Compenso spettante all’amministratore di società

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 ottobre 2021| n. 29252.

In tema di compenso spettante all’amministratore di società a responsabilità limitata, la società può far valere quale eccezione riconvenzionale, ai sensi degli artt. 1218 e 1460 c.c., l’inadempimento o l’inesatto adempimento degli obblighi assunti dall’amministratore in osservanza dei doveri imposti dalla legge o dall’atto costituivo, la cui violazione integra la responsabilità ex art. 2476, comma 1, c.c., venendo in rilievo non il rapporto di immedesimazione organica, bensì il nesso sinallagmatico di tipo contrattuale tra adempimento dei doveri e diritto al compenso.

Ordinanza|20 ottobre 2021| n. 29252. Compenso spettante all’amministratore di società

Data udienza 23 giugno 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Società a responsabilità limitata – Amministratore – Compensi – Rapporto di immedesimazione dell’amministratore delegato con la società di capitali – Rapporto sinallagmatico in materia di compensi – Compensi rinunciabili o non prevedibili – Eccezione di inadempimento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 16551/2018 proposto da:
(OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 535/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, pubblicata il 11/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/06/2021 dal consigliere Dr. Vella Paola.

FATTI DI CAUSA

1. La societa’ (OMISSIS) S.r.l. ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo emesso dal Giudice del lavoro del Tribunale di Ascoli Piceno per l’importo di Euro 36.000,00 oltre interessi e rivalutazione monetaria, a titolo di compenso (deliberato in data 03/11/2004) per l’attivita’ di amministratore unico svolta dalla signora (OMISSIS) dal 10/11/2003 al 24/11/2005.
1.1. Disposto il mutamento del rito, da lavoro a societario, ex Decreto Legislativo n. 5 del 2003, il tribunale ha rigettato l’opposizione e confermato il decreto ingiuntivo, pur dando atto dell’ammanco di cassa addebitabile alla (OMISSIS) – per Euro 24.800,75 – accertato con sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno n. 745 del 2009.
1.2. La Corte d’appello di Ancona, dopo aver dichiarato inammissibili le istanze istruttorie reiterate dalla societa’ appellante ed ammissibile, invece, la produzione della sopravvenuta sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 353 del 2016 (confermativa della sopra menzionata sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno n. 745 del 2009), ha respinto l’appello proposto dalla societa’.
1.3. In particolare, la corte territoriale ha: 1) rigettato i primi due motivi di appello, sulla pretesa nullita’ del decreto ingiuntivo perche’ emesso dal giudice del lavoro, in quanto mera questione di rito e non di competenza; 2) rigettato anche il terzo, il quarto e il quinto motivo (quest’ultimo poi dichiarato altresi’ assorbito, perche’ aspecifico) con i quali si deduceva: l’omesso esame dell’eccezione di inadempimento ex articolo 1218 c.c.; l’erronea affermazione della natura non contrattuale del rapporto tra amministratore e societa’; l’omessa considerazione dei plurimi inadempimenti imputabili alla (OMISSIS) e della sua sistematica violazione dei doveri di amministratore, risultante dalla copiosa documentazione prodotta; 3) dichiarato infondati e inammissibili (perche’ aspecifici) il sesto e settimo motivo d’appello sulla omessa pronuncia circa la tardiva costituzione della (OMISSIS) e l’inammissibilita’ della domanda subordinata di rideterminazione giudiziale del compenso, trattandosi di semplice emendatio libelli, poiche’ la delibera assembleare costituiva la prova del credito vantato dalla (OMISSIS) e la causa petendi era il diritto al compenso ex articolo 2389 c.c. nascente dal rapporto organico; iv) rigettato l’ottavo motivo, dovendosi il petitum individuare nelle conclusioni riformulate dalla societa’ con l’atto di riassunzione ex Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 7 e non nelle originarie conclusioni dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo; v) rigettato il nono motivo d’appello, sull’omesso esame della domanda subordinata di rideterminazione del compenso alla luce dell’ammanco di cassa e dell’insussistenza di attivita’ per circa dodici mesi, in quanto la delibera assembleare del 3 novembre 2004 aveva fissato il compenso di Euro 18.000,00 annui e il compenso e’ un diritto che nasce ex articolo 2389 c.c. con l’assunzione della carica, restando irrilevanti “sia la dedotta assenza di attivita’ d’impresa sino all’agosto 2004, sia l’inerzia della (OMISSIS) nel periodo intercorrente tra le proprie dimissioni e la nomina del nuovo amministratore”.
2. Avverso detta decisione la (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi, corredato da memoria. L’intimata (OMISSIS) non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo si lamenta la violazione degli articoli 1460 e 1218 c.c., articolo 2392 c.c., comma 1 e articolo 2393 c.c., nonche’ articoli 3 e 24 Cost., per non essere stato riconosciuto il diritto della societa’ di limitarsi a sollevare l’eccezione di inadempimento per paralizzare la pretesa di compenso dell’amministratore, senza dover necessariamente proporre un’azione di responsabilita’ nei suoi confronti, di natura contrattuale.
2.2. Il secondo mezzo denuncia la violazione dell’articolo 2697 c.c., articolo 115 c.p.c. e Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 10, comma 2-bis, in ordine alla ripartizione dell’onere della prova e all’onere di specifica contestazione a fronte dell’eccezione di inadempimento o non corretto adempimento sollevata dalla societa’ e provata per tabulas (come da documenti allegati all’opposizione a decreto ingiuntivo, riportati da pag. 14 a pag. 19 del ricorso).
2.3. Il terzo denuncia la violazione dell’articolo 426 c.p.c., articolo 427 c.p.c., commi 1 e 5, per l’erroneo mutamento del rito (da lavoro a societario) senza annullamento del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo concesso da un giudice incompetente, o comunque secondo un rito sbagliato; in subordine si deduce che l’errore sulla scelta del rito da parte dell’attore in sede monitoria e la conferma del decreto ingiuntivo, oltre ad incidere sulle spese legali (liquidate da un giudice incompetente), avrebbero “precluso alla societa’ opponente (tra l’altro) l’immediata proposizione della deliberata azione di responsabilita’ avverso l’ex amministratore (azione di spettanza della societa’, anche nelle s.r.l.)”.
2.4. Con il quarto si adduce la nullita’ della sentenza, ex articolo 360 c.p.c., n. 4, con riferimento all’articolo 112 c.p.c., poiche’ il secondo motivo di appello sarebbe stato meramente enunciato ma non anche esaminato.
2.5. La stessa censura di nullita’ (o in subordine la violazione del Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 9, comma 1) e’ veicolata dal quinto motivo, con riguardo alla “erronea individuazione delle conclusioni dell’esponente”.
2.6. Il sesto mezzo denunzia, infine, la violazione degli articoli 1460, 1218 e 2697 c.c., con riferimento alla mancata valutazione dell’inerzia della (OMISSIS) nel periodo intercorrente tra le sue dimissioni e la nomina del nuovo amministratore, quantomeno ai fini della riduzione quantum del compenso invocato.
3. I primi due motivi, che in quanto connessi possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati, con assorbimento del sesto.
3.1. La questione principale posta con il ricorso e’ se la societa’ possa opporsi al decreto ingiuntivo ottenuto dal suo ex amministratore, a titolo di compenso per l’incarico svolto, allegandone – in via di eccezione – l’inadempimento o il non corretto adempimento, pur senza aver proposto azione di responsabilita’ ex articolo 2476 c.c., comma 1.
3.2. Secondo i giudici di appello, considerando che tra l’amministratore e la societa’ sussiste un rapporto di immedesimazione organica (non gia’ contrattuale) e che non e’ emersa l’esistenza di un rapporto parallelo tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS) S.r.l., qualificabile come prestazione di lavoro subordinato, parasubordinato o autonomo (Cass. Sez. U, 1545/2017), la sentenza di primo grado sarebbe corretta “nella parte in cui ha escluso l’inversione dell’onere probatorio derivante dalla tesi contrattualistica a fronte dell’eccezione di inadempimento sollevata dalla societa’ debitrice (sul) diritto al compenso, ed in definitiva ha escluso l’operativita’ delle eccezioni (sia ex articolo 1460 c.c. che nei sensi dell’articolo 1218 c.c.) impeditive della pretesa creditoria, in assenza di una azione di responsabilita’ nei confronti dell’amministratore”, il quale “vanta nei confronti della societa’ un diritto soggettivo perfetto al compenso, salvo che si accerti una sua responsabilita’ per danni”.
3.3. Tale statuizione merita di essere riformata.
4. La configurazione del rapporto che lega l’amministratore alla societa’ di capitali e, soprattutto, le plurime implicazioni – di carattere sostanziale e processuale – discendenti dalla sua natura, hanno da sempre registrato, in dottrina e giurisprudenza, analisi tanto complesse quanto variegate negli approdi risolutivi.
4.1. E’ noto come in dottrina si siano sempre fronteggiate la teoria cd. contrattualistica (per cui il conferimento all’amministratore del potere rappresentativo della societa’ deriva non dalla legge o dallo statuto, bensi’ dal regolamento negoziale tra i due soggetti, costituenti autonomi centri di interessi, talora contrapposti) e la teoria cd. organica o unilateralistica (per cui l’immedesimazione dell’organo nella persona giuridica, che rappresenta, esclude la configurabilita’ di un rapporto negoziale intersoggettivo, fonte di reciproci diritti e obblighi).
4.2. E’ noto altresi’ che, nell’ambito della prima teoria, si distinguono diverse tesi, le quali declinano il predetto rapporto negoziale ora come “mandato” (per le similitudini evocate dagli articoli 2475-ter, 2476, 2476 e 2479 c.c.), ora come “contratto di amministrazione” sui generis, ora come “prestazione d’opera professionale”, ovvero di “lavoro subordinato” o, piu’ genericamente, “rapporto di para-subordinazione”.
4.2. Nella giurisprudenza di legittimita’, un risalente arresto nomofilattico sostenne che, nei rapporti societari interni, la posizione dell’amministratore di una societa’ di capitali fosse “simile a quella del mandatario” e che – sotto il profilo processuale – “la controversia nella quale l’amministratore di una societa’ di capitali, o ente assimilato, chieda la condanna della societa’ stessa al pagamento di una somma dovuta per effetto dell’attivita’ di esercizio delle funzioni gestorie, e’ soggetta al rito del lavoro ai sensi dell’articolo 409 c.p.c., n. 3, atteso che, se verso i terzi estranei all’organizzazione societaria e’ configurabile, tra amministrazione e societa’, un rapporto di immedesimazione organica, all’interno dell’organizzazione ben sono configurabili rapporti di credito nascenti da un’attivita’ come quella resa dall’amministratore, continua, coordinata e prevalentemente personale, non rilevando in contrario il contenuto parzialmente imprenditoriale dell’attivita’ gestoria e l’eventuale mancanza di una posizione di debolezza contrattuale dell’amministratore nei confronti della societa’” (Cass. Sez. U, 10680/1994).
4.3. Dopo quasi cinque lustri lo stesso organo nomofilattico nell’affrontare (risolvendola positivamente) la questione della pignorabilita’ del compenso dell’amministratore di una s.p.a. “senza i limiti previsti dall’articolo 545 c.p.c., comma 4” – ha corretto quella impostazione, sul rilievo che “il rapporto fra l’amministratore e la societa’ debba essere ricondotto nell’ambito dei “rapporti societari, ivi compresi quelli concernenti l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario” cui fa riferimento il Decreto Legislativo n. 168 del 2003, articolo 3, comma 2, lettera a) per l’individuazione della competenza per materia del tribunale delle imprese. Rendendo cosi’ irrilevante” – a tali fini – “la distinzione fra l’attivita’ a rilevanza esterna degli amministratori e il rapporto di natura obbligatoria di questi ultimi con la societa’”. Di qui la massima per cui “l’amministratore unico o il consigliere di amministrazione di una s.p.a. sono legati alla stessa da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non e’ compreso in quelli previsti dal n. 3 dell’articolo 409 c.p.c.” (Sez. U, 1545/2017).
4.4. In realta’, l’arresto del 2017 – che ha affrontato il tema della qualificazione del rapporto tra amministratore e societa’ di capitali sotto lo specifico angolo visuale della sua sussumibilita’ nei rapporti previsti dall’articolo 409 c.p.c., n. 3), ai fini della perimetrazione della pignorabilita’ del compenso in relazione all’articolo 545 c.p.c., comma 4, ha sconfessato solo alcuni degli enunciati del precedente del 1994 (segnatamente quelli afferenti la qualificazione del rapporto come parasubordinato e la sua riconducibilita’ all’articolo 409 c.p.c., n. 3), aderendo invece (dichiaratamente) alla premessa per cui “l’esistenza di un rapporto organico, in virtu’ del quale l’amministratore impersona la societa’ all’esterno, non esclude la configurabilita’, nei rapporti interni, di un vincolo di natura obbligatoria tra l’amministratore stesso e l’ente da lui gestito, ne’ la conseguente distinzione, in quest’ambito, di due centri d’interesse contrapposti facenti rispettivamente capo alle parti di tale ultimo rapporto”, enunciato sul quale ha “senz’altro concordato (seppure con i limiti dei quali si dira’ in seguito), nella considerazione che l’immedesimazione organica puo’ aver rilievo nei rapporti con i terzi, ma nei rapporti interni effettivamente sussiste una relazione obbligatoria tra soggetti affatto distinti tra loro”.
4.5. In particolare, pur ricomprendendo tra i “rapporti societari” ex Decreto Legislativo n. 168 del 2003, articolo 3 quello intercorrente tra societa’ ed amministratori – “data l’essenzialita’ del rapporto di rappresentanza in capo a questi ultimi come rapporto che, essendo funzionale, secondo la figura della c.d. immedesimazione organica, alla vita della societa’, consente alla stessa di agire”, in modo “non assimilabile, in quest’ordine di idee, ne’ ad un contratto d’opera (in questo senso, cfr. gia’ Cass. 22046/2014), ne’ tanto meno ad un rapporto di tipo subordinato o parasubordinato (Cass. 14369/2015)” – le Sezioni Unite del 2017 hanno ritenuto “indispensabile precisare che tutto quanto finora affermato concerne la figura dell’amministratore societario nelle sue funzioni tipiche di gestione e rappresentanza dell’ente, ossia come soggetto che, immedesimandosi nella societa’, le consente di agire e raggiungere i propri fini imprenditoriali. Non e’ escluso, pero’, che s’instauri, tra la societa’ e la persona fisica che la rappresenta e la gestisce, un autonomo, parallelo e diverso rapporto che assuma, secondo l’accertamento esclusivo del giudice del merito, le caratteristiche di un rapporto subordinato, parasubordinato o d’opera”.
4.6. Detto orientamento e’ stato ripreso, in alcune sue sfaccettature, da successive pronunce di questa Corte, nelle quali la questione ha invero continuato ad essere dipanata per lo piu’ in chiave processualistica – ai fini del riparto di competenza tra giudice del lavoro e sezione specializzata in materia di impresa – o in ottica lavoristica, con affermazione, tra l’altro, dei seguenti principi: 1) “il rapporto intercorrente tra la societa’ di capitali ed il suo amministratore e’ di immedesimazione organica e ad esso non si applicano ne’ l’articolo 36 Cost. ne’ l’articolo 409 c.p.c., comma 1, n. 3); ne consegue che e’ legittima la previsione statutaria di gratuita’ delle relative funzioni” (Cass. 285/2019); 2) “il giudice del lavoro e’ competente funzionalmente a decidere in merito alla domanda di riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato, parasubordinato o d’opera, presentata dall’amministratore unico di una societa’, che abbia ad oggetto l’accertamento e l’esecuzione di un rapporto di lavoro che si sostanzia in attivita’ estranee alle funzioni inerenti il rapporto organico” (Cass. 12308/2019); 3) “l’amministratore unico e il consigliere di amministrazione di una societa’ per azioni sono legati alla stessa da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non e’ compreso fra quelli previsti dal n. 3 dell’articolo 409 c.p.c., con la conseguenza che, in questa ipotesi, la cognizione della vertenza relativa all’azione di responsabilita’ esercitata contro di essi spetta alla sezione specializzata in materia di impresa di cui al Decreto Legislativo n. 168 del 2003, articolo 3. Peraltro, cio’ non esclude che, tra la detta societa’ e la persona fisica che la rappresenta e gestisce, possa instaurarsi un autonomo, parallelo e diverso rapporto che assuma le caratteristiche di quello subordinato, parasubordinato o d’opera, con l’effetto che, in tali situazioni, la competenza a conoscere della medesima azione va riconosciuta al giudice del lavoro” (Cass. 345/2020). Non si registra, invece, una particolare elaborazione della giurisprudenza di legittimita’ (diversamente da quella di merito) sullo specifico tema – qui in disamina – dei rimedi azionabili giudizialmente, in via di azione o eccezione, nelle pur possibili controversie tra societa’ a responsabilita’ limitata e amministratori in punto di compenso spettante a questi ultimi, in correlazione ai doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della societa’, la cui eventuale inosservanza li rende solidalmente responsabili verso la societa’ dei danni ad essa derivanti (articolo 2476 c.c.).
4.7. Una particolare menziona merita, ai fini del decidere, l’orientamento espresso dalla prima sezione di questa Corte, la quale, muovendo dalla negazione della natura subordinata o para-subordinata del rapporto tra societa’ e amministratori – in forza di quello stesso principio di immedesimazione organica che avrebbe avuto di li’ a poco l’avallo delle sezioni unite – ha affermato: 1) che “va attribuita alla cognizione della sezione specializzata in materia di impresa la controversia introdotta da un amministratore nei confronti della societa’ e riguardante le somme da quest’ultima dovute in relazione all’attivita’ esercitata, poiche’ la formulazione del Decreto Legislativo n. 168 del 2003, articolo 3, comma 2, lettera a), facendo riferimento alle cause ed ai procedimenti “relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario”, si presta a ricomprendere, quale specie di questi, tutte le liti che vedano coinvolti la societa’ ed i suoi amministratori, senza poter distinguere fra quelle che riguardino l’agire degli amministratori nell’espletamento del rapporto organico ed i diritti che, sulla base dell’eventuale contratto stipulato con la societa’, siano stati da quest’ultima riconosciuti a titolo di compenso” (Cass. 2759/2016, 13956/2016); 2) che “le controversie tra amministratori e societa’, anche se specificamente attinenti al profilo “interno” dell’attivita’ gestoria ed ai diritti che ne derivano agli amministratori (quale, nella specie, quello al compenso), sono compromettibili in arbitri, ove tale possibilita’ sia prevista dagli statuti societari” (Cass. 2759/2016).
4.8. Si tratta di un approdo importante poiche’, ferma restando la riconduzione dei rapporti tra societa’ e amministratori – caratterizzati, nella dimensione esterna, dal fenomeno intrasoggettivo della immedesimazione organica – al genus dei “rapporti societari” (e percio’ attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa), dischiude icasticamente lo scenario – che nella dimensione interna appare indubitabilmente intersoggettivo – delle possibili controversie sui rapporti patrimoniali tra la societa’ e la persona fisica investita delle funzioni dell’organo amministrativo cui e’ preposta, avuto riguardo non solo all’entita’ e disponibilita’ del diritto al compenso, ma anche ad ulteriori aspetti (si pensi, e.g., all’indennizzo per anticipata cessazione del rapporto, ex articolo 2383 c.c.).
4.9. Viene cosi’ in rilievo una dicotomia tra i poteri e le funzioni dell’amministratore, che discendono direttamente dalla legge e dal contratto sociale (da un lato) e gli eventuali diritti connessi allo svolgimento dell’attivita’ gestoria, con le correlate responsabilita’ (dall’altro). Dicotomia che, a ben vedere, rappresenta un ulteriore sviluppo logico della possibilita’, ribadita dalle Sezioni Unite del 2017, che nei rapporti interni tra societa’ e amministratori si ingeneri “una relazione obbligatoria tra soggetti affatto distinti tra loro”, capace in ultima analisi di integrare quella dualita’ di posizioni – tipica dei contratti sinallagmatici – che risulta invero testimoniata in modo cristallino da numerose norme dello stesso titolo V del libro V del codice civile, nelle quali le posizioni soggettive dell’amministratore e della societa’ risultano chiaramente contrapposte (si pensi, a titolo esemplificativo, all’articolo 2475-ter in tema di conflitto di interessi, all’articolo 2476 in tema di responsabilita’ degli amministratori verso la societa’, agli articoli 2485 e 2486 in tema di responsabilita’ degli amministratori per i danni subiti dalla societa’ al verificarsi di una causa di scioglimento).
5. Tra i suddetti diritti viene qui in emersione, in particolare, il diritto al compenso spettante agli amministratori per la gestione dell’impresa, la quale nelle s.r.l. e’ affidata – salvo diversa disposizione dell’atto costituivo – a uno o piu’ soci, e deve essere svolta “nel rispetto della disposizione di cui all’articolo 2086, comma 2”, attraverso il compimento delle “operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale” (articolo 2475 c.c., comma 1, come novellato dal Decreto Legislativo n. 14 del 2019, articolo 377 – CCII- a far tempo dal 16 marzo 2019).
5.1. Al riguardo si rammenta che il legislatore della riforma societaria del 2003 ha soppresso il rinvio all’articolo 2389 c.c. contenuto nell’originario articolo 2487 c.c., comma 2, senza introdurre in altro luogo (ne’ nell’articolo 2475 c.c., sull’amministrazione della societa’, ne’ nell’articolo 2479 c.c., sulla competenza dei soci alla nomina degli amministratori), una disciplina specifica sul compenso degli amministratori.
5.2. Ferma restando la preminenza di eventuali disposizioni dettate sul punto nell’atto costitutivo o nello statuto, il conseguente dubbio che detta abrogazione avesse fatto venir meno la presunzione di onerosita’ della funzione di amministratore di s.r.l. (tipica invece della s.p.a.) e’ stato superato sia dalla dottrina, sia dalla giurisprudenza di merito, che da quella di legittimita’: la prima con richiamo alle norme del codice civile in tema di mandato (anche per il rinvio contenuto nell’articolo 2260 c.c. sulle societa’ di persone) o di societa’ per azioni (nonostante l’abrogazione del pregresso rinvio all’articolo 2389 c.c.); la seconda anche con riferimento alla fonte normativa di cui agli articoli 2230 e 2233 (sulla disciplina del compenso nel contratto di prestazione d’opera intellettuale); la terza esclusivamente in direzione della persistente applicabilita’ della disciplina dettata per le societa’ per azioni dagli articoli 2364 (per cui l’assemblea ordinaria determina il compenso se non stabilito dallo statuto) e 2389 (per cui i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea) del c.c. (Cass. 28911/2018).
5.3. In tal senso questa Corte ha affermato che il diritto alla percezione del compenso origina direttamente dall’accettazione della carica di amministratore, quale “diritto soggettivo perfetto” ad essere compensato per l’attivita’ svolta in esecuzione dell’incarico affidatogli (Cass. 28911/2018, 15382/2017, 16764/2005, 1647/1997, 1554/1981), sebbene disponibile (Cass. 12592/2010) e percio’ derogabile da una clausola dello statuto o da una delibera assembleare che sancisca la gratuita’ dell’incarico, cosi’ come rinunciabile attraverso una remissione del debito, anche tacita, purche’ idonea a rivelare inequivocabilmente la sottesa volonta’ abdicativa (Cass. 3657/2020, 28911/2018, 16530/2018, 15382/2017, 4261/2009, 16125/2006).
5.4. Inoltre, si e’ detto, il diritto al compenso puo’ ben essere fatto valere in giudizio dall’amministratore, non solo in difetto di una specifica delibera assembleare che disponga la liquidazione del compenso, ma anche a fronte di una delibera che vi provveda in misura non adeguata, potendo in tal caso ricorrersi alla determinazione, anche equitativa, del giudice (Cass. 28911/2018, 8897/2014, 1676/2005), purche’ venga allegata e provata la qualita’ e quantita’ delle prestazioni concretamente svolte (Cass. 28911/2018, 23004/2014) e senza che l’esercizio di tale diritto sia subordinato a una richiesta da rivolgere alla societa’ amministrata durante lo svolgimento dell’incarico (Cass. 24139/2018).
5.5. Quest’ultima pronuncia merita una particolare segnalazione, poiche’ con essa la prima sezione di questa Corte, nell’affermare, in tema di s.r.l., che “l’amministratore di una societa’, con l’accettazione della carica, acquisisce il diritto ad essere compensato per l’attivita’ svolta in esecuzione dell’incarico affidatogli”, ha espressamente precisato “che, secondo i principi del sistema vigente, quello di amministratore di societa’ e’ contratto che la legge presume oneroso (cfr., la norma dell’articolo 1709 c.c. dettata con riferimento allo schema generale dell’agire gestorio e senz’altro applicabile anche alla materia societaria, come pure posta a presupposto delle previsioni dell’articolo 2389 c.c., specificamente scritte per il tipo societa’ per azioni)” (v. Cass. 24139/2018 cit., in motivazione); in tal guisa si e’ evocata, legittimandola, una visione di tipo contrattualistico, che il collegio condivide, riferita al tema del diritto al compenso dell’amministratore di societa’.
5.6. Puo’ quindi dirsi che quel diritto al compenso origina autonomamente nell’ambito del rapporto di immedesimazione organica – proprio del contratto associativo (in base al quale gli atti compiuti dall’amministratore vengono imputati direttamente alla societa’ di capitali per la quale egli agisce, nei confronti dei terzi, in forza della rappresentanza generale sancita dall’articolo 2475-bis c.c.) dando vita ad un diverso rapporto, non formalmente contrattuale ma di tipo contrattuale, in seno al quale e’ ravvisabile un nesso sinallagmatico di corrispettivita’ con gli obblighi che l’amministratore medesimo deve osservare in base alla legge e all’atto costitutivo, i quali, se violati, ne generano la responsabilita’ (anche) verso la societa’, ai sensi degli articoli 2476, 2485 e 2486 c.c..
6. Ebbene, che quella appena menzionata sia una responsabilita’ di tipo contrattuale costituisce un approdo assodato in dottrina e giurisprudenza, con tutte le conseguenze che ne discendono, specie in tema di distribuzione dell’onere probatorio.
6.1. Anche di recente questa Corte ha ribadito la natura contrattuale della responsabilita’ dell’amministratore di societa’ di capitali per i danni cagionati alla societa’ amministrata, con la conseguenza che quest’ultima – o il curatore, nel caso in cui l’azione sia proposta ex articolo 146 L.F. – puo’ limitarsi “ad allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri”, dovendo solo “provare il danno e il nesso di causalita’ tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestati, l’osservanza dei doveri” (Cass. 12567/2021), nonche’ “l’adempimento degli obblighi loro imposti” (Cass. 2975/2020; conf. Cass. 15470/2017, 22911/2010).
6.2. In applicazione di tale principio si e’ ad esempio statuito che, a fronte di disponibilita’ patrimoniali pacificamente fuoriuscite dall’attivo della societa’, ovvero con riguardo all’improprio utilizzo di giacenza di magazzino, la societa’ che agisca per il risarcimento del danno nei confronti dell’amministratore – danno che comprende sia le perdite subite (danno emergente) che il mancato guadagno (lucro cessante) puo’ limitarsi ad allegare l’inadempimento, consistente nella distrazione delle suddette risorse, mentre compete all’amministratore la prova del suo adempimento, consistente nella destinazione delle attivita’ patrimoniali all’estinzione di debiti sociali, ovvero, rispettivamente, nella puntuale utilizzazione delle merci nell’esercizio dell’attivita’ di impresa (v. Cass. 17441/2016, 16952/2016).
6.3. Sul punto, il nesso con l’ammanco di cassa per Euro 24.800,75 addebitato alla (OMISSIS) – accertato dallo stesso Tribunale di Ascoli Piceno con sentenza n. 745/2009, confermata dalla Corte d’appello di Ancona con sentenza n. 353/2016 – risulta evidente.
6.4. La natura pacificamente contrattuale della responsabilita’ degli amministratori (cosi’ come dei sindaci) verso la societa’ comporta, tra l’altro, l’indubbia applicazione della regola posta dall’articolo 1218 c.c. in tema di onere della prova della non imputabilita’ del fatto dannoso al fine di escludere la responsabilita’ per i danni cagionati (Cass. 25056/2020), il cui regime di favor creditoris e’ notoriamente ispirato al principio di cd. persistenza del diritto (derivante dall’articolo 2697 c.c., comma 2, che include l’adempimento tra le cause estintive dell’obbligazione) e di cd. vicinanza della prova.
6.5. Specularmente, la medesima natura contrattuale e’ stata attribuita alla responsabilita’ della societa’ per azioni, ex articolo 2383 c.c., in caso di revoca dell’amministratore, con recesso dal rapporto di amministrazione senza giusta causa, proprio avuto riguardo al “lucro cessante per i compensi residui non percepiti” (Cass. 2037/2018). Cio’ rappresenta un’ulteriore conferma del nesso sinallagmatico rilevabile tra l’adempimento dei doveri gravanti sull’amministratore e la maturazione del diritto al compenso.
7. Dal quadro normativo e giurisprudenziale sopra delineato emerge dunque l’esistenza – in seno al rapporto tipicamente associativo che origina dal contratto di societa’ ex articolo 2247 c.c. – di un rapporto di tipo contrattuale a prestazioni corrispettive, caratterizzato dal sinallagma tra l’obbligo dell’amministratore (inteso quale persona fisica investita delle funzioni dell’organo amministrativo cui e’ preposto) di rispettare i doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della societa’ – con conseguente diritto della societa’ di agire per il risarcimento dei danni in caso di loro violazione – ed il suo diritto (sia pure disponibile e rinunciabile) a conseguire dalla societa’ amministrata il compenso per l’attivita’ svolta, parimenti azionabile in via giudiziale sia in punto di an che di quantum.
7.1. Cio’ non significa ricondurre quel “rapporto societario” ravvisato dalla giurisprudenza di questa Corte nella relazione organica tra amministratore e societa’ (come tale non qualificabile come rapporto di lavoro subordinato o para-subordinato, o di mandato o di prestazione d’opera intellettuale ex articolo 2230 c.c.) ad un contratto atipico, che pure sarebbe astrattamente configurabile – in ossequio al principio di autonomia negoziale ex articolo 1322 c.c. – quantomeno per i profili non coperti dalla disciplina del titolo V del libro V del codice civile (in dottrina si segnalano i cd. directorship o management agreements frequenti nella prassi negoziale di origine anglosassone, ma anche possibili patti di non concorrenza, destinati ad operare dopo la cessazione dell’incarico gestorio).
7.2. E’ infatti sufficiente leggere quel segmento di corrispettivita’, che si genera nel piu’ ampio ambito del rapporto associativo, alla luce dell’autorevole insegnamento delle sezioni unite di questa Corte, per cui “la responsabilita’ nella quale incorre “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta” (articolo 1218 c.c.) puo’ dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l’obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto, nell’accezione che ne da’ il successivo articolo 1321 c.c., ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dall’inesatto adempimento di un’obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte”, potendo “discendere anche dalla violazione di obblighi nascenti da situazioni (non gia’ di contratto, bensi’) di semplice “contatto sociale”, ogni qual volta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali situazioni, un determinato comportamento”; con la precisazione che anche la categoria delle “obbligazioni ex lege” (spesso ricondotta agli “altri atti o fatti idonei” a produrre obbligazioni in conformita’ dell’ordinamento giuridico, cui allude l’articolo 1173 c.c.) e’ soggetta a un regime che non si discosta da quello delle obbligazioni contrattuali in senso stretto, mentre le obbligazioni integranti la cd. responsabilita’ da fatto lecito (come la gestione di affari altrui e l’arricchimento senza causa) non presuppongono l’inesatto adempimento di un obbligo precedente (di fonte legale o contrattuale che sia), ne’ dipendono da comportamenti illeciti dannosi (Cass. Sez. U, 14712/2017; conf. Cass. Sez. U, 12477/2018; cfr. ex multis Cass. 25644/2017, in termini di “contatto qualificato” e Cass. 4153/2019, sulle prestazioni accessorie a obblighi legali).
7.3. Una volta riscontrata, nei termini sopra esposti, una relazione di tipo contrattuale e di natura corrispettiva (sia pure originata all’interno di un rapporto di natura associativa) tra il diritto al compenso dell’amministratore di societa’ e l’obbligo da egli assunto di rispettare i doveri posti dalla legge e dal contratto sociale (statuto e atto costitutivo), non puo’ non discenderne l’applicazione delle regole dettate dal codice civile in punto di responsabilita’ del debitore “che non esegue esattamente la prestazione dovuta” (articolo 1218 c.c.) e di possibilita’ per il debitore di sollevare l’eccezione di inadempimento (articolo 1460 c.c.), la quale include anche quella di inesatto adempimento (Cass. 9439/2008), in corrispondenza delle due figure della exceptio inadimpleti o non rite adimpleti contractus.
8. Orbene, secondo l’indirizzo consolidatosi a partire da Cass., Sez. U, 13533/2001, in tema di eccezione di inadempimento, il creditore che agisca per l’esecuzione del contratto, la sua risoluzione o il risarcimento dei danni subiti, ha solo l’onere di provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento del convenuto, cui spetta invece l’onere di provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ovvero il mancato adempimento per causa a se’ non imputabile. Tuttavia, qualora il convenuto frapponga l’eccezione di inadempimento ex articolo 1460 c.c., viene riversato sull’attore l’onere di neutralizzare l’eccezione, provando il proprio adempimento (Cass. 3232/1998); in tal caso risultano quindi invertiti i ruoli delle parti, poiche’ il convenuto eccipiente puo’ limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento, mentre e’ il creditore-attore a dover dimostrare il proprio adempimento, ovvero il difetto di influenza del proprio operato sul nesso eziologico o sulla produzione del danno (ex plurimis Cass. 3373/2010, 23759/2016, 18858/2018, 3587/2021, 12719/2021).
8.1. In effetti, a fronte della exceptio inadimpleti contractus, il criterio di distribuzione dell’onere della prova rimane oggettivamente identico ma soggettivamente invertito nei ruoli, poiche’, come detto, chi solleva l’eccezione puo’ limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento, essendo l’originario attore a dover dimostrare, a sua volta, di avere adempiuto (Cass. 15328/2018, 826/2015). Cio’ perche’ entra in gioco ancora una volta il principio di diritto vivente (ispirato all’articolo 24 Cost.) della cd. riferibilita’ o vicinanza della prova – nel caso di specie utile ad ovviare alla difficolta’ di fornire la prova di un fatto negativo, come l’inesattezza della prestazione – in base al quale la distribuzione degli oneri probatori supera l’orizzonte discretivo tra fatti costitutivi ed estintivi o impeditivi del diritto, per tener conto della effettiva disponibilita’ dei mezzi di prova – intesa come concreta possibilita’ di dimostrare il fondamento della propria pretesa – affinche’ l’esercizio dei diritti non risulti impossibile o eccessivamente difficoltoso.
8.2. Sempre secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’eccezione di cui all’articolo 1460 c.c., al pari di ogni altra eccezione, non richiede l’adozione di forme speciali o formule sacramentali, ne’ l’espressa invocazione della norma in questione, essendo sufficiente che la volonta’ della parte di sollevarla (onde paralizzare l’avversa domanda di adempimento) sia desumibile, in modo non equivoco, dall’insieme delle sue difese e, piu’ in generale, dalla sua condotta processuale, secondo un’interpretazione del giudice di merito che non e’ censurabile in sede di legittimita’, purche’ risulti ancorata a correnti canoni di ermeneutica processuale (Cass. 20870/2009; 11728/2002).
8.3. In particolare, in tema di procedimento monitorio si e’ affermato che integra eccezione d’inadempimento ex articolo 1460 c.c. l’opposizione avverso un decreto ingiuntivo emesso per il pagamento di una somma a titolo di corrispettivo contrattuale con cui la parte ingiunta si limiti a chiedere la revoca del decreto e, in via riconvenzionale, la pronuncia della risoluzione del contratto per l’altrui inadempimento, con la conseguenza che grava, in quel caso, sull’opposto l’onere di provare il proprio esatto adempimento (Cass. 22666/2009).
8.4. Inoltre si e’ detto che, sebbene la mancanza di gravita’ dell’inadempimento renda l’eccezione di cui all’articolo 1460 c.c. contraria a buona fede (Cass. 12791/2021, 22626/2016, 8880/2000), a rigore cio’ non deve indurre a ritenere che la gravita’ idonea a compromettere il rapporto sinallagmatico fra le contrapposte prestazioni, ex articolo 1460 c.c., debba essere tale da giustificare la risoluzione del contratto (Cass., 5232/1985), poiche’ la gravita’ dell’inadempimento e’ un presupposto specificamente previsto dalla legge per la risoluzione e trova ragione nella radicalita’ e definitivita’ di tale rimedio, non ricorrente nell’eccezione di inadempimento, che non estingue il contratto (Cass. 1690/2006).
9. Nel caso in esame, puo’ innanzitutto ritenersi superata l’obbiezione per cui l’eccezione di inadempimento ex articolo 1460 c.c. non sarebbe applicabile al contratto di societa’, in quanto contratto associativo (nel quale il sinallagma e’ sostituito dalla comunione di scopo, ossia la collaborazione tra i soci per conseguire un risultato comune) e non a prestazioni corrispettive, come formalmente richiede la norma; come visto, infatti, il diritto al compenso dell’amministratore di societa’ – per vero nemmeno contemplato dalle norme codicistiche in tema di s.r.l. – va ricondotto non tanto alla causa concreta del contratto di societa’ (al cui interno pur si inscrive), quanto al rapporto sinallagmatico che si instaura tra amministratore e societa’, che prende origine dal rapporto di immedesimazione organica, ma se ne distacca concettualmente nel momento in cui il primo, con l’accettazione della nomina, assume verso la seconda l’obbligo di adempiere ai propri doveri, secondo il paradigma legale o pattizio del rapporto sociale cui corrisponde la responsabilita’ contrattuale verso la societa’ per il caso di inadempimento o non corretto adempimento delle correlate prestazioni – e matura al tempo stesso nei confronti della seconda il diritto al compenso, secondo un nesso di corrispettivita’ rispetto all’attivita’ gestoria svolta.
9.1. In effetti, la situazione evoca quella partitamente declinata, sempre nel campo dei rapporti associativi, per le societa’ cooperative, in relazione alle quali si e’ affermato che “Il principio secondo il quale i rimedi generali dettati in tema di inadempimento contrattuale (risoluzione del contratto, “exceptio inadimpleti contractus” ecc.) non sono utilizzabili nel diverso ambito dei contratti societari (per essere questi ultimi caratterizzati non gia’ dalla corrispettivita’ delle prestazioni dei soci, bensi’ dalla comunione di scopo, sicche’ i rimedi invocabili sono quelli del recesso e dell’esclusione del socio) non si applica alle societa’ cooperative, nelle quali il rapporto attinente al conseguimento dei servizi o dei beni prodotti dalla societa’ ed aventi ad oggetto prestazioni di collaborazione o di scambio tra socio e societa’ si palesa ulteriore rispetto a quello relativo alla partecipazione all’organizzazione della vita sociale ed e’ caratterizzato non dalla comunione di scopo, ma dalla contrapposizione tra quelle prestazioni e la retribuzione o il prezzo corrispettivo. In particolare, nell’ambito delle cooperative edilizie, un tale rapporto economico – giuridico, distinto da quello sociale, instaurandosi tra societa’ e socio prenotatario a seguito dell’attribuzione dell’unita’ immobiliare costruita, caratterizza l’attribuzione come atto traslativo della proprieta’ a titolo oneroso, per cui riprendono vigore i rimedi generali volti a mantenere o ristabilire l’equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni. il rapporto attinente al conseguimento dei servizi o dei beni prodotti dalla societa’ ed aventi ad oggetto prestazioni di collaborazione o di scambio tra socio e societa’ si palesa ulteriore rispetto a quello relativo alla partecipazione all’organizzazione della vita sociale ed e’ caratterizzato non dalla comunione di scopo, ma dalla contrapposizione tra quelle prestazioni e la retribuzione o il prezzo corrispettivo” (Cass. 26222/2014, 694/2001).
9.2. Anche la pretesa inconciliabilita’ dell’articolo 1460 c.c. – in quanto rimedio di carattere sospensivo e conservativo del contratto – con la proposizione dell’eccezione di inadempimento in un momento in cui il rapporto e’ gia’ concluso, risulta superabile alla luce delle esposte considerazioni. Invero, se – come sostenuto da parte della giurisprudenza di merito anche dopo l’arresto di Cass. Sez. U, 1595/2017) – la remunerazione dell’amministratore si pone in rapporto di dipendenza diretta con il corretto espletamento delle funzioni determinate dalla legge e dal contratto sociale, il pagamento del compenso non puo’ ontologicamente restare indifferente alle possibili anomalie nell’adempimento dei relativi obblighi di fonte eterodeterminata, dovendosi percio’ escludere ogni preteso automatismo nel suo riconoscimento. In tal senso risulta giustificata l’estensione, al rapporto remuneratorio intercorrente tra amministratore e societa’, del rimedio che l’articolo 1460 c.c. ha istituito per rafforzare l’obbligo di adempimento delle obbligazioni nei contesti di corrispettivita’, anche se solo di natura lato sensu contrattuale.
9.3. Pertanto, il giudice e’ tenuto a procedere ad una valutazione comparativa dei comportamenti delle parti contrapposte tenendo conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche (e soprattutto) dei rapporti di causalita’ e proporzionalita’ esistenti tra le prestazioni inadempiute, e della loro incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto (Cass. 12978/2002).
9.4. In quest’ottica si comprende perche’ solo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica – nei quali l’esecuzione avviene mediante coppie di prestazioni in corrispondenza di tempo – la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che il sinallagma, alla cui tutela e’ preposto il rimedio ex articolo 1460 c.c., va considerato separatamente per ciascuna coppia di prestazioni, con la conseguenza che l’eccezione d’inadempimento puo’ essere sollevata unicamente rispetto alla prestazione corrispondente a quella richiesta all’eccipiente, restando escluse, ai sensi dell’articolo 1458 c.c., comma 1, le prestazioni che siano state gia’ (correttamente) eseguite (Cass. 7550/2012).
9.5. Deve infatti ritenersi che, quand’anche l’amministratore sia (come nel caso di specie) gia’ cessato dall’incarico, persista l’interesse della societa’ a rifiutare il pagamento del compenso, facendo appunto valere l’eccezione ex articolo 1460 c.c. con riguardo alle prestazioni non correttamente eseguite, sia pure limitatamente al corrispettivo maturato nello specifico periodo di riferimento per il quale sussistano i lamentati inadempimenti. Diversamente, la societa’ resterebbe ingiustamente soggetta al criterio del “so/ve et repete”.
9.6. Il quadro fattuale della vicenda – e, segnatamente, il piu’ volte menzionato ammanco di cassa addebitato all’amministratrice – induce all’ulteriore precisazione che, in caso di responsabilita’ contrattuale (come quella ex articolo 2476 c.c.), ben diverse sono – quanto a presupposti, funzione e distribuzione dell’onere probatorio le possibili eccezioni di compensazione e di inadempimento: la prima rilevando quale fatto estintivo dell’obbligazione, in presenza di due soggetti obbligati l’uno verso l’altro in forza di reciproci crediti e debiti (con conseguente onere della parte che la invoca di provare l’esistenza del proprio controcredito); la seconda integrando, invece, un fatto impeditivo dell’altrui pretesa di pagamento, avanzata nell’ambito di un contratto a prestazioni corrispettive nel concomitante inadempimento del creditore, nel qual caso il debitore puo’ limitarsi ad allegare detto inadempimento, mentre grava sul creditore stesso l’onere di provare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione (v. Cass. Sez. U, 13533/2001; Cass. 23759/2016).
10. Un ultimo e decisivo aspetto viene in rilievo sotto il profilo processuale.
10.1. L’affermazione del giudice a quo per cui la societa’ non potrebbe sollevare le eccezioni di inadempimento ex articoli 1218 e 1460 c.c. senza aver esercitato l’azione di responsabilita’ ex articolo 2476 c.c., e’ destituito di fondamento; invero, cio’ che puo’ farsi valere in via di azione non puo’ non farsi valere anche in via di eccezione – secondo il brocardo “plus semper in se continet quod est minus” – sicche’ appare pienamente legittima un’eccezione riconvenzionale che faccia valere la dedotta responsabilita’ dell’amministratore nei limiti della pretesa creditoria ex adverso azionata.
10.2. Al riguardo questa Corte ha gia’ avuto occasione di affermare che “la parte evocata in giudizio per il pagamento di una prestazione rientrante in un contratto sinallagmatico puo’, invero, non solo formulare le domande ad essa consentite dall’ordinamento in relazione al particolare negozio stipulato, ma anche limitarsi ad eccepire – nel legittimo esercizio del potere di autotutela che l’articolo 1460 c.c. espressamente attribuisce al fine di paralizzare la pretesa avversaria chiedendone il rigetto – l’inadempimento o l’imperfetto adempimento dell’obbligazione assunta da controparte, in qualunque delle configurazioni che questo puo’ assumere, in esse compreso, quindi, il fatto che il bene consegnato in esecuzione del contratto risulti affetto da vizi o mancante di qualita’ essenziali” (Cass. 23345/2009).
10.3. Ancor piu’ pregnante, ai fini del decidere, risulta l’orientamento di questa Corte che, in tema di opposizione allo stato passivo contro l’esclusione di un credito relativo a compensi derivanti dalla carica di componente del consiglio di amministrazione (nonche’ del collegio sindacale) di una societa’ poi fallita, da’ rilevanza, ai fini del rigetto della domanda, alla prova fornita dalla curatela fallimentare in relazione all’eccezione di inadempimento dei doveri inerenti alla carica, formulata ai sensi dell’articolo 1460 c.c. (Cass. 25584/2018; cfr. Cass. 13207/2021 per il compenso professionale del sindaco di societa’ di capitali).
11. Va conclusivamente affermato il seguente principio di diritto:
“In tema di compenso spettante all’amministratore di societa’ a responsabilita’ limitata, la societa’ puo’ far valere in via di eccezione riconvenzionale, ai sensi degli articoli 1218 e 1460 c.c., l’inadempimento o il non corretto adempimento degli obblighi assunti dall’amministratore in osservanza dei doveri imposti dalla legge o dall’atto costituivo, la cui violazione integra la responsabilita’ di tipo contrattuale ex articolo 2476 c.c., comma 1, non venendo in rilievo, a tali fini, il rapporto societario di immedesimazione organica esistente, verso l’esterno, tra amministratore e societa’, bensi’ il nesso sinallagmatico, tipico del rapporto contrattuale, intercorrente tra il corretto svolgimento dell’attivita’ di gestione dell’impresa e la maturazione del diritto al compenso in capo all’amministratore medesimo.”
12. I restanti motivi terzo, quarto e quinto sono affetti da profili di inammissibilita’ e infondatezza.
12.1. In particolare il terzo, oltre a trascurare che la questione in rilievo non e’ di competenza, bensi’ di mero rito, risulta generico, per difetto di autosufficienza; vizio che investe ancor piu’ il quarto motivo, il quale, nella sua estrema stringatezza, non riporta nemmeno i contenuti del motivo di appello di cui si lamenta il mancato esame, verosimilmente a causa della mancata comprensione della relativa ratio decidendi della sentenza impugnata; dal medesimo difetto e’ infine afflitto il quinto motivo, che difetta altresi’ di conducenza con riguardo all’atto processuale da prendere in considerazione per l’individuazione delle pertinenti conclusioni formulate dalla parte nel giudizio di merito.
13. Per concludere, in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, con assorbimento del sesto e rigetto dei motivi terzo, quarto e quinto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, affinche’ la Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, proceda alla valutazione, iuxta alligata et probata, dell’eccezione di inadempimento sollevata dalla societa’ odierna ricorrente, secondo il principio di diritto sopra enunciato, nonche’ alla statuizione sulle spese processuali del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie i primi due motivi di ricorso, rigetta il terzo, il quarto e il quinto, dichiara assorbito il sesto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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