modo confutarle ma solo per “incompatibilita’ con le tratte conclusioni”, viola l’articolo 195 c.p.c., e il principio del contraddittorio.
4. Una siffatta censura si appalesa inammissibile, sotto vari profili.
4.1. Anzitutto per inosservanza dell’articolo 366 c.p.c., n. 6: la ricorrente omette di indicare, direttamente o indirettamente, quali fossero le critiche mosse dal c.t.p. alla relazione di consulenza e quali le considerazioni finali del c.t.u., ne’ e’ spiegato per qual motivo le prime non potessero intendersi confutate.
4.2. La censura e’ comunque intrinsecamente illogica, dal momento che l’eventuale insufficienza argomentativa della consulenza puo’ eventualmente riflettersi sulla motivazione della sentenza in quanto impeditiva di una corretta ed esaustiva ricognizione del fatto ma non implica certo di per se’ l’inosservanza delle regole procedurali che presiedono e garantiscono la partecipazione delle parti in condizioni di parita’ allo svolgimento delle operazioni dell’ausiliario e il controllo critico delle sue conclusioni.
4.3. In ogni caso la violazione dell’articolo 195 c.p.c., in astratto, potrebbe al piu’ determinare una nullita’ della consulenza tecnica, che in quanto tale e’ soggetta al regime di cui all’articolo 157 c.p.c., avendo carattere relativo, con la conseguenza che il difetto deve ritenersi sanato se non e’ fatto valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione del consulente (Cass. 21/08/2018, n. 20829; 13/07/2018, n. 18522; 15/06/2018, n. 15747; 31/01/2013, n. 2251; 15/04/2002, n. 5422; 14/08/1999, n. 8659; 24/06/1984, n. 3743; v. anche Cass. Sez. U. 01/02/2022, n. 3086).
5. Altre considerazioni critiche sono svolte, alle pagg. 21-23, con riferimento al rigetto del primo motivo d’appello circa la durata dell’inabilita’ temporanea ed i criteri di liquidazione.
5.1. Ivi si lamenta anzitutto una errata e/o falsa applicazione degli articoli 138 e 139 cod. ass., in quanto il periodo di inabilita’ temporanea non sarebbe stato calcolato tenendo conto “della possibilita’ di svolgere tutte le azioni” della vita quotidiana.
Si afferma che erroneamente i giudici di merito hanno ritenuto che l’apposizione di un apparecchio ortodontico mobile, provvisorio, da tenere soltanto la notte, potesse segnare il termine del periodo di inabilita’ temporanea, senza tener conto che, in realta’, fino al dicembre 2003 la paziente non era stata in grado di svolgere le azioni di vita quotidiana, sia per il dolore che doveva affrontare durante il giorno, sia per le terapie alle quali doveva sottoporsi continuamente, con una certa frequenza settimanale, e per almeno un paio di ore al giorno, sia per l’impossibilita’/difficolta’ di masticare.
5.2. Si lamenta inoltre che erroneamente la corte di appello ha ritenuto corretta l’applicazione delle tabelle di cui al Decreto Ministeriale 25 giugno 2015, considerandolo dato normativo prevalente rispetto alle tabelle del Tribunale di Milano.
6. Entrambe dette considerazioni critiche sono inammissibili.

 

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6.1. La prima perche’ non si confronta con la integrale motivazione della sentenza impugnata (sul punto contenuta a pag. 11), la quale -oltre a rilevare che “l’inabilita’ temporanea, intesa quale impossibilita’ di attendere alle normali occupazioni di vita per le conseguenze delle lesioni nella loro fase acuta” non puo’ farsi coincidere “con la completa risoluzione del problema funzionale, alla quale, in caso di disturbi dentari ed in particolare di corretta occlusione delle arcate, non possono che tendere ed ovviare i necessari successivi interventi fino a “sfumare” nella stabilizzazione in postumi permanenti” – evidenzia comunque che “in realta’ dalla relazione del Dott. (OMISSIS) risulta che la sindrome algico disfunzionale con dolori alle articolazioni mandibolari, ai muscoli masticatori ed alla cervicale con emicranie ricorrenti, sintomatologia che si accentuava nelle ore notturne rendendole quasi impossibile un riposo e dalla quale, per quanto in atti, senz’altro derivava l’inabilita’ temporanea, e’ stata risolta con la costruzione di un ortotico inferiore tanto che nella suindicata certificazione la paziente riferisce che non ha piu’ dolore e riesce a dormire, benefici confermati nella successiva certificazione del 7/9 oggi invocata nella quale la “finalizzazione” del caso viene lasciata al protesista, espressione da leggersi in conformita’ a quanto sopra delineato e non come indice del protrarsi dell’inabilita’, specie se si considera che durante la visita effettuata dal Dott. (OMISSIS), consulente del PM, in data 17/9 si da’ atto del fatto che con il dispositivo ortottico per l’arcata inferiore non solo la paziente trae cosi’ giovamento, anche quanto ai disturbi funzionali, da portarlo durante il giorno, ma ottiene un’accertata maggiore apertura della bocca senza dolori”.
La critica mossa in ricorso non tiene in alcun modo conto di tale ampia motivazione e, comunque, si risolve in una apodittica contestazione a contenuto fattuale, non condotta nei soli modi consentiti ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e comunque certamente inidonea ad evidenziare una erronea interpretazione o applicazione del dato normativo richiamato.
6.2. La seconda critica, relativa al criterio tabellare applicato ai fini della liquidazione, e’ inammissibile, ai sensi dell’articolo 360-bis c.p.c., n. 1, avendo la corte di merito deciso conformemente alla giurisprudenza di questa Corte e non offrendo, l’esame dei motivi, elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa (il ricorso e’, invero, del tutto silente sulle ragioni che dovrebbero giustificare l’opposta interpretazione).
Va infatti rammentato che, secondo pacifica acquisizione, “in tema di risarcimento del danno alla salute conseguente ad attivita’ sanitaria, la norma contenuta nel Decreto Legge n. 158 del 2012, articolo 3, comma 3 (convertito dalla L. n. 189 del 2012) e sostanzialmente riprodotta nella L. n. 24 del 2017, articolo 7, comma 4 – la quale prevede il criterio equitativo di liquidazione del danno non patrimoniale fondato sulle tabelle elaborate in base del Decreto Legislativo n. 209 del 2005, articoli 138 e 139 (Codice delle assicurazioni private) – trova applicazione anche nelle controversie relative ad illeciti commessi e a danni prodotti anteriormente alla sua entrata in vigore, nonche’ ai giudizi pendenti a tale data (con il solo limite del giudicato interno sul quantum), in quanto la disposizione, non incidendo retroattivamente sugli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilita’ civile, non intacca situazioni giuridiche precostituite ed acquisite al patrimonio del soggetto leso, ma si rivolge direttamente al giudice, delimitandone l’ambito di discrezionalita’ e indicando il criterio tabellare quale parametro equitativo nella liquidazione del danno” (Cass. 11/11/2019, n. 28990).

 

Danno non patrimoniale da lesione della salute

7. Altre considerazioni critiche sono poi riferite, alle pagg. 23-25, al mancato riconoscimento di ulteriore importo a titolo di “personalizzazione” del danno.
Si rileva che “il danno esistenziale quale danno ulteriore alla vita di relazione… e’ stato ampiamente e documentalmente provato: infatti, dalle risultanze del procedimento penale, dalla relazione del c.t.p. in atti e dalla documentazione fiscale in atti risulta che la (OMISSIS) si e’ sottoposta per lungo tempo, per alcuni giorni a settimana per diverse ore al giorno, ad interventi dentistici con conseguente danno alla propria vita sociale e di relazione, non solo per il dolore dalla stessa affrontato giornalmente, ma anche e soprattutto per il lungo tempo che la stessa, suo malgrado e per “riparare” i danni provocatigli dai Dott. (OMISSIS), ha dovuto dedicare agli interventi dentistici… la stessa applicazione del bite notturno per ben due anni e mezzo ha compromesso la vita di relazione, anche infrapersonale ed intima con il proprio coniuge”.
7.1. Anche tale censura si appalesa inammissibile, sia per la natura fattuale e il tenore apodittico che la connota, sia comunque, ai sensi dell’articolo 360-bis c.p.c., n. 1, avendo anche sul punto la corte di merito deciso in modo conforme alla giurisprudenza della S.C. e l’esame dei motivi non offrendo elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.
Costituisce invero jus receptum l’affermazione, utilizzata in sentenza quale corretta regola di giudizio, secondo cui “in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (nella specie, le tabelle milanesi) puo’ essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa eta’ non giustificano alcuna personalizzazione in aumento” (Cass. 11/11/2019, n. 28988; 04/03/2021, n. 5865).
8. Continua poi il ricorso, alle pagg. 25-26, richiamando quanto dedotto con il terzo motivo di appello, circa la mancata liquidazione delle spese sostenute per gli interventi eseguiti dai professionisti ai quali la (OMISSIS) si e’ successivamente rivolta.
Si rileva che “la (OMISSIS) certo non poteva essere costretta, per subire un probabile minor danno economico, a continuare le cure con i Dott. (OMISSIS) e neppure poteva rimanere per ben 12 anni – come rilevato dal CTU in sede di esame peritale – senza ultimare il lavoro iniziato dagli (OMISSIS). Tuttavia e’ anche vero che il nuovo professionista al quale si e’ dovuta rivolgere, suo malgrado, la signora (OMISSIS), ovvero il Dott. (OMISSIS), si e’ visto costretto a modificare il piano terapeutico degli (OMISSIS) proprio per i danni da questi ultimi cagionati all’apparato masticatorio della comparente oltre che per la situazione di maggior disequilibrio venutasi a creare a seguito della rimozione da parte dei Dott. (OMISSIS) dei ponti della arcata inferiore e al loro mancato riposizionamento nei tempi dovuti a causa del comportamento irresponsabile oltre che illecito (come riconosciuto anche con la sentenza penale sopra richiamata) tenuto dai Dott. (OMISSIS) e (OMISSIS)”.

 

Danno non patrimoniale da lesione della salute

8.1. La censura, se tale puo’ ritenersi, si appalesa inammissibile, non essendo dichiarato ne’ potendo ricavarsi dal suo tenore quale sia il vizio, tra quelli tipizzati dall’articolo 360 c.p.c., che si intende denunciare.
Si tratta di generiche e vagamente discorsive obiezioni alla valutazione di merito svolta in sentenza e congruamente motivata, circa la non riconducibilita’ causale al fatto illecito de quo degli esborsi successivamente sostenuti dalla paziente per sottoporsi a cura presso altri odontoiatri.
9. Infine alle pagg. 26-28 il ricorso richiama il quarto motivo d’appello relativo alla disattesa richiesta di restituzione del compenso corrisposto ai dottori (OMISSIS) in misura maggiore rispetto a quella riconosciuta in primo grado.
Si rileva che “la risoluzione del… contratto di prestazione medica per inadempimento dei professionisti, implica ipso iure il diritto della signora (OMISSIS) ad ottenere la restituzione dell’intero corrispettivo versato ex articolo 1458 c.c.”.
Si cita l’affermazione contenuta in alcune pronunce di merito secondo cui “il controvalore di una prestazione professionale che abbia recato un danno alla salute del paziente e’ certamente pari a zero” e si argomenta che, “pertanto per essa non e’ dovuto alcun corrispettivo o, qualora gia’ versato, deve essere restituito”.
Entrambi gli argomenti di critica si appalesano inammissibili.
9.1. Il primo perche’ postula un fatto giuridico, la risoluzione del contratto di prestazione d’opera, che non risulta acquisito al giudizio, avendo anzi la Corte affermato il contrario, ovvero che la restituzione di limitata parte dei compensi corrisposti non e’ giustificata dalla risoluzione, mai chiesta, del contratto d’opera professionale ma a titolo di risarcimento del danno, considerando quella parte del corrispettivo quale posta risarcitoria.
9.2. Il secondo perche’ anch’esso contrastante con l’accertamento contenuto in sentenza – di natura fattuale e non fatto segno di alcuna specifica conferente censura in quanto tale – secondo cui la prestazione medica resa non puo’ per l’intero considerarsi inidonea a giustificare il corrispettivo conseguito, essendosi estrinsecata attraverso “tutta un serie di interventi, in parte compiuti, ed ai quali puo’ esser riconosciuta autonomia laddove non hanno comportato, come ritenuto dal c.t.u., alcun pregiudizio”.
10. Il ricorso deve essere in definitiva dichiarato inammissibile.
Non avendo gli intimati svolto difese, non v’e’ luogo a provvedere sulle spese.
11. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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