ll danno morale e il danno esistenziale

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 27 marzo 2019, n. 8442.

La massima estrapolata:

ll danno morale e il danno esistenziale rappresentano due pregiudizi ontologicamente differenti e, perciò, risarcibili autonomamente

Ordinanza 27 marzo 2019, n. 8442

Data udienza 13 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 9123-2016 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) SA, in persona del suo procuratore speciale dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 1723/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 13/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/06/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS), ricorrono, sulla base di sette motivi, per la cassazione della sentenza n. 1723/15 del 13 ottobre 2015, della Corte di Appello di Firenze, che – accogliendo il gravame proposto dalla societa’ (OMISSIS) S.A., gia’ (OMISSIS) S.p.a. (d’ora in poi, ” (OMISSIS)”), contro la sentenza n. 1275/07 del 27 novembre 2007 del Tribunale di Prato, nonche’ dichiarando inammissibile quello esperito dagli odierni ricorrenti – ha rideterminato nel 50% la misura del contributo di (OMISSIS) nella causazione del sinistro stradale in cui fu coinvolta. Su tali basi, pertanto, la Corte territoriale ha ridotto, in eguale misura l’entita’ del risarcimento dovuto dalla societa’ (OMISSIS) e da (OMISSIS), sia in relazione ai danni non patrimoniali gia’ liquidati dal primo giudice in favore di (OMISSIS) (e rigettando, invece, integralmente la domanda ex articolo 2059 c.c. proposta dai genitori della stessa, (OMISSIS) e (OMISSIS)), sia dei danni patrimoniali – salvo la somma di Euro 2.000,00, relativa a spese non documentate, ritenute dal secondo giudice, come tali, non rimborsabili, e quindi escluse dal risarcimento – riconosciuti in favore dei predetti (OMISSIS) ed (OMISSIS), sempre nella loro qualita’ di genitori di (OMISSIS).
2. Riferiscono, in punto di fatto, i ricorrenti che la predetta (OMISSIS), il giorno (OMISSIS), in (OMISSIS), era coinvolta – alla guida di un ciclomotore di proprieta’ del padre (OMISSIS) – in un incidente stradale con un autocarro guidato da (OMISSIS), di proprieta’ della societa’ (OMISSIS) (della quale il (OMISSIS) era legale rappresentante), assicurato con la societa’ (oggi) (OMISSIS).
In conseguenza del sinistro l’ (OMISSIS) – rimasta in coma per cinque giorni – subiva gravi lesioni, consistite in: trauma cranico commotivo con edema cerebrale diffuso e focolai contusivi in sede mesencefalica e talamica con emiparesi destra, frattura bilaterale del bacino con distasi della sinfisi pubica, ferite lacero contuse a carico del viso (emilabbro superiore sinistro e regione orbito-zigomatico sinistra) ed infine frattura della corona del dente 21.
Nel complesso, l’interessata stimava i postumi di invalidita’ permanente – incidenti a suo dire anche sulla capacita’ lavorativa specifica – nella misura del 36-38%.
2.1. Su tali basi, pertanto, ella – e i genitori, che lamentavano oltre al danno non patrimoniale conseguente al sinistro che aveva coinvolto la figlia, pure quello patrimoniale, consistito nella distruzione del ciclomotore e nelle spese mediche sostenute per la cura della ragazza – citavano in giudizio il (OMISSIS) e la (OMISSIS) per sentirli condannare al risarcimento dei danni.
Istruita la causa anche mediante lo svolgimento di CTU medico-legale (preceduta da una serrata interlocuzione tra i consulenti, soprattutto in relazione al danno oculistico subito dalla ragazza, essendosi accertata la presenza diplopoia nello sguardo in alto e nel quadrante inferiore sinistro, nonche’ l’assenza di convergenza in OD), l’adito Tribunale – riconosciuta nella misura del 25% la corresponsabilita’ di (OMISSIS) nella causazione del sinistro e nel 22%, a fronte del 18% indicato dall’ausiliario del giudice, il postumo di invalidita’ permanente, provvedeva nei termini di seguito meglio indicati.
In particolare, in applicazione della tabella del 2007 adottata dal Tribunale di Firenze (e recepita da quello di Prato), che individuava un punto base di Euro 2,964,96, moltiplicato per il coefficiente di 0,925 corrispondente all’eta’ di sedici anni della danneggiata – per il numero dei punti, liquidava ad (OMISSIS) Euro 60.336,52 a titolo di risarcimento del danno derivante da lesione permanente dell’integrita’ psicofisica. Per inabilita’ temporanea, sulla base di Euro 39,37 per ogni giorno di inabilita’ temporanea, liquidava Euro 2.775,9 per quella assoluta (pari a 70 giorni), nonche’ Euro 1.457,06 per quella al 50% (pari a 60 giorni) e, infine, Euro 275,66 per quella a 25% (pari a 28 giorni).
Nel complesso, dunque, liquidava a titolo di danno biologico – in favore della stessa – Euro 64.549,48, rivalutati alla data della decisione, determinando il danno morale nella misura di un terzo del biologico, per un importo complessivo, quindi, di Euro 86.065,97, con interessi legali dal giorno del sinistro al saldo.
Veniva, invece, respinta la domanda di risarcimento per diminuzione della capacita’ lavorativa specifica, mentre il danno odontoiatrico – per quanto qui ancora di interesse – veniva riconosciuto in Euro 4.500, oltre rivalutazione e interessi.
Tutte le somme riconosciute ad (OMISSIS) venivano decurtate del 25%, tale essendo stata riconosciuta, dal primo giudice, la misura del di lei contributo nella causazione del sinistro.
Quanto, invece, a (OMISSIS) ed (OMISSIS), il danno non patrimoniale, veniva liquidato, equitativamente, nella somma – gia’ decurtata del 25% – di Euro 6.000,00 per ciascuno di essi, oltre interessi legali al saldo, nonche’ quello patrimoniale, per riparazioni del ciclomotore e spese mediche sostenute per la figlia, in Euro 5.559,78 (dei quali, Euro 2.000,00 per spese sostenute in ragione degli spostamenti e della permanenza in citta’ diverse da quella di residenza, al fine di compiere visite mediche), oltre rivalutazione monetaria ed interessi.
Le spese di lite erano poste a carico dei convenuti soccombenti.
2.2. Proponeva gravame principale (OMISSIS), dolendosi della decisione di individuare solo nel 25% la misura della responsabilita’ dell’ (OMISSIS) nella causazione del sinistro, e lamentando, altresi’, l’erroneita’ della quantificazione del danno in favore della stessa, l’insussistenza del danno morale riconosciuto ai genitori della ragazza, nonche’ l’assenza di prova quanto alla quota di danno patrimoniale da costoro lamentata e stimata in Euro 2.000,00.
Per parte propria, gli odierni ricorrenti esperivano appello incidentale, censurando la sentenza impugnata:
– per la quantificazione del danno oculistico (operata dal collaboratore del CTU nella misura appena del 9%, e non del 25% indicata dal consulente di parte attrice);
– per il disconoscimento del danno alla capacita’ lavorativa della vittima primaria dell’illecito;
– per l’inadeguata quantificazione del danno biologico da inabilita’ temporanea, stante la liquidazione di Euro 39,37 al giorno per quella totale, ritenendosi che l’importo non potesse essere inferiore ad Euro 100,00;
– per l’insufficiente liquidazione del danno morale (un terzo di quello biologico), proponendosi una liquidazione pari alla meta’.
La Corte fiorentina accoglieva parzialmente il ricorso principale e, quindi, elevata al 50% la misura della corresponsabilita’ di (OMISSIS) nella causazione del sinistro, riduceva in misura corrispondente il risarcimento del danno non patrimoniale alla stessa dovuto, escludendo, invece, la risarcibilita’ del danno non patrimoniale lamentato dai genitori, ed espungendo – dal computo dei danni patrimoniali ad essi spettanti, anch’essi ridotti in ragione della riconosciuta maggiore corresponsabilita’ della vittima primaria nella causazione del sinistro oggetto di giudizio – la somma di Euro 2.000,00, per spese che avrebbero dovuto essere documentate.
L’appello incidentale veniva, invece, dichiarato inammissibile.
3. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS), sulla base di sette motivi.
3.1. Con il primo motivo si deduce – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 342 c.p.c. (nel dettato anteriore alla riforma del 2012)”.
Evidenziano, preliminarmente, i ricorrenti come la declaratoria di inammissibilita’ del gravame incidentale – che assumono essere erronea – “sembrerebbe riferirsi a tutti i motivi di appello”, salvo, pero’, la Corte fiorentina “esaminare e decidere nel merito parte di essi”.
In ogni caso, tale declaratoria sarebbe errata, giacche’ – ai sensi dell’articolo 342 c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera Oa), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 l’appello non richiederebbe “una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’impugnazione, in rigida e scolastica contrapposizione alle considerazioni contenute nella sentenza impugnata”, essendo sufficiente che lo stesso “consenta al giudice di percepire con certezza il contenuto delle censure”, in modo da permettere ad esso di esaminarle e alla controparte di svolgere, senza alcun concreto pregiudizio, la propria attivita’ difensiva.
Cio’ e’ quanto si sarebbe verificato nel caso di specie.
D’altra parte, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata laddove ha ritenuto inammissibile la loro richiesta – formulata in comparsa conclusionale di appello – di riliquidazione del risarcimento spettante a (OMISSIS) sulla base delle sopravvenute (rispetto alla pronuncia della sentenza di primo grado) tabelle milanesi. Decisione, questa, motivata dalla Corte fiorentina sul rilievo che il gravame incidentale da essi esperito “non ha investito il valore monetario attribuito dal giudice di prime cure a ciascun punto di invalidita’ permanente secondo le tabelle adottate dal Tribunale adito” – ovvero, quello di Prato – “rispetto a quelle di Milano”.
Cosi’ decidendo, pero’, il giudice di appello avrebbe trascurato la circostanza che gli allora appellanti incidentali – nel richiedere in sede di instaurazione del giudizio di appello “l’aumento della quantificazione del danno da invalidita’ permanente” subito da (OMISSIS), nonche’ “l’attribuzione per il danno morale di una frazione di un mezzo anziche’ di un terzo di quello biologico” – non avevano “motivo di contestare l’utilizzazione del valore del punto adottato perche’ contrastante con quello indicato nelle tabelle milanesi”, e cio’ per la semplice ragione che le tabelle di Firenze, applicate dal Tribunale di Prato, erano, a quell’epoca, le stesse adottate dal Tribunale di Milano (come gli odierni ricorrenti documentano, nella presente sede di legittimita’, attraverso la produzione delle prime).
Per contro, la Corte fiorentina – come evidenziato dagli allora appellanti nella propria comparsa conclusionale (riprodotta alla nota 8 del presente ricorso) – avrebbe dovuto prendere atto della sopravvenienza, tra il momento della proposizione del gravame incidentale e quello della decisione su di esso, delle nuove tabelle. Conseguentemente, la sentenza impugnata avrebbe dovuto considerare che, per il danno da inabilita’ temporanea totale, le nuove tabelle prevedevano una forbice compresa tra Euro 96,00 ed Euro 145,00, cosi’ come del fatto che per il danno morale esse escludono – sulla scorta di quanto affermato da Cass. Sez. Un., sent. 11 novembre 2008, n. 26972 – una liquidazione separata rispetto al danno biologico (e come “frazione” dello stesso), in ragione dell’unitarieta’ della nozione di danno non patrimoniale.
3.2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – “violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1226, 2056 e 2059 c.c.”, oltre che dell’articolo 185 c.p. e articolo 3 Cost., nonche’ degli articoli 115 e 116 c.p.c., e cio’ in ragione della “violazione dei criteri che presiedono alla valutazione equitativa del danno da farsi in applicazione delle tabelle di Milano esistenti al momento della decisione”.
Il motivo si collega strettamente al precedente, ribadendo come la liquidazione del danno biologico permanente subito da (OMISSIS) non potesse che compiersi – per rispondere realmente al concetto di equita’, delineato dalla giurisprudenza di questa Corte, nel suo “significato di “adeguatezza” e di “proporzione””, e dunque per poter assolvere alla fondamentale funzione di “garantire l’intima coerenza dell’ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale” (e’ citata, in particolare, Cass. Sez. 3, sent. 4 febbraio 2016, n. 2167) – sulla base delle nuove tabelle milanesi.
Opererebbe, infatti, nella specie, il principio secondo cui, “allorquando le Tabelle applicate per la liquidazione del danno non patrimoniale cambino nelle more tra l’introduzione del giudizio e la sua decisione, il giudice (anche d’appello) ha l’obbligo di utilizzare i parametri vigenti al momento della pronunzia” (e’ citata, nuovamente, Cass. Sez. 3, n. 2167 del 2016).
Nella specie, pertanto, la Corte fiorentina – come gia’ detto avrebbe dovuto considerare che, per il danno da inabilita’ temporanea totale, le nuove tabelle prevedevano una forbice compresa tra Euro 96,00 ed Euro 145,00. Di conseguenza, mentre in relazione al danno non patrimoniale da invalidita’ permanente la sentenza impugnata avrebbe dovuto liquidare (assunto un valore di punto pari a Euro 4.011,89) l’importo di Euro 66.798,00, per quello da inabilita’ temporanea osservano i ricorrenti, richiamando i conteggi effettuati nella comparsa conclusionale di appello – avrebbe dovuto liquidare “Euro 15.202,00 (Euro 10.150 per i.t. + Euro 4.350 per i.t. del 50% + Euro 1.015 per i.t. del 75%)”.
3.3. Con il terzo motivo si ipotizza – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), – “omessa motivazione circa un fatto decisivo discusso nel giudizio, quale quello della mancata adozione delle tabelle milanesi esistenti al momento della decisione”.
La medesima censura di cui ai motivi che precedono e’ proposta, dunque, “sub specie” di omessa motivazione da parte della Corte di Appello.
3.4. Analogamente, anche il quarto motivo – formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), – e’ una riproposizione dei precedenti sotto un diverso angolo visuale, assumendosi, questa volta, la nullita’ del capo di sentenza relativo al danno non patrimoniale subito da (OMISSIS) “per violazione dell’articolo 112 c.p.c.”, ovvero “per omessa pronuncia sul motivo di appello incidentale”, dalla stessa esperito, “nel quale si chiedeva che la liquidazione del danno non patrimoniale venisse fatta anche per la sua componente di danno morale in misura maggiore e comunque sulla base delle tabelle milanesi esistenti al momento della decisione”.
Difatti, la Corte fiorentina, nel negare l’applicazione delle nuove tabelle, avrebbe “sostanzialmente non risposto alla domanda di adeguata quantificazione del danno” in questione, domanda da intendersi riferita – precisano gli odierni ricorrenti – al danno non patrimoniale sia da invalidita’ permanente che temporanea.
3.5. Con il quinto motivo – destinato a scindersi in due censure, giacche’ formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), – si deduce, per un verso, “violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1226, 2056 e 2059 c.c.”, in ragione della “mancata personalizzazione del danno con violazione del diritto dell’infortunata all’integrale risarcimento”, nonche’ nullita’ della sentenza, “per violazione dell’articolo 112 c.p.c.”, e cio’ “in ragione di omessa pronunzia sulla mancata personalizzazione del danno non patrimoniale sotto il profilo della maggiore usura della residua validita’ dell’infortunata nello svolgimento della sua attivita’ lavorativa”.
Ci si duole, nella sostanza, di una non adeguata valutazione dei postumi del danno “oculistico”, la cui incidenza sulla futura attivita’ lavorativa dell’ (OMISSIS) – oggetto di specifico quesito (il 3) demandato al consulente d’ufficio – non sarebbe stata adeguatamente considerata dall’ausiliario del giudice, ne’ apprezzata nella sentenza del giudice di prime cure, se non per i suoi soli riflessi sulla salute della danneggiata, essendosi la sentenza del Tribunale di Prato limitata ad aumentare dal 18% al 22% la misura dell’invalidita’ permanente riscontrata nella vittima primaria dell’illecito.
Siffatta omissione era stata rimarcata – sottolineano i ricorrenti nella comparsa conclusionale di appello, anche attraverso la richiesta di rinnovazione della CTU, essendo tale critica mirata “al riconoscimento di un danno patrimoniale subito dall’infortuna per il carattere maggiormente usurante della prestazione lavorativa”.
Orbene, detta circostanza, “se non produttiva di un danno patrimoniale”, doveva almeno essere “presa in considerazione sotto il profilo di un incremento del risarcimento del danno non patrimoniale, in ragione della sua necessaria personalizzazione”, considerando che le tabelle milanesi “consentono di aumentare fino al 50% l’entita’ del risarcimento in presenza di lesioni” (quali sarebbero, appunto, quelle patite dall’ (OMISSIS)) “non risarciti adeguatamente con l’applicazione dei rigidi standard” tabellari.
3.6. Con il sesto motivo – formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – e’ dedotta “violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1223, 1226, 2056, 2059 e 2727 c.c.”, oltre che dell’articolo 185 c.p., “per non avere la Corte d’Appello (quanto meno) confermato la condanna di (OMISSIS) e del suo assicurato al risarcimento del danno non patrimoniale (nel suo aspetto di danno morale) subito dai genitori di (OMISSIS) a causa delle gravi lesioni subite dalla figlia”.
Sul presupposto che i postumi residuati alla ragazza dall’incidente non fossero tali da richiedere la prestazione di assistenza (morale e/o materiale), ne’ da incidere, compromettendolo, sullo svolgimento della relazione parentale, la Corte territoriale ha rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale avanzata da (OMISSIS) ed (OMISSIS).
Nondimeno, la strettissima parentela tra costoro e la vittima primaria dell’illecito, nonche’ il rapporto di convivenza tra gli uni e l’altra, sarebbe tale – secondo i ricorrenti – da far presumere un forte legame tra tali soggetti, e con esso l’esistenza del danno non patrimoniale quantomeno “sub specie” di danno morale, ovvero come sofferenza interiore o patema d’animo, gravando, semmai, sui convenuti dimostrare la circostanza relativa all’assenza di qualsiasi vincolo affettivo idonea ad escludere l’esistenza di un pregiudizio risarcibile (e’ citata Cass. Sez. 3, sent. 3 aprile 2008, n. 8546).
3.7. Infine, con il settimo motivo – formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3),- e’ dedotta “violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1226 e 2056 c.c.”, oltre che dell’articolo 115 c.p.c., “per non avere la Corte di merito riconosciuto il diritto al rimborso di Euro 2.000,00 per spese di difficile documentazione sopportate dai genitori di (OMISSIS) per condurre la figlia a Siena, Bologna, Ferrara e Firenze, al fine di consentire gli accertamenti specialistici e le cure volte a ridurre le conseguenze del grave trauma subito”.
Dal momento, infatti, che anche il giudice di appello avrebbe riconosciuto tali spese, lo stesso avrebbe potuto fare ricorso al criterio equitativo, ex articolo 1226 c.c., in una situazione, come quella decritta, quantomeno di grande difficolta’ a documentare spese come gli spostamenti in auto, i costi sopportati in punti di ristoro o per la permanenza nelle varie citta’.
4. Ha resistito all’impugnazione solo la societa’ (OMISSIS) (essendo rimasto solo intimato il (OMISSIS)), chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o infondata.
Si rileva, per un verso, come la Corte fiorentina abbia deciso la causa sottoposta al suo esame in conformita’ con i principi enunciati questa Corte in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, donde l’inammissibilita’ del ricorso ex articolo 360-bis c.p.c., comma 1, n. 1).
Inoltre, i singoli motivi sarebbero inammissibili anche sotto un diverso profilo, in quanto tenderebbero a sollecitare una valutazione di merito della controversia.
Quanto, poi, specificamente alle censure sollevate con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), si evidenzia come detta norma, nella sua attuale formulazione, consente il sindacato solo dell’omesso esame di un “fatto” decisivo per il giudizio, che sia stato oggetto di discussione tra le parti, onerando il ricorrente di allegare a norma dell’articolo 366, comma 1, n. 6), e articolo 369, comma 2, n. 4), – il “come” e il “quando” di tale discussione.
5. Hanno presentato memoria entrambe le parti, insistendo nelle proprie argomentazioni e replicando a quelle avversarie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso va accolto, sebbene nei limiti di seguito meglio precisati.
7. Prima, tuttavia, di procedere allo scrutinio dei singoli motivi di ricorso appare necessaria una constatazione preliminare, ovvero che, mentre i primi cinque motivi si ricollegano alla decisione della Corte fiorentina di dichiarare inammissibile il gravame incidentale proposto dall’ (OMISSIS) e dai sui genitori, gli ultimi due conseguono all’accoglimento del gravame principale di (OMISSIS) e, dunque, alla modifica della sentenza del primo giudice in senso peggiorativo per i soli (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali si sono visti respingere “in toto” la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente al sinistro occorso alla figlia, nonche’ ridurre la “posta” del danno patrimoniale avente il medesimo titolo.
Si tratta di una precisazione necessaria, perche’ (come si vedra’ appena di seguito), qualora dovesse ritenersi corretta la “ratio decidendi” – o meglio, taluna delle “rationes decidendi”, come si vedra’ – posta dal giudice di seconde cure a fondamento della declaratoria di inammissibilita’, per genericita’, del suddetto appello incidentale, resterebbe, comunque, ferma per questa Corte la necessita’ di vagliare gli ultimi due motivi dell’odierno ricorso.
7.1. Tanto premesso, va poi rilevato che i primi cinque motivi della presente impugnazione possono esaminarsi congiuntamente, giacche’ attraverso il primo – che censura la decisione della Corte toscana di ritenere il gravame incidentale proposto dagli odierni ricorrenti non conforme al modello di cui all’articolo 342 c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal legislatore del 2012, applicabile “ratione temporis” alla presente fattispecie) – i ricorrenti mirano, in realta’, esclusivamente a rendere possibile una rinnovata liquidazione del danno non patrimoniale subito da (OMISSIS) (nonche’ il riconoscimento del danno patrimoniale “futuro” gia’ escluso dal primo giudice; cfr., in particolare, il quinto motivo), sulla base dell’aggiornamento delle tabelle milanesi sopravvenuto rispetto al momento della decisione del Tribunale di Prato, aspetto su cui insistono, invece, i successivi quattro motivi.
7.1.1. Orbene, cio’ chiarito, i primi cinque motivi di ricorso sono tutti inammissibili.
7.1.2. Al riguardo, occorre muovere dalla constatazione che il giudice di appello – diversamente da quanto assumono i ricorrenti, secondo cui esso avrebbe dichiarato inammissibile il loro gravame incidentale, sul presupposto della genericita’ dei suoi motivi, salvo poi “esaminare e decidere nel merito parte di essi” – ha, in realta’, solo supportato quella declaratoria di inammissibilita’ (per violazione dell’articolo 342 c.p.c.) attraverso una pluralita’ di “rationes decidendi”.
Da cio’, dunque, deriva la necessita’ per i ricorrenti di confrontarsi con ognuna di esse, non potendo operare il principio – ripetutamente affermato da questa Corte – secondo cui, ove il giudice di appello, “dopo una statuizione di inammissibilita’ con la quale si e’ spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere ne’ l’interesse ad impugnare” le stesse, sicche’ “e’ ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed e’ viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata” (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2007, n. 3840, Rv. 595555-01; in senso conforme, da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 2 maggio 2011, n. 9647, Rv. 616900; Cass. Sez. Un., sent. 17 giugno 2013, n. 15122, Rv. 626812-01; Cass. Sez. 3, sent. 20 agosto 2015, n. 17004, Rv. 636624-01; Cass. Sez. 6-5, ord. 9 dicembre 2017, n. 30393, Rv. 646988-01).
Nella specie, si ribadisce, la Corte fiorentina ha argomentato, dapprima su un piano generale, l’inammissibilita’ per genericita’ del gravame (incidentale) esperito innanzi ad essa, per poi corroborare tale pronuncia con valutazioni che riconoscevano il difetto di specificita’ dei singoli motivi di censura che attenevano alla liquidazione del danno subito – soltanto – da (OMISSIS).
Infatti, la Corte fiorentina – nello scrutinare l’appello incidentale degli (OMISSIS)- (OMISSIS) – esordisce con il rilievo che lo stesso “non ha investito (…) il valore monetario attribuito dal giudice di prime cure a ciascun punto di invalidita’ permanente secondo le “tabelle” adottate dal Tribunale adito” (quello di Prato), con la conseguenza che, “non avendo costituito oggetto di doglianza la “difformita’” dei parametri utilizzati per la liquidazione del danno non patrimoniale rispetto alle “tabelle” elaborate dal Tribunale di Milano, e’ da ritenersi inammissibile la domanda di (ri)liquidazione, operata nella comparsa conclusionale” dagli allora appellanti incidentali “secondo in criteri aggiornati espressi dall’Osservatorio per la Giustizia civile del Tribunale di Milano”.
Avverso tale “ratio decidendi” si indirizza, in particolare, quella parte del primo motivo dell’odierno ricorso che (anche attraverso la loro produzione) mira a dimostrare come le tabelle in uso presso il Tribunale di Prato fossero quelle del Tribunale di Firenze, che aveva adottato quelle milanesi.
Tuttavia, a tale “ratio decidendi” il Giudice di appello ne ha affiancato anche altre, in relazione a ciascuno dei motivi di gravame incidentale degli (OMISSIS)- (OMISSIS) (che, come gli stessi rammentano nell’odierno ricorso, avevano investito: la quantificazione del danno oculistico, operata dal collaboratore del CTU nella misura appena del 9%, e non del 25% indicata dal consulente di parte attrice; il disconoscimento del danno alla capacita’ lavorativa della vittima primaria dell’illecito; l’inadeguata quantificazione del danno biologico da inabilita’ temporanea, stante la liquidazione di Euro 39,37 al giorno per quella totale, ritenendosi che l’importo non potesse essere, invece, inferiore ad Euro 100,00; l’insufficiente liquidazione del danno morale, nella misura di un terzo di quello biologico, proponendosi una liquidazione pari alla meta’).
Infatti, la Corte fiorentina ha assunto la genericita’ del primo motivo concernente la quantificazione del cd. “danno oculistico”, sul rilievo che “l’appellante incidentale si e’ limitata a lamentare l’erroneita’ della CTU, “contrapponendovi” le osservazioni gia’ formulate dal proprio consulente di parte, senza pero’ contrastare le argomentazioni del Tribunale”, peraltro “fondate anche sulle conclusioni dell’ausiliario (fatte proprie “in parte qua”), si’ come riformulate dopo aver tenuto conto dei medesimi rilievi del consulente di parte e avervi replicato”.
Del pari “generico” e’ stato ritenuto “anche il secondo motivo” di appello incidentale (quello sul danno patrimoniale “futuro”), e cio’ “sempre per la carente prospettazione di controargomentazioni calibrate al percorso motivazionale seguito nella decisione gravata”.
Infine, “generici” sono stati stimati pure gli ultimi due motivi, per la natura “apodittica” della loro formulazione, riproducendosi, sul punto, stralci dello stesso appello incidentale: “Il danno biologico da inabilita’ temporanea e’ stato calcolato dal Tribunale in modo inadeguato (Euro 39,37 per l’inabilita’ totale). L’importo equo non puo’ essere inferiore a Euro 100,00 al di’”; “Il danno morale (un terzo del biologico) e’ stato liquidato in maniera insufficiente. Proponiamo una liquidazione pari ad un mezzo del danno alla salute”.
7.1.3. Da quanto illustrato deriva che, prima di interrogarsi sulla necessita’ che, nel caso di specie, trovassero applicazione le nuove tabelle milanesi sopravvenute in corso di causa (o meglio, sulla correttezza dell’argomento con cui la Corte fiorentina ha, invece, escluso la loro operativita’), occorre valutare – in ossequio al principio della “ragione piu’ liquida” – la congruita’ delle ulteriori “rationes” con le quali il giudice di appello ha affermato il difetto di specificita’ dei singoli motivi di gravame incidentale, giacche’ esse, se confermate, sarebbero sufficienti a giustificare la conferma delle statuizioni, contenute nella sentenza impugnata, circa la quantificazione del danno subito da (OMISSIS) (un argomento, in tal senso, si trae da Cass. Sez. 3, ord. 21 giugno 2017, n. 15350, Rv. 644814).
Resta, poi, inteso che, essendo quello denunciato dagli odierni ricorrenti – “sub specie” di erronea applicazione dell’articolo 342 c.p.c. (nella sua formulazione anteriore alle modifiche apportate dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 1, lettera Oa, convertito con modificazioni in L. n. 134 del 2012, applicabile “ratione temporis” alla presente fattispecie, a norma dell’articolo 54, comma 2, del medesimo d.l., risalendo la richiesta di notificazione dell’appello ad epoca anteriore all’11 settembre 2012) – un “error in procedendo”, la genericita’ dei motivi di gravame incidentale puo’ essere vagliata, da questa Corte, attraverso un diretto esame dell’atto di appello, essendo in tal caso la Corte “giudice del fatto processuale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 22 maggio 2012, n. 8077, Rv. 622361-01, nonche’, da ultimo, Cass. Sez. 6- 5, ord. 12 marzo 2018, n. 5971, Rv. 647366-01 e, con specifico riferimento alla dedotta violazione dell’articolo 342 c.p.c., Cass. Sez. 6-3, sent. 28 novembre 2014, n. 25308, Rv. 633637-01).
7.1.4. Tuttavia, proprio l’esame diretto degli atti di causa conferma quanto risulta dalla sentenza impugnata, e dunque la correttezza della declaratoria di inammissibilita’, per genericita’ dei motivi, dell’appello incidentale.
La verifica, infatti, del rispetto dell’articolo 342 c.p.c. (nel testo anteriore alla gia’ ricordata “novella” del 2012) va compiuta con riferimento a quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui, “nel giudizio di appello la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi, con la conseguenza che tale specificita’ esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che la sorreggono; pertanto nell’atto di appello, ossia nell’atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione, deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilita’ del gravame rilevabile d’ufficio, una parte argomentativa che contrasti le ragioni addotte dal primo giudice” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 9 settembre 2011, n. 23299, Rv. 620062-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-1, ord. 22 settembre 2011, n. 18074, Rv. 636869-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 15 giugno 2016, n. 12280; Rv. 640307-01).
Orbene, l’esistenza di tale “parte argomentativa” risulta “prima facie” carente quanto ai motivi di appello incidentale – il terzo e il quarto – relativi alla liquidazione del danno biologico da inabilita’ temporanea e del danno “morale” (ovvero, tra l’altro, proprio quelli in relazione si “innesta” la pretesa degli allora appellanti incidentali, oggi ricorrenti, di una “attualizzazione” alla luce delle sopravvenute tabelle milanesi, pretesa sulla quale insistono anche i motivi secondo, terzo e quarto dell’odierno ricorso, oltre che il primo), risultando la loro formulazione puramente apodittica: “Il danno biologico da inabilita’ temporanea e’ stato calcolato dal Tribunale in modo inadeguato (Euro 39,37 per l’inabilita’ totale). L’importo equo non puo’ essere inferiore a Euro 100,00 al di’”; “Il danno morale (un terzo del biologico) e’ stato liquidato in maniera insufficiente. Proponiamo una liquidazione pari ad un mezzo del danno alla salute”
La stessa conclusione si impone, d’altra parte, anche per il motivo di appello incidentale – il primo – concernente la liquidazione del danno cd. “oculistico”, alla stregua del principio, richiamato dalla stessa sentenza oggi impugnata, secondo cui, in sede di appello, “rimangono estranee al dibattito processuale le considerazioni critiche, mosse dalla parte al consulente tecnico d’ufficio sulla base delle osservazioni del proprio consulente, che non siano state trasfuse in specifici motivi di impugnazione della sentenza, formulati nel rispetto delle prescrizioni stabilite dall’articolo 342 c.p.c., dovendosi le argomentazioni critiche dell’appellante contrapporre non alla relazione di perizia espletata in primo grado, ma al fondamento logico-giuridico su cui e’ fondata la decisione impugnata” (Cass. sez. 3, sent. 12 febbraio 2013, n. 3302, Rv. 625011-01).
7.1.5. Resta il motivo – il secondo del gravame incidentale (ed il quinto del presente ricorso) – sul danno patrimoniale “futuro”, in ordine al quale, a prescindere dalla specificita’ della doglianza fatta valere, al riguardo, con l’atto di appello, dirimente risulta la constatazione che tale pregiudizio, per la sua natura (patrimoniale, appunto), e’, per definizione, insensibile al fenomeno costituito dall’aggiornamento delle tabelle.
Ne’ siffatta conclusione puo’ essere revocata in dubbio constatando che gli odierni ricorrenti si dolgono del mancato rilievo attribuito, nella personalizzazione del danno non patrimoniale subito da (OMISSIS), alla “maggiore usura della residua validita’ dell’infortunata nello svolgimento della sua attivita’ lavorativa”.
Dal momento, infatti, che non vi e’ – in questa sede – una doglianza specifica in ordine al mancato riconoscimento del danno da perdita/riduzione della capacita’ lavorativa (esito conseguito alla declaratoria di inammissibilita’ del motivo di gravame ad esso relativo), dare ingresso alla presente censura equivarrebbe a legittimare un vero e proprio escamotage per “rimettere in gioco” tale voce di danno.
Il tutto, peraltro, non senza tacere che il presente motivo non risulta conforme alla previsione di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3), visto che i ricorrenti – per dolersi di una mancata (o inadeguata) personalizzazione del danno alla salute – avrebbero dovuto evidenziare quali fossero le “specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze “ordinarie” gia’ previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari” (cosi’ Cass. Sez. 3, sent. 21 settembre 2017, n. 21939, Rv. 645503-01), e cio’ in quanto “le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'”id quod plerumque accidit” (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidita’ non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 27 marzo 2018, n. 7513, Rv. 64830301).
7.1.6. Tutto cio’ premesso, e dunque confermata l’inammissibilita’ per genericita’ – per le ragioni illustrate – dell’appello incidentale proposto “temporibus illis” dagli odierni ricorrenti, dal momento che “deve ritenersi passato in giudicato il capo della sentenza di primo grado in merito al quale l’atto d’appello si limiti a manifestare generiche perplessita’, senza svolgere alcuna argomentazione idonea a confutarne il fondamento” (cosi’, nuovamente, Cass. Sez. Un., sent. n. 23299 del 2011, cit., e le altre conformi, del pari citate), diventa inutile soffermarsi sul tema dell’applicabilita’ delle nuove tabelle.
7.2. Il sesto e settimo motivo di ricorso – che, come detto, tendono a mettere in discussione gli assetti della sentenza di appello derivanti dall’accoglimento del gravame principale esperito da (OMISSIS) – sono, invece, fondati.
7.2.1. In relazione, in particolare, al sesto motivo, non corrisponde ai principi enunciati da questa Corte l’affermazione del giudice di appello che ha escluso il risarcimento del danno non patrimoniale patito dai genitori della vittima primaria dell’illecito, e cio’ sul rilievo che postumi di invalidita’ permanente residuati alla stessa per la loro entita’ e tipologia – non fossero “tali da richiedere la prestazione di assistenza (morale e/o materiale), ne’ da incidere, compromettendolo, sullo svolgimento della relazione parentale”.
Cosi’ pronunciandosi, infatti, la Corte fiorentina non ha tenuto conto della complessa morfologia di tipo di danno, ignorandone come lamentano gli odierni ricorrenti – la componente innanzitutto “morale”.
Al riguardo, deve ribadirsi quanto di recente affermato da questa Corte, ovvero che in “tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti” (e tale e’ certamente quello in esame, alla stregua di quanto previsto dagli articoli 29 e 30 Cost., nonche’ – merce’ la norma costituzionale interposta costituita dall’articolo 8 CEDU – dallo stesso articolo 117 Cost., comma 1), “il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo “in pejus” con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile – alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (articoli 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) – e’ la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realta’ naturalistica, si puo’ connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, percio’, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti” (Cass. Sez. 3, sent. 17 gennaio 2018, n. 901, Rv. 64712502).
Del resto, gia’ in passato questa Corte – come non hanno mancato di riferire i ricorrenti – ha affermato che, “in tema di risarcimento del danno ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali”, spetta a costoro “anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva della vittima, non essendo ostativo il disposto dell’articolo 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso”, fermo restando che, trattandosi di “una sofferenza interna del soggetto, esso, da una parte non e’ accertabile con metodi scientifici e, dall’altra, come per tutti i moti dell’animo, solo quando assume connotazioni eclatanti puo’ essere provato in modo diretto, non escludendosi, pero’, che, il piu’ delle volte, esso possa essere accertato in base a indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilita’” (Cass. Sez. 3, sent. 3 aprile 2008, n. 8546, Rv. 602633-01).
La Corte fiorentina, dunque, ha ignorato – come detto – tale componente del danno, incentrando la sua attenzione solo sugli aspetti “dinamico-relazionali” del (piu’ ampio) pregiudizio lamentato dai genitori di (OMISSIS) in conseguenza del sinistro occorsole.
7.2.2. Anche il settimo motivo di ricorso e’ fondato.
La circostanza che le spese per spostamenti e permanenza, in diverse citta’, ove i ricorrenti si erano recati per ragioni di cura della propria figlia, fossero “documentabili”, senza essere state pero’ specificamente documentate nel loro ammontare, non costituisce ragione per negarne il rimborso, salvo che non si escluda la ricorrenza di quelle trasferte (affermazione della quale nella sentenza non vi e’, pero’, traccia), e cio’ alla stregua del principio secondo cui, in presenza di sinistri “che abbiano costretto il leso ed i suoi familiari a numerosi e ripetuti ricoveri, purche’ questi ultimi siano documentati, il giudice puo’ liquidare il danno consistito nelle erogazioni per viaggi di cura e spese mediche anche in assenza della prova dei relativi esborsi, ai sensi dell’articolo 1226 c.c.” (Cass. Sez. 3, sent. 19 gennaio 2010, n. 712, Rv. 611107-01; nello stesso senso gia’ Cass. Sez. 3, sent. 1 dicembre 1999, n. 13358, Rv. 531712-01).
Si tratta, per vero, di principio enunciato, in passato, con esclusivo riferimento “a lesioni personali di devastante entita’”, ma che, a giudizio di questo collegio, deve essere esteso a tutte quelle che abbiano determinato postumi che superino la soglia legislativamente stabilita – della “micropermanenza”, ancorandola, cosi’, ad un dato normativo certo, piuttosto che a quello di una (non meglio precisata) natura “devastante” delle conseguenze lesive del sinistro.
8. In conclusione, la sentenza impugnata va parzialmente cassata, rinviando alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, perche’ – conformandosi ai principi dianzi enunciati decida in merito alla domanda di risarcimento dei danni non patrimoniale e patrimoniale, lamentati da (OMISSIS) e (OMISSIS).
9. Avendo ricevuto, con la presente sentenza, completa definizione il rapporto giuridico processuale tra (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) S.A, le spese di questo giudizio, in relazione ad esso, seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della ricorrente soccombente e liquidate come da dispositivo.
Il persistere, per contro, del rapporto giuridico processuale tra la predetta societa’ e (OMISSIS), da un lato, e (OMISSIS) e (OMISSIS), dall’altro, comporta che le spese di lite, comprese quelle relative al teste’ celebrato giudizio di legittimita’, saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, quanto ai primi cinque motivi, accogliendolo, invece, in relazione al sesto ed al settimo, cassando parzialmente, per l’effetto, la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, per la decisione nel merito e per la liquidazione delle spese processuali anche del presente giudizio quanto al rapporto processuale tra (OMISSIS) e (OMISSIS), da un lato, e la societa’ (OMISSIS) S.A., dall’altro, condannando (OMISSIS), a rifondere alla predetta societa’ le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000,00, piu’ Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

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