Corte di Cassazione, sezioni unite penali, sentenza 22 febbraio 2018, n. 8770. Quando l’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica

segue pagina antecedente
[…]

Tale rispetto viene pero’ preteso soltanto nella fase della selezione delle stesse, cosicche’ resta fuori dalla gamma delle condotte punibili la “imperita applicazione” di esse, cioe’ la imperizia che cada nella fase esecutiva.
Si tratterebbe di una previsione, quella della non punibilita’, che opera al di fuori delle categorie dogmatiche della colpevolezza e della causalita’ colposa e trova giustificazione nell’intento del legislatore di non vedere mortificata la professionalita’ medica dal timore di ingiuste rappresaglie e, con una sola espressione, di prevenire la c.d. medicina difensiva.
5. Ritengono le Sezioni Unite che in ciascuna delle due contrastanti sentenze in esame siano espresse molteplici osservazioni condivisibili, in parte anche comuni, ma manchi una sintesi interpretativa complessiva capace di restituire la effettiva portata della norma in considerazione. Sintesi che richiede talune puntualizzazioni sugli elementi costitutivi della nuova previsione, da individuare attraverso una opportuna attivita’ ermeneutica che tenga conto, da un lato, della lettera della legge e, dall’altro, di circostanze anche non esplicitate ma necessariamente ricomprese in una norma di cui puo’ dirsi certa la ratio, anche alla luce del complesso percorso compiuto negli anni dal legislatore sul tema in discussione. Percorso al quale non risultano estranei il contributo della Corte costituzionale ne’ gli approdi della giurisprudenza di legittimita’, di cui, dunque, ci si giovera’.
Infatti, val la pena osservare che il canone interpretativo posto dall’articolo 12 preleggi, comma 1, prevede la valorizzazione del significato immediato delle parole, di quello derivante dalla loro connessione nonche’ della “intenzione del legislatore”. E da tale disposizione – che va completata con la verifica di compatibilita’ coi principi generali che regolano la ricostruzione degli elementi costitutivi dei precetti – si evince un solo vincolante divieto per l’interprete, che e’ quello riguardante l’andare “contro” il significato delle espressioni usate, con una modalita’ che sconfinerebbe nell’analogia, non consentita nella interpretazione del comando penale. Non gli e’ invece vietato andare “oltre” la letteralita’ del testo, quando l’opzione ermeneutica prescelta sia in linea con i canoni sopra indicati, a maggior ragione quando quella, pur a fronte di un testo che lascia aperte piu’ soluzioni, sia l’unica plausibile e percio’ compatibile col principio della prevedibilita’ del comando; sia, cioe’, il frutto di uno sforzo che si rende necessario per giungere ad un risultato costituzionalmente adeguato, candidandosi cosi’ a dare luogo, in presenza di una divisione netta nella giurisprudenza delle sezioni semplici, al “diritto vivente” nella materia in esame.
Il tentativo di sperimentare una interpretazione costituzionalmente conforme e’, d’altro canto, il passaggio necessario e, se come nella specie concluso con esito positivo, ostativo all’investitura della Corte costituzionale, in contrasto con quanto auspicato dal Procuratore generale.
Ed e’, quella anticipata, l’elaborazione che le Sezioni Unite intendono rendere, essendo proprio compito, nell’esercizio della funzione nomofilattica, individuare il significato piu’ coerente del dato precettivo, anche scegliendo tra piu’ possibili significati e plasmando la regola di diritto la quale deve mantenere il carattere generale ed astratto.
Cio’, in altri termini, senza che sia riconducibile alla attivita’ interpretativa che ci si accinge a compiere un’efficacia sanante di deficit di tassativita’ della norma, non condividendosi il sospetto che la scelta sulla portata normativa dell’articolo 6 sia sospinta dalla esistenza di connotati di incertezza e di imprevedibilita’ delle conseguenze del precetto, le quali, se ravvisate, avrebbero condotto alla sola possibile soluzione di sollevare, nella sede propria, il dubbio di costituzionalita’.
6. E’ utile premettere, all’analisi degli enunciati delle due sentenze in contrasto, che la ricostruzione del sistema di esenzione da pena della legge Gelli-Bianco usufruisce in maniera consistente del dibattito gia’ avviato su temi affacciatisi alla disamina della giurisprudenza e della dottrina in relazione al decreto Balduzzi, essendo presente anche in questo la previsione del raffronto del comportamento medico con il complesso di linee-guida o buone pratiche oggetto di accreditamento da parte della comunita’ scientifica e scaturendo da esso la necessita’ di confrontarsi col problema delle diverse forme di colpa generica.
6.1. Occorre ribadire che la valutazione da parte del giudice sul requisito della rispondenza (o meno) della condotta medica al parametro delle linee-guida adeguate (se esistenti) puo’ essere soltanto quella effettuata ex ante, alla luce cioe’ della situazione e dei particolari conosciuti o conoscibili dall’agente all’atto del suo intervento, altrimenti confondendosi il giudizio sulla rimproverabilita’ con quello sulla prova della causalita’, da effettuarsi ex post. Ma con la ulteriore puntualizzazione che il sindacato ex ante non potra’ giovarsi di una soglia temporale fissata una volta per sempre, atteso che il dovere del sanitario di scegliere linee-guida “adeguate” comporta, per il medesimo cosi’ come per chi lo deve giudicare, il continuo aggiornamento della valutazione rispetto alla evoluzione del quadro e alla sua conoscenza o conoscibilita’ da parte del primo. Attivita’, quella qui descritta, destinata a rimanere estranea al pericolo di vedere confuso il giudizio sulla “adeguatezza” delle linee-guida (ex ante) con quello sulle modalita’ e gli effetti della loro concreta “attuazione” che, essendo necessariamente postumo, non e’ incluso fra i criteri di individuazione della condotta esigibile.
6.2. Nella stessa ottica di fissazione delle linee generali lungo le quali sviluppare la disamina qui richiesta, va anche ribadita la consapevolezza della estrema difficolta’, che talvolta si presenta, nel riuscire ad operare una plausibile distinzione tra colpa da negligenza e colpa da imperizia. Distinzione comunque da non potersi omettere in quanto richiesta dal legislatore del 2017 che, consapevolmente, ha regolato solo il secondo caso, pur in presenza di un precedente, articolato dibattito giurisprudenziale sulla opportunita’ di non operare la detta differenziazione quando non espressamente richiesta dalla lettera della legge (come avveniva per il decreto Balduzzi) per la estrema fluidita’ dei confini fra le dette nozioni.
La distinzione riacquista oggi una peculiare rilevanza perche’, nell’ipotesi di colpa da negligenza o imprudenza, la novella causa di non punibilita’ e’ destinata a non operare; mentre la semplice constatazione della esistenza di linee-guida attinenti al caso specifico non comporta che la loro violazione dia automaticamente luogo a colpa da imperizia.
Si e’ gia’ rilevato che non puo’ escludersi che le linee-guida pongano regole rispetto alle quali il parametro valutativo della condotta dell’agente sia quello della diligenza, come nel caso in cui siano richieste prestazioni che riguardino piu’ la sfera della accuratezza di compiti magari particolarmente qualificanti, che quella della adeguatezza professionale (Sez. 4, n. 45527 del 01/07/2015, Cerracchio, non massimata sul punto).
E’ da citare il caso paradigmatico della omessa valutazione del sintomo e della conseguente omessa o ritardata diagnosi: una ipotesi da ascrivere, di regola, all’imperizia per inosservanza delle leges artis che disciplinano tale settore della attivita’ sanitaria, salvo il caso che il comportamento del sanitario sia improntato ad indifferenza, scelleratezza o comunque assoluta superficialita’ e lassismo, sicche’ possa escludersi di essere nel campo della negligenza propria dell’agire del sanitario o specifica di esso e dunque della imperizia.
Il superamento di tali difficolta’ che attengono, in genere, all’inquadramento del caso concreto piu’ che alle categorie astratte, va perseguito mediante il ricorso agli ordinari criteri sulla prova, sul dubbio e sulla ripartizione dell’onere relativo che, nella fattispecie qui in discussione, hanno condotto piu’ che plausibilmente alla delineazione di un caso di negligenza, dal quale non vi e’ ragione di prescindere, anche per mancanza di specifiche contestazioni sul punto da parte dell’interessato. Con la conseguenza che anche la prospettazione della questione di legittimita’ costituzionale sull’articolo 590-sexies, da parte del Procuratore generale, e’ destinata a mostrare la sua irrilevanza, non venendo in considerazione l’ipotesi della imperizia.
7. Puo’ ora entrarsi nel merito del contrasto giurisprudenziale.
7.1. La sentenza Tarabori-De Luca ha il pregio di richiamare alla necessita’ di perimetrazione dell’ambito di operativita’ della novella, in modo da evidenziarne la notevole efficacia riduttiva rispetto al passato, pur non facendo a meno, nel prosieguo, di criticare in radice la eventualita’ stessa di trovarsi al cospetto di una vera e propria causa di non punibilita’.
E’ condivisibile la prima parte del ragionamento seguito, laddove si pongono in luce gli evidenti limiti applicativi alla causa di non punibilita’ enunciati dall’articolo 590-sexies, posto che la dipendenza di questa dal rispetto delle linee-guida adeguate allo specifico caso in esame, nell’ipotesi di responsabilita’ da imperizia, non consente di sfuggire alla esatta osservazione che lo speciale abbuono non puo’ essere invocato nei casi in cui la responsabilita’ sia ricondotta ai diversi casi di colpa, dati dalla imprudenza e dalla negligenza; ne’ quando l’atto sanitario non sia per nulla governato da linee-guida o da buone pratiche; ne’ quando queste siano individuate e dunque selezionate dall’esercente la professione sanitaria in maniera inadeguata con riferimento allo specifico caso. Evenienza, quest’ultima, comprensiva sia della ipotesi in cui la scelta e’ stata del tutto sbagliata, sia della ipotesi in cui la scelta sia stata incompleta per non essersi tenuto conto di fattori di co-morbilita’ che avrebbero richiesto il ricorso a piu’ linee-guida regolatrici delle diverse patologie concomitanti o comunque la visione integrata del quadro complesso, sia, infine, della ipotesi in cui il caso avrebbe richiesto il radicale discostarsi dalle linee-guida regolatrici del trattamento della patologia, in ragione della peculiarita’ dei fattori in esame.
Situazioni, quelle descritte, che danno conto della incompatibilita’ della novella con qualsiasi forma di appiattimento dell’agente su linee-guida che a prima vista possono apparire confacenti al caso di specie (e magari risultano, in rapporto al caso specifico, sbilanciate verso la tutela del generale contrasto del rischio clinico e quindi verso interessi aziendalistici piuttosto che verso la tutela della sicurezza della cura del singolo paziente) e conseguentemente con ipotesi di automatismo fra applicazione in tale guisa delle linee-guida ed operativita’ della causa di non punibilita’.
Una conclusione che consente anche di escludere che il precetto in esame possa essere sospettato di tensione col principio costituzionale di liberta’ della scienza e del suo insegnamento (articolo 33 Cost.), come pure di quello dell’assoggettamento del giudice soltanto alla legge (articolo 101 Cost.).
Cio’ posto, va tuttavia osservato che la sentenza richiamata commette l’errore di non rinvenire alcun residuo spazio operativo per la causa di non punibilita’, giungendo alla frettolosa conclusione circa l’impossibilita’ di applicare il precetto, negando addirittura la capacita’ semantica della espressione “causa di non punibilita’” e cosi’ offrendo, della norma, una interpretazione abrogatrice, di fatto in collisione con il dato oggettivo della iniziativa legislativa e con la stessa intenzione innovatrice manifestata in sede parlamentare. Senza considerare che la principale obiezione della sentenza in questione, e cioe’ la confusione della formulazione legislativa e la sua incongruenza interna, avrebbero dovuto trovare sfogo nella denuncia di incostituzionalita’ per violazione del principio di legalita’.
7.2. Dal canto suo, la sentenza Cavazza ha il pregio di non discostarsi in modo patente dalla lettera della legge, ma, per converso, nel valorizzarla in modo assoluto, cade nell’errore opposto perche’ attribuisce ad essa una portata applicativa impropriamente lata: quella di rendere non punibile qualsiasi condotta imperita del sanitario che abbia provocato la morte o le lesioni, pur se connotata da colpa grave. E cio’, sul solo presupposto della corretta selezione delle linee-guida pertinenti in relazione al caso di specie, si’ da rendere piu’ che concreti i profili di illegittimita’ della interpretazione stessa, quantomeno per violazione del divieto costituzionale di disparita’ ingiustificata di trattamento rispetto ad altre categorie di professionisti che parimenti operano con alti coefficienti di difficolta’ tecnica.
8. Invero, proprio a partire dalla interpretazione letterale, non puo’ non riconoscersi che il legislatore ha coniato una inedita causa di non punibilita’ per fatti da ritenersi inquadrabili – per la completezza dell’accertamento nel caso concreto – nel paradigma dell’articolo 589 o di quello dell’articolo 590 cod. pen., quando l’esercente una delle professioni sanitarie abbia dato causa ad uno dei citati eventi lesivi, versando in colpa da imperizia e pur avendo individuato e adottato, nonche’, fino ad un certo punto, bene attualizzato le linee-guida adeguate al caso di specie.
8.1. Il comportamento dell’esercente la professione sanitaria oggetto di scrutinio e’ quello che ha prodotto un evento causalmente connesso ad un errore colpevole, a sua volta dipendente dalla violazione di una prescrizione pertinente. Sono destinati a rimanere esclusi i casi di eventi lesivi o letali connessi a comportamenti in relazione ai quali la violazione di prescrizioni potrebbe non essere per nulla ravvisabile o comunque potrebbe non essere stata qualificante, avendo il sanitario, ad esempio, fatto ricorso, pur senza l’esito sperato, e fatti salvi i principi in materia di consenso del paziente, a raccomandazioni o approdi scientifici di dimostrato, particolare valore i quali, pur sperimentati con successo dalla comunita’ scientifica, non risultino ancora avere superato le soglie e le formalita’ di accreditamento ufficiale descritte dalla legge.
8.2. La previsione della causa di non punibilita’ e’ esplicita, innegabile e dogmaticamente ammissibile non essendovi ragione per escludere apoditticamente – come fa la sentenza De Luca-Tarabori – che il legislatore, nell’ottica di porre un freno alla medicina difensiva e quindi meglio tutelare il valore costituzionale del diritto del cittadino alla salute, abbia inteso ritagliare un perimetro di comportamenti del sanitario direttamente connessi a specifiche regole di comportamento a loro volta sollecitate dalla necessita’ di gestione del rischio professionale: comportamenti che, pur integrando gli estremi del reato, non richiedono, nel bilanciamento degli interessi in gioco, la sanzione penale, alle condizioni date.

segue pagina successiva in calce all’articolo
[…]

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *