Corte di Cassazione, civile, Sentenza|20 ottobre 2021| n. 29027.
Credito del danneggiato ed il massimale al momento del sinistro.
In tema di assicurazione per la responsabilità civile, se il credito del danneggiato risultava eccedere il massimale già al momento del sinistro, il danno da “mala gestio” cd. propria deve essere liquidato attraverso la corresponsione di una somma pari agli interessi legali sul detto massimale, salva la prova di un pregiudizio maggiore ai sensi dell’art. 1224, comma 2, c.c.
Sentenza|20 ottobre 2021| n. 29027. Credito del danneggiato ed il massimale al momento del sinistro
Data udienza 28 aprile 2021
Integrale
Tag/parola chiave: Assicurazione per la responsabilità civile – Notificazione di sentenza in formula esecutiva alla parte personalmente – Inidoneità per la decorrenza del termine breve per l’impugnazione – Domanda di manleva proposta dal socio nell’interesse di altro socio – Surroga del creditore nella posizione del socio non fallito ex art. 2900 cc – Mancanza della notifica della cessione del debito – Pagamento del credito da parte del cedente ex art. 1264 cc – Eccesso del credito del danneggiato al momento del sinistro rispetto al massimale – Danno da mala gestio – Liquidazione di somma pari agli interessi legali sul massimale stesso
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17001/2019 proposto da:
(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SCARL, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’Avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 1963/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/03/2019;.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/04/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.
Credito del danneggiato ed il massimale al momento del sinistro
FATTI DI CAUSA
1. La societa’ (OMISSIS) ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 1963/19, del 21 marzo 2019, della Corte di Appello di Roma, che – accogliendo il gravame esperito, in via di principalita’, dalla societa’ (OMISSIS) S.c.a.r.l. (d’ora in poi, ” (OMISSIS)”), nonche’, in via incidentale, da (OMISSIS), avverso la sentenza n. 953/14, del 28 aprile 2014, del Tribunale di Latina, sezione distaccata di Terracina – ha posto a carico dell’odierna ricorrente l’obbligo, gia’ riconosciuto dal primo giudice nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita’ di soci dell’estinta societa’ (OMISSIS) S.r.l., di corrispondere alla societa’ (OMISSIS) e allo (OMISSIS), rispettivamente, le somme di Euro 82.000,00 e di Euro 38.000,00.
2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente che lo (OMISSIS) ebbe ad adire il Tribunale latinese, convenendo in giudizio la societa’ (OMISSIS) S.r.l. per chiederle il risarcimento del danno subito in conseguenza della distruzione, a causa di incendio, di un’imbarcazione da diporto di sua proprieta’, custodita nel cantiere della societa’ per l’esecuzione di opere di manutenzione e per il rimessaggio invernale.
Autorizzata la societa’ convenuta a chiamare in causa (OMISSIS) (d’ora in poi, ” (OMISSIS)”), per essere dalla stessa manlevata dall’eventuale condanna risarcitoria (in forza di polizza assicurativa con essa contratta), nel giudizio interveniva pure la societa’ (OMISSIS), la quale agiva in rivalsa, sul presupposto di aver gia’ liquidato, in favore dell’attore, la somma di Euro 82.000,00.
Credito del danneggiato ed il massimale al momento del sinistro
Il primo giudice, riconosciuta la responsabilita’ della convenuta, la condanno’ al risarcimento del danno, con decisione gravata, mediante appello principale, da (OMISSIS), per chiedere l’estensione della condanna a carico di (OMISSIS) (non avendo il Tribunale provveduto sulla domanda di manleva proposta dall’allora convenuta). Siffatta domanda veniva proposta, in appello, in via surrogatoria, ex articolo 2900 c.c., stante l’inerzia della societa’ convenuta, o meglio – per essa ormai estinta, giacche’ cancellata dal registro delle imprese dei suoi gia’ soci, ovvero i predetti (OMISSIS) e (OMISSIS). Appello incidentale di analogo tenore era esperito pure dallo (OMISSIS), lamentando anch’egli la mancata pronuncia sulla domanda di manleva. Per la reiezione di tali domande – in particolare, sul presupposto sia del loro difetto di validita’ (visto che (OMISSIS) non avrebbe potuto essere citato personalmente in appello, essendo intervenuto il suo fallimento nelle more della instaurazione del giudizio di secondo grado), sia della tardivita’ dei gravami esperiti da (OMISSIS) e dallo (OMISSIS) – proponeva appello incidentale anche (OMISSIS).
Il giudice di seconde cure, tuttavia, mentre accoglieva i gravami di (OMISSIS) e dello (OMISSIS), rigettava quello di (OMISSIS).
3. Avverso la sentenza della Corte capitolina ha proposto ricorso per cassazione la societa’ (OMISSIS), sulla base – come detto – di cinque motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – violazione dell’articolo 2945 c.c., dell’articolo 102 c.p.c., del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 43, nonche’ dell’articolo 291 c.p.c., oltre alla nullita’ della sentenza impugnata.
Credito del danneggiato ed il massimale al momento del sinistro
Si duole la ricorrente che la Corte territoriale abbia disatteso la sua denuncia di violazione del contraddittorio.
Invero, essendo stata la societa’ (OMISSIS), in origine convenuta in giudizio, cancellata dal registro delle imprese, ed essendo intervenuto il fallimento di uno dei gia’ soci della stessa, vale a dire (OMISSIS), l’appello di (OMISSIS) e dello (OMISSIS), sebbene potesse indirizzarsi nei confronti degli ex soci, avrebbe dovuto essere proposto – quanto a quello dei due soci dichiarato fallito – nei confronti della curatela e non dello stesso personalmente, come invece avvenuto. La nullita’ conseguente a tale circostanza avrebbe imposto la rinnovazione della citazione in appello nei confronti della curatela, la mancanza della quale ha comportato, secondo l’odierna ricorrente, un difetto di integrazione del contraddittorio, considerato che i soci di una societa’ estinta sono litisconsorti necessari.
Di qui, dunque, l’ipotizzata nullita’ della sentenza impugnata.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione degli articoli 324, 325 e 326 c.p.c..
Reitera la ricorrente, in questa sede, la censura di tardivita’ dei gravami di (OMISSIS) e dello (OMISSIS), per essere stati entrambi proposti oltre il termine breve ex articolo 325 c.p.c., decorrente, nella specie, dall’avvenuta notificazione della sentenza a fini esecutivi, notificazione avvenuta personalmente, nei riguardi di (OMISSIS) ed (OMISSIS).
Difatti, in senso contrario all’eccepita tardivita’, non potrebbe addursi – secondo la ricorrente – la circostanza che la notificazione utile a far decorrere il termine per impugnare sarebbe quella effettuata nei confronti del procuratore gia’ costituito per la societa’ (OMISSIS), giacche’ – in ragione dell’avvenuta estinzione della stessa – “giuste parti” del giudizio di appello (secondo quanto si assume essere stato chiarito da Cass. Sez. Un., sent. 4 luglio 2014, n. 15295) erano divenuti i suoi ex soci.
3.3. Il terzo motivo denuncia – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione degli articoli 31 e 42 del gia’ citato Regio Decreto n. 267 del 1942, nonche’ degli articoli 2900 e 2495 c.c..
Credito del danneggiato ed il massimale al momento del sinistro
Si censura la sentenza impugnata per aver disatteso l’eccezione, gia’ sollevata dall’odierno ricorrente, secondo cui il dichiarato fallimento del debitore, nella specie (OMISSIS), avrebbe determinato il venir meno dei presupposti della legittimazione del creditore – ovvero, di (OMISSIS) all’esercizio dell’azione surrogatoria (e’ citata Cass. Sez. 1, sent. 29 settembre 2005, n. 19045).
Errata, inoltre, sarebbe l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata per superare tale rilievo, ovvero che l’inerzia anche del secondo dei due ex soci e debitore di (OMISSIS) (vale a dire, (OMISSIS)), sarebbe valsa a legittimarne l’iniziativa assunta a norma dell’articolo 2900 c.c., per chiedere che la condanna risarcitoria fosse comminata a carico pure dell’assicuratrice del danneggiante. Difatti, secondo la ricorrente, tale affermazione traviserebbe la portata dell’articolo 2945 c.c., ipotizzando una sostanziale solidarieta’ passiva dei soci nelle obbligazioni ad essi facenti capo a seguito dell’estinzione della societa’, in contrasto con la norma “de qua”, che invece la esclude, sancendo la regola secondo cui l’obbligo del socio sussiste nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione e che variano in relazione alla titolarita’ delle quote.
3.4. Il quarto motivo denuncia – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione degli articoli 1201, 1260 e 1965 c.c., oltre che degli articoli 81 e 345 c.p.c..
Rileva la ricorrente che dalla “quietanza di danno”, relativa all’indennizzo rilasciato da (OMISSIS) in favore dello (OMISSIS), emergerebbe l’inesistenza di qualsiasi diritto in capo a quest’ultimo, avendo il medesimo dichiarato di “cedere tutti i diritti derivanti e/o dipendenti dal sinistro in oggetto alla Societa’ (OMISSIS), anche a termini dell’articolo 1201 c.c., nonche’ degli articoli 1260 c.c.”.
Spogliatosi, cosi’, lo (OMISSIS) di ogni diritto, egli non poteva richiedere alla danneggiante (e al suo assicuratore) la differenza tra l’indennizzo ricevuto e il valore dell’imbarcazione perduta. Il menzionato atto di quietanza avrebbe, infatti, valore di transazione, come confermato dal suo testo, nella parte in cui fa riferimento alla definizione della lite pendente “inter partes” e al regolamento delle spese di lite.
Credito del danneggiato ed il massimale al momento del sinistro
Si censura, dunque, la sentenza impugnata per avere sbrigativamente rigettato tale rilievo, essendosi ritenuto, ad un tempo, che si trattasse di eccezione tardiva (perche’ proposta per la prima volta con la comparsa conclusionale depositata innanzi al Tribunale) e non fondata. Esito, quest’ultimo, al quale la Corte territoriale e’ pervenuta riconoscendo a detta quietanza valore transattivo dei soli diritti all’indennizzo, e dunque ritenendo che essa concerna i soli rapporti tra assicurato ed assicuratore, e non i diritti risarcitori verso il responsabile del sinistro, per la riscossone dei quali, dunque, lo (OMISSIS) ha legittimamente agito in giudizio per la parte eccedente l’indennizzo, visto che la surrogazione dell’assicuratore che abbia pagato l’indennita’ e’ espressamente contenuta, dall’articolo 1916 c.c., “fino alla concorrenza dell’ammontare di essa”.
Tale duplice “ratio decidendi” sarebbe, tuttavia, errata, secondo la ricorrente, innanzitutto perche’ la contestazione da parte del convenuto – della titolarita’ del rapporto controverso costituisce non un’eccezione, ma una mera difesa (e’ citata Cass. Sez. Un., sent. 16 febbraio 2016, n. 2951), come tale non soggetta a preclusioni temporali. Inoltre, perche’ la cessione del credito a (OMISSIS) e’ avvenuta senza alcuna limitazione, tanto che nella stessa si fa riferimento all’articolo 1260 c.c., e non all’articolo 1916 c.c..
3.5. Il quinto motivo denuncia – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione degli articoli 1175, 1375, 1905, 1917 e 2900 c.c., oltre che dell’articolo 112 c.p.c..
La ricorrente censura la sentenza impugnata perche’ la Corte territoriale – nel decidere in merito alla sollevata eccezione secondo cui il contratto di assicurazione prevedeva un massimale di Euro 69.721,50, sicche’ (OMISSIS) avrebbe potuto agire in rivalsa entro e non oltre tale limite – ha ritenuto di disattenderla, sul rilievo che (OMISSIS) avesse ingiustificatamente rifiutato il pagamento a (OMISSIS), giacche’ avrebbe dovuto prendere atto dell’evidente errore in cui era incorso il primo giudice allorche’ aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda di manleva proposta (allora) dal danneggiante/assicurato. La Corte territoriale, in altri termini, ha ravvisato la sussistenza di quell’ipotesi di ritardo dell’assicuratore nell’adempimento delle proprie obbligazioni “che fonda la mala gestio impropria, la quale abilita chi agisce contro l’assicuratore a pretendere l’indennizzo oltre il massimale contrattuale”.
Credito del danneggiato ed il massimale al momento del sinistro
Senonche’, deduce la ricorrente, tale affermazione risulterebbe errata.
Innanzitutto, perche’, a voler parlare di “mala gestio”, quella astrattamente ipotizzabile, nel caso che occupa, sarebbe una “mala gestio” propria e non impropria, quest’ultima essendo configurabile solo quando il danneggiato – ipotesi non ricorrente nella presente fattispecie – risulti munito di azione diretta verso l’assicuratore e subisca gli effetti di un comportamento ingiustificatamente dilatorio di quest’ultimo nel soddisfarne la pretesa. Per contro, la “mala gestio” c.d. propria, ovvero quella attinente al rapporto tra l’assicuratore e l’assicurato/danneggiante (tale essendo l’ipotesi che occupa, visto che (OMISSIS) ha agito a norma dell’articolo 2900 c.c., essendosi surrogata nella posizione della societa’ danneggiante, o meglio degli ex soci della stessa, attesa la sopravvenuta estinzione della societa’), trova fondamento nella violazione dell’obbligo dell’assicuratore di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione del contratto, violazione configurabile – tra le altre ipotesi – quando sia ravvisabile un suo colpevole ritardo nella corresponsione dell’indennizzo, sempre cha cio’ abbia recato un danno all’assicurato, e non al danneggiato.
Tuttavia, poiche’ il risarcimento del danno da “mala gestio” propria presuppone una specifica domanda in tal senso dell’assicurato/danneggiante, non essendo stata la stessa proposta ne’ dalla societa’ (OMISSIS), ne’ dai soci ad essa succeduti dopo la sua estinzione, e neppure – in via di surrogatoria, ex articolo 2900 c.c. – da (OMISSIS) o dallo (OMISSIS), la Corte capitolina, nel ritenere sussistente tale ipotesi, con l’effetto di consentire il superamento del massimale contrattuale, avrebbe deciso “extra petita”, con violazione dell’articolo 112 c.p.c..
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In ogni caso, poiche’ gli effetti della “mala gestio” sottolinea nuovamente la ricorrente – variano a seconda che il massimale, a dispetto di essa, resti capiente, ovvero divenga incapiente al momento del pagamento dell’indennizzo, oppure fosse gia’ tale all’epoca del sinistro (essendo proprio quest’ultima l’ipotesi sussistente nel caso che occupa, sempre secondo la ricorrente, atteso che il danno conseguente all’incendio dell’imbarcazione dello (OMISSIS) e’ stato stimato in Euro 120.000,00), la sola conseguenza destinata a scaturire dalla “mala gestio” sarebbe stata l’obbligo dell’assicuratore, ex articolo 1224 c.c., di corrispondere all’assicurato/danneggiato gli interessi sul massimale, o eventualmente il “maggior danno”, ma quest’ultimo solo se provato, e senza cumulo con gli interessi, trattandosi di debito di valuta.
Di conseguenza, errata sarebbe la decisione della Corte territoriale di condannare (OMISSIS) al pagamento dell’intero valore dell’imbarcazione, degli interessi e della rivalutazione.
4. Sia la societa’ (OMISSIS) che lo (OMISSIS), hanno resistito, con distinti controricorsi, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilita’ ovvero, in subordine, di infondatezza, formulando, peraltro, richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti della curatela del fallimento di (OMISSIS).
5. Sono rimasti solo intimati (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno ricevuto notifica del ricorso, il primo, presso la propria abitazione, il secondo, a mezzo PEC, presso i difensori che lo hanno assistito nel giudizio di appello. Notifica, quest’ultima, da ritenersi validamente compiuta, ancorche’ il destinatario, nella relata, venga indicato erroneamente come (OMISSIS) (e non (OMISSIS)), atteso che il suo prenome risulta correttamente indicato nel ricorso notificatogli, sicche’ il mero “lapsus calami” non puo’ indurre dubbi sul reale destinatario della notificazione.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
6. In via preliminare, va disattesa la richiesta dei due controricorrenti di disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti della curatela del fallimento di (OMISSIS).
6.1. Invero, poiche’ la condanna al risarcimento del danno – comminata dal primo giudice in favore dello (OMISSIS) e a carico della societa’ (OMISSIS) (o meglio, per essa, essendone sopravvenuta l’estinzione nella pendenza del termine per la proposizione dell’appello, dei suoi gia’ soci, vale a dire (OMISSIS) e (OMISSIS)) – risulta passata in giudicato, non essendo stata oggetto di gravame, l’integrazione del contraddittorio non risulta funzionale ad alcuno scopo di interesse della curatela. Tale interesse, difatti, dovrebbe essere, astrattamente, quello di consentirle di contraddire in merito ad un’iniziativa che mira ad escludere (o a ridimensionare, cio’ che qui non interessa) la portata dell’obbligo di manleva in favore dei predetti (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali potrebbero, pertanto, trovarsi – per effetto dell’accoglimento del ricorso proposto dall’assicuratrice dell’estinta societa’ di cui furono soci – a rispondere della pretesa creditoria azionata dallo (OMISSIS) e da (OMISSIS).
Nondimeno, un simile effetto non potrebbe che interessare (OMISSIS) personalmente (e non la curatela del suo fallimento), e sempre che costui tornasse eventualmente “in bonis”, risultando, pertanto, sufficiente che il presente ricorso sia stato a lui notificato, senza che occorra, viceversa, provvedere a norma dell’articolo 102 c.p.c., comma 2, quanto alla curatela del suo fallimento. Difatti, va qui rammentato, che “l’accertamento di un credito nei confronti del fallimento e’ devoluto alla competenza esclusiva del giudice delegato L. Fall., ex articoli 52 e 93, con la conseguenza che, ove la relativa azione sia proposta nel giudizio ordinario di cognizione, deve esserne dichiarata d’ufficio, in ogni stato e grado, anche nel giudizio di cassazione, l’inammissibilita’ o l’improcedibilita’, a seconda che il fallimento sia stato dichiarato prima della proposizione della domanda o nel corso del giudizio, trattandosi di una questione “litis ingressus impedientes”” (Cass. Sez. 3, sent. 4 ottobre 2018, n. 24156, Rv. 651126- 01).
7. Cio’ premesso, il ricorso va accolto, nei limiti di seguito precisati, e segnatamente in relazione al suo quinto motivo.
7.1. Il primo motivo, infatti, e’ inammissibile.
7.1.1. La censura formulata – ovvero, che l’appello di (OMISSIS) e dello (OMISSIS), sebbene potesse indirizzarsi nei confronti degli ex soci dell’estinta societa’, gia’ convenuta in giudizio, avrebbe dovuto essere notificato, quanto ad (OMISSIS), alla curatela fallimentare e non a lui personalmente – prospetta un vizio di violazione del contraddittorio che poteva essere fatto valere solo dalla parte interessata.
Difatti, “la violazione delle norme sulla notificazione della citazione e l’inosservanza delle disposizioni sulla regolare costituzione del contraddittorio nei confronti di un convenuto costituiscono eccezioni “de iure tertii”, che non possono essere sollevate da altro convenuto, potendo essere fatte valere soltanto dalla parte direttamente interessata” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 29 ottobre 2019, n. 27607, Rv. 655495-01, nello stesso senso, tra le molte, Cass. Sez. 3, ord. 23 marzo 2018, n. 7262, non massimata; Cass. Sez. 3, sent. 19 dicembre 2013, n. 28464, Rv. 629133-01; Cass. Sez. 3, sent. 22 novembre 2006, n. 20637, Rv. 593370-01).
7.2. Il secondo motivo di ricorso non e’ fondato.
7.2.1. Esso prospetta, come detto, la tardivita’ dei gravami di (OMISSIS) e dello (OMISSIS), per essere stati entrambi proposti oltre il termine breve ex articolo 325 c.p.c., decorrente, nella specie, dall’avvenuta notificazione della sentenza a fini esecutivi, notificazione avvenuta personalmente, nei riguardi di (OMISSIS) ed (OMISSIS).
Sul punto, tuttavia, va data continuita’ al principio secondo cui “la notificazione della sentenza in forma esecutiva (nella specie, unitamente all’atto di precetto) eseguita alla controparte personalmente anziche’ al procuratore costituito a norma dell’articolo 170 c.p.c., comma 1 e articolo 285, c.p.c., e’ inidonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione sia nei confronti del notificante che del destinatario” (cosi’ Cass. Sez. 3, ord. 13 agosto 2015, n. 16804, Rv. 636386-01; nello stesso senso Cass. Sez. 3, sent. 1 giugno 2010, n. 13428, Rv. 613322-01; Cass. Sez. 1, sent. 10 luglio 2007, n. 15389, Rv. 598067-01 ed altre ancora).
Ne’ in senso contrario vale invocare la circostanza dell’avvenuta estinzione della societa’, originaria convenuta in giudizio, e dunque la necessita’ di individuare – richiamandosi a Cass. Sez. Un., sent. 4 luglio 2014, n. 15295 – negli ex soci personalmente la “giusta parte” del giudizio di appello.
Tale pronuncia, all’opposto, rappresenta una conferma, e non una smentita, della necessita’ di notificare la sentenza – ai fini del decorso del termine per impugnare ex articolo 325 c.p.c. – al difensore della societa’, e cio’ in ragione del principio della cd. “ultrattivita’ del mandato”. Invero, il citato arresto delle Sezioni Unite, nel vagliare la tesi secondo cui verificatasi la morte (o la perdita della capacita’) di una parte tra un grado e l’altro del processo – sarebbe necessario affermare, sempre e comunque, “l’imprescindibilita’ della nuova realta’ soggettiva venutasi a determinare, con la conseguenza che il nuovo grado di giudizio andrebbe instaurato da e contro i soggetti reali”, ovvero le “parti sostanziali interessate attualmente dalla controversia ed al processo”, ha espresso “un forte ripensamento circa il fatto che quell’idea dottrinaria del processo”, che distingue tra parte e “giusta parte”, possa “essere trasferita nella materia in questione”, e cio’ sul rilievo che la nozione di “giusta parte” dovrebbe essere intesa pur sempre in senso processuale (e non sostanziale), identificandosi con “quella che ha instaurato”, ovvero, con “quella contro cui e’ stato instaurato il giudizio”. Ne e’ derivata, dunque, l’enunciazione del principio secondo cui la “incidenza sul processo degli eventi previsti dall’articolo 299 c.p.c. (morte o perdita di capacita’ della parte) e’ disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell’ultrattivita’ del mandato alla lite, in ragione della quale, nel caso in cui l’evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’articolo 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato, risultando cosi’ stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. n. 15295 del 2014, cit.).
7.3. Anche il terzo motivo di ricorso non e’ fondato.
7.3.1. E’ vero, infatti, che la dichiarazione di fallimento di (OMISSIS) – come sostenuto dalla ricorrente – ha determinato il venir meno dei presupposti per la legittimazione del suo creditore, ovvero la societa’ (OMISSIS), all’esercizio dell’azione surrogatoria (e’ citata, in termini, Cass. Sez. 1, sent. 29 settembre 2005, n. 19045, Rv. 583696 – 01).
Nondimeno, corretta e’ l’affermazione della Corte territoriale secondo cui era sufficiente l’inerzia dell’altro ex socio, ovvero (OMISSIS), nel non reiterare in appello la domanda di manleva contro (OMISSIS), a consentire alla societa’ (OMISSIS) e allo (OMISSIS) di surrogarsi al proprio debitore ed assumere siffatta iniziativa processuale.
Quanto affermato in sentenza, infatti, lungi dal violare l’articolo 2945 c.c. – come denunciato con il presente motivo di ricorso – fa applicazione della regola generale secondo cui ciascun soggetto partecipante ad una comunione (tale dovendosi ritenere la condizione dei gia’ soci della societa’ convenuta, visto che all’estinzione della societa’, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponde il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla societa’ estinta, determinandosi, invece, un fenomeno di tipo successorio di tutti i soci nelle posizioni gia’ facenti capo alla societa’; cfr. Cass. Sez. Un., sent. 12 marzo 2013, n. 6070, Rv. 625323-01) puo’ esercitare singolarmente le azioni a vantaggio della cosa comune, senza che risulti necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri partecipanti, perche’ il diritto di ciascuno di essi investe la cosa comune nella sua interezza (cfr. “ex multis”, Cass. Sez. 2, sent. 6 ottobre 2005, n. 19460, Rv. 584386-01).
In base a tale principio, dunque, poiche’ il solo (OMISSIS) avrebbe potuto proporre la domanda di manleva nell’interesse anche dell’altro socio (dichiarato fallito), il creditore di entrambi si e’ potuto surrogare, a norma dell’articolo 2900 c.c., nella posizione di chi dei due non era stato dichiarato fallito.
7.4. Neppure il quarto motivo di ricorso risulta fondato.
7.4.1. Si e’ detto come esso contesti la duplice “ratio decidendi” con cui la Corte territoriale – ora affermando trattarsi di eccezione tardiva, ora, invece, di eccezione non fondata – ha ritenuto di disattendere il rilievo svolto dall’allora appellata, secondo cui la quietanza di pagamento, rilasciata dallo (OMISSIS) a (OMISSIS), avrebbe valore di transazione, sicche’ il primo non poteva richiedere alla danneggiante (e al suo assicuratore) la differenza tra l’indennizzo ricevuto e il valore dell’imbarcazione perduta.
Se e’ vero, infatti, che – come assume, correttamente, la ricorrente – la contestazione, da parte del convenuto, della titolarita’ del diritto controverso costituisce non un’eccezione, ma una mera difesa, non poteva allora ritenersi tardiva la difesa con cui essa (OMISSIS) aveva dedotto che lo (OMISSIS) – avendo ceduto a (OMISSIS) ogni diritto in relazione al sinistro subito non potesse piu’ pretendere nulla a titolo risarcitorio nei confronti del danneggiante o del suo assicuratore.
Nondimeno, tale constatazione – che investe solo la prima delle due “rationes” posta dalla Corte territoriale a fondamento della propria decisione sul punto – non giova all’odierna ricorrente, essendo corretto quanto affermato dalla sentenza impugnata nell’esaminare (e poi respingere) siffatta difesa.
Difatti, la Corte capitolina ha osservato che l’atto di quietanza proveniente dallo (OMISSIS) aveva valore solo nel rapporto interno tra il medesimo e (OMISSIS), ai fini della surrogazione della seconda al primo ex articolo 1916 c.c. e cio’ in quanto (OMISSIS) avrebbe dovuto allegare, per attribuire a tale atto il valore di cessione del credito risarcitorio (e, quindi, efficacia anche “esterna”), l’avvenuta notificazione dell’atto al debitore ceduto. Difatti, ai sensi dell’articolo 1264 c.c., tale adempimento, se non rileva ai fini del perfezionamento della cessione, condiziona l’efficacia della stessa riguardo al debitore ceduto, nel senso che, in mancanza della notificazione dell’avvenuta cessione, il cedente puo’ pretendere da costui il pagamento del credito, pur oggetto di cessione (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 19 febbraio 2019, n. 4713, Rv. 652988-01).
7.5. Il quinto motivo e’, invece, parzialmente fondato.
7.5.1. Attraverso la sua proposizione, la ricorrente censura la decisione della Corte territoriale di disattendere il massimale di polizza, avendo ravvisato nel contegno di essa (OMISSIS) gli estremi della cd. “mala gestio”.
La doglianza e’ prospettata – come sopra illustrato – sotto un duplice (alternativo) profilo.
Per un verso, si lamenta che il ristoro del danno da “mala gestio” cd. “propria” – tale essendo la fattispecie che attiene al rapporto tra assicuratore e “assicurato/danneggiato” (posizione, quest’ultima, nella quale (OMISSIS) si e’ surrogata, ex articolo 2900 c.c., alla societa’ (OMISSIS), o meglio, dopo la sua estinzione, ai suoi gia’ soci) – richiede una specifica domanda, che nel caso in esame si assume mancante, giacche’ non proposta da nessuna delle parti del giudizio.
Per altro verso, si evidenzia che nell’ipotesi in cui il massimale risulti incapiente all’epoca del sinistro (come avvenuto nel caso che occupa, visto che il danno conseguente all’incendio dell’imbarcazione dello (OMISSIS) e’ stato stimato in Euro 120.000,00, a fronte di un massimale di Euro 69.721,50), la sola conseguenza della “mala gestio” consiste nell’obbligo dell’assicuratore, ex articolo 1224 c.c., di corrispondere all’assicurato/danneggiato gli interessi – o eventualmente il “maggior danno”, ma quest’ultimo solo se provato, e senza cumulo con gli interessi, trattandosi di debito di valuta – sul massimale.
7.5.2. Orbene, solo la seconda di tali censure va accolta, la prima risultando, invece, inammissibile.
7.5.2.1. Difatti, e’ corretta la premessa da cui muove la ricorrente nello svolgere la prima di tali censure, ovvero che il proprio contegno – consistito nel rifiutare il pagamento allo (OMISSIS) (e a (OMISSIS), per la parte in cui essa agiva a norma dell’articolo 1916 c.c.) – sarebbe stato, astrattamente, idoneo a giustificare il superamento del massimale contrattuale rilevando come “male gestio” propria, cioe’ come inadempimento dell’obbligo di agire secondo buona fede nell’esecuzione del contratto di assicurazione.
Del pari, e’ corretta anche l’ulteriore affermazione della ricorrente, secondo cui, per farsi valere tale inadempimento, occorreva una specifica domanda (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 17 febbraio 2016, n. 3014, Rv. 639076-01).
Nondimeno, cio’ non basta per ravvisare la denunciata violazione dell’articolo 112 c.p.c., risultando tale censura inammissibile, in quanto formulata in modo non conforme alla previsione di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (norma applicabile anche rispetto ai motivi di ricorso che deducano “errores in procedendo”; cfr. Cass. Sez. Un., sent. 22 maggio 2012, n. 8077, Rv. 622361-01).
Difatti, (OMISSIS) avrebbe dovuto riprodurre il contenuto degli atti di appello, esperiti da (OMISSIS) e dallo (OMISSIS), nella misura necessaria ad evidenziare come costoro non avessero proposto – in via surrogatoria, ex articolo 2900 c.c., rispetto all’assicurata/danneggiante societa’ (OMISSIS) (o meglio, ai gia’ soci della stessa, essendosi tale societa’ estinta nelle more dell’instaurazione del giudizio di appello) – alcuna specifica domanda di risarcimento del danno da “male gestio” propria.
Non essendo cio’ avvenuto, la censura si presenta, pertanto, inammissibile.
7.5.2.2. Per contro, fondata e’ l’altra censura, formulata sul presupposto che, eccedendo, gia’ al momento del sinistro, il credito del danneggiato il massimale. contrattuale (essendo pari, l’uno, a Euro 120.000,00 e, l’altro, invece, a Euro 69.721,50), il danno da “male gestio” – secondo le indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza di questa Corte – avrebbe dovuto essere liquidato solo attraverso la corresponsione di una somma pari agli interessi legali sul massimale stesso, salva la prova di un pregiudizio maggiore ai sensi dell’articolo 1224 c.c., comma 2 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 8 novembre 2019, n. 28811, Rv. 655963-06).
La censura, dunque, va accolta, rinviando al giudice di merito per la decisione, occorrendo accertamenti di fatto preclusi in tale sede, che impediscono a questa Corte di pronunciarsi nel merito.
8. In conclusione, in accoglimento del quinto motivo di ricorso, per quanto di ragione, la sentenza impugnata va cassata in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, per la decisione sul merito della controversia, in base al seguente principio di diritto:
“in materia di assicurazione per la responsabilita’ civile, allorche’ il credito del danneggiato gia’ al momento del sinistro risultava eccedere il massimale, il danno da “mela gestio” c.d. propria deve essere liquidato, attraverso la corresponsione di una somma pari agli interessi legali sul massimale, salva la prova di un pregiudizio maggiore ai sensi dell’articolo 1224 c.c., comma 2″.
9. Le spese del presente giudizio saranno liquidate all’esito del giudizio di rinvio, nell’ambito della loro, complessiva, rinnovata regolamentazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, per quanto di ragione, rigettando i restanti, e cassa in relazione la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, per la decisione nel merito e sulle spese anche del presente giudizio.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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