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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza n. 33373 dell’1 agosto 2013

Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Pesaro, in sede di rinvio a seguito di precedente annullamento disposto dalla Corte di cassazione, ha respinto l’appello del Pubblico Ministero contro il decreto datata 8 febbraio 2012, con cui il giudice delle indagini preliminari aveva respinto la richiesta di sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 321 c.p.p. e L. n. 356 del 1992, art. 12-sexies di una serie di dipinti e quadri rinvenuti in possesso dell’indagato diversi da quelli indicati ai capi a) e b) dell’imputazione provvisoria relativa all’art. 648 c.p. (i quali si assumevano come provento di contraffazione o di furto), deducendo che gli altri fossero assoggettabili a confisca per la sproporzione tra il valore dei quadri e dipinti, stimata da un esperto in complessivi Euro 1.130.878,00 e i redditi percepiti dall’indagato negli anni 2008 e 2009.
2. Nell’ordinanza, in accoglimento della deduzione difensiva con cui si contestava che l’acquisto dei beni in parola fosse concentrato negli anni 2008 e 2009, il Tribunale ha osservato che, sulla base degli atti presentati, “non è possibile nè riferire l’acquisto delle opere agli anni 2008, nè formulare la conseguente valutazione di sproporzione rispetto ai redditi dichiarati in quegli anni”.
3. Ricorre per cassazione il Pubblico Ministero, ex art. 325 c.p.p., deducendo violazione dell’art. 581 c.p.p., lett. c), art. 322-bis c.p.p. e art. 309 c.p.p., comma 9 ed assumendo che alla predetta conclusione il Tribunale è pervenuto per avere illegittimamente dichiarato inammissibile la produzione, da parte del Pubblico Ministero, delle dichiarazione dei redditi dell’indagato da cui si ricava che, pur sommando tutti i redditi dichiarati dal 1996 ad oggi e ipotizzando che costui abbia destinato tutto il suo reddito all’acquisto dei quadri diversi da quelli rubati o contraffatti, la somma dei redditi conseguiti nel corso di quasi un ventennio (pari a Euro 924.602) non raggiunge neppure il valore dei quadri di cui è stato trovato in possesso (stimato dal consulente della parte pubblica in Euro 1.130.878,00).
Motivi della decisione
1. Nonostante l’erroneo riferimento del ricorrente alla violazione dell’art. 309 c.p.p., comma 9, norma del tutta estranea al procedimento d’appello, tanto che l’art. 310 c.p.p. richiama altri commi dell’art. 309, ma non casualmente omette di menzionare il comma 9, il ricorso merita accoglimento.
2. Osserva il Collegio che erroneamente il Tribunale ha ritenuto che la produzione delle dichiarazioni dei redditi dell’indagato, da parte del Pubblico Ministero, integrasse un nuovo motivo d’appello.
Il motivo di impugnazione di cui all’art. 581 c.p.p. indica la ragione posta a fondamento del petitum rivolto al giudice dell’impugnazione e va distinto dalla prova di esso che la parte intende fornire.
La produzione sulla condizione reddituale dell’indagato non costituiva un nuovo motivo di impugnazione, bensì la documentazione della situazione reddituale dell’indagato relativa agli anni precedenti al biennio 2008-2009, in cui erano stati rinvenuti i quadri in possesso dell’indagato, al fine di provare l’esistenza comunque di una sproporzione tra valore dei quadri e redditi dell’indagato.
3. In proposito, questa Corte ha stabilito che la condanna per uno dei reati indicati nel D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12-sexies, conv. con modd. nella L. 7 agosto 1992, n. 356, comporta la confisca dei beni nella disponibilità del condannato, allorchè, da un lato, sia provata l’esistenza di una sproporzione tra il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica e il valore economico di detti beni e, dall’altro, non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi. Di talchè, essendo irrilevante il requisito della “pertinenzialità” del bene rispetto al reato per cui si è proceduto, la confisca dei singoli beni non è esclusa per il fatto che essi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento del medesimo reato.
Le Sezioni Unite hanno anche stabilito che – quando sia provata l’esistenza di una sproporzione tra il reddito dichiarato dal condannato o i proventi della sua attività economica e il valore economico dei beni da confiscare e non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi – è necessario, da un lato, che, ai fini della “sproporzione”, i termini di raffronto dello squilibrio, oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei valori economici in gioco, siano fissati nel reddito dichiarato o nelle attività economiche non al momento della misura rispetto a tutti i beni presenti, ma nel momento dei singoli acquisti rispetto al valore dei beni di volta in volta acquisiti, e, dall’altro, che la “giustificazione” credibile consista nella prova della positiva liceità della loro provenienza e non in quella negativa della loro non provenienza dal reato per cui è stata inflitta condanna.
Giova anche precisare che le condizioni necessarie e sufficienti per disporre il sequestro preventivo di beni confiscabili a norma dell’art. 12-sexies cit. consistono, quanto al fumus commissi delicti, nell’astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato e in relazione alle concrete circostanze indicate dal P.M., di una delle ipotesi criminose previste dalle norme citate, senza che rilevino nè la sussistenza degli indizi di colpevolezza, nè la loro gravità e, quanto al periculum in mora, coincidendo quest’ultimo con la confiscabilità del bene, nella presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi (Cass. Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, Montella, Rv. 226490-91-92).
Va, infine, ricordato, che nella procedura di appello cautelare l’utilizzazione del materiale probatorio nuovo prodotto da una delle parti è possibile, ma è subordinata alla positiva verifica che la controparte sia stata posta nelle condizioni di poter esercitare il diritto al contraddittorio (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 36206 del 24/09/2010, Serrallegeri, rv. 248711). Ovviamente compete al giudice, eventualmente adottando opportuni differimenti dell’udienza, garantire che tale contraddittorio sia effettivo.
4. L’ordinanza impugnata deve, pertanto essere annullata, con rinvio al Tribunale di Pesaro, per nuovo esame sulla base dei principi di diritto sopra enunciati.
P.Q.M.
La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuova deliberazione al Tribunale di Pesaro in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 2 maggio 2013.

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