Danno abbandono: risarcimento equo e criteri trasparenti necessari

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 dicembre 2024| n. 31552.

Danno abbandono e risarcimento equo e criteri trasparenti

Massima: In tema di risarcimento del danno subito dal figlio per l’abbandono di uno dei genitori, la liquidazione equitativa, per non essere arbitraria, presuppone che il giudice di merito indichi i criteri seguiti per determinare l’entità del risarcimento, risultando il suo potere discrezionale sottratto a qualsiasi sindacato in sede di legittimità solo ove dia conto che sono stati considerati i dati di fatto acquisiti al processo come fattori costitutivi dell’ammontare dei danni liquidati. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che, per il periodo antecedente all’accertamento giudiziale di paternità, aveva decurtato il danno da abbandono genitoriale, valorizzando il dato, in sé neutro, dell’incertezza della qualità della relazione parentale, e lo aveva ritenuto insussistente per il periodo successivo).

 

Ordinanza|9 dicembre 2024| n. 31552. Danno abbandono e risarcimento equo e criteri trasparenti

Integrale

Tag/parola chiave: Famiglia – Filiazione – In genere danno subito dal figlio per l’abbandono di uno dei genitori – Liquidazione equitativa – Criteri – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. ACIERNO Maria – Presidente
Dott. PARISE Clotilde – Relatore

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23014/2023 R.G. proposto da

Po.Mi., elettivamente domiciliato in ROMA alla via Lu.Se., presso lo studio dell’avvocato MO.UL. (OMISSIS) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BE.CR. (OMISSIS) per procura speciale allegata al ricorso

-ricorrente-

Contro

Pi.Br., rappresentato e difeso dall’avvocato GI.AV. (OMISSIS) per procura speciale allegata al controricorso

-controricorrente-

nonché contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI MILANO,

-intimato-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2659/2023 pubblicata il 14/09/2023;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dal Consigliere CLOTILDE PARISE.

Danno abbandono e risarcimento equo e criteri trasparenti

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n.1720/2021 il Tribunale di Monza dichiarava Pi.Br. padre biologico di Po.Mi., nato il 29.5.1976, disponendo l’aggiunta al cognome materno dell’attore – “(Omissis)” – quello paterno “(Omissis)” con comunicazione al Comune di Rho, dopo il passaggio in giudicato, per l’annotazione sull’atto di nascita; il Tribunale condannava Pi.Br. a rifondere all’attore, a titolo risarcitorio, la somma di Euro33.600,00 oltre interessi legali dalla data della sentenza all’effettivo saldo, nonché lo condannava alla rifusione delle spese di lite, ponendo a suo carico anche le spese di C.T.U.

2. Con sentenza n.2659/2023, pubblicata il 14-9-2023 e notificata il 28-9-2023, la Corte d’Appello di Milano, per quanto ora di interesse, ha rigettato l’appello principale proposto da Po.Mi. avverso la citata sentenza del Tribunale. In particolare, la Corte di merito ha riconosciuto, ai fini risarcitori, il solo danno patito dall’attore originario nel periodo della minore età, essendo il pregiudizio, in linea generale, “maggiormente percepibile” in detto periodo e, invece, suscettibile di essere vissuto “senza particolari percezioni” una volta compiuta la maggiore età. Inoltre la Corte d’Appello ha ritenuto che il valore di base delle tabelle in uso per il danno da morte del genitore dovesse essere considerato in ragione della differenza tra la negazione della relazione paterno-filiale per omesso riconoscimento e adempimento dei doveri parentali, da un lato, e, dall’altro lato, la tipologia di evento considerata nelle tabelle parametriche, e che un ulteriore abbattimento di quattro quinti di detto valore dovesse derivare dall’asserita rimediabilità del danno a mezzo dell’esercizio dell’azione di dichiarazione giudiziale di paternità e dall’incertezza sulla qualità della relazione che si sarebbe prodotta in caso di adempimento paterno.

3. Avverso questa sentenza Po.Mi. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, resistito con controricorso da Pi.Br.

4. Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio. Le parti hanno depositato memorie illustrative.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente denuncia i) con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione ovvero falsa o comunque erronea applicazione degli artt. 2056 e 2059 cod. civ., anche in relazione all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché degli artt. 2, 29, 30 e 31 della Costituzione e 316 primo comma, 316 bis, 147 e 148 cod. civ., per avere il giudice di merito, contra ius, considerato e qualificato come risarcibile il solo danno patito dall’odierno ricorrente nel periodo della minore età, con incongrua esclusione della risarcibilità del danno patito dopo il compimento della maggiore età da parte del figlio non riconosciuto; ii) con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione ovvero falsa o comunque erronea applicazione degli artt. 2056 e 2059 cod. civ., segnatamente in relazione all’art. 1226 cod. civ., per avere il giudice d’appello, in violazione del disposto normativo che prevede l’integrale ristoro del danno non patrimoniale e del criterio di parametrazione del danno all’effettiva entità del pregiudizio, liquidato il danno operando, rispetto ai valori parametrici tabellari di base in uso con riguardo alla perdita del rapporto parentale per morte del genitore, un abbattimento arbitrario, ingiustificato e incongruo, poiché non supportato dalla specifica caratterizzazione del caso di specie; in particolare, i giudici di merito si erano riferiti, oltre che alla ontologica differenza tra la perdita per morte e quella per inerzia paterna – che giustificava l’applicazione del mero valore di base -, all’asserita rimediabilità di tale ultimo pregiudizio mediante la dichiarazione giudiziale di paternità, che tuttavia, a parere del ricorrente, non determina alcuna cessazione o attenuazione della sofferenza inferta dall’absentia patris; inoltre la Corte d’Appello si era riferita alla circostanza -del tutto irrilevante e inidonea a configurarsi quale dato parametrico e, dunque, contemplata in violazione delle riferite disposizioni normative sulla tutela risarcitoria piena -, secondo cui non era conoscibile la qualità che il rapporto paterno-filiale avrebbe avuto qualora non fosse stato precluso dall’inerzia paterna; deduce che è erronea sub specie iuris l’affermazione secondo cui il pregiudizio da perdita del rapporto parentale sarebbe interrotto o addirittura riparato per effetto della dichiarazione giudiziale di paternità, poiché invece proprio il mancato riconoscimento spontaneo della paternità costituisce la ragione di insorgenza e permanenza del pregiudizio; rimarca che la pronuncia dichiarativa di paternità comporta la formale attribuzione dello status filiationis e, al più, quando contenga statuizioni patrimoniali, costituisce un titolo per ottenere l’esecuzione coattiva della prestazione di mantenimento economico, ma non vale certo a costituire un termine ultimo o addirittura una redemptio dell’incuria e dell’assenza causative del pregiudizio patito dal figlio in termini di sofferenza e menomazione della relazione parentale-filiale di fatto; rileva che il tempo di esperimento dell’azione dichiarativa non esclude, né attenua in alcun modo la responsabilità paterna per l’inerzia, perché la proposizione della domanda -con la conseguente decisione – non vale affatto ad incidere sulla sussistenza e sull’entità del danno, che è invero suscettibile di prodursi anche una volta intervenuta la dichiarazione di paternità; deduce che altrettanto arbitraria e divergente rispetto al quadro ordinamentale è l’affermazione della Corte di merito secondo cui l’entità del danno patito dovrebbe considerarsi diminuita per il fatto che non possa aversi contezza della qualità che, sul piano relazionale, avrebbe caratterizzato il rapporto paterno-filiale se questo fosse stato effettivamente costituito di fatto e coltivato, dato che proprio la mancata sperimentazione di quella relazione, con la conseguente impossibilità di apprezzarne il concreto sviluppo e l’effettiva articolazione, si configura come l’essenza stessa del pregiudizio patito, l’ “in sé” del danno da risarcirsi; la mancanza, dunque, di indici fattuali concreti idonei a caratterizzare in senso specifico la fattispecie concreta avrebbe dovuto condurre all’applicazione del valore parametrico tabellare (sebbene nella contenuta misura di base, in ragione della divergenza ontologica tra la perdita da morte e l’absentia patris volontaria), valore che il giudice di merito avrebbe dovuto e potuto ridurre solo se avesse individuato caratteristiche specifiche del caso concreto, idonee a restringere o contenere ulteriormente la misura del risarcimento, fermo restando il riferimento ad un arco temporale più ampio del solo periodo della minore età del danneggiato.

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2. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati.

2.1. Con riguardo alla doglianza sull’erronea limitazione del danno al periodo fino al compimento del diciottesimo anno di età del figlio, questa Corte ha avuto modo di affermare che “la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole (nella specie il disinteresse mostrato dal padre nei confronti del figlio per lunghi anni) non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti; questa, pertanto, può dar luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. esercitabile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità” (vedi Cass. 5652/2012; Cass. 3079/2015; Cass. 15148/2022; Cass. 34986/2022). È stato inoltre precisato che il danno subito dal figlio deve essere liquidato in misura proporzionale “…alla maggiore incidenza dell’assenza della figura paterna durante il periodo cruciale degli anni di sviluppo e crescita… (0-18 anni) e poi in misura decrescente per il periodo successivo.., quando ormai la situazione abbandonica può ritenersi, almeno parzialmente, stabilizzata ed ormai, presumibilmente, quasi metabolizzata o in fase di progressiva compensazione…”, una volta acclarato che il padre ben sapesse della esistenza del figlio (Cass. 26205/2013; Cass. 15148/2022 citata). Occorre, pertanto, tenere conto, ai sensi dell’art.1226 cod. civ., della durata dell’inadempimento e della assenza di qualsiasi ragionevole motivazione giustificativa del comportamento del padre, nel caso in cui avesse omesso di prestare qualsiasi assistenza morale e di contribuire, anche in minima parte, al mantenimento del figlio, in tal modo accertando in concreto la gravità del fatto e dell’entità della sofferenza procurata al figlio.

2.2. Nel caso di specie la Corte di merito ha affermato “Il periodo ritenuto risarcibile ex art 2059 c.c. va considerato corretto, condividendo la Corte il richiamo contenuto nella sentenza impugnata del concetto di vuoto filiale affettivo di fatto maggiormente percepibile negli anni di crescita e prima formazione ovvero fino a quando, raggiunta la maggiore età, la persona, assume la piena capacità di intendere e di volere e di agire a tutela dei propri diritti. Di fatto è ragionevolmente ritenibile che quando un bambino e poi adolescente diventa adulto, senza al suo fianco una figura genitoriale come nel caso di specie il padre, possa vivere la sua vita senza particolari percezioni di tale assenza”.

Orbene la valutazione così espressa è del tutto astratta e avulsa da ogni specificità del caso concreto, poiché la Corte d’Appello non ha minimamente indicato i criteri e gli indici fattuali, riscontrati nella fattispecie scrutinata, in base ai quali fondare l’affermazione secondo cui la sofferenza del figlio, si ripete nel caso concreto, era terminata al compimento del diciottesimo anno di età.

Nella sentenza impugnata si dà atto che il Tribunale aveva accertato che il Pi.Br. sapeva della nascita del figlio fin da subito e che non lo aveva mai incontrato, nonostante un tentativo della madre di far conoscere il figlio alla sorella dello stesso Pi.Br. Ebbene la Corte di merito oblitera totalmente di considerare quale sia stata, nel caso di specie, la caratterizzazione specifica della situazione abbandonica e se la stessa sia stata, o meno, di non lieve entità, anche per la sua durata, e non menziona alcun elemento di fatto sul quale si sia fondato il convincimento come sopra espresso. Questa Corte ha precisato che ai fini del risarcimento del danno subito dal figlio in conseguenza dell’abbandono da parte di uno dei genitori, occorre che quest’ultimo non abbia assolto ai propri doveri consapevolmente e intenzionalmente o anche solo ignorando per colpa l’esistenza del rapporto di filiazione. La prova di ciò può desumersi da presunzioni gravi, precise e concordanti, ricavate dal complesso degli indizi, da valutarsi, non atomisticamente, ma nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno di essi, quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, può rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (Cass. 34950/2022). Inoltre questa Corte ha avuto modo di affermare che il risarcimento del danno da deprivazione del rapporto genitoriale consegue all’illecito, di natura permanente, di abbandono parentale e si protrae fino a quando il comportamento abbandonico viene meno, per effetto di una condotta positiva volta all’adempimento dei doveri morali e materiali di genitore, ovvero dal giorno in cui questi dimostri di non essere stato in grado, per causa a lui non imputabile, di porre fine al comportamento omissivo, dovendo altresì considerarsi la peculiare natura dell’illecito de quo, che può provocare nella parte lesa una condizione di sofferenza personale e morale idonea a segnarne il futuro sviluppo psico-fisico e ad incidere sulla sua capacità di percepire la situazione abbandonica (Cass. 9930/2023 in tema di individuazione del dies a quo della prescrizione).

Dunque, proprio in considerazione della peculiarità dell’illecito di cui trattasi, compete al giudice di merito compiutamente ponderare la fattispecie concreta, procedendo, come si è detto, se del caso, ad una liquidazione del danno in misura proporzionale alla maggiore incidenza dell’assenza della figura paterna durante il periodo cruciale degli anni di sviluppo e crescita (0-18 anni) e poi in misura decrescente per il periodo successivo, qualora ormai la situazione abbandonica possa ritenersi, almeno parzialmente, stabilizzata ed ormai, presumibilmente, quasi metabolizzata o in fase di progressiva compensazione.

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Nella specie, la Corte di merito non si è attenuta ai suesposti principi, atteso che difetta nel percorso argomentativo della sentenza impugnata ogni ponderazione nel senso precisato.

2.3. Sotto ulteriore profilo, si osserva che nei motivi d’appello, trascritti nella sentenza impugnata, l’odierno ricorrente deduceva che a) Il Tribunale aveva errato ad aver circoscritto ai primi 18 anni il periodo risarcibile in quanto l’azione del figlio è imprescrittibile e produce effetti punitivi; la fattispecie di cui alla sentenza del Tribunale di Vicenza citata dal padre era differente, perché in quel caso il padre si era dichiarato disponibile fin dalla nascita a sottoporsi al test del DNA; b) non poteva essere addebitato al figlio ex art 1227 cod. civ. un concorso nella causazione del danno patito per inerzia nell’attivazione dell’azione giudiziaria; c) l’assenza del padre aveva determinato un danno non patrimoniale presunto che nel caso di specie si era consumato gravemente senza che il padre si fosse mai ravveduto; d) il Tribunale aveva applicato i criteri correttivi alla tabella del Tribunale di Milano senza considerare la permanente assenza paterna, la sua mancata emendabilità, la condizione del soggetto leso che al momento del giudizio d’appello aveva 45 anni, la gravità della condotta, per avere tenuto il padre un elevato tenore di vita, mentre la madre dell’odierno ricorrente aveva avuto gravi difficoltà ad allevare da sola il figlio e di ciò era a conoscenza il padre, ma anche sotto tale profilo si era sempre del tutto disinteressato del figlio.

Ora, di queste allegazioni, anche ai fini della misura di decurtazione operata (quattro quinti del valore minimo per il danno da decesso del padre) rispetto alle tabelle di Milano, non vi è menzione alcuna nella motivazione della sentenza impugnata, mentre la Corte d’Appello avrebbe dovuto darne conto, esplicitando i concreti indici e parametri di valutazione adottati, in relazione alla specificità del caso, anche solo, eventualmente, al fine di confutare la rilevanza delle allegazioni del figlio o di affermarne la mancata dimostrazione, anche a livello presuntivo.

Invece la Corte di merito, come denunciato specificamente con il secondo motivo di ricorso, si riferisce sempre a valutazioni astratte e stereotipate, anche in ordine all’intensità affettiva e alla qualità del rapporto padre-figlio, senza richiamo di circostanze di fatto o anche solo di indici presuntivi valutati in base ai noti parametri di legge. A tale riguardo va osservato che l'”incertezza sulla qualità della relazione”, pure valorizzata dalla Corte d’Appello per supportare la decurtazione del danno, è invece piuttosto da considerarsi un dato “neutro”, ossia non idoneo a ridondare in senso sfavorevole al danneggiato, poiché detta incertezza è dipesa proprio dalla mancanza di ogni relazione, addebitabile al padre, e dunque per questo non se ne può apprezzare il concreto sviluppo, come rimarcato in ricorso.

Va, dunque, ribadito che “qualora proceda liquidazione del danno in via equitativa, il giudice di merito, affinché la sua decisione non presenti i connotati della arbitrarietà, deve indicare i criteri seguiti per determinare l’entità del risarcimento, risultando il suo potere discrezionale sottratto a qualsiasi sindacato in sede di legittimità solo allorché si dia conto che sono stati considerati i dati di fatto acquisiti al processo come fattori costitutivi dell’ammontare dei danni liquidati” (Cass. 8213/2013).

Danno abbandono e risarcimento equo e criteri trasparenti

2.4. La Corte di merito non si è attenuta ai suesposti principi anche nella parte in cui ha ritenuto, sic et simpliciter e sempre in via generale ed astratta, che l’accertamento giudiziale della paternità determinasse l’elisione, per il periodo successivo a detto accertamento, del pregiudizio subito dal figlio. Una tale affermazione non può giustificarsi, se sganciata da ogni accertamento fattuale, perché l’accertamento giudiziale di paternità ben potrebbe avere determinato l’effetto concreto di rendere solo parzialmente emendabile la perdita della relazione parentale-filiale, ove, ad esempio, non riesca a costituirsi un rapporto affettivo tra padre e figlio ex post e, quindi, ove il pregiudizio da sofferenza morale del figlio non cessi solo ed esclusivamente in dipendenza della dichiarazione giudiziale di paternità, ma si protragga anche successivamente.

3. In conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rimessa alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma il 10 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2024.

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