Danno endofamiliare e la prescrizione e la consapevolezza

Sommario

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|8 gennaio 2025| n. 375.

Danno endofamiliare e la prescrizione 

Massima: In tema di danno endofamiliare, la protratta violazione dei doveri di assistenza morale e materiale del figlio integra un illecito permanente, in relazione al quale, protraendosi la verificazione dell’evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, fermo restando che, in ragione della peculiare natura dell’illecito, l’individuazione del momento in cui il danno si manifesta per la prima volta richiede l’individuazione del momento in cui il danneggiato perviene ad una reale condizione emotiva di consapevole esercitabilità del diritto al risarcimento, che può intervenire durante la permanenza dell’illecito, ma anche dopo molto tempo dalla cessazione della permanenza stessa.

 

Ordinanza|8 gennaio 2025| n. 375. Danno endofamiliare e la prescrizione 

Integrale

Tag/parola chiave: Risarcimento del danno – Violazione degli obblighi di assistenza morale ed economica nei confronti del figlio – Qualificazione del danno come risarcimento del danno endofamiliare – Illecito endofamiliare – Nozione – Violazioni perpetrate da un membro famigliare nei confronti di uno o più altri facenti parte della medesima compagine familiare – Disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di un figlio – Violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione e educazione della prole – Lesione dei diritti nascenti da un rapporto di filiazione ex articoli 2 e 30 Cost. – Illecito endofamiliare – Natur istantanea o permanente – Illecito permanente – Risarcimento del danno da deprivazione del rapporto genitoriale – Prescrizione del diritto – Decorrenza dalla cessazione della permanenza – Cessazione del comportamento abbandonico – Cass. Sez. 3 Sentenza n. 9930 del 13/04/2023 – Individuazione del tempo della prima manifestazione del danno – Sezioni Unite n. 576 dell’11/01/2008 – Maturità personale del figlio – Decorso della prescrizione e progressività del de die in diem per la durata della permanenza dell’illecito – Cass. Sez. 3 Ordinanza n. 11097 dell’10/06/2020 – Termine prescrizionale – Decorrenza – Fattispecie

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere-Relatore

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso R.G. n. 29126/2022

promosso da

Ja.Mu., rappresentato e difeso dall’avv. Pi.Fl. (PEC: (Omissis)) e dall’avv. Wa.Gi. (PEC: (Omissis)), in virtù di procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

Ja.Sa.

– intimato –

avverso la sentenza n. 1470/2022 della Corte d’Appello di Milano, pubblicata il 04/05/2022;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dal Consigliere ELEONORA REGGIANI;

letti gli atti del procedimento in epigrafe;

Danno endofamiliare e la prescrizione 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 25/10/2018, Ja.Mu. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Milano il padre, Ja.Sa. per ottenere l’accertamento della violazione da parte di quest’ultimo degli obblighi nascenti dal rapporto di filiazione nei confronti del figlio, sotto il profilo dell’assistenza morale e materiale, oltre che del mantenimento, dell’educazione e dell’istruzione. Tale condotta si era protratta durante tutto l’arco di vita del figlio, nato nel 1985, a partire da quando Ja.Mu. aveva cinque anni e il padre, a seguito della separazione dei genitori, era andato via di casa, trasferendosi dapprima in un’altra città e, poi, quando il figlio aveva raggiunto i quindici anni di età, all’estero, con totale disinteresse per il figlio.

Quest’ultimo chiedeva, dunque, il risarcimento del danno subito, in particolare: a.- per la mancata corresponsione nel corso degli anni, del contributo al mantenimento e per il pagamento delle spese straordinarie; b.- per il costo delle terapie necessarie alla gestione dello stato patologico derivante dalla condotta paterna; c.- a titolo di danno biologico, per lo stato di malattia permanente insorto per effetto della condotta paterna; d. – a titolo di danno biologico, nonché per lo stato di inabilità temporanea dovuto alla condotta di Ja.Sa. durante la crescita del figlio; e. – per il pregiudizio irreversibile subito dall’attore nella propria sfera esistenziale, con particolare riguardo alla sfera della capacità di gestione delle relazioni interpersonali, affettive, sociali, e di espressione soddisfacente della propria personalità; f.- per la definitiva perdita della possibilità, in capo all’attore, di soddisfacente realizzazione professionale, di livello conforme alle accertate capacità di base del convenuto e alle possibilità, da parte del padre, di sostenerlo in un percorso preparazione e di studio adeguato, con conseguente perdita dell’aspettativa reddituale; g.- in subordine, rispetto al danno dedotto al punto b. -, la condanna del convenuto al pagamento dei costi della terapia, avendo egli assunto la relativa obbligazione verso di lui; h. – in subordine, rispetto all’applicazione del criterio di calcolo del danno indicato al paragrafo c.- per la totale assenza della figura paterna, la liquidazione del danno nella somma di Euro 331.920,00 o nella diversa somma accertata in corso di causa, oltre agli interessi e alla rivalutazione monetaria.

Nel costituirsi in giudizio, Ja.Sa. contestava integralmente tutte le circostanze di fatto e le argomentazioni in diritto formulate dal figlio, chiedendo, in via preliminare, che venisse accertata l’inammissibilità della domanda di risarcimento, in ragione della conciliazione giudiziale inter partes intervenuta il 15/10/2014 nel giudizio avviato davanti al Tribunale di Monaco di Baviera, nonché, in via principale, che venisse dichiarata la prescrizione totale di ogni diritto di credito e di risarcimento, reclamato dall’attore sia a titolo patrimoniale che extrapatrimoniale, quantomeno sino a tutto il 28/10/2013, oltre alla prescrizione totale di ogni diritto al risarcimento del danno, ad ogni titolo richiesto e reclamato dall’attore nei punti c. -, d. -, e. -, f. -, g. -, h. -, in precedenza riportati, e, comunque, che venissero respinte tutte le domande avversarie.

Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 7079/2021, rigettava tutte le domande, condannando Ja.Mu. al pagamento delle spese di lite.

Quest’ultimo proponeva appello avverso tale statuizione Ja.Mu. lamentando: 1) violazione ed errata applicazione degli artt. 2935, 2043 e 2049 c.c., 115 e 116 c.p.c., per avere il giudice di primo grado ritenuto estinto per prescrizione il diritto al risarcimento del danno alla persona richiesto; 2) carenza totale di motivazione nel rigetto della domanda formulata indicato al punto a. – delle domande risarcitorie; 3) violazione ed erronea applicazione degli art. 2043 e ss. c.c., 112, 115 e 116 c.p.c., per avere il Tribunale rigettato la domanda di risarcimento del danno conseguente alla mancata corresponsione del contributo al mantenimento da parte del padre di cui al punto a. – delle domande risarcitorie; 4) violazione ed erronea applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c., per avere ritenuto il Tribunale che non sia stato documentato l’esborso per terapie; 5) violazione ed errata applicazione dell’art. 2043 c.c. in relazione agli art. 163, 164 e 112 c.p.c., per avere il Tribunale ritenuto la genericità delle allegazioni attoree relative al lamentato pregiudizio esistenziale; 6) violazione ed erronea applicazione degli artt. 2043 e ss. c.c., 112, 115 e 116 c.p.c., per avere il Tribunale escluso che fosse addebitabile al padre la difficoltà lamentata dall’appellante di reperire una collocazione lavorativa di livello alto; 7) violazione ed errata applicazione degli artt. 115, 116, 230 e 244 c.p.c., per avere il Tribunale rigettato le istanze istruttorie dell’appellante; 8) violazione ed errata applicazione degli articoli 115, 116, 210, 212, 213 c.p.c. per avere il Tribunale rigettato le istanze di esibizione dello stesso appellate; 9) violazione ed errata applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., 115 e 116 c.p.c. per non avere il Tribunale accolto nel merito in punto accertamento della responsabilità in capo al convenuto e quantificazione del danno come richiesto.

L’appellato si è costituito chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

La Corte d’Appello, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto l’appello, condannando Ja.Mu. al pagamento delle spese di lite.

In particolare, il Giudice del gravame ha ritenuto che la domanda, formulata dall’appellante, dovesse essere qualificata come richiesta di risarcimento del danno endofamiliare, causato dal padre al figlio, per violazione degli obblighi di assistenza morale e materiale, la cui prescrizione quinquennale doveva decorrere dal momento in cui il danneggiato era stato messo in condizioni di percepire l’illecito commesso e il conseguente danno subito.

A tal fine, la Corte d’Appello ha inizialmente dato rilievo al momento in cui il ricorrente, nel 2008, aveva ricevuto la prima diagnosi psicologica effettuata dal dott. Bu. (doc. 32-33 del fascicolo di primo grado di Ja.Mu.), ma, poi, ha precisato che occorreva guardare alla data del 10/06/2010, quando il ricorrente aveva presentato denuncia-querela nei confronti del padre per violazione degli obblighi di assistenza morale e materiale, lamentando gli stessi danni patrimoniali e non patrimoniali oggetto della successiva azione civile.

Il procedimento era stato archiviato, dopo l’espletamento di indagini suppletive, e il relativo provvedimento è stato impugnato per cassazione con ricorso dichiarato inammissibile, ma, secondo la Corte di merito, “La vicenda giudiziaria penale nella sua complessità (nonché per gli allegati documenti medici ivi citati) consente a questa Corte di ritenere con ragionevole certezza che al momento della denuncia-querela il sign. Ja.Mu. avesse la piena consapevolezza non solo della condotta illecita qui allegata ma anche degli effetti non patrimoniali della stessa (come da certificato medico e documentazione psicoterapia allegata alla stessa denuncia querela) sulla sua persona.”

Rilevando che il primo atto interruttivo risaliva al 14/01/2016 (data di ricezione), la Corte territoriale ha applicato il termine di prescrizione quinquennale, relativo al risarcimento del danno da fatto illecito, ritenendo prescritto il diritto, dato che la denuncia-querela era stata presentata il 10/06/2010.

Avverso tale decisione Ja.Mu. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi di impugnazione.

Ja.Sa. è rimasto intimato.

Fissata l’udienza in camera di consiglio, il ricorrente ha depositato memoria difensiva.

Danno endofamiliare e la prescrizione 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 c.c., 2941 c.c., 2942 c.c., 2947 c.c., 2043 c.c. e 2049 c.c., oltre alla violazione ed errata applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 2, c.p.c., per avere il Giudice di merito ritenuto estinto per prescrizione il diritto al risarcimento del danno alla persona richiesto da Ja.Mu.

Il ricorrente ha affermato che la Corte d’Appello, nonostante avesse correttamente ritenuto che, nella specie, si trattava di un illecito permanente, ha violato le norme vigenti in materia di prescrizione e, in ogni caso, ha disapplicato i principi che la Corte di cassazione ha enucleato sul tema del danno endofamiliare.

Ad opinione della parte, Ja.Mu. aveva avuto contezza di una diagnosi ben definita sulla sua condizione psicologica solo quando è stata redattala perizia di parte, nel maggio 2018, prima dell’instaurazione del giudizio civile.

Il ricorrente ha, in particolare, affermato che il danno endofamiliare da mancata assistenza morale e materiale, proprio per la sua natura, ha indubbie conseguenze anche in termini prescrizionali, occorrendo che il danneggiato sia in grado di percepirlo e apprezzarlo completamente.

Richiamando alcune decisione del Giudice di legittimità, ha, inoltre, precisato che ciò non accade necessariamente con il conseguimento della maggiore età della vittima, ma quando quest’ultima si svincola dall’istintivo desiderio di un rapporto positivo con il genitore ed è in grado di percepire autonomamente la situazione pregiudizievole, accettando l’illiceità della condotta genitoriale e agendo per il risarcimento dei danni subiti in qualità di figlio rifiutato, con la conseguenza che proprio la natura del diritto azionato rende del tutto giustificabile, in mancanza di limitazioni legali, l’esercizio del diritto al risarcimento in una fase di maturità personale della vittima, compatibile con il coinvolgimento personale ed emotivo connesso.

Secondo il ricorrente, pertanto, tale eventualità non si è verificata nel 2008, quando ha cominciato il percorso psicologico, e neppure nel 2010, quando ha presentato la denuncia querela contro il padre, perché anche dopo tale evento vi sono stati contatti e incontri con finalità conciliativa, sia pure con esito infausto, che dimostravano l’istintivo desiderio di un rapporto positivo con il genitore e, conseguentemente, l’incapacità dello stesso figlio di percepire autonomamente la situazione pregiudizievole connessa alla condotta paterna.

In sintesi, secondo il ricorrente: (i) l’atteggiamento di totale disinteresse del padre e la condizione di abbandono e assenza di assistenza materiale e morale si è protratto ben oltre il 2010 tanto che (ii) solo nel 2018 Ja.Mu. ha effettivamente acquisito la consapevolezza della propria condizione e, conseguentemente, accettato l’illiceità della condotta genitoriale.

Inoltre, il ricorrente ha evidenziato che, anche ritenendo corretta l’impostazione adottata dal giudice di secondo grado, si sarebbe dovuto comunque riconoscere in capo a Ja.Mu. il diritto ad ottenere il risarcimento dei danni per i cinque anni precedenti alla instaurazione della causa, poiché la condotta illecita si era protratta fino al momento della proposizione dell’atto di citazione di primo grado e sussisteva ancora nell’attualità.

Ja.Mu. ha, poi, richiamato pronunce che hanno dato rilievo, ai fini della decorrenza della prescrizione per violazione degli obblighi di assistenza materiale, al momento in cui il figlio raggiunge l’indipendenza economica, in quanto in quel momento cessa il dovere del genitore di contribuire al suo mantenimento, affermando che, nel caso in esame, tale indipendenza non è stata raggiunta quantomeno sino al 31/12/2017, momento fino al quale è rimasto in vigore l’obbligo di contribuzione al mantenimento del figlio da parte del padre, con il versamento di Euro 600,00 mensili, oltre al pagamento delle spese universitarie, pacificamente riconosciuto anche dal convenuto e cristallizzato nell’accordo giudiziale stipulato tra le parti avanti il Tribunale di Monaco in data 15/10/2014.

Danno endofamiliare e la prescrizione 

In conclusione, secondo il ricorrente, la decisione adottata dal Giudice di primo grado, e successivamente confermata dal Giudice di secondo grado, era errata, perché aveva ritenuto prescritto il diritto al risarcimento del danno patito per tutto l’arco di tempo oggetto della domanda, cioè dall’età di cinque anni del ricorrente fino all’instaurazione della causa civile, avvenuta con atto di citazione notificato il 24/10/2018.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione ed erronea applicazione degli artt. 2947 c.c., oltre che degli artt. 157 e 160 c.p., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., e l’omessa considerazione dell’effetto interruttivo/sospensivo dell’avvio del procedimento penale a seguito di denuncia-querela proposta dall’appellante nonché dell’effetto interruttivo della diffida del dicembre 2015.

Il ricorrente, richiamando pronunce del giudice di legittimità, ha affermato che il solo decreto di archiviazione non impedisce al giudice civile di compiere una propria valutazione circa la sussistenza o meno del fatto di reato, al fine di individuare il termine di prescrizione applicabile, che potrà essere o quello quinquennale di cui dell’art. 2947, comma 1, c.c. o quello maggiore eventualmente ricollegabile al reato, ai sensi della prima parte dell’art. 2947, comma 3, c.c., con decorrenza in ogni caso dalla data dell’illecito.

Alla luce di quanto sopra esposto, Ja.Mu. ha censurato la decisione impugnata, ove ha ritenuto di poter applicare, nella specie, il termine breve di prescrizione, previsto dal primo comma dell’art. 2947 c.c., e non il termine prescrizionale più lungo, previsto dal terzo comma dello stesso articolo, che, nell’ipotesi in esame, trovando applicazione l’art. 157 c.p., è pari a sei anni, aggiungendo che, anche se si dovesse considerare corretto il ragionamento della Corte d’Appello, secondo cui il termine prescrizionale aveva iniziato a decorrere dalla denuncia-querela proposta per i fatti di cui all’art. 570 c.p. (10/06/2010) e il primo atto interruttivo della prescrizione era del 14/01/2016 (data di ricezione dell’atto), nel caso in esame non avrebbe potuto ritenersi prescritto il diritto al risarcimento del danno endofamiliare da fatto illecito, dal momento che la prescrizione più lunga

prevista per il reato di cui all’art. 570 c.p.c., pari a sei anni, non era ancora intervenuta (il diritto avrebbe potuto essere considerato prescritto solo se la notifica della diffida fosse giunta successivamente al 10/06/2016).

Sotto altro profilo, il ricorrente ha ritenuto di dover rilevare che la fissazione dell’udienza in camera di consiglio per statuire sull’archiviazione interrompe il termine di prescrizione del reato ai sensi dell’art. 160 c.p., così incidendo anche sulla prescrizione per l’azione risarcitoria correlata.

Inoltre, il Jabir ha censurato la mancata considerazione del fatto che la diffida, inviata il 30/12/2015, aveva ulteriormente interrotto il decorso del termine prescrizionale della condotta illecita permanente e continuata fino all’attualità.

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotto il vizio di motivazione per omessa pronuncia su tutti i motivi di appello e violazione dell’art. 112 c.p.c., oltre alla violazione dell’art. 115 c.p.c. per omessa valutazione dei documenti e per omessa ammissione della prova testimoniale e dell’ordine di esibizione.

Il ricorrente ha allegato di avere formulato ben nove motivi di appello, riportati anche nella sentenza della Corte di merito, aggiungendo che quest’ultima si è limitata a valutare la questione dell’intervenuta prescrizione del diritto azionato, senza nulla statuire sulle altre censure.

Sotto un ulteriore profilo, la parte ha rilevato che la mancata pronuncia su tutti i motivi di appello ha comportato anche una violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere la Corte d’Appello valutato le prove proposte dalle parti, nonché per aver non ammesso la prova testimoniale e l’ordine di esibizione, nonché una violazione ed errata applicazione dei principi in materia di risarcimento del danno di cui agli artt. 2043 c.c. e seguenti.

4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 14 c.p.c. e dell’art. 5 D.M. n. 140 del 2012, per aver la Corte d’Appello liquidato le spese legali senza tener conto del valore indeterminabile della causa nonché dell’accoglimento dell’eccezione preliminare di prescrizione.

Il ricorrente ha ritenuto la sentenza impugnata viziata nella parte in cui ha affermato che, ai fini della statuizione sulle spese, la domanda di risarcimento del danno formulata Ja.Mu. dovesse essere qualificata tenendo conto del valore della domanda proposta (Euro 1.795.271,00), senza tenere conto: 1) che, essendo stata accolta l’eccezione di prescrizione, doveva applicarsi lo scaglione tariffario relativo alle cause di valore indeterminabile, poiché il valore della domanda, da accertarsi in corso di causa, era rimasto non determinato in conseguenza dell’accoglimento della menzionata eccezione preliminare di merito; 2) che le conclusioni del ricorrente riportavano la richiesta di condanna del padre al risarcimento di tutti i danni patiti dal figlio “nella misura che avrebbe dovuto essere quantificata dal Giudice all’esito dell’istruttoria”, con l’indicazione degli importi ritenuti dovuti per le singole voci di danno, accompagnata da formule alternative (“o nella maggiore o minor somma che verrà riconosciuta dal Tribunale all’esito dell’istruttoria”, “o la diversa somma che verrà riconosciuta dal Tribunale all’esito dell’istruttoria”), che imponevano di ritenere il valore della controversia come indeterminabile.

5. Il primo motivo di ricorso è fondato, sia pure nei termini di seguito evidenziati.

5.1. Com’è noto, la nozione di illecito endofamiliare si riferisce a tutte le violazioni che si verificano all’interno del nucleo familiare, perpetrate da un membro nei confronti di uno o più altri facenti parte della medesima compagine familiare.

Con specifico riferimento al rapporto di filiazione, questa Corte ha più volte affermato che la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione e educazione dei genitori nei confronti dei figli non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, consentendo l’esercizio di un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c. (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5652 del 10/04/2012).

Il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di un figlio, infatti, integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione e educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti da un rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 Cost. (oltre che nelle Convenzioni internazionali e, in particolare, nella Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989), un elevato grado di riconoscimento di tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell’illecito civile e legittima l’esercizio, ai sensi dell’art. 2059 c.c., di un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole (Cass., Sez. 6-3, Sentenza n. 3079 del 16/02/2015).

Danno endofamiliare e la prescrizione 

Ovviamente, l’illecito endofamiliare nel rapporto genitoriale, può configurarsi come illecito istantaneo o permanente. Nel primo caso, la violazione degli obblighi genitoriali si sostanzia in una singola condotta inadempiente, la cui natura, omissiva o commissiva, è di rilievo così elevato da attingere da sola a disvalore a livello costituzionale. Nel secondo caso, invece, il genitore si estranea per un periodo protratto e significativo dalla vita della sua prole ed è proprio la considerevole protrazione temporale a portare al livello del disvalore costituzionale la condotta illecita, la quale, se investisse un tempo limitato, e fosse tale da potersi definire episodica, integrerebbe soltanto una violazione degli obblighi che regolano i rapporti di famiglia (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 11097 dell’10/06/2020).

L’illecito endofamiliare permanente si sostanzia, in sintesi, in una serie di omissioni protrattesi per un apprezzabile lasso di tempo, suscettibile di essere interrotta in ogni momento per effetto di una radicale modificazione dell’atteggiamento genitoriale, e cioè con l’adempimento degli obblighi su di lui gravanti nei confronti della prole. Finché la situazione di assenza, disinteresse, abbandono non viene rimossa, l’illecito continua a perpetuarsi nel tempo, restando attuale ed eguale a sé stesso, in ragione del fatto che l’offesa deriva da un comportamento volontario dell’autore, che potrebbe dallo stesso essere interrotto (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9930 del 13/04/2023).

È per questo che la condotta illecita permanente viene meno quando detta condotta cessa per effetto di un pieno e consapevole recupero del rapporto con il figlio, ovvero quando il genitore riesca a dimostrare di non essere stato in grado, per causa a lui non imputabile, di porre fine al comportamento omissivo (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9930 del 13/04/2023).

5.2. In tale ottica, questa Corte ha chiarito che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da deprivazione del rapporto genitoriale, conseguente all’illecito permanente di abbandono parentale, decorre dalla cessazione della permanenza, che si verifica dal giorno in cui il comportamento abbandonico viene meno, per effetto di una condotta positiva volta all’adempimento dei doveri morali e materiali di genitore, ovvero dal giorno in cui questi dimostri di non essere stato in grado, per causa a lui non imputabile, di porre fine al comportamento omissivo (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9930 del 13/04/2023; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4594 del 21/02/2024).

5.3. Diversa è la considerazione secondo la quale in ogni caso di illecito permanente, e dunque anche nell’ipotesi di danno endofamiliare da protratta violazione degli obblighi di assistenza familiare, protraendosi la verificazione dell’evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui il danno si è manifestato per la prima volta, ma, poi, ricomincia a decorrere giorno per giorno, poiché fino alla cessazione della permanenza il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce ed in modo continuo si prescrive se non tempestivamente esercitato (Cass., Sez. U, Sentenza n. 23763 del 14/11/2011; v. anche Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3314 del 11/02/2020; Cass., Sez. L, Sentenza n. 9318 del 16/04/2018; con riferimento al danno permanente da illecito endofamiliare, v. ancora Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9930 del 13/04/2023).

Con riguardo all’individuazione del tempo della prima manifestazione del danno, questa Corte ha ritenuto che l’elemento soggettivo valorizzato dalle Sezioni Unite nella Sentenza n. 576 dell’11/01/2008 per l’individuazione dell’esordio prescrizionale in materia di danno biologico, debba riferirsi ad ogni tipo di danno, poiché l’interpretazione delle norme del codice relative alla prescrizione non può essere governata da un favor esclusivo nei confronti del danneggiante, occorrendo al contrario controbilanciare gli interessi delle parti e i valori ad essi sottesi fatti propri dall’ordinamento giuridico. Ne consegue che l’accertamento dell’esordio prescrizionale non deve confinarsi ad una mera disamina dell’evolversi e dello snodarsi nel tempo delle conseguenze lesive del fatto illecito, occorrendo anche vagliare la sussistenza o meno di una loro piena percepibilità da parte del danneggiato (v. in particolare Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 11097 dell’10/06/2020; v. in generale, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 21255 del 17/09/2013).

In tale ottica, proprio con riferimento all’illecito endofamiliare conseguente al protratto abbandono della prole da parte del genitore, questa medesima Corte ha affermato che si tratta di una forma di illecito rispetto al quale la concreta capacità della persona danneggiata di esercitare il diritto risarcitorio – e cioè la concreta percepibilità completa del danno – assume un peculiare rilievo, che influisce sull’individuazione del momento in cui inizia a decorrere la prescrizione del diritto al risarcimento.

Tale illecito produce, infatti, anche un danno non patrimoniale, che investe direttamente la progressiva formazione della personalità del danneggiato, condizionando così pure lo sviluppo delle sue capacità di comprensione e di autodifesa. In particolare, dalla relazione filiale discende il nucleo costitutivo originario dell’identità personale e relazionale dell’individuo e il danno in esame si sostanzia nelle ripercussioni personali e sociali derivanti dalla consapevolezza di non essere mai stati desiderati ed accolti come figli, sicché la persona che subisce la violazione di tale diritto entra in una condizione di sofferenza personale e morale che imprime un tracciato di disagio e di sofferenza nello sviluppo psicofisico, per cui la natura del diritto azionato ne rende del tutto giustificabile, in mancanza di limitazioni legali, l’esercizio in una fase di maturità personale compatibile con il coinvolgimento personale ed emotivo ad esso connesso (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 11097 dell’10/06/2020 e, in motivazione, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 26205 del 22/11/2013).

Perché possa iniziare a decorrere la prescrizione, occorre, dunque, che la vittima dell’abbandono si svincoli dall’incidenza percettiva e comportamentale del notorio istintivo desiderio filiale di un rapporto positivo con il genitore, per raggiungere una maturità personale compatibile con il coinvolgimento personale ed emotivo ad esso connesso, accettando psicologicamente la illiceità della condotta del genitore, per chiedere il risarcimento dei danni subiti (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 11097 dell’10/06/2020; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9930 del 13/04/2023; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4594 del 21/02/2024).

Soltanto quando si è raggiunto tale momento, dunque, scatta il decorso della prescrizione e la progressività del de die in diem per tutta la durata della permanenza dell’illecito (v. chiaramente Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 11097 dell’10/06/2020).

5.4. L’individuazione del termine iniziale per il calcolo della prescrizione non può, tuttavia, sovrapporsi all’accertamento del momento in cui è cessata la permanenza dell’illecito, poiché, anche se il menzionato termine iniziale di prescrizione è precedente a tale momento, e da detto termine comincia a decorrere la prescrizione per ogni giorno di permanenza dell’illecito fino a che l’illecito non cessa, il menzionato illecito continua a produrre di giorno in giorno un danno suscettibile di essere risarcito, salva ovviamente la prescrizione, che matura anch’essa di giorno in giorno.

Danno endofamiliare e la prescrizione 

Il momento in cui inizia a decorrere il termine prescrizionale, come sopra individuato, può iniziare a decorrere quando l’illecito è già cessato, anche da molto tempo, quando, come sopra evidenziato, solo dopo la cessazione della permanenza la vittima prende consapevolezza della condotta del genitore quale causa del danno di cui chiede il risarcimento. In questo caso, essendo cessata la permanenza prima, il decorso del termine di prescrizione da tale momento iniziale comporta la prescrizione di ogni diritto al risarcimento del danno.

Il termine prescrizionale può, tuttavia, cominciare a decorrere anche durante la protrazione dell’illecito permanente, quando il danneggiato prende consapevolezza di aver subìto un danno a causa della condotta del genitore contraria ai doveri parentali mentre tale condotta non è ancora cessata, ma ciò non significa che il diritto al risarcimento del danno è prescritto solo perché dal momento in cui ha iniziato a decorrere la prescrizione è decorso il termine di estinzione del diritto conteggiato durante la permanenza, poiché, come sopra chiarito, nel reato permanente, il diritto al risarcimento sorge di giorno in giorno fino alla cessazione della permanenza dell’illecito, sicché il risarcimento del danno può essere validamente richiesto, senza che sia intervenuta alcuna prescrizione, in relazione al danno subito in quel periodo successivo all’inizio del termine di prescrizione e anteriore alla cessazione della permanenza, maturato di giorno in giorno, che non sia prescritto.

5.5. Nel caso di specie la Corte d’Appello, pur richiamando le allegazioni del ricorrente in ordine alla prospettata violazione degli obblighi di assistenza morale e materiale del padre (quest’ultima fino a che è durato l’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio) non ha effettuato alcun accertamento in ordine alla cessazione della permanenza del dedotto illecito endofamiliare, ma ha verificato solo il termine iniziale della prescrizione, senza tenere conto che tale accertamento non è, in sé, decisivo ai fini della prescrizione de diritto al risarcimento del danno, poiché, trattandosi di illecito permanente, il danno risarcibile viene ad esistenza di giorno in giorno fino alla cessazione della permanenza e, anche se la prescrizione inizia a decorrere da una determinata data, se non è prima cessata la permanenza, il danno continua a prodursi anche dopo tale data di giorno in giorno ed è risarcibile, se azionato per tempo.

6. Anche il secondo motivo di ricorso è fondato, sia pure nei termini di seguito evidenziati.

6.1. Il ricorrente ha presentato denuncia querela nei confronti del padre, rappresentando la perdurante mancanza di assistenza morale e materiale da parte di quest’ultimo anche dopo il raggiungimento della maggiore età.

Com’è noto il disposto dell’art. 570 c.p. stabilisce quanto segue “1. Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, alla tutela legale o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre Euro a milletrentadue euro. 2. Le dette pene si applicano congiuntamente a chi: 1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge; 2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa. 3. Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma.”

Ai sensi dell’art. 12 sexies L. n. 898 del 1970, ancora applicabile ratione temporis, “Al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall’art. 570 del codice penale.”

L’art. 6 L. n. 898 del 1970, appena menzionato, contiene la disciplina relativa all’assegno di mantenimento in favore dei figli di genitori divorziati, e l’art. 3 L. n. 54 del 2006 ha esteso alla separazione la previsione dell’art. 12-sexies L. n. 898 del 1970.

Per completezza, occorre precisare che il D.Lgs. n. 21 del 2018 ha abrogato l’art. 12-sexies L. n. 898 del 1970, ma le previsioni sopra menzionate sono confluite nell’art. 570 bis c.p., introdotto dal D.Lgs. cit., il quale prevede che “Le pene previste dall’articolo 570 si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”.

Il reato previsto dall’art. 570 c.p. è concordemente ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità un reato permanente (v. da ultimo Cass, Sez. 6 penale, Sentenza n. 2382, ud. 27/10/2021, dep. 20/01/2022).

Allo stesso modo, il reato di cui all’art. 12-sexies L. n. 898 del 1970 è considerato un reato permanente (Cass., Sez. 6, penale, Sentenza n. 42543, ud. 15/09/2016, dep. 07/10/2016).

Ad entrambe le ipotesi si applica, dunque, il disposto dell’art. 158 c.p., secondo il quale il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza.

La giurisprudenza di legittimità, in materia penale, è consolidata nel ritenere che, a seguito del raggiungimento della maggiore età del figlio beneficiario dell’assegno di mantenimento, il permanente inadempimento da parte del genitore obbligato al versamento integra il reato di cui all’art. 12-sexies, L. n. 898 del 1970, e non invece quello dell’art. 570, comma secondo, n. 2, c.p. (Cass, Sez. 6 penale, Sentenza n. 38611, ud. 12/04/2018, dep. 14/08/2018; Cass., Sez. 6 penale, Sentenza n. 24162, ud. 13/04/2018, dep. 29/05/2018), poiché la violazione degli obblighi morali di assistenza familiare, sanzionata dal comma 1 dell’art. 570 c.p., e di quelli economici, sanzionata dal comma 2 della medesima disposizione, presuppongono la minore età del figlio e vengono meno con l’acquisizione della capacità di agire da parte di quest’ultimo conseguente al raggiungimento della maggiore età (Cass., Sez. 6 penale, Sentenza n. 22831, ud. 29/03/2018, dep. 22/05/2018; Cass., Sez. 6 penale, Sentenza n. 34080, ud. 13/06/2013, dep. 06/08/2013).

Integra, comunque, il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all’art. 12-sexies L. n. 898 del 1970 il genitore separato o divorziato che ometta anche solo parzialmente il versamento in favore dei figli di quanto stabilito per il loro mantenimento, a prescindere da ogni accertamento sulla sufficienza della somma prestata in concreto alla loro sussistenza (Cass., Sez. 6, Sentenza n. 16458, ud. 05/04/2011, dep. 27/04/2011).

6.2. Con riferimento al termine di prescrizione applicabile in sede civile, occorre tenere conto del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art. 2947 c.c., “1. Il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato…. 3. In ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile. Tuttavia, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile.”

Questa Corte ha precisato, guardando al disposto dell’art. 2947 c.c., che la deduzione relativa all’applicabilità di uno specifico termine di prescrizione – nella specie, quello indicato all’art. 2947, comma 3, c.c. – integra una controeccezione in senso lato, il cui rilievo può avvenire anche d’ufficio, sempre che siano rispettate le preclusioni assertive delle parti, mentre, ove si basi su fatti storici già allegati entro i termini di decadenza propri del processo ordinario di cognizione, la sua deduzione è ammissibile nel corso del giudizio di primo grado e anche in quello di appello e, con il solo limite della non necessità di nuovi accertamenti di fatto, anche in quello di cassazione (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 05/02/2024; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 24260 del 03/11/2020; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9993 del 16/05/2016).

Ovviamente, qualora l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, all’azione civile di risarcimento si applica ugualmente, ai sensi dell’art. 2947, comma 3, c.c., l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato, decorrente dalla data del fatto, purché il giudice civile accerti, incidenter tantum, con gli strumenti probatori ed i criteri propri del relativo processo, l’esistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, sia soggettivi che oggettivi (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 2350 del 31/01/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 24988 del 25/11/2014).

Allo stesso modo, ai fini dell’individuazione del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, l’intervenuta archiviazione in sede penale non determina alcun vincolo per il giudice civile, il quale è tenuto a compiere un’autonoma valutazione del fatto illecito, onde verificare se esso soggiaccia al termine generale quinquennale, di cui al primo comma dell’art. 2947 c.c., ovvero al più lungo termine di cui al terzo comma della medesima disposizione, siccome astrattamente integrante gli estremi di un reato (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 25438 del 29/08/2023; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 29641 del 12/12/2017), fermo restando che la decorrenza della prescrizione non opera dalla pronuncia di archiviazione, che non può essere equiparata ad una sentenza irrevocabile di proscioglimento (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 6858 del 20/03/2018).

Come appena evidenziato, infatti, l’eccezione di prescrizione è una eccezione in senso stretto e la questione della durata della prescrizione è una eccezione in senso lato e, una volta che il giudice individui il regime di prescrizione applicabile, sulla base della corretta qualificazione della domanda, la durata del regime prescrizionale ne consegue per legge.

6.3. Nel caso di specie, Ja.Mu. ha posto a fondamento dell’azione condotte riconducibili alle fattispecie di reato sopra evidenziate, affiancando alla violazione degli obblighi di assistenza morale da parte del padre il mancato adempimento agli obblighi di mantenimento non solo quando egli era ancora minorenne, ma anche dopo che ha raggiunto la maggiore età, fino quando ha avuto diritto all’assegno di mantenimento ai sensi dell’art. 6 L. n. 898 del 1970 (in particolare, fino al 31/12/2017).

Il Giudice di appello risulta essere stato messo a conoscenza del fatto che il ricorrente aveva presentato denuncia-querela nei confronti del padre in data 10/06/2010, tant’è che ha anche evidenziato, in sentenza, che tale atto conteneva un’esposizione del fatti negli stessi termini dell’atto di citazione nel presente giudizio (p. 27 della sentenza impugnata) e ha descritto tutto l’iter che il relativo procedimento ha subito fino alla statuizione di inammissibilità dell’impugnazione del provvedimento di archiviazione da parte del giudice di legittimità (p. 27-28 del ricorso per cassazione).

Danno endofamiliare e la prescrizione 

Ciò nonostante, la menzionata Corte non ha valutato in autonomia la sussistenza dei presupposti per configurare, in quanto non prescritto, quantomeno il reato di cui all’art. 12-sexies L. n. 898 del 1990, in ragione del dedotto mancato pagamento dell’assegno di mantenimento del figlio così come previsto in sede di divorzio.

Tale accertamento era, invece, necessario ai fini della verifica dell’effetto interruttivo del decorso della prescrizione operato dalla diffida, pervenuta all’intimato il 14/01/2016.

La Corte d’Appello ha, infatti, affermato di poter ritenere con ragionevole certezza che, al momento della denuncia-querela, presentata il 10/06/2010, il ricorrente avesse la piena consapevolezza non solo della condotta illecita allegata, ma anche degli effetti non patrimoniali sulla sua persona, così determinando a tale data il termine iniziale di prescrizione, con la conseguenza che l’applicazione del più lungo termine di prescrizione del reato (sei anni invece di cinque), ai sensi dell’art. 2947, comma 3, c.c., avrebbe comportato la tempestiva interruzione del decorso della prescrizione per effetto della menzionata diffida, anche per i danni eventualmente prodotti prima del 10/06/2010.

7. All’esito dell’accoglimento del primi due motivi di ricorso, nei limiti sopra evidenziati, è superfluo l’esame degli altri, che devono ritenersi assorbiti.

8. In conclusione, il primo e il secondo motivo di ricorso devono essere accolti nei termini sopra evidenziati e, assorbiti gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Milano, in applicazione dei seguenti principi di diritto:

“In tema di danno endofamiliare, la protratta violazione dei doveri di assistenza morale e materiale del figlio integra un illecito permanente, in relazione al quale, protraendosi la verificazione dell’evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, fermo restando che, in ragione della peculiare natura dell’illecito, l’individuazione del momento in cui il danno si manifesta per la prima volta richiede l’individuazione del momento in cui il danneggiato perviene ad una reale condizione emotiva di consapevole esercitabilità del diritto al risarcimento, che può intervenire durante la permanenza dell’illecito ma anche dopo molto tempo dalla cessazione della permanenza stessa.”

“In tema di fatto illecito che sia suscettibile di integrare gli estremi di un reato, ai fini dell’individuazione del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, l’intervenuta archiviazione in sede penale non determina alcun vincolo per il giudice civile, il quale è tenuto a compiere un’autonoma valutazione del fatto, onde verificare se esso soggiaccia al termine generale quinquennale di cui al primo comma dell’art. 2947 c.c., ovvero al più lungo termine di cui al terzo comma della medesima disposizione”.

Il Giudice del rinvio provvederà anche a statuire sulle spese del presente giudizio di legittimità.

8. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione e, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, chiamata a statuire anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

dispone che, in caso di diffusione, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria l’8 gennaio 2025.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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