SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI
SENTENZA 21 luglio 2014, n. 32237
RITENUTO IN FATTO
1. All’esito del giudizio di primo grado, svoltosi nelle forme del rito abbreviato, il G.u.p. presso il Tribunale di Genova ha pronunciato la sentenza del 17 settembre 2010, con cui ha dichiarato C.A., N.G.G., C.S. e G.A., colpevoli del reato di turbativa d’asta di cui al capo sub 1): a) quanto a G.A., limitatamente all’ipotesi di allontanamento dei concorrenti MSC e G. HOLDING e con l’esclusione delle altre ipotesi contestate; b) quanto a N. G.G., C.S.M. e C.A., con l’esclusione delle ipotesi di concussione in danno delle parti civili M.I. e I.M. e C. s.p.a. e della condotta di esclusione dell’impresa concorrente P. dalla gara; concesse a tutti gli imputati le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante ed applicata la diminuente del rito, li ha quindi condannati alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 2 di reclusione ed Euro 200,00 di multa ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali, applicando ai predetti la pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per il periodo di un anno ciascuno.
Con la medesima pronuncia, inoltre, il G.u.p. di Genova ha assolto C.A., N.G.G., C.S.M. ed altri imputati dai rimanenti reati loro rispettivamente ascritti, perchè il fatto non sussiste.
2. La Corte d’appello di Genova, con sentenza del 14 marzo 2012, in parziale riforma della sentenza del G.u.p. – appellata dal Procuratore della Repubblica e dal Procuratore Generale della Repubblica nei confronti degli imputati C.A., N. G.G., C.S.M., G.A., S. A. ed altri, dagli stessi imputati C.A., N. G.G., C.S.M. e G.A., e dalle parti civili rappresentate dall’Autorità Portuale di Genova (nei confronti dei predetti imputati C.A., N.G. G., C.S.M. e G.A.) e da M. I. e I.M. & C. s.p.a. (nei confronti di N. G.G. e C.S.M.) – ha dichiarato non doversi procedere per il reato di turbativa d’asta di cui al capo sub 1), perchè estinto per prescrizione, nei confronti di N.G. G. e C.S.M., per tutte le condotte loro contestate, ad eccezione della condotta relativa all’esclusione dell’impresa P. s.r.l., da cui li ha assolti perchè il fatto non costituisce reato; ha inoltre dichiarato non doversi procedere per il reato di cui al capo sub 1), perchè estinto per prescrizione, nei confronti di G.A., per la condotta relativa alla rinuncia alla gara da parte delle società concorrenti M.S.C, e G. Holding, nonchè per quella relativa alla determinazione dei concorrenti rimasti in gara ad aderire ad un progetto di riparto, assolvendo infine C.A. dal reato di cui al capo sub 1) perchè il fatto non costituisce reato, ad eccezione della condotta di concussione, per la quale ha confermato la sentenza assolutoria oggetto di impugnazione.
Riguardo agli altri reati, la Corte d’appello ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di N.G.G. e C. A. in ordine ai reati di falso ideologico di cui ai capi sub 2) e 3), perchè estinti per prescrizione, ad eccezione dell’attestazione circa la rinuncia di alcuni partecipanti, condotta per la quale ha confermato la sentenza assolutoria oggetto di impugnazione; ha poi assolto C.S.M. in ordine ai reati di cui ai capi sub 2) e 3), per non avere commesso il fatto, nonchè N.G.G., C.S.M. e C. A. dal reato di truffa aggravata di cui al capo sub 4), perchè il fatto non costituisce reato; ha infine assolto N. G.G. e C.S.M. dai reati di concussione in danno di M.I. e M.G., di cui ai capi sub 5) e 7), perchè il fatto non costituisce reato, ed il N.G. G. anche dai reati di abuso d’ufficio, in favore della Compagnia Unica C.R.L., e di turbativa d’asta, in relazione ad una nuova procedura di gara indetta con successivo bando del 27 aprile 2007, di cui ai capi d’imputazione sub 10), 11), 12) e 13), perchè il fatto non costituisce reato, confermando nel resto la sentenza appellata.
2.1. Con la medesima pronuncia, inoltre, la Corte d’appello ha dichiarato N.G.G. e C.A. civilmente responsabili dei fatti di cui ai capi sub 2) e 3), e N.G. G. e C.S.M. civilmente responsabili del reato di cui al capo sub 1), anche nei confronti delle parti civili M.; ha poi condannato sia N.G.G. che C.S. M., in solido, al risarcimento dei danni per il reato di cui al capo sub 1) nei confronti di tutte le parti civili costituite, da liquidarsi in separato giudizio, e condannato N.G.G. e C.A., in solido, al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, per i reati di cui ai capi sub 2) e 3): quanto a N.G.G., nei confronti di tutte le parti civili costituite, e quanto a C.A. nei confronti della sola parte civile Autorità Portuale di Genova.
3. La complessa vicenda storico-fattuale oggetto della regiudicanda concerne la procedura di assegnazione di aree demaniali marittime ricadenti nel c.d. “compendio Multipurpose” del Porto di Genova, la cui definizione si è progressivamente estrinsecata attraverso una serie articolata di atti e condotte, che può essere compiutamente ricostruita sulla base del contenuto dei vari temi d’accusa di seguito illustrati.
3.1. Agli imputati N.G.G., C.A., C.S.M. e G.A. è contestato – nel capo suo 1) – il reato di cui all’art. 110 c.p., art. 353 c.p., comma 2, perchè, in concorso tra loro, il C.A. quale pubblico ufficiale preposto agli incanti o alle licitazioni per l’Autorità Portuale di Genova, il N.G.G. quale presidente dell’Autorità Portuale di Genova, il C.S.M. quale consulente dell’Autorità Portuale e del citato presidente, turbavano la procedura di gara indetta dal presidente dell’Autorità Portuale di Genova con una bando di gara del 23 ottobre 2003, volta all’assegnazione di una concessione demaniale marittima ai sensi della L. n. 84 del 1994, art. 18 relativa ad un’area di circa 245.120 mq. comprendenti i pontili Canepa e Libia ed aree retrostanti (c.d.compendio MULTIPURPOSE), non procedendo alla regolare valutazione delle offerte, allontanando alcuni offerenti ed ottenendo la ratifica, da parte dei concorrenti rimasti in gara, di un disegno già predeterminato e deciso autonomamente su proposta di G. A., dichiarando infine chiusa formalmente la procedura con la ratifica del predetto accordo per effetto della Delib. 15 aprile 2004.
In particolare essi:
– ottenevano la rinuncia alla gara Multipurpose da parte delle società concorrenti M.S.C, e G. HOLDING mediante la promessa ai rappresentanti legali delle due predette società, A. G. per M.S.C, ed G.A. per G. HOLDING, di far ottenere agli stessi la futura concessione sull’area che sarebbe derivata dal riempimento della “calata Bettolo”;
– costringevano, mediante condotta concussiva, M.I. e M.G., legali rappresentanti della società I. M. S.p.A. (che a quel punto era quella con le maggiori probabilità di ottenere l’intero compendio), ad accettare il citato piano di riparto;
– allontanavano con promesse e mezzi fraudolenti le ditte concorrenti STC e THERMOCAR delle quali ottenevano il ritiro;
– escludevano illegittimamente e senza motivazione il concorrente P., che, invitato a ritirare l’offerta aveva rifiutato;
– determinavano i concorrenti rimasti in gara ad aderire ad un progetto di riparto delle aree preparato dagli stessi indagati, inserendo tra i soggetti anche la società TIRRENIA S.p.A. che mai aveva presentato offerte nella procedura evidenziata.
3.2. Ai soli imputati N.G.G., C.A. e C.S.M. è inoltre contestato il reato di cui agli artt. 110 e 479 c.p., art. 61 c.p., n. 2 (capo sub 2) perchè, con le qualifiche indicate al capo precedente, in concorso tra loro ed al fine di compiere il reato di turbativa d’asta sopradescritto, formavano un atto pubblico attestante fatti non veri. In particolare, al fine di indurre in errore i membri del Comitato Portuale formavano una relazione (in data 7 aprile 2004) nella quale si dava falsamente atto che era stato proposto un accordo da parte degli operatori interessati e partecipanti alla procedura, e che alcuni dei partecipanti avevano rinunciato. Attestazione, questa, ritenuta falsa in quanto l’accordo non era stato proposto dai partecipanti, ma era stato preparato dagli stessi indagati (su proposta del solo G. A.) e da loro stessi imposto ai concorrenti anche con la realizzazione del reato di concussione ai danni dei M..
3.3. Ai predetti imputati sono stati contestati anche il reato di cui agli artt. 110, 48 e 479 c.p., art. 61 c.p., n. 2 (capo sub 3) – perchè, nelle qualità su indicate, mediante la redazione dell’atto falso di cui all’imputazione che precede, il cui contenuto veniva riportato nella Delib. Comitato Portuale 15 aprile 2004, formavano un atto ideologicamente falso mediante l’induzione in errore dei membri del Comitato Portuale – nonchè quello di cui all’art. 110 c.p., art. 640 c.p., comma 2, (capo sub 4) perchè, con artifici e raggiri consistiti nel preparare un progetto di riparto delle aree da affidare in concessione, nel quale veniva inserita anche la società Tirrenia, non partecipante alla procedura, e nel far risultare falsamente in atti, anche con false dichiarazioni al Comitato Portuale, che tale progetto era stato proposto dai partecipanti alla procedura, inducevano in errore i membri del Comitato Portuale in ordine alla regolarità delle rinunce, al fatto che la proposta fosse stata effettuata spontaneamente dai concorrenti ed in ordine al fatto che fosse lecito che anche la società Tirrenia avesse la possibilità di ottenere una concessione nell’ambito della gara: in tal modo, il Comitato Portuale ratificava l’accordo e consentiva al N.G.G. il rilascio della concessione a favore di Tirrenia, procurando così alla stessa società un ingiusto profitto derivante dall’ottenimento della concessione demaniale marittima, rilasciata il 19.11.2004, con corrispondente danno per i legittimi concorrenti, che si trovavano ad ottenere una parte minore della superficie richiesta, in quanto parte delle aree venivano affidate in concessione alla predetta società.
3.4. Al N.G.G. ed al C.S.M. è poi contestato il reato di cui agli artt. 110 e 317 c.p., art. 61 c.p., n. 2, (capo sub 5) perchè, in concorso tra loro, minacciavano M.I. e M.G., responsabili della società I.M. S.p.A., di chiudere la gara per l’assegnazione delle aree “Multipurpose”, che la predetta società aveva buone possibilità di aggiudicarsi per l’intero comparto, e di rifarla, invitando a partecipare società che, per le loro dimensioni, non avrebbero consentito la vittoria della M. s.p.a., così costringendoli a sottoscrivere un accordo di spartizione (predeterminato dagli indagati) con altri partecipanti alla gara predetta, ed imponendo tra l’altro nell’accordo la società Tirrenia che non aveva partecipato alla gara: in tal modo, essi li costringevano pertanto a dare indebitamente agli altri firmatari dell’accordo l’utilità di ottenere le concessioni demaniali ivi previste, limitando la propria concessione a soli 80.000 mq., ed alla Società Tirrenia, che non aveva partecipato alla gara, l’utilità di ottenere una concessione demaniale marittima per 50.000 mq., nonchè a promettere al N.G.G. ed al C.S.M. di ritirare tutti i ricorsi proposti nei confronti dell’Autorità Portuale, tra i quali anche il ricorso nei confronti della Cooperativa Santa Barbara, difesa proprio dal C.S.M., ricorso che in nessun modo riguardava la vicenda “Multipurpose”, ed ancora a sottoscrivere la rinuncia a circa 7000 mq di concessione a nord del magazzino ex DERNA, per essere assegnati alla Centro Servizi Derna e ad acquistare quattro gru porta contenitori.
3.5. Agli stessi imputati N.G.G. e C.S. M. è stato altresì addebitato il reato di cui agli artt. 56, 110 e 317 c.p. (capo sub 7) perchè, con le stesse minacce di cui al capo di imputazione che precede, formulate dal N.G.G. in epoca posteriore e prossima al 1.4.2004, ponevano in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere M.I. e M.G. a rinunciare ad altri ricorsi che la M. s.p.a. aveva proposto – non riguardanti in alcun modo la questione “Multipurpose” – nei confronti della “Santa Barbara”, società difesa dal C.S.M. (ricorso diverso da quello di cui al capo che precede inoltrato contro l’Autorità Portuale), e nei confronti del corpo dei Piloti del porto di Genova, società anch’essa difesa dal C.S.M., non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla loro volontà (dato il fermo rifiuto dei M., che ottenevano al riguardo l’intervento del Sindaco di Genova, prof. Pe., nella seduta di Comitato Portuale del 15.7.2004).
3.6. A N.G.G. e S.A. è contestato, nel capo sub 13), il reato di cui all’art. 110 c.p., art. 353 c.p., comma 2, perchè, in concorso tra loro, N.G.G. quale presidente dell’Autorità Portuale di Genova, S.A. quale concorrente alla nuova gara, turbavano la procedura di gara indetta dal presidente dell’Autorità Portuale di Genova con bando di gara del 27.4.2007 (gara poi sospesa con provvedimento del 29.5.2007 a seguito di un parere dell’Avvocatura dello Stato), volta all’assegnazione di una concessione demaniale marittima ai sensi della L. n. 84 del 1994, art. 18, relativa ad un’area di circa 245.120 mq comprendenti i pontili Canepa e Libia ed aree retrostanti (c.d. compendio MULTIPURPOSE) e indetta dopo l’annullamento da parte del T.A.R. LIGURIA della precedente gara di cui al capo di imputazione sub 1), contattando alcuni concorrenti, anche tramite lo S.A., al quale N.G.G. prometteva la vittoria in un’altra procedura, in modo da ottenere un assenso alla sottoscrizione di un nuovo accordo secondo i desiderata della Compagnia Unica.
3.7. Al solo N.G.G., infine, sono stati contestati i seguenti reati di abuso d’ufficio.
3.7.1. In relazione al capo sub 10), il reato di cui all’art. 323 c.p., commi 1 e 2, e art. 1161 c.n., commesso in Genova fino al 04.02.2008, perchè, quale pubblico ufficiale nello svolgimento delle proprie funzioni di presidente dell’Autorità Portuale di Genova, in violazione di norme di legge intenzionalmente procurava alla società Compagnia Unica C.R.L. un ingiusto vantaggio patrimoniale di rilevante entità, derivante dall’occupazione arbitraria per molti anni in assenza di concessione demaniale marittima di alcuni immobili siti in ambito portuale in viale Africa. In particolare, perchè: a) pur essendo a conoscenza della situazione di concreta occupazione in assenza di qualsiasi concessione da parte della citata società Compagnia Unica di un’area demaniale marittima e di alcuni immobili siti in ambito portuale in viale Africa, ometteva qualunque intervento in violazione della L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 6, comma 1, lett. A, art. 8, comma 3, lett. F, H, ed N bis, e degli artt. 36, 54, del Codice della Navigazione; b) ometteva, in violazione della L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 8, comma 3, lett. H, che richiama l’articolo 54 c.n., di ingiungere il rilascio dei beni occupati arbitrariamente; e) ometteva (in violazione del D.L. 5 ottobre 1993 n. 400, art. 8 convertito nella L. 4 dicembre 1993, n. 494 e successive modificazioni) di richiedere il pagamento degli indennizzi e dei canoni arretrati e di riscuotere tali somme, con ulteriore violazione degli artt. 14, 15, 16 e 17 del Regolamento di amministrazione e contabilità approvato dal Ministero dei Trasporti con provvedimento DEM 1/00128 del 27.1.2000 (regolamento sostituito da quello approvato con nota MTRA/DiNFRA 6530 del 26 giugno 2007), specificati nelle disposizioni attuative artt. 2 e 3; d) tentava altresì di fissare un canone illegittimo al di sotto dei limiti previsti dalla L. 4 dicembre 1993, n. 494 e successive modificazioni (artt. 1, 3, 7 e tabelle ministeriali richiamate) ed a tal fine congelava il procedimento relativo alla concessione demaniale marittima per l’area e gli immobili indicati, non provvedendo nei termini di legge (L. n. 241 del 1990, art. 2 e regolamento di attuazione per la disciplina del procedimento amministrativo dell’Autorità Portuale di Genova, approvato con Decreto del 18 aprile 1996 n. 375).
3.7.2. In relazione al capo sub 11), il reato di cui all’art. 323 c.p., commi 1 e 2, commesso in Genova fino al 04.02.2008, perchè, quale pubblico ufficiale nello svolgimento delle proprie funzioni di presidente dell’Autorità Portuale di Genova, in violazione di norme di legge intenzionalmente procurava alla società Compagnia Unica C.R.L. un ingiusto vantaggio patrimoniale. In particolare, pur a conoscenza che la società citata effettuava forniture di manodopera in assenza di autorizzazione in violazione della L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 17 e art. 21, comma 1, lett. B), nonchè del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 20 e dell’art. 4 con violazione dell’art. 6, comma 1, lett. A), art. 8, comma 3, lett. F, H, N bis), della legge portuale, ometteva qualsiasi intervento di controllo, segnalazione ed interruzione delle violazioni di legge riscontrate; inoltre, in violazione della L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 17, comma 2, e art. 3, e art. 8, comma 3, lett. L) ed N bis), ometteva di indire la procedura accessibile ad imprese italiane e comunitarie, finalizzata alla individuazione dell’impresa, ed in violazione della L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 17, comma 5, ometteva di istituire l’apposita agenzia deputata dalla legge alla fornitura di lavoro temporaneo in caso di non indizione della gara o di non rilascio della autorizzazione; quanto sopra procurava alla società Compagnia Unica un ingiusto vantaggio patrimoniale di rilevante entità, costituito dalla possibilità di continuare ad effettuare fornitura di lavoro in assenza della prevista autorizzazione, in assenza di partecipazione e vittoria nella prevista procedura competitiva, in assenza dei presupposti per la stessa partecipazione alla gara indicati dall’art. 17, comma 2, nonchè dall’art. 4 del regolamento per i servizi portuali 6 febbraio 2001, n. 132. La su citata società risultava oggetto di autorizzazione ai servizi ed operazioni portuali ai sensi della L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 16 (rilasciata in data 13.12.2002) del tutto incompatibile con un’eventuale autorizzazione ai sensi dell’art. 17 della citata legge meglio descritta al capo che segue.
3.7.3. In relazione al capo sub 12), il reato di cui all’art. 323 c.p., commi 1 e 2, commesso in Genova fino al 04.02.2008, perchè, quale pubblico ufficiale nello svolgimento delle proprie funzioni di presidente dell’Autorità Portuale di Genova, in violazione di norme di legge, intenzionalmente procurava alla società Compagnia Unica C.R.L. un ingiusto vantaggio patrimoniale. In particolare, mediante la violazione della L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 16, comma 6, e dell’art. 16, comma 4, lett. B), della citata legge, specificato nell’art. 5, comma 3, del “Regolamento recante la disciplina per il rilascio, la sospensione e la revoca delle autorizzazioni per l’esercizio di attività portuali” n. 585 del 31/3/1995, ometteva di verificare il rispetto delle condizioni previste nel programma operativo, in realtà mai presentato dalla società; ometteva inoltre di revocare l’autorizzazione in violazione del citato art. 5, comma 3 del regolamento 585 del 31/3/1995; ometteva altresì di adottare i provvedimenti sanzionatori di sospensione e revoca di cui all’art. 7 del regolamento 585/1995 e di iniziare il procedimento relativo, malgrado la citata società non avesse neppure risposto alle missive del 28 ottobre 2003 n. 1408 e del 28 agosto 2007 n. 15201, con le quali l’Autorità Portuale richiedeva la presentazione di vari documenti attestanti i presupposti per mantenere l’autorizzazione;
procurava in tal modo intenzionalmente alla citata società un ingiusto vantaggio patrimoniale consistito nella possibilità di operare in carenza dei presupposti di legge ed in presenza di condizioni che avrebbero imposto la revoca o la sospensione della autorizzazione.
4. Le parti civili M.I. e I.M. e C. s.p.a.
hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova del 14 marzo 2012, in relazione ai punti e capi per i quali gli imputati N.G.G. e C.S. M. sono stati prosciolti dai reati di concussione in loro danno, contestati nelle imputazioni sub 5) e 7), nonchè in relazione alla liquidazione delle spese di costituzione di parte civile.
A) Viene in primo luogo censurata la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione riguardo alla fattispecie di concussione, per avere la Corte genovese, da un lato, richiamato tutti gli elementi di fatto che indicano la coazione psicologica esercitata dagli imputati per costringere la società M. alla condotta da loro voluta, evidenziando anche l’atteggiamento prevaricatore del N.G.G. circa l’imposizione della sistemazione del c.d. “Multipurpose” ed il ritiro di tutti i ricorsi presentati in sede giudiziaria, e dall’altro lato, ciò nonostante, per non avere ritenuto sufficientemente provato oltre ogni ragionevole dubbio l’elemento soggettivo del reato, la cui configurazione, peraltro, richiede il mero dolo generico. I due imputati, entrambi esperti di economia portuale, non potevano non rendersi conto che, privando la società M. dell’intera concessione del compendio, o, quanto meno, dell’area per la quale era stata formulata un’istanza subordinata, sarebbe stato arrecato alla predetta società un enorme pregiudizio operativo e un danno patrimoniale di rilevante entità.
B) Si deduce, in secondo luogo, la erronea applicazione dell’art. 541 c.p.p., non avendo la Corte d’appello provveduto alla liquidazione delle spese ed onorari spettanti alle parti civili nel primo grado di giudizio, sì come richiesta all’atto delle conclusioni.
C) Con memoria del 22 febbraio 2014 il difensore delle parti civili ha svolto ulteriori argomenti a sostegno dell’accoglimento dei motivi di ricorso, evidenziando in particolare come l’accordo del primo aprile fu in realtà un’imposizione per la quale M. si vide necessitato ad optare per il “male minore”.
5. Con memoria depositata nell’interesse della parte civile Autorità portuale di Genova in data 24 febbraio 2014, il suo difensore ha svolto ampie ed articolate argomentazioni a sostegno della correttezza della pronuncia della Corte d’appello di Genova, formulando puntuali osservazioni critiche rispetto alla fondatezza delle deduzioni oggetto delle varie censure prospettate dagli imputati nei rispettivi ricorsi, dei quali ha chiesto il rigetto con la conferma della sentenza impugnata, soffermandosi, in particolare, sulle ragioni a sostegno della piena ammissibilità della costituzione di parte civile dell’Autorità portuale di Genova e sull’assenza di qualsiasi ipotesi di violazione o errata applicazione della norma incriminatrice di cui all’art. 353 c.p..
6. Il P.G. presso la Corte d’appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione lamentando carenze motivazionali, travisamento della prova e vizi di violazione di legge in relazione agli artt. 5, 43, 47 e 317 c.p., con riferimento ai capi d’imputazione sub 5) e 7), dovendosi ritenere del tutto irragionevole che la stessa condotta materiale, ossia la costrizione della persona offesa M., valutata sia come elemento della turbativa d’asta, sia come elemento della concussione, possa essere ritenuta sorretta dal dolo sufficiente ad integrare la turbativa d’asta, ma non la concussione, sebbene la Corte di merito abbia ritenuto provata l’imposizione dell'”accordo” di spartizione da parte degli imputati, senza lasciare alcuna alternativa alla persona offesa.
La Corte, inoltre, ha erroneamente ritenuto, per la sussistenza e la prova del dolo, non solo la consapevolezza della costrizione finalizzata alla realizzazione del disegno perseguito dagli imputati, ma anche la consapevolezza della illiceità specifica della condotta, ossia della sua riconducibilità alla fattispecie di reato, sebbene la stessa avesse sottolineato, in motivazione, la pervicacia e l’ostinazione del N.G.G. nel raggiungere il risultato del ritiro dei ricorsi, nonchè la sua assoluta indifferenza all’osservanza delle regole, in vista del risultato da ottenere ad ogni costo.
6.1. Con riferimento al reato di cui al capo sub 13), il ricorrente ha lamentato che la Corte, pur avendo osservato che la seconda gara avviata mediante l’avviso del 27 aprile 2007 era una vera e propria gara ai sensi dell’art. 353 c.p., ha tuttavia erroneamente ritenuto che l’intervenuta sospensione della stessa abbia influito sull’elemento soggettivo, inducendo il N.G.G. a non percepire l’incidenza della sua condotta sulla regolarità della procedura sospesa. Analoghe insufficienze motivazionali, peraltro, investono la posizione dell’imputato S.A., in ordine al prospettato deficit di consapevolezza sulle implicazioni giuridiche della sua condotta.
6.2. Con riferimento al reato di cui al capo sub 10) vengono esposte analoghe considerazioni, avendo la Corte d’appello evidenziato in motivazione numerosi elementi utili per il riconoscimento della sussistenza del dolo del contestato abuso d’ufficio, la cui presenza, dunque, avrebbe dovuto correttamente desumere dall’esame delle concrete circostanze del fatto.
6.3. Infine, anche riguardo ai reati di cui ai capi sub 11) e 12) si lamenta la mancata considerazione di una serie di elementi di fatto idonei a fornire la piena prova della coscienza e volontà di favorire la Compagnia Unica ed il Ba., in relazione alle condotte di abuso d’ufficio ivi prospettate: non v’è infatti alcuna prova che se il N.G.G. avesse preteso la presentazione del programma operativo, il porto avrebbe perso il mantenimento dei traffici esistenti.
7. C.S.M. ha proposto ricorso per cassazione a mezzo dei suoi difensori di fiducia avverso la su indicata pronuncia della Corte d’appello, deducendo tredici motivi di doglianza il cui contenuto viene di seguito sinteticamente riassunto.
7.1. Violazione degli artt. 76 e 80 c.p.p., nonchè del R.D. 30 dicembre 1933, n. 1611, art. 43 con riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. b) e c), per la mancata estromissione della parte civile Autorità Portuale di Genova stante il difetto di legittimazione del suo difensore. L’eccezione, avanzata in sede di udienza preliminare, si basa sul rilievo che il decreto n. 465 emesso dal Presidente di quell’Autorità in data 6 maggio 2009, con il quale veniva conferito incarico professionale ad un avvocato del libero foro, nonchè procura speciale per costituirsi parte civile nel procedimento dinanzi al G.i.p. di Genova, era stato adottato in violazione di quanto previsto dalla su indicata disposizione normativa, secondo cui l’Avvocatura dello Stato possiede ex lege ed in via automatica lo ius postulandi nei confronti dell’Autorità Portuale di Genova, senza neppure la necessità che venga formalizzato un incarico. Peraltro, il d.p.c.m. del 4 dicembre 1997, con riguardo alle predette Autorità, ha espressamente autorizzato l’Avvocatura dello Stato a rappresentare in qualunque giudizio alcune di esse, tra le quali, appunto, l’Autorità portuale di Genova. Qualora sussistano “casi speciali”, e l’ente interessato non intenda avvalersi della esclusiva difesa fornita ope legis dall’Avvocatura dello Stato, occorrono una motivata Delib. in ordine al requisito di specialità del caso e la conseguente sottoposizione della Delib. all’organo di vigilanza, che nell’ipotesi de qua è il Ministero dei Trasporti e della Navigazione. Nel caso in esame, tuttavia, non risultano elementi da cui dedurre con certezza che il su indicato decreto sia stato sottoposto al controllo dell’organo di vigilanza, tale non potendosi ritenere, come, di contro, erroneamente affermato dalla Corte d’appello, l’organo di controllo periferico individuato nel Collegio dei revisori dei conti. Ne discende che il mandato conferito ad un avvocato del libero foro con il su indicato decreto n. 465, essendo mancato in radice qualunque coinvolgimento di organi diversi dal Presidente dell’Autorità Portuale di Genova, e, soprattutto, il nulla osta previsto dalla circolare ministeriale, è da considerarsi nullo e, comunque, inefficace, con la conseguente inammissibilità della costituzione di parte civile.
7.2. Violazione di legge e carenze motivazionali in relazione alla ritenuta configurabilità del reato di turbativa d’asta, nonostante l’impossibilità di ravvisare nel caso di specie il requisito della “gara”. La sentenza impugnata, infatti, qualificando come gara la procedura avviata con l’avviso del 23 ottobre 2003 sulla base della considerazione dell’interesse pubblico enunciato dall’art. 37 c.n. e L. n. 84 del 1994, art. 18, ha ritenuto sufficiente la sussistenza di un interesse pubblico di riferimento, prescindendo invece dalla necessaria predeterminazione dei criteri di scelta del contraente, limitativi della discrezionalità della P.A., ed in tal guisa ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di questa Suprema Corte, che non ritiene sufficiente una mera comparazione delle offerte, ma esige che le stesse siano poste in competizione, ovvero in concorrenza tra loro, sulla base di criteri specifici e predeterminati, preventivamente e pubblicamente resi noti ai singoli offerenti. In tal senso, i riferimenti al canone ed al prezzo della compravendita delle gru non si traducono in criteri predeterminati di scelta, trattandosi di elementi economici non attinenti all’incremento dei traffici ed alla produttività del porto, di cui all’art. 18, comma 6, della legge portuale.
7.3. Violazioni di legge e carenze motivazionali riguardo all’art. 353 c.p., alla L. n. 84 del 1994, art. 18 e alla L. n. 241 del 1990, art. 11 che consentono il perseguimento e l’esito consensuale di procedure di assegnazione di aree demaniali portuali, laddove l’impugnata pronunzia ha ritenuto configurabile una gara penalmente rilevante, nonostante il fatto che la procedura in esame potesse avere anche un esito consensuale, alla luce del disposto di cui all’art. 18, comma 4, della su citata legge portuale, che attraverso la previsione di accordi sostitutivi offre l’opportunità di negoziati finalizzati ad esiti maggiormente favorevoli per il soddisfacimento dell’interesse pubblico. In tal senso, la pronuncia impugnata avrebbe dovuto in concreto apprezzare se l’esito della riunione del Comitato portuale dell’8 marzo 2004 integrasse o meno una Delib. autorizzativa dell’esito consensuale, così implicando la revoca del precedente avviso del 23 ottobre 2003, ossia dell’atto istitutivo della procedura, esclusivamente volto, nella prospettiva seguita dalla Corte d’appello, ad un esito autoritativo.
7.4. Violazioni di legge e carenze motivazionali riguardo agli artt. 49 e 353 c.p., in relazione alla ritenuta configurabilità del delitto di turbativa d’asta, nonostante l’assoluta inidoneità delle contestate condotte ad influire sull’andamento della gara, in ragione delle innumerevoli, gravi, irregolarità preesistenti alla procedura e in grado di deviarla dal suo regolare svolgimento (ad es., gli incontri ed i contatti già intercorsi tra le parti, la mancanza di una Delib., da parte del Comitato portuale, della procedura che avrebbe dovuto portare all’assegnazione del compendio da parte della Commissione aggiudicatrice in virtù della comparazione tra gli offerenti, nonchè la mancata istituzione della Commissione di esperti prevista nella c.d. “Relazione Mo.” del 14 ottobre 2003 (dal nome del responsabile del procedimento), che concorreva ad integrare lo statuto della procedura, e l’istituzione, per contro, di una Conferenza di servizi non prevista dalla Delib. istitutiva e integrata con l’associazione di altri funzionari).
7.5. Violazione di legge e carenze motivazionali in relazione alla ritenuta configurabilità del reato mediante “collusione” e ricorso a “mezzi fraudolenti”, nonostante l’assenza del requisito della clandestinità, tipico di tali elementi della fattispecie, avuto riguardo, in particolare: a) agli articoli di stampa che precedettero e seguirono la riunione del Comitato portuale dell’8 marzo 2004, fino ai giorni immediatamente precedenti la sottoscrizione del documento del 1^ aprile 2004, sì da evidenziare la pubblica notorietà di una soluzione complessiva che investiva non solo il compendio “Multipurpose”, ma anche il compendio “Bettolo”; b) alla dichiarazione resa da N.G.G. nella citata riunione del Comitato portuale dell’8 marzo 2004, orientata nel senso di una soluzione finalizzata a permettere l’ingresso nel Porto genovese di nuovi gruppi armatoriali ed operatori logistici, garantendo la salvaguardia degli operatori già presenti. Inoltre, al fine di surrogare il difetto di clandestinità dell’intesa collusiva, che avrebbe dovuto comportare l’esclusione della qualificazione come collusione della sottoscrizione del documento del 1^ aprile 2004, la sentenza impugnata ha erroneamente configurato l’asserito mezzo fraudolento, consistente nella presentazione al Comitato portuale di tale documento come proposta degli operatori, quale modalità inerente alla condotta di turbativa consistente nell’intesa, in tal modo violando la norma dell’art. 353 c.p., che definisce i mezzi fraudolenti come condotte autonome e distinte rispetto a quelle identificate dalla norma, e non già come modalità di queste ultime.
7.6. Violazione di legge e carenze motivazionali in relazione alla ritenuta configurabilità del reato di turbativa d’asta in ordine alle condotte consistenti nell’allontanamento dalla procedura di MSC e G., con la correlativa violazione dei criteri di valutazione della prova dettati dall’art. 192 c.p.p., comma 3, per avere la Corte d’appello, da un lato, ritenuto che la promessa di assentimento delle aree da realizzare in futuro non sia stata resa da C.S.M., essendo stata invece riferita al solo presidente N.G.G., e per avere, dall’altro lato, fondato l’affermazione di responsabilità del ricorrente sulla base di dichiarazioni rese da persone coinvolte nel fatto-reato (gli avvocati Rossi e Busnelli) e che, come tali, avrebbero dovuto essere sottoposte ad un vaglio rigoroso quanto alla veridicità delle asserzioni, vaglio, di contro, omesso dalla Corte d’appello, poichè le dichiarazioni dell’avvocato Rossi sono state riscontrate esclusivamente con quelle rese dall’avv. Busnelli, che aveva formalmente rivestito la posizione di coindagata, almeno fino a quando non ha reso le sue dichiarazioni al P.M..
7.7. Violazione di legge e carenze motivazionali in relazione alla ritenuta configurabilità del reato di turbativa d’asta in ordine alle condotte consistenti nell’allontanamento dalla gara delle ditte Thermocar e STC, avuto riguardo non solo all’assenza di idonei riscontri alle dichiarazioni sul punto raccolte nel corso delle indagini, ma anche al fatto che la stessa Corte riconosce che la permanenza in gara di quelle società non avrebbe potuto avere alcuna influenza sul suo esito, non avendo esse alcuna chance di assegnazione di aree all’esito della procedura.
7.8. Violazione di legge e carenze motivazionali in relazione alla ritenuta configurabilità del reato di turbativa d’asta in ordine alla condotta consistente nell’esclusione dalla procedura della società P., non solo per le medesime ragioni sopra indicate riguardo all’influenza concretamente esercitata sull’esito della procedura, ma anche in ragione dell’assenza di motivazione circa l’esistenza di una qualsivoglia condotta del ricorrente volta ad ottenere l’esclusione della società in questione.
7.9. Violazioni di legge e carenze motivazionali riguardo agli artt. 5, 47 e 353 c.p., in relazione alla ritenuta configurabilità del delitto di turbativa d’asta sotto il profilo dell’elemento soggettivo, nonostante l’imputato avesse dimostrato di essere incorso in una pluralità di inevitabili errori sul fatto o sulla legge extrapenale, per quel che attiene, ad es., alla qualificazione della procedura avviata dall’avviso del 23 ottobre 2003 come non integrante propriamente una “gara”, alla incidenza in tal senso assegnata al contenuto della “Relazione Mo.”, al concreto stato della procedura nel momento in cui si verificarono le contestate condotte di turbativa (sì da ingenerare il convincimento che la stessa non potesse più concludersi con una Delib. di assegnazione autoritativa del compendio), nonchè ai presupposti dell’accordo dell’aprile 2004 e all’intervenuta adozione, nella riunione del Comitato portuale dell’8 marzo 2004, di una Delib. di approvazione della determinazione annunciata dal Presidente N.G.G. di procedere nel senso di una soluzione consensuale della procedura.
7.10. Violazioni di legge e carenze motivazionali riguardo agli artt. 353 e 317 c.p., in relazione alla ritenuta configurabilità del delitto di turbativa d’asta e dell’elemento materiale del delitto di concussione, in ordine alle condotte tenute dall’imputato nei confronti di M.I. e M.G., con la correlativa violazione dell’art. 63 c.p.p., comma 2 e art. 192 c.p.p., per quel che attiene all’utilizzabilità ed ai criteri di valutazione delle dichiarazioni dagli stessi rese, rispettivamente, il 13-14 novembre 2007 e l’11 febbraio 2008, senza il rispetto delle garanzie difensive, sebbene si trattasse di persone indiziabili per un reato attribuito agli stessi imputati. Inoltre, le dichiarazioni di M.I., come quelle rese dall’avv. Busnelli, anch’essa indagata per gli stessi fatti attribuiti agli imputati, avrebbero dovuto essere sottoposte ad un vaglio rigoroso di attendibilità, sulla base della ricerca di riscontri ed altri elementi di prova che invece non sono rinvenibili nella motivazione. Le dichiarazioni rese da M.I. al P.M., peraltro, sono contraddette da altre asserzioni e da comportamenti suoi e della sua famiglia (ad es., i complimenti espressi al Presidente N.G.G. nel corso della seduta del Comitato portuale del 15 aprile 2004, il contenuto dell’appello al Consiglio di Stato avverso la sentenza del TAR Liguria che aveva annullato la Delib. di assegnazione del “Multipurpose” secondo il contenuto del documento in data 1^ aprile 2004, ovvero la relazione al bilancio della I.M. e C. s.p.a. in data 20 maggio 2004, che fa riferimento ad una trattativa con l’Autorità portuale e gli altri soggetti privati interessati alla concessione), che sono stati valutati con manifesta illogicità nella motivazione dell’impugnata sentenza. Vengono, infine, segnalati molteplici passaggi motivazionali connotati da manifesta illogicità o contraddittorietà nella disamina della presupposta posizione di priorità rispetto all’assegnazione totale o parziale del compendio, nella quale sarebbe venuta a trovarsi la predetta società a seguito della rinuncia della MSC. 7.11. Vizi motivazionali riguardo alla sussistenza dell’elemento materiale del delitto di concussione, atteso che le argomentazioni cui la pronuncia impugnata ha fatto riferimento per escludere l’elemento soggettivo sollevano fondati dubbi sulla stessa ricostruzione del fatto e dunque sull’elemento oggettivo del reato.
7.12. Violazioni di legge e carenze motivazionali riguardo all’imputazione di truffa aggravata di cui al capo sub 4), atteso che la Corte d’appello non da conto della rilevanza, rispetto alla decisione da assumere, dei profili che afferma essere ignoti al Comitato portuale in ordine alle concrete modalità di svolgimento dei fatti che avevano portato alle rinunce, nè spiega se l’imputato fosse a conoscenza delle concrete modalità con le quali il C. A. aveva richiesto a STC e Thermocar le rinunce, ovvero delle modalità con cui queste ultime avevano reagito alla richiesta, tenuto conto del fatto che il concreto svolgimento dei contatti con quelle società è, dalla stessa sentenza, riferito esclusivamente al C.A., mentre la condotta del C.S.M. si è esclusivamente concretata in una telefonata al prof. Mu. (che poi materialmente contattò la STC).
7.13. Violazioni di legge (ex art. 578 c.p.p.) e carenze motivazionali riguardo alla condanna al risarcimento dei danni pronunciata nei confronti del ricorrente, in quanto fondata su un’incompleta analisi dei fatti relativi, in particolare, alla supposta posizione prioritaria di M. nella procedura di gara.
7.14. Con note difensive depositate in Cancelleria il 24 febbraio 2014 sono state illustrate brevi considerazioni in replica ai ricorsi del P.G. e della parte civile, ribadendo sostanzialmente le argomentazioni già esposte ed insistendo nella richiesta di rigetto dei predetti ricorsi.
8. Nel ricorso proposto dal difensore di fiducia di C. A. vengono formulate sei censure, il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente riassunto.
8.1. Il primo motivo, inerente alla ordinanza emessa dalla Corte d’appello di Genova all’udienza del 7 febbraio 2012, concerne la violazione di norme processuali in materia di legitimatio ad processum della parte civile ex artt. 76 c.p.p., e ss. e viene argomentato dal ricorrente sulla base di osservazioni e rilievi sostanzialmente analoghi a quelli esposti nel primo motivo del ricorso di C.S.M..
8.2. Il secondo motivo è incentrato sulla violazione di legge ex art. 581 c.p.p., lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), per l’inammissibilità degli appelli del P.M. e del P.G., in ragione della totale carenza dei motivi inerenti alla posizione del C. A., ed in particolare delle ragioni di fatto e di diritto per le quali la sentenza di primo grado avrebbe dovuto essere riformata, pervenendo quindi ad un’affermazione di responsabilità.
8.3. Illogicità e contraddittorietà della motivazione riguardo all’affermazione di responsabilità del C.A. per il falso contestato al capo sub 2) e per l’induzione in errore di cui al capo sub 3), nonchè per la parte in cui egli viene condannato per il falso aggravato per il nesso teleologia) ex art. 61 c.p., n. 2, nonostante l’intervenuta assoluzione per l’insussistenza dell’elemento soggettivo con riferimento al reato di cui all’art. 353 c.p.. Peraltro, si osserva che l’imputato, pur avendo redatto materialmente la bozza di accordo – poi modificata e sottoscritta nel corso della riunione del 1^ aprile 2004, alla quale egli non ha partecipato – e la relazione destinata ai membri del Comitato portuale che si sarebbe riunito in data 7 aprile 2004 – il cui contenuto fa riferimento alla presenza di un accordo proposto all’Autorità portuale – non ha mai preso parte agli incontri che il N.G.G. ha organizzato presso l’ente con i vari terminalisti partecipanti alla procedura e con i rispettivi legali, durante i quali è stata definita la spartizione del compendio: egli, dunque, lo ha fatto in ossequio al dovere di collaborazione con il Presidente e nel rispetto di quanto a lui comunicato e richiesto, senza che nemmeno potesse formarsi il dubbio che quanto descritto nella relazione al Comitato portuale potesse essere falso o artefatto. Lo stesso inserimento della Tirrenia fra i destinatari del compendio, nella bozza di accordo, fu voluto esclusivamente dal N. G.G., mentre deve ritenersi del tutto irrilevante, al fine di provare la sussistenza del contestato delitto di falso, l’invio della bozza di accordo a M..
8.4. Travisamento del fatto per omessa valutazione di un tema decisivo, rappresentato dalla nomina di una seconda Commissione da parte del Comitato portuale all’esito della seduta del 23 gennaio 2004, argomento, questo, addotto in una memoria difensiva non considerata nella sentenza. La nomina della seconda Commissione non poteva essere ignorata, nè ritenuta priva di conseguenze, poichè se, in un primo momento, la procedura poteva essere intesa come una gara, gli eventi successivi, con le decisioni del Comitato portuale che Delib. quella nomina, ne hanno compromesso la natura, trasformandola in qualcosa di diverso, riconducibile più propriamente ad un accordo tra le parti. La Corte di merito, pertanto, avrebbe dovuto affrontare il tema, esplicitando le ragioni per cui quella nomina non fosse da considerarsi di per sè illegittima, avendo determinato la violazione delle norme preposte alla tutela della regolarità della procedura di gara.
8.5. Violazione di legge e carenze motivazionali riguardo al disposto di cui all’art. 353 c.p., laddove l’impugnata pronuncia erroneamente attribuisce alla procedura avviata con l’avviso del 23 ottobre 2003 – privo di indici e criteri di selezione idonei a limitare la discrezionalità della stazione appaltante – la qualifica di “gara”, come tale suscettibile di essere turbata nel suo svolgimento.
8.6. Vizi motivazionali vengono infine ravvisati con riguardo alla condanna per il risarcimento dei danni riconosciuto in favore dell’Autorità portuale di Genova a seguito della condanna pronunziata in sede di appello per i delitti di falso aggravato di cui ai capi sub 2) e 3), con contestuale declaratoria di prescrizione, senza specificare quali danni ritenuti risarcibili quelle condotte avessero cagionato alla suddetta Autorità, e senza dar conto in motivazione delle ragioni giustificative della condanna in tal modo pronunciata.
8.7. Con memoria difensiva depositata in data 7 marzo 2014 vengono esposte ulteriori, articolate, argomentazioni a sostegno della denunciata inammissibilità (v., supra, il par. 7.1.) dell’atto di costituzione di parte civile dell’Autorità portale di Genova per il mancato rispetto del R.D. n. 1611 del 1933, art. 43 con replica alle osservazioni al riguardo svolte nella memoria difensiva depositata nell’interesse della su indicata parte civile in data 24 febbraio 2014.
9. Con il ricorso proposto dal difensore di fiducia di G. A. vengono prospettati sette motivi di doglianza, il cui contenuto viene di seguito sinteticamente illustrato.
9.1. Con il primo motivo si deduce una richiesta di rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di Giustizia dell’Unione europea ex art. 267 TFUE, formulando quattro quesiti, la cui finalità è quella di chiarire quale sia la natura giuridica della procedura amministrativa in esame – anche con riferimento al disposto dell’art. 18 della legge portuale – e se essa, tenuto conto del fatto che nessuna norma di diritto euro-unitario appare specificamente riferibile alle concessioni di beni in ambito portuale, possa rientrare nella sfera di “copertura” della norma penale di cui all’art. 353 c.p., poichè, ove così non fosse, l’imputato dovrebbe essere prosciolto con ampia formula di merito.
I quesiti interpretativi sono stati così articolati:
a) se i principi generali di trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione, facenti parte dell’ordinamento dell’U.E., debbano interpretarsi nel senso che, indipendentemente da una legge nazionale adottata da uno Stato membro per la loro attuazione con specifico riguardo all’istituto della concessione di beni demaniali marittimi in ambito portuale, impongano l’assentimento di tale concessione solo all’esito di una procedura di gara di tipo competitivo-concorrenziale;
b) se, sulla base dei principi su richiamati, e con riferimento alla Comunicazione della Commissione europea 2000/C-121/02 del 29 aprile 2000, una qualunque procedura amministrativa finalizzata ad affidare in concessione un bene demaniale del tipo su indicato debba, ex se, ed in ogni caso, essere valutata come una procedura di gara di tipo competitivo – concorrenziale secondo il diritto dell’Unione europea;
c) se, in caso di risposta positiva ad una delle due questioni su formulate, la sola presenza dei principi di diritto dell’Unione europea sopra menzionati debba intendersi nel senso che tale presenza possa integrare in via meramente interpretativa il disposto di una norma nazionale anche di natura penale – l’art. 353 c.p. – posta a tutela della gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private, estendendone l’applicazione fino a ricomprendervi anche procedure amministrative che, secondo la qualificazione prevista dal diritto interno, non siano così definite e determinando, in tal modo, la penale responsabilità di coloro che agiscano in violazione di tali principi;
d) se, in caso di risposta positiva al quesito che precede, il principio di proporzionalità facente parte dell’ordinamento dell’U.E. debba interpretarsi nel senso che sia permesso punire automaticamente con una sanzione penale condotte, anche di per sè lecite ove attuate al di fuori di una procedura amministrativa di gara di tipo competitivo-concorrenziale, ma che possano risultare in contrasto con una normativa nazionale penale (ex art. 353 c.p.) posta a tutela della gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private, nell’ipotesi in cui tale tutela penale sia estesa da una prassi amministrativa e/o giurisprudenziale ad ogni ulteriore tipologia di procedura amministrativa, anche non espressamente menzionata nella normativa penale in questione, per il solo fatto che detta tipologia amministrativa, concernente l’affidamento in concessione a privati di un bene demaniale marittimo in ambito portuale, sia definibile come gara di natura competitivo-concorrenziale secondo il diritto dell’Unione europea.
9.2. Vizi di mancanza e manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza pronunciata dalla Corte d’appello il 7 febbraio 2012 in ordine al rigetto dell’istanza di inammissibilità dell’appello del P.M., avuto riguardo al disposto dell’art. 443 c.p.p., comma 3, ed al fatto che il G.A. era stato raggiunto da una sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 353 c.p. (capo sub 1), con la quale gli era stata irrogata la pena di mesi due di reclusione ed Euro 200,00 di multa.
9.3. Vizi di omessa pronuncia o, comunque, di mancanza della motivazione dell’ordinanza pronunciata dalla Corte d’appello il 7 febbraio 2012 in ordine al rigetto dell’istanza di inammissibilità dell’appello della Procura generale presso la Corte d’appello.
9.4. Nullità della sentenza per difetto di correlazione tra la decisione e l’imputazione oggetto del tema d’accusa, avendo la Corte d’appello affermato la responsabilità del G.A. anche per la condotta relativa alla determinazione di concorrenti rimasti in gara ad aderire ad un progetto di riparto del c.d. “Multipurpose” (condotta contemplata nel capo sub 1), che, in realtà, non gli è mai stata contestata. Ciò che è stato contestato al G. A., infatti, con riferimento a segmento della vicenda che ne occupa, è un concorso morale – istigazione – per aver espresso un suo parere al N.G.G. in merito al su indicato compendio, consegnandogli un promemoria di due pagine, circostanza che ne ha determinato l’iscrizione nel registro delle notizie di reato, unitamente ai coimputati principali.
9.5. Vizi motivazionali in ordine alle prove della responsabilità penale dell’imputato con riferimento alla condotta relativa alla determinazione dei concorrenti in gara ad aderire ad un progetto di riparto, punto sul quale la Corte di merito ha riformato la sentenza di primo grado, che aveva escluso che il “memo” in questione, “così diverso dal risultato”, avesse determinato il N.G.G. “nel perseguire l’illecita conclusione della procedura”. Le differenze tra il promemoria e l’accordo del 1^ aprile 2004 erano, infatti, molteplici, poichè alcune imprese, totalmente ignorate dal “memo”, erano state, invece, direttamente o indirettamente interessate dal successivo accordo (ad es., le società STC, Thermocar, P. e Tirrenia). Il memo, inoltre, era il frutto di scelte imprenditoriali libere ed incondizionate, dando atto di quanto era avvenuto, ossia dell’accordo fra A.G. e G.A. in ordine alla calata Bettolo, formalizzato con la scrittura privata del 17 febbraio 2004, accordo che, se realizzato, avrebbe comportato la rinuncia di entrambi al c.d. “Multipurpose”, a prescindere dalla realizzazione di eventuali promesse. Nel memo, infatti, non v’era alcun accenno ad una rinunzia che fosse condizionata alla promessa dell’estensione alle aree oggetto del tombamento di calata Bettolo. La rinunzia, invece, era legata alla presa d’atto da parte dell’Autorità portuale dell’ingresso di MSC nel Consorzio G., essendo ovvio che MSC, entrando nel Consorzio che aveva la concessione su Calata Bettolo, avrebbe rinunziato al “Multipurpose”. Il memo, in definitiva, rispecchiava la situazione esistente dei diversi operatori portuali interessati al Compendio in oggetto a seguito delle trattative intercorse nel 2003 per raggiungere un’intesa, ed individuava un’ipotesi di possibile conciliazione di tutte le aspettative, senza che la sua consegna al Presidente del’Autorità Portuale sia stata accompagnata o seguita dall’ordine di darvi esecuzione a qualunque costo.
9.6. Vizi motivazionali in ordine alle prove della responsabilità penale dell’imputato con riferimento alla condotta relativa alla rinuncia alla gara da parte delle società concorrenti MSC e G. Holding, tenuto conto del fatto che, diversamente da quanto sostenuto dal Giudice di seconde cure, già nel dicembre 2003 si era manifestata l’opportunità di un’alternativa commerciale altrettanto appetibile, legata all’ottenimento delle aree derivanti dal tombamento della calata Bettolo, in quanto è proprio in quell’epoca che iniziarono i contatti tra G.A. ed A. G., finalizzati alla sottoscrizione della scrittura privata del 17 febbraio 2004. Nella scrittura privata, del resto, non v’è alcun cenno al fatto che G.A. offrì la possibilità di calata Bettolo tombata e non semplicemente di calata Bettolo così com’era al momento: dall’esame della scrittura e delle obbligazioni poste a carico dei contraenti risulta, infatti, che la decisione di MSC di esercitare l’opzione nel termine previsto non solo non era condizionata al fatto che la concessione in capo a G. Holding potesse estendersi “automaticamente” a future aree derivanti dal tombamento di spazi antistanti a quelli concessi, ma che tale circostanza non era neppure menzionata fra quelle in relazione alle quali la G. Holding si era impegnata “ad adoperarsi”.
Entrambe le parti – ossia G.A. ed A.G. – erano legittimamente convinte dell’aspettativa legata alla possibilità di un’estensione della concessione sulla nuova area derivante dal futuro tombamento di quella antistante il terminal, ed in tal senso l’hanno manifestata ogni volta che ve ne è stata l’occasione, chiedendo all’Autorità portuale di riconoscerla. La scelta di A.G. in favore di calata Bettolo, in definitiva, fu libera e consapevole, e non vi fu nelle riunioni dei Comitati portuali alcuna promessa o pre-assegnazione delle aree oggetto del futuro riempimento, nè vi fu alcun tentativo, da parte di G.A. o di chiunque altro, di allontanare MSC dal “Multipurpose” al fine di realizzare la spartizione di cui all’accordo del 1^ aprile 2004.
9.7. Si lamentano, infine, vizi motivazionali in ordine alla sussistenza di errori rilevanti, ex artt. 5 e 47 c.p., sul carattere concorrenziale della procedura, sulla possibilità che la procedura venisse conclusa in modo concordato, sull’assoggettabilità o meno della procedura amministrativa in esame alla “copertura” di tipo penale offerta dalla sfera operativa dell’art. 353 c.p..
9.8. Con motivi nuovi depositati ai sensi dell’art. 585 c.p.p., comma 4, il difensore di G.A. ha illustrato ulteriori argomenti a sostegno della già formulata richiesta di rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di Giustizia dell’Unione europea ex art. 267 TFUE. 10. Con il ricorso proposto dai difensori di fiducia di N. G.G. sono stati dedotti ventisei motivi di doglianza, il cui contenuto viene di seguito sinteticamente illustrato.
10.1. Il primo motivo di ricorso, che investe l’ordinanza emessa dalla Corte d’appello di Genova all’udienza del 7 febbraio 2012 e si concentra sulla prospettata violazione di norme processuali in materia di legitimatio ad processum della parte civile ex artt. 76 c.p.p. e ss., viene argomentato dal ricorrente sulla base di osservazioni e rilievi sostanzialmente analoghi a quelli sviluppati nel primo motivo del ricorso proposto da C.S.M..
10.2. La seconda censura, formulata ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) e lett. d), investe l’ordinanza pronunciata dalla Corte d’appello in data 14 marzo 2012, con la quale veniva erroneamente rigettata l’acquisizione di rilevante documentazione, rinvenuta negli uffici dell’Autorità portuale solo qualche giorno prima, inerente ad una corrispondenza intercorsa nei giorni immediatamente successivi all’8 marzo 2004 fra alcuni terminalisti ed il Presidente N. G.G. in ordine alla ricerca di una possibile soluzione negoziale della vicenda. La Corte d’appello non ha spiegato per quale ragione i documenti prodotti dalla difesa non costituivano “significativi apporti probatori” e si è, in tal guisa, preclusa ogni possibilità di valutarne la rilevanza, sia oggettiva che soggettiva, ai fini della ricostruzione probatoria dei fatti oggetto della regiudicanda.
10.3. Violazioni di legge e carenze motivazionali in relazione all’art. 353 c.p., art. 37 c.n., della L. n. 84 del 1994, art. 28 e della L. n. 241 del 1990, art. 11 per essere stato trascurato l’approfondimento del problema dell’applicazione analogica in malam partem dell’art. 353 c.p., relativamente ai requisiti ed alla consistenza di un vero e proprio bando di gara, mancando del tutto, nel caso in esame, quel profilo di automatismo che tipicamente preclude qualsiasi accordo o soluzione consensuali. In particolare, non può parlarsi di gara, sia pure atipica, perchè nè i criteri indicati dall’art. 37 c.n., nè i requisiti aggiuntivi previsti nell’avviso del 23 gennaio 2003, integravano quel compendio di regole, condizioni e requisiti selettivi richiesti per introdurre una competizione concorrenziale idonea a determinare come automatica la scelta del vincitore. Lo stesso interesse pubblico di riferimento, ossia l’incremento dei traffici e la produttività del porto, consentiva, peraltro, una evoluzione in percorsi di tipo consensuale, in sintonia con l’art. 18, comma 4, della legge portuale, tenendo conto anche del fatto che vi era stata una Delib. del Comitato portuale in data 8 marzo 2004, con la quale si revocava l’atto istitutivo dea procedura in esame.
10.4. Violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 353 c.p., per quel che attiene alla configurazione della procedura instaurata con l’avviso dell’Autorità portuale del 23 ottobre 2003, per l’assegnazione della concessione demaniale e marittima relativa al compendio c.d. “Multipurpose” ai sensi della L. n. 84 del 1994, art. 18. La procedura in tal modo avviata, infatti, non costituiva nè un pubblico incanto, nè una licitazione privata, e non aveva le caratteristiche essenziali per rientrare nell’ambito della tutela offerta dall’art. 353 c.p.. La Corte territoriale, in particolare, ha ritenuto erroneamente infondata la doglianza secondo cui il Giudice di primo grado non avrebbe adeguatamente valutato la mancata istituzione della prevista commissione aggiudicatrice, riducendone l’attività a quella che è stata poi la funzione svolta dalla Conferenza dei servizi e trascurando la distinzione tra la fase dell’aggiudicazione, svolta da un organo tecnico vincolato dall’osservanza di criteri e parametri, e quella decisoria dell’ente che poi eventualmente rilascia le concessioni. Nè la Corte di merito ha correttamente valutato il fatto che la scelta del Comitato portuale per la nomina di una seconda commissione è stato un atto illegittimo, in violazione della lex specialis prevista nell’avviso e come tale sufficiente, di per sè, a determinare una soluzione di continuità fra la procedura seguita sino al 23 gennaio 2004 e la nuova e diversa procedura che prende avvio con le Delib. del Comitato.
10.5. Violazione di legge e vizi motivazionali in relazione alla L. n. 84 del 1994, art. 18, comma 4, per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto che la fase comparativa della procedura aperta il 23 ottobre 2003 non potesse evolvere in una fase negoziale, laddove nell’ambito dello stesso procedimento possono coesistere entrambe le fasi, come riconosciuto dallo stesso Consiglio di Stato con la sentenza del 1^ luglio 2008. Il procedimento iniziato il 23 ottobre 2003, dunque, era aperto sia ad una conclusione autoritativa, sia ad una conclusione negoziata, con la conseguente liceità di tutti gli atti compiuti al fine di raggiungere un accordo, ivi compresi i contatti, gli incontri, le interlocuzioni tra P.A. e privati. La stessa procedura concorrenziale, peraltro, doveva ritenersi sostanzialmente revocata a seguito dell’approvazione del discorso tenuto dal Presidente N.G.G. alla seduta del Comitato portuale dell’8 marzo 2004, laddove l’organo di governo dell’Autorità portuale genovese aveva autorizzato la fase negoziale esposta dal Presidente.
10.6. Violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato per le condizioni della procedura, che aveva subito modificazioni ed interventi tali da rendere non più realistica l’ipotesi, assunta in sentenza, che il risultato avrebbe potuto essere comunque diverso senza l’intervento perturbatore. Non può esservi infatti turbativa, se la gara sia stata già turbata da precedenti altrui condotte e si sia determinata una situazione per cui sia impensabile ipotizzarne la regolare prosecuzione e conclusione. In tal senso, nei mesi di gennaio- febbraio 2004, prima che il N.G.G. diventasse Presidente, si erano verificati fatti assai rilevanti: l’eliminazione della Commissione aggiudicatrice e la sua sostituzione con una Conferenza dei servizi deputata solo a dare un parere, l’eliminazione di fatto del responsabile del procedimento e la nomina di una seconda Commissione tecnica da parte del Comandante della Capitaneria, fatti che la Corte di merito non ha legato alla verifica dello stato di una procedura, che, all’epoca, non era più vitale e in grado di essere turbata.
10.7. Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 353 c.p., in relazione alla condotta di turbativa per quel che attiene all’accordo del 1^ aprile 2004, laddove la Corte distrettuale ha identificato la collusione nell’accordo stesso, non ritenendolo “clandestino”, con la conseguenza che ben difficilmente potrebbe ritenersi integrata, in tal modo, la condotta di turbativa, avuto riguardo al fatto che la collusione non era contestata specificamente nell’imputazione come condotta tipica, facendo riferimento l’accusa solo a “promesse” e “costrizioni”.
10.8. Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 353 c.p., in relazione alla condotta inerente alla rinuncia di MSC e G. Holding alla gara, mediante la promessa di far ottenere agli stessi la futura concessione sull’area che sarebbe derivata dal riempimento della calata Bettolo, omettendo la pronuncia impugnata di approfondire se il N.G.G. avesse promesso ad A. G. e G.A. la futura concessione dell’area, sebbene fossero a disposizione numerosi elementi di fatto che attestavano come la rinunzia della MSC avesse la sua origine in un momento decisamente anteriore a quello della presunta promessa, ed in epoca comunque precedente all’assunzione della carica di Presidente dell’A.P.G. da parte del N.G.G.. Peraltro, l’atto proposto per la seduta del Comitato portuale del 7 aprile 2004 non conteneva certo l’impegno di assegnare al Consorzio G. l’area derivante dal futuro tombamento, ma solo il dato che nello specchio acqueo in esame sarebbero state effettuate le opere marittime volte alla creazione di un terminal coerente con quanto previsto dal piano regolatore portuale, e nel rispetto della concessione e delle disposizioni di legge.
10.9. Violazione di legge e vizi motivazionali in relazione alle rinunce di SMC e Thermocar, per avere la Corte d’appello fatto leva su talune dichiarazioni inutilizzabili ex art. 63 c.p.p. (quelle rese da Be.) e per avere erroneamente ricollegato il concetto di promessa rilevante ai sensi dell’art. 353 c.p. ad una indeterminata prospettazione di impegni futuri, dando peraltro atto, in motivazione, che le rinunce vennero raccolte dal coimputato C. A. e che nessun contato il N.G.G. ebbe con i due rappresentanti delle due società (ossia, il Be. ed il Pu.). Nel caso in esame, peraltro, occorreva comunque un inganno, che la Corte di merito non ha individuato, posto che nella stessa sentenza si riconosce che le domande delle due società erano sicuramente destinate ad essere respinte.
10.10. Vizi motivazionali in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 353 c.p., per avere l’impugnata sentenza travisato la ricostruzione dei fatti, omettendo di esaminare tutti gli atti che attestavano come il convincimento sull’inesistenza di una gara rilevante ex art. 353 c.p. e sulla legittimità della possibilità di un accordo sostitutivo giungessero al N.G. G. dalla struttura dell’A.P.G., dai revisori dei conti, dagli avvocati delle parti, dal suo consulente, nonchè per avere illogicamente interpretato una circostanza atta ad escludere l’elemento soggettivo – l’essersi affidato ad un esperto consulente su una questione di stretto diritto – come un elemento di prova del dolo piuttosto che come un elemento di trasparenza.
10.11. Vizi motivazionali in ordine all’esistenza di errori di fatto, delineati sulla base di argomenti analoghi a quelli sopra illustrati in sede di trattazione della posizione del ricorrente C.S. M. (v., supra, il par. 6.9.), che devono pertanto intendersi qui integralmente richiamati.
10.12. Vizi motivazionali in ordine all’esistenza di errori sulla legge penale ed extrapenale, non potendosi propriamente ritenere le disposizioni di cui all’art. 37 c.n. e alla L. n. 84 del 1994, art. 18, comma 4, come norme “incorporate nel precetto penale”, trattandosi piuttosto di norme destinate a regolare rapporti giuridici di carattere non penale – assegnazione del demanio marittimo e di aree portuali mediante attribuzione individuale o accordo sostitutivo – con la conseguenza che le stesse non assumono alcuna funzione integratrice dell’art. 353 c.p. rispetto alla configurazione come “gara” della procedura.
10.13. Violazioni di legge e carenze motivazionali ex art. 63 c.p.p., comma 2, riguardo all’utilizzabilità delle dichiarazioni rispettivamente rese da M.I. e M.G. il 13-14 novembre 2007 e l’11 febbraio 2008, sul cui contenuto si sono basati l’affermazione di responsabilità per il reato di turbativa d’asta ed il giudizio di sussistenza oggettiva dei reati di concussione e tentata concussione. Anche in relazione a tale profilo vengono esposti argomenti analoghi a quelli sopra illustrati in sede di trattazione della posizione del ricorrente C.S.M. (v., supra, il par. 6.10.), con particolare riferimento al fatto che, sin dal 20 luglio 2007, per il P.M. vi erano concreti elementi per ritenere che per i sottoscrittori dell’accordo del 1^ aprile 2004 sussistevano indizi di reità in ordine alla stipula di tale atto, e non era dunque possibile raccogliere dagli stessi dichiarazioni come persone informate sui fatti senza il rispetto delle garanzie difensive.
10.14. Inosservanza delle norme processuali (ex art. 597 c.p.p.) per la modifica della formula assolutoria – dal “fatto non sussiste” al “fatto non costituisce reato” – in relazione ai reati di cui ai capi sub 4), 5), 7), 10), 11, 12) e 13), avendo il P.G. ed il P.M. proposto appello avverso la sentenza di proscioglimento per ottenere una sentenza di condanna: questo, e non altro, era l’oggetto devoluto alla Corte d’appello, la quale ha invece modificato la formula assolutoria senza che tale correzione formale potesse avere alcun effetto riconducibile all’interesse ad impugnare del P.M., ma potendo eventualmente riguardare solo problematiche di tipo civilistico, del tutto estranee all’ufficio dell’accusa. Parimenti inammissibili, inoltre, avrebbero dovuto ritenersi, per carenza del contenuto della domanda sotto il profilo del riferimento agli interessi civilistici lamentati, gli atti di appello proposti dalle parti civili, in forza della richiamata sentenza n. 9072 del 6 marzo 2010 di questa Suprema Corte;
10.15. Vizi motivazionali in ordine ai reati di falso di cui ai capi sub 2 e 3) – dichiarati estinti per prescrizione, fatta eccezione per l’attestazione circa la rinuncia di taluni partecipanti, condotta per la quale è stata invece confermata la sentenza impugnata – avendo la Corte d’appello attribuito rilievo a moventi esterni alla contestazione, e trascurato del tutto l’esame del contenuto delle dichiarazioni espresse dal N.G.G. in sede di Comitato portuale del 7 aprile 2004, laddove le stesse facevano riferimento alla predisposizione di uno “schema” poi sottoposto agli operatori che lo avevano sottoscritto, prescindendosi, peraltro, da quello che era, nel concreto, il tenore letterale dell’imputazione, quando invece nella stessa sentenza si riconosce che “effettivamente” la proposizione formale di un accordo vi era stata da parte degli operatori interessati.
10.16. Violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all’imputazione di truffa aggravata di cui al capo sub 4), laddove la sentenza impugnata ha ritenuto che le “perplessità” manifestate da alcuni membri del Comitato portuale circa l’inserimento di Tirrenia in occasione della seduta del 7 aprile 2004 dimostrino l’induzione in errore, quando le stesse attestano, invece, che l’argomento era conosciuto e fu oggetto di approfondimento. La sentenza è poi contraddittoria laddove ricorda la precedente Delib. Comitato 12 aprile 2003 e rileva che gli imputati, anche in forza di essa, erano convinti che inserimento di Tirrenia era conforme allo sviluppo dei traffici, ma non ne trae la logica conseguenza che tale convinzione, neanche un anno prima, era stata condivisa da tutti i membri del Comitato portuale, che a tale riguardo, pertanto, non furono per nulla indotti in errore dal comportamento dell’imputato.
10.17. – 10.19. Le doglianze ivi espresse ineriscono a violazioni di legge e carenze motivazionali prospettate in relazione all’elemento oggettivo del delitto di concussione di cui al capo sub 5), risultando evidente, dallo sviluppo dei fatti per come ricostruiti nella motivazione della sentenza impugnata, che il N.G. G. agì non certo per interessi personali, ma per finalità istituzionali, sicchè i fatti indicati in contestazione riflettono non già lo scambio di illeciti con utilità, ma gli sviluppi di un complesso negoziato comunque improntato al rispetto dell’interesse della P.A.. Sotto altro profilo, inoltre, si evidenzia come non risulti affatto chiaro, in motivazione, quali sarebbero le promesse ottenute attraverso la costrizione o induzione, nè si comprende chi sarebbe il presunto destinatario. Partendo dal presupposto delle motivazioni tutt’altro che illecite degli imputati, la Corte d’appello introduce poi, contraddittoriamente, l’esame di numerosi elementi attinenti alla ricostruzione del fatto, che risultano oggettivamente incompatibili con la ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato. Infine, viene sottolineata, per un verso, l’assenza di adeguati riscontri probatori alle dichiarazioni rese dai M., e, per altro verso, l’omessa considerazione di elementi oggetto del giudizio di merito, che costituivano insormontabili ragioni tali da comportare l’esclusione della società M. dalla partecipazione alla procedura di assentimento del Multipurpose (ad es., la mancata prestazione della fideiussione prescritta dalla L. n. 84 del 1994, art. 18, comma 6; l’impossibilità di assegnare quel terminal alla società M., titolare di una concessine di mq. 164.000; il riferimento del piano d’impresa ad una superficie di aree demaniali comprensiva di quelle risultanti dal tombamento, estranee all’oggetto della procedura di assegnazione). Contraddittoria ed illogica risulta la sentenza anche laddove, dopo aver ritenuto l’attendibilità di M.I., riconosce che non vi fu la minaccia da questi riferita, ma una semplice “induzione”, che però avrebbe determinato una costrizione, così violando anche il principio della correlazione tra accusa e sentenza.
10.20. Vizi motivazionali riguardo al reato di cui agli artt. 56 e 317 c.p. – capo sub 7) – configurando la sentenza una fattispecie di tentata concussione circa la rinuncia ad alcuni ricorsi proposti dalla società M. s.p.a., senza fondarla sull’individuazione di fatti precisi ed accertati, ma sulla percezione delle pressioni che sarebbero state esercitate nei confronti delle persone offese.
10.21. Violazioni di legge (ex art. 578 c.p.p.) e carenze motivazionali riguardo alla condanna al risarcimento dei danni pronunciata nei confronti del ricorrente, o perchè in totale assenza di una impugnazione per quel che attiene ai reati di falso di cui ai capi sub 2) e 3), o perchè in assenza di un appello ammissibile delle parti civili, posto che dei danni subiti non è stata data neppure una sommaria indicazione, risolvendosi gli atti di appello nella mera richiesta di una verifica dei fatti con affermazione della responsabilità dell’imputato, senza alcun riferimento diretto agli interessi civilistici che coinvolgerebbero le parti in questione.
10.22 – 10.24. Le doglianze ivi formulate ineriscono a violazioni di legge e carenze motivazionali prospettate in relazione alla sussistenza dell’elemento oggettivo dei delitti di abuso d’ufficio di cui ai capi sub 10), 11) e 12), avendo la Corte d’appello assolto il ricorrente per carenza dell’elemento soggettivo, laddove in primo grado il G.u.p. aveva assolto con la formula perchè il fatto non sussiste.
Quanto al capo sub 10), in particolare, la Corte non prende in considerazione le plurime violazioni di legge contestate, trascurando il fatto che le norme richiamate nell’imputazione non qualificano come doverose le condotte la cui omissione viene addebitata al ricorrente. Una delle contestazioni, peraltro, ossia quella relativa alla tentata fissazione di un canone illegittimo, si arresta alla soglia del tentativo ed è inidonea a configurare il reato di cui all’art. 323 c.p., in quanto priva di efficacia causale rispetto all’evento dell’ingiusto vantaggio patrimoniale; ulteriore elemento non esaminato, infine, riguarda il profilo dell’ingiustizia dell’evento riguardo all’occupazione abusiva dell’area sita in Viale Africa, sebbene il relativo tema fosse stato evidenziato nelle memorie difensive depositate nei giudizi di merito.
Quanto al capo sub 11), inoltre, la Corte ha errato nella ricostruzione della normativa in tema di attività di fornitura di lavoro portuale temporaneo da parte della Compagnia unica, omettendo la disamina delle singole violazioni di legge contestate al ricorrente in forma omissiva – e dunque attraverso la necessaria dimostrazione della doverosità del comportamento da lui pretermesso – nonchè della stessa configurabilità dell’evento tipico legato all’ingiustizia del vantaggio patrimoniale conseguito dalla Compagnia unica, sebbene il relativo tema fosse stato evidenziato nelle memorie difensive depositate nei giudizi di merito.
Quanto al capo sub 12), la Corte sembra ravvisare una generica inerzia del N.G.G., senza però specificare quali norme gli imponessero l’obbligo di attivarsi nel caso in esame, ed anzi utilizzando contraddittoriamente argomentazioni volte ad escludere il solo elemento soggettivo, che tuttavia mal si attagliano alla stessa configurabilità dell’elemento materiale.
10.25. Vizi motivazionali con riferimento alla ritenuta sussistenza del fatto addebitato all’imputato nel capo sub 13), inerente alla seconda gara indetta il 27 aprile 2007 per l’assegnazione del compendio “Multipurpose”. Al riguardo si sottolinea, in particolare, la carenza di motivazione sia in ragione della diversità ontologica della procedura – avviata attraverso la disposizione dell’art. 18, comma 4, della legge portuale – sia in ragione della significativa circostanza che dal 29 maggio 2007 la procedura in questione era rimasta sospesa, tale rimanendo sino alla scadenza del mandato presidenziale del N.G.G.: le condotte, infatti, sarebbero state commesse quando la procedura avviata con l’avviso del 27 aprile 2007 era pacificamente sospesa in attesa della decisione del Consiglio di Stato (che sarebbe intervenuta solo nel 2008).
Nessuna descrizione della condotta tipica che si assume posta in essere dal N.G.G., peraltro, sembra essere ricondotta dalla Corte d’appello nella tutela offerta dalla fattispecie di cui all’art. 353 c.p.. Analoghe illogicità della motivazione, infine, investono la disamina del contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazione telefonica, intercorse tra il N.G.G. e lo S.A. nel novembre del 2007, circa la ipotizzata promessa di una vittoria in altra procedura.
10.26. Si deduce, infine, l’assoluta carenza di motivazione in ordine alla valutazione delle prove a discarico, non esaminate in sentenza nonostante la presentazione di memorie difensive in ordine ai reati di cui ai capi sub 10), 11), 12) e 13), nonchè delle spontanee dichiarazioni rilasciate dal N.G.G. all’udienza del 24 gennaio 2012.
CONSIDERATO IN DIRITTO
11. Infondate, preliminarmente, devono ritenersi le doglianze difensive prospettate da taluni ricorrenti (ossia, da N.G. G., C.S.M. e C.A.) con riferimento alla mancata estromissione della parte civile Autorità portuale di Genova in ragione del conferimento del mandato difensivo ad un avvocato del libero foro, anzichè all’Avvocatura dello Stato, cui dovrebbe riconoscersi ex lege ed in via automatica lo ius postulandi nei confronti dell’Autorità Portuale, a norma del su menzionato R.D. 30 dicembre 1993, n. 1611, art. 43 e del d.p.c.m. 4 dicembre 1997.
Al riguardo, infatti, deve ribadirsi l’insegnamento giurisprudenziale, da tempo espresso da questa Suprema Corte (Sez. 5^, n. 2518 del 04/12/1998, dep. 25/02/1999, Rv. 212730; Sez. 5^, n. 10317 del 12/12/2000, dep. 13/03/2001, Rv. 218519), secondo cui l’esercizio dell’azione civile nel processo penale è disciplinato dalla legge processuale, e per la rappresentanza della parte civile non è operato dalla normativa processuale penale alcun rinvio a quella civile ai fini della disciplina applicabile in relazione a tale materia. Ne consegue, secondo tale linea interpretativa, l’ulteriore regola in base alla quale, essendo la rappresentanza processuale della parte civile disciplinata dall’art. 100 c.p.p., comma 1, che prevede il “ministero di un difensore”, questi ben può essere un avvocato esercente fuori del distretto, non iscritto, quindi, nell’albo degli avvocati e procuratori del distretto della Corte di appello nell’ambito del quale si trova l’ufficio giudiziario presso il quale egli rappresenta la parte civile.
Seguendo tale regola di piena autonomia rispetto alla possibile incidenza delle diverse forme procedimentali al riguardo delineate in altri settori dell’ordinamento, l’art. 100 c.p.p. enuclea un precetto che disciplina la rappresentanza tecnica obbligatoria della parte civile nel processo penale, conferendo non ad essa personalmente ma al professionista a ciò incaricato con la procura ad litem il potere di compiere un’attività processuale non espressamente riservata alla parte (ex art. 100, comma 4, cit.).
La Corte d’appello, sul punto, ha correttamente ritenuto soddisfatta la condizione normativa richiesta dalla su indicata disposizione processuale, chiarendo come fosse del tutto pacifica, e comunque non revocata in dubbio dalle parti, la sussistenza della effettiva volontà manifestata dal Presidente dell’Autorità portuale di Genova – che ne ha la rappresentanza L. 28 gennaio 1994, n. 84, ex art. 8 – di costituirsi parte civile nel processo penale conferendo la relativa procura speciale ad un avvocato del libero foro, anzichè all’Avvocatura dello Stato.
In tal senso, la motivazione della relativa Delib., assunta dal Presidente con il su citato decreto n. 465 del 6 maggio 2009, ha chiaramente evidenziato, infatti, le ragioni giustificative della scelta dell’ente di costituirsi parte civile con le forme e modalità sopra indicate.
Nessun rinvio, parimenti, viene effettuato dal codice di rito alle regole in tema di rappresentanza e difesa delle amministrazioni pubbliche non statali previste da disposizioni speciali quali quelle evocate dai ricorrenti (R.D. 30 dicembre 1933, n. 1611, art. 43), con la conseguenza che eventuali vizi ravvisabili nel rapporto sottostante tra l’ente pubblico e l’organo di vigilanza chiamato ad approvarne o ratificarne le scelte relative all’esercizio dei suoi poteri di rappresentanza possono, tutt’al più, rilevare sul piano delle conseguenze amministrative del modus operandi seguito dall’ente, non certo sui profili attinenti alla validità dell’atto di costituzione di parte civile all’interno del processo penale, che deve rispettare le diverse formalità ivi autonomamente contemplate negli artt. 78 c.p.p. e ss..
12. Parimenti infondate devono ritenersi le su indicate doglianze difensive (v., supra, i parr. 8.1., 9.2. e 9.3.) in ordine al rigetto dell’istanza di inammissibilità degli appelli, avendo la Corte d’appello offerto, con l’ordinanza del 7 febbraio 2012, congrua giustificazione della decisione di infondatezza al riguardo adottata, osservando, sia pure con sintetica motivazione, che la disamina del contenuto dei relativi motivi di gravame consentiva di ritenere che nessuno di essi avesse ad oggetto propriamente i capi per i quali vi era stata condanna, con la conseguenza che l’indifferenziata proposizione dell’appello rispetto al reato di cui al capo sub 1) della sentenza risultava essere una enunciazione meramente formale, priva di reale incidenza riguardo alla sostanza della questione proposta.
Anche in relazione agli altri capi oggetto degli appelli presentati dal P.M. e dal P.G. deve escludersi ogni profilo di inammissibilità, avendo i relativi atti di impugnazione individuato i “punti” che intendevano devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandoli con riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, sulla base di una sufficiente enunciazione delle ragioni di fatto e di diritto atte a sorreggerli e con una riconoscibile indicazione sia dei motivi di dissenso dalla decisione appellata che dell’oggetto della diversa Delib. sollecitata presso il giudice del gravame (Sez. 6^, n. 13261 del 06/02/2003, dep. 25/03/2003, Rv. 227195; Sez. 1^, n. 471 del 04/12/2012, dep. 08/01/2013, Rv. 254090).
13. E’ da escludere, inoltre, la rilevanza della questione di interpretazione pregiudiziale dedotta dal G.A. (v., supra, il par. 9.1.), vertendo la stessa, essenzialmente, sulla individuazione della natura e dell’ambito di applicazione di norme interne, con l’esplicita affermazione del presupposto che, nel caso in esame, nessuna norma di diritto euro-unitario appare specificamente riferibile alle concessioni di beni in ambito portuale.
E’ noto che, nell’ambito del procedimento pregiudiziale, il ruolo della Corte di Giustizia è quello di fornire un’interpretazione del diritto dell’Unione o di statuire sulla sua validità, mentre l’applicazione del principio di diritto affermato dalla Corte in ordine alla situazione di fatto che è alla base del procedimento pendente dinanzi al Giudice nazionale, spetterà invece a quest’ultimo.
Il sistema del rinvio pregiudiziale, attualmente regolato dall’art. 19, par. 3, lett. b), del Trattato sull’Unione europea (TUE) e dall’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (T.F.U.E.), è un meccanismo fondamentale del diritto dell’Unione europea, che mira a preservare l’uniformità dell’interpretazione ed applicazione delle norme euro-unitarie. La Corte di giustizia dell’UE, pertanto, è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale solo sull’interpretazione del diritto dell’Unione europea e sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni, dagli organi ed organismi dell’Unione, non certo sulla portata applicativa e sul senso da attribuire ad una fattispecie incriminatrice prevista dalla legislazione nazionale – l’art. 353 c.p. – e posta a tutela della gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private.
Al riguardo v’è, ancora, da considerare che, secondo i principii desumibili da una linea interpretativa di recente tracciata da questa Suprema Corte (Sez. 6^, n. 12821 del 11/03/2013, dep. 19/03/2013, Rv. 254907), il reato di turbata libertà degli incanti è generalmente configurabile anche quando la procedura di aggiudicazione è basata su un criterio di scelta del contraente che si riveli incompatibile con il diritto comunitario, con il logico corollario che tale circostanza, se in concreto rilevata, può incidere, se del caso, sui soli profili inerenti alla regolarità amministrativa della gara, da far valere eventualmente, da parte degli interessati, con le apposite forme di tutela dinanzi agli organi della giustizia amministrativa.
14. Nel merito, i ricorsi proposti dagli imputati sono fondati e vanno pertanto accolti per le ragioni di seguito indicate.
14.1. Per quel che attiene alle doglianze difensive a vario titolo mosse con riguardo alla individuazione come “gara” della procedura ad evidenza pubblica che ha costituito l’oggetto dei temi d’accusa delineati nell’ambito del procedimento de quo, occorre anzitutto richiamare, alla stregua di una pacifica linea interpretativa tracciata da questa Suprema Corte, l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui il reato di turbata libertà degli incanti non è configurabile nell’ipotesi di contratti conclusi dalla pubblica amministrazione a mezzo di trattativa privata che sia svincolata da ogni schema concorsuale, a meno che la trattativa privata, al di là del “nomen juris”, si svolga a mezzo di una gara, sia pure informale (Sez. 6^, n. 12238 del 30/09/1998, dep. 23/11/1998, Rv. 213033).
Siffatta evenienza, si è affermato in questa Sede, non integra un’applicazione analogica della fattispecie criminosa di cui all’art. 353 c.p. – vietata in materia penale – in quanto non ne allarga l’ambito di applicazione, bensì concreta una interpretazione estensiva, sulla base dell'”eadem ratio” che la sorregge e che è unica, volta com’è a garantire il regolare svolgimento sia dei pubblici incanti e delle licitazioni private, sia delle gare informali o di consultazione, le quali finiscono con il realizzare, sostanzialmente, delle licitazioni private. In difetto, però, di una reale e libera competizione tra più concorrenti non può parlarsi di gara, come nel caso in cui singoli potenziali contraenti, individualmente interpellati, presentino ciascuno le proprie offerte e l’amministrazione resti libera di scegliere il proprio contraente secondo criteri di convenienza e di opportunità propri della contrattazione tra privati (Sez. 6^, n. 12238 del 30/09/1998, dep. 23/11/1998, cit.).
Dalla fattispecie incriminatrice delineata dall’art. 353 c.p. sono pertanto escluse tutte quelle ipotesi in cui non si svolge una gara in pubblici incanti o in licitazione privata, ma all’aggiudicazione dell’appalto o della fornitura a cui si addivenga mediante trattativa privata, proprio in quanto manca, propriamente, una gara. Poichè questa significa competizione, deve invece ritenersi la sussistenza della gara anche in quelle procedure amministrative cosiddette “informali” o di “consultazione” nelle quali la pubblica amministrazione fa dipendere l’aggiudicazione di opere, forniture o servizi dall’esito dei contatti avuti con persone fisiche o rappresentanti di quelle giuridiche le quali, consapevoli delle offerte di terzi, propongono le proprie condizioni quale contropartita di ciò che serve alla pubblica amministrazione. In tal caso non vi è trattativa privata, perchè la consapevolezza, per l’offerente, di non essere il solo, innesca quella contesa che è essenziale in ogni gara (Sez. 6^, n. 4741 del 31/10/1995, dep. 10/05/1996, Rv. 204646).
Siffatto orientamento è stato, in seguito, più volte ripreso e confermato da questa Suprema Corte in relazione a varie fattispecie concrete (Sez. 6^, n. 44829 del 22/09/2004, dep. 18/11/2004, Rv. 230522; Sez. 6^, n. 13124 del 28/01/2008, dep. 27/03/2008, Rv. 239314; Sez. 6^, n. 29581 del 24/05/2011, dep. 22/07/2011, Rv. 250732), ritenendo la configurabilità del reato in ogni situazione nella quale la P.A. proceda all’individuazione del contraente mediante una gara, quale che sia il “nomen iuris” conferito alla procedura, ed anche in assenza di formalità.
Entro tale prospettiva, dunque, le locuzioni “gara nei pubblici incanti” o “licitazione privata” non hanno, propriamente, un significato normativo mutuato dalle procedure per l’aggiudicazione degli appalti per pubbliche forniture e con l’osservanza dei termini e delle disposizioni legislative sulla contabilità di Stato, ma vanno riferite ad ogni procedura di gara, anche informale ed atipica, mediante la quale la singola pubblica amministrazione decida di individuare il contraente e concludere un contratto, assicurando una libera competizione tra più concorrenti (Sez. 6^, n. 13124 del 28/01/2008, dep. 27/03/2008, cit.).
Il presupposto dell’interpretazione estensiva dell’art. 353 c.p., tuttavia, deve ricercarsi nella presenza di “qualificanti forme procedimentali”, nel senso che, in loro difetto, nonostante l’interpello di più soggetti, non è prestabilito alcun meccanismo selettivo delle offerte e non viene in rilievo alcuna forma di competizione e di concorrenza tra gli offerenti, si rimane al di fuori dello schema concettuale della “gara” e si è in presenza di una semplice comparazione di offerte, che la P.A. è libera di valutare come meglio crede, sia pure attraverso un contestuale esame delle stesse. La possibilità di turbare la gara, dunque, esiste solo laddove c’è la possibilità di influenzare negativamente il regolare funzionamento di questo meccanismo; se esso manca, non essendovi una gara, dovrà necessariamente escludersi una sua turbativa (Sez. 6^, n. 12238 del 30/09/1998, dep. 23/11/1998, cit.).
14.2. Nel caso in esame, è agevole rilevare come il contenuto dell’avviso di gara del 23 ottobre 2003, emanato dal Presidente dell’Autorità portuale in attuazione della Delib. Comitato portuale 15 ottobre 2003 – avente ad oggetto la parziale revoca della concessione in precedenza assentita al Consorzio “Multipurpose” e riferita all’ambito di mq. 245.000 utilizzato dalla “Multipurpose Terminal s.p.a.” – presentasse sostanzialmente i tratti identificativi dell’avvio di una procedura ad evidenza pubblica inerente all’assegnazione in regime di concessione, ai sensi della L. n. 84 del 1994, art. 18, di aree e banchine riguardanti il su indicato ambito demaniale portuale, comprendente i pontili Canepa e Libia e le annesse aree retrostanti.
Tale avviso ebbe un’adeguata pubblicizzazione su diversi giornali italiani e stranieri, stabilendo il termine per il deposito delle istanze, le caratteristiche delle domande e gli impegni che i richiedenti dovevano assumere, in conformità alla relazione del responsabile del procedimento, Mo.Er., recepita dalla predetta Delib. Comitato portuale.
Sebbene tali provvedimenti non contenessero un formale riferimento ad una “gara”, i Giudici di merito vi hanno fondatamente ravvisato, all’esito di una approfondita e dettagliata disamina del loro contenuto, gli elementi costitutivi di una gara “atipica”, per la previsione, oltre quanto sopra già rilevato, di una vera e propria base d’asta – con possibilità di offerte in aumento riguardo al canone della concessione ed al prezzo delle gru – dell’obbligo per i concorrenti di presentare un programma di attività specificamente finalizzato allo sviluppo dei traffici, di una commissione di esperti incaricata dell’esame e della valutazione delle relative istanze, dell’individuazione analitica degli elementi che la commissione esaminatrice avrebbe dovuto valutare (consistenza finanziaria e produttiva delle imprese, programmi di sviluppo ed investimento delle stesse, modalità di gestione dei traffici, ecc.).
Ne discende che l’Autorità portuale, come concordemente posto in risalto dai Giudici di merito, si era impegnata a fare una valutazione comparativa delle domande, sulla base di parametri suscettibili di un giudizio tecnico e rivelatori di un vero e proprio meccanismo competitivo, tanto che all’esito della procedura l’amministrazione avrebbe assegnato il compendio al richiedente che avesse formulato la migliore offerta di sfruttamento dei beni, conformemente all’art. 37 c.n., alla luce delle esigenze rappresentate nell’avviso e nella Delib. istitutiva della procedura.
Nè, peraltro, sembra potersi ricollegare un effetto esclusivo della natura concorrenziale della procedura – all’interno di tale impostazione ricostruttiva della sequenza e del contenuto degli atti – alla possibilità, pur prevista nell’avviso, di un’assegnazione del relativo compendio in via parziale, o condivisa tra più concessionari: l’eventuale ampliamento dei margini di discrezionalità nella scelta dell’amministrazione, di per sè considerato, non è stato ritenuto idoneo a mutare le caratteristiche di fondo e le finalità dei su indicati elementi costitutivi di una procedura ad evidenza pubblica, ove l’amministrazione era comunque tenuta a valutare in modo comparativo le richieste di concessione demaniale ai sensi del su citato art. 37 c.n., per individuare, secondo i criteri di selezione predeterminati nel relativo avviso, l’offerente in grado di soddisfare nel modo migliore l’interesse pubblico all’incremento dei traffici e della produttività del porto.
Dagli atti di avvio della procedura, dunque, sono emersi, sia pure con forme e modalità non particolarmente precise e dettagliate, e con il ricorso a formule lessicali comunque non prive di ambiguità, gli elementi sintomatici della volontà dell’amministrazione di procedere ad una gara: indicativi, nel senso della predisposizione degli atti relativi ad una gara “atipica”, sono stati ritenuti, in particolare, la preventiva indicazione dei criteri di selezione al momento della preparazione delle offerte, la natura comparativa del meccanismo di valutazione, anche in ragione della richiesta di acquisizione di documentazione contemplata nello stesso avviso di gara del 23 ottobre 2003, e la prevista istituzione di una commissione aggiudicatrice che avrebbe dovuto procedere al vaglio delle offerte presentate dai vari concorrenti.
14.3. Sulla base della ricostruzione dei fatti compiuta dai Giudici di merito, tuttavia, occorre considerare che, allo scadere del termine per la presentazione delle istanze, fissato il 28 novembre 2003, la prevista commissione di tre esperti, “per ragioni non individuate”, non venne costituita, sicchè il compito di valutare le offerte fu affidato alla Conferenza di servizi, integrata da tre esperti, ossia ad un organo previsto dalla Delib. istitutiva, nè da alcuna disposizione regolamentare.
I lavori della Conferenza terminarono il 9 gennaio 2004 con una Delib. che, all’unanimità, ritenne meglio corrispondente alle condizioni previste dall’avviso e alle disposizioni di cui all’art. 18 della legge portuale il programma di attività proposto dalla M.S.C, di A., poichè risultato, all’esito di tale valutazione, “quello più idoneo per il conseguimento delle finalità poste dall’Autorità Portuale”. Tale risultato, come osservato nella decisione di primo grado, appariva dunque univoco: una sola richiesta, relativa all’intero compendio, era stata ritenuta corrispondente alle scelte dell’amministrazione.
La Corte d’appello ha posto in evidenza, al riguardo, il fatto che, pur mancando una graduatoria, era possibile cogliere nei verbali dei lavori della Conferenza una valutazione delle diverse proposte: le istanze parziali formulate dagli altri offerenti ( P.A. s.r.l., Thermocar, S.T.C, s.p.a., ecc), ivi comprese quelle della I.M. & C. s.p.a. e della G. Holding s.p.a. e Consorzio G. Group, vennero ritenute inadeguate, mentre la proposta di accoglimento della richiesta avanzata dalla MSC, impresa di grandi dimensioni internazionali ed estranea all’ambiente dei terminalisti genovesi, non mancò di suscitare vivaci reazioni nell’ambiente portuale.
I Giudici di merito, inoltre, hanno richiamato la circostanza di fatto che, già il 18 dicembre 2003, con una lettera indirizzata a tutti i membri del Comitato portuale, M.I. aveva espressamente accusato l’allora Presidente, avv. Ga., di voler accogliere “ad ogni costo” la proposta della M.S.C., affidandole l’intero compendio, e dunque di voler condizionare ed indirizzare unilateralmente l’intera gara. Nella stessa lettera, egli suggeriva una serie di alternative, fra cui quella di assegnare a tale società un’area più facilmente accessibile per le sue grandi navi (ossia, la Calata Bettolo).
Analoghe lamentele venivano sollevate dalla “Distriport” il 16 gennaio 2004, mentre nella successiva lettera del 20 gennaio 2004, indirizzata agli stessi destinatari, il M. ribadiva le proprie opinioni e sollecitava una sospensione della gara.
I Giudici di merito hanno ritenuto dimostrato il fatto che l’ A. G. subì “diverse pressioni”, di origine non precisamente definita, ma senz’altro provenienti dall’ambiente portuale genovese, affinchè rinunziasse alla gara che aveva virtualmente vinto, dato che la Conferenza dei servizi aveva ritenuto la sua offerta come l’unica idonea. Risale a tale periodo, del resto, una lettera inviata il 22 gennaio 2004 dalla MSC all’Autorità portuale, in cui la società rendeva nota, a seguito delle pressioni ricevute da vari operatori del Porto di Genova, la propria disponibilità a ridiscutere l’istanza con “tutti gli operatori del Porto”, in modo da raggiungere una soluzione in grado di “soddisfare tutta la comunità”.
E’ in un contesto storico-fattuale connotato da margini di incertezza, ed al quale non erano estranei incontri informali, trattative, e pressioni (il 16 gennaio 2004, ad es., un quotidiano pubblicò la notizia di un incontro, non smentito dai diretti interessati, svoltosi in Ginevra il giorno precedente tra l’ A. G. e diversi esponenti della famiglia M., finalizzato a farlo rinunziare alla gara), che si svolse la riunione del Comitato portuale del 23 gennaio 2004, preceduta dalla riunione della Commissione consultiva, per deliberare sull’assegnazione del compendio “Multipurpose”.
In occasione delle discussioni avvenute nelle successive sedute della Commissione consultiva e del Comitato portuale in data 23 gennaio 2004, destinate per l’appunto a deliberare l’assegnazione del compendio “Multipurpose”, emersero, secondo quanto osservato dalla Corte d’appello: a) la consapevolezza di deliberare sul risultato di una gara; b) il quasi unanime intento di ottenere una “pausa di riflessione”, in modo da favorire la ricerca di nuove intese condivise; c) il rinvio della decisione per la “pretestuosa necessità” di un supplemento d’istruttoria volto a verificare la compatibilità tra le navi della M.S.C., e i fondali del compendio (problema tecnico, questo, che già era stato superato dalla Conferenza di servizi nella relazione di accompagnamento al Comitato portuale del 29 dicembre 2013).
La Conferenza dei servizi, infatti, aveva terminato i suoi lavori il 9 gennaio 2004, senza assegnare punteggi, comporre una graduatoria, escludere o nominare vincitore alcun soggetto proponente.
Discendono, altresì, con evidenza dal quadro ricostruttivo delineato dai Giudici di merito gli ulteriori dati di fatto inerenti: 1) alla mancata istituzione della commissione di tre membri nominati dall’Autorità portuale, benchè prevista con poteri deliberativi nella stessa relazione ” Mo.”; 2) alla valutazione finale delle proposte effettuata in suo luogo dalla Conferenza dei servizi con la su menzionata Delib. 9 gennaio 2004; 3) alla mancata aggiudicazione in favore dell’offerente (ossia, della società M.S.C.) la cui proposta era stata ritenuta maggiormente idonea alle finalità poste dall’Autorità portuale; 4) alla scelta del Comitato portuale, nella seduta del 23 gennaio 2004, di affidare la verifica degli aspetti legati agli “ulteriori e più specifici approfondimenti” sulle condizioni di manovrabilità delle navi ad una diversa Commissione tecnica nominata dal Presidente, sentito il Comandate della Capitaneria di Porto, e non il responsabile del procedimento, Mo.Er..
Si trattò, come posto in risalto nella sentenza di primo grado, di un “escamotage” per non deliberare l’assegnazione alla MSC e per prendere tempo, laddove il “vero motivo” del rinvio era legato proprio alla ricerca di “una possibile soluzione concordata”.
La mancata aggiudicazione, e, dunque, implicitamente, la decisione di non concedere l’area portuale in favore della M.S.C., seguita dalla scelta del Comitato portuale di procedere alla nomina di una nuova Commissione, non prevista nella lex specialis dettata nell’originario avviso del 23 ottobre 2003, hanno comportato l’illegittimo inserimento, nell’ambito della sequenza procedimentale, di un diverso organo di valutazione potenzialmente svincolato nelle sue determinazioni da quelle già espresse all’esito dei lavori della Conferenza dei servizi.
Una variazione sostanziale della procedura, questa, che determinava un’evidente soluzione di continuità nell’evoluzione del percorso procedimentale avviato il 23 ottobre 2003, con il sostanziale scioglimento della Conferenza dei servizi e la nomina di un nuovo e diverso organismo tecnico, discrezionalmente deliberata dal Comitato portuale in violazione della lex specialis della procedura, che in tal modo non si concludeva formalmente con la fase dell’aggiudicazione svolta da un organo tecnico vincolato al rispetto dei criteri e parametri, pur sinteticamente, individuati all’atto dell’avvio della relativa procedura.
Al mandato presidenziale del N.G.G., infatti, formalmente entrato in carica il 6 febbraio 2004, ma già investito della questione poichè la sua nomina era data per certa da diversi mesi (come precisato nella sentenza del Giudice di primae curae), segue una fitta serie di incontri con i diversi operatori, i loro avvocati ed i funzionari dell’Autorità, per discutere delle diverse possibilità di accordo e di spartizione del compendio oggetto della procedura a suo tempo avviata.
La successiva riunione del Comitato portuale dell’8 marzo 2004 fu significativamente preceduta, in particolare, da un incontro fra il G.A. ed il N.G.G. in data 1^ marzo 2004, nel corso del quale il primo consegnò al nuovo Presidente un documento – intitolato “memo Bettolo/Multipurpose” e frutto di un accordo oggetto di una scrittura privata stipulata il 17 febbraio 2004 fra la MSC e la G. Holding s.p.a. – che prevedeva, tra l’altro, la rinuncia all’istanza di partecipazione alla gara dell’ A.G. e del G.A., che avrebbero dirottato i loro interessi sulla diversa area della “Calata Bettolo”, con un’articolata ripartizione del compendio rappresentata come possibile ipotesi di soluzione non conflittuale tra le diverse aspettative degli interessati.
Nella su citata riunione del Comitato portuale il N.G. G., secondo la ricostruzione compiuta dai Giudici merito, espose il suo programma, riassunse le iniziative già svolte e preannunciò quelle future, affermando, nel “plauso generale”, che “tutta la struttura” stava lavorando per una soluzione che potesse “permettere l’ingresso nel porto di nuovi gruppi armatoriali e di nuovi operatori logistici garantendo al tempo stesso la salvaguardia” di quelli già presenti nel porto, “in una prospettiva che potrà comportare un riassetto complessivo” dell’intero bacino; egli annunciava, inoltre, che entro un mese avrebbe presentato una soluzione sulla quale il Comitato avrebbe dovuto esprimersi, mettendo fine alla “prassi delle “carte bollate” e dei ricorsi ad ogni costo nei confronti degli atti dell’Autorità portuale che non aiutano, a mio avviso, a risolvere i problemi, ma anzi li esasperano”.
Evidente, dunque, l’evoluzione in senso negoziale della procedura, ormai connotata dalla scelta di modalità approvate senza alcuna osservazione nella successiva seduta del Comitato portuale del 7 aprile 2004, e direttamente confermata dall’accordo nelle more intervenuto e sottoscritto dagli operatori interessati il 1 aprile 2004, ove i rappresentanti della I.M. s.p.a., del Centro Servizi Derna, del Consorzio Genoa Distriport e della Tirrenia (inizialmente non partecipante alla gara), preso atto della rinuncia alla partecipazione alla gara espressa da MSC e da G. Group, convennero di spartirsi il compendio secondo le modalità ed alle condizioni ivi previste.
Un quadro di proposte, quello in tal modo delineatosi, che venne sottoposto all’esame della Commissione consultiva e del Comitato portuale in occasione della seduta del 7 aprile 2004, unitamente alle valutazioni tecniche della commissione che aveva riconosciuto la compatibilità delle navi della MSC con i fondali del compendio.
Illustrata l’operazione da parte del N.G.G. e del C.S.M., si aprì, come sottolineato dai Giudici di merito, una “vivace discussione”, poichè molti dei partecipanti, pur esprimendo apprezzamento sulla “logica pattizia” in tal modo perseguita, manifestavano incertezze sul contenuto della rinuncia formulata da A.G. e G.A.. Rinviata, quindi, la discussione e dato mandato al Presidente di continuare nelle trattative, alla successiva riunione del 15 aprile 2004 – acquisita la rinuncia incondizionata di A.G. e G.A., accompagnata sia da un piano d’impresa formalmente non vincolato alle future scelte dell’ente sul tombamento della Calata Bettolo, sia dall’accordo intervenuto tra gli altri operatori per la spartizione del compendio, oltre che dalle rinunce da parte di STC e di Thermocar – il Comitato portuale espresse un generale consenso all’iniziativa e deliberò l’accoglimento della proposta sottoscritta dalle parti il 1 aprile 2004, invitandole a far pervenire piani d’impresa adeguatamente proporzionati rispetto alle concessioni assentite, con la presa d’atto delle rinunzie già intervenute e l’esclusione della P. s.r.l..
14.4. Nel corso delle diverse riunioni intervenute lungo tutto l’arco temporale dispiegatosi fra la seduta del 23 gennaio 2004 e quella del successivo 15 aprile, l’attività del Comitato portuale, pur avendone avuto la possibilità, ha volutamente omesso di definire la gara, sia pure atipica, inizialmente instaurata con l’avviso del 23 ottobre 2003 e di deliberare, pertanto, sulle originarie istanze formulate al momento dell’avvio della procedura, ma ne ha diversamente orientato il percorso evolutivo, indirizzandolo decisamente, e con il generale avallo dei partecipanti, nel senso di una soluzione per via negoziale della vicenda, così trasformandola, di fatto, nella ricerca di un accordo che tenesse conto anche delle aspirazioni espresse dai tutte le parti interessate.
Una evoluzione, questa, sostanzialmente assimilabile alle caratteristiche proprie del modello consensuale di assegnazione delle aree demaniali portuali previsto dalla su citata L. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 18, comma 4, secondo cui: “Per le iniziative di maggiore rilevanza, il presidente dell’autorità portuale può concludere, previa Delib. del comitato portuale, con le modalità di cui al comma 1, accordi sostitutivi della concessione demaniale ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 11”.
A sua volta, la norma generale contenuta nella L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 11 relativa agli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento ed espressamente richiamata in quella speciale, stabilisce che, in accoglimento delle osservazioni e proposte presentate dai soggetti partecipanti al procedimento a norma dell’art. 10, “l’amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo”.
Nell’art. 11, comma 2, inoltre, si prevede che “a tali accordi si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili”, secondo una scelta di indirizzo confermata dal legislatore nella L. n. 241 del 1990, all’art. 1, comma 1 bis, secondo cui “La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”.
Per tali accordi, dunque – pur imponendo la legge un vincolo di scopo, nel senso che la scelta della soluzione consensuale non può arrecare alcun vulnus ai principii generali di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione, dovendo in ogni caso essere perseguita la realizzazione di un pubblico interesse – vige una regolamentazione non difforme da quella contenuta nel codice civile relativamente ai contratti, tanto che la giurisprudenza amministrativa, ad es., ritiene sussistente un pieno parallelismo con le fattispecie di nullità ed annullabilità (Cons. Stato, Sez. 4^, 22 agosto 2011, n. 4795) e non esclude che la loro esecuzione sia sottoposta alle regole civilistiche in tema di adempimento, nonchè di obblighi di buona fede delle parti del contratto ai sensi dell’art. 1375 c.c., ovvero di responsabilità precontrattuale, con riferimento all’instaurazione di trattative in senso proprio, tutelabili attraverso l’impiego degli strumenti disciplinati dagli artt. 1337 e 1338 c.c. (Cons. Stato, sez. 6^, 23 novembre 2011, n. 6162).
Un quadro normativo, quello or ora tratteggiato, che consentiva all’amministrazione ed alle parti private la possibilità di sostituire un accordo al provvedimento autoritativo da adottare alla conclusione della procedura, permettendo in tal modo una legittima evoluzione del procedimento di assegnazione del compendio portuale attraverso l’innesto di un modello diverso di azione amministrativa, in quanto strutturato su una base negoziale, ma, comunque, necessariamente finalizzato al miglior soddisfacimento del peculiare interesse pubblico inerente all’assegnazione delle aree demaniali portuali, nel rispetto della regola generale posta dall’art. 37 c.n..
L’evoluzione in senso consensuale della procedura, tuttavia, proprio perchè oggettivamente caratterizzata in chiave privatistica, non consente di ritenere applicabile la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 353 c.p., non potendo costituire propriamente una turbativa di pubblico incanto, ovvero di licitazione privata, la realizzazione di condotte volte alla conclusione di un accordo sostitutivo del provvedimento finale della Pubblica amministrazione, nel libero esercizio di facoltà e poteri frutto dell’autonomia negoziale dall’ordinamento riservata alle parti.
Ne discende l’impossibilità di attribuire rilievo penale, configurandone l’incidenza nello schema descrittivo del tipo di reato delineato dalla su indicata fattispecie, a tutti quegli atti o comportamenti posti in essere dagli organi amministrativi o dalle parti private nell’esercizio della loro libertà negoziale, ossia al fine di pervenire alla conclusione dell’accordo, ivi compresi, in tal senso, gli incontri, i contatti, le interlocuzioni avvenute tra la P.A. ed i privati, la formulazione di ipotesi o bozze di accordo, ovvero tutte quelle attività, anche informali, di trattativa e mediazione che l’amministrazione può svolgere al fine di consentire la più opportuna definizione di un meccanismo convenzionale ispirato al pieno soddisfacimento dell’interesse pubblico nello specifico settore considerato.
Nell’ambito della fattispecie incriminatrice in esame, peraltro, il concetto di collusione ruota attorno alla diade formata dall’esistenza di un accordo clandestino (da ultimo, Sez. 6^, n. 26809 del 07/04/2011, dep. 08/07/2011, Rv. 250469; Sez. 6^, n. 12298 del 16/01/2012, dep. 02/04/2012, Rv. 252555), presupponendo un concerto occulto tra privati, ovvero tra il pubblico agente ed un privato offerente, diretto ad influire sul normale svolgimento delle offerte, e dunque a trarre un vantaggio determinando, al contempo, la causazione di un danno alla parte avversa: l’intesa, quindi, per tramutarsi in una collusione, deve essere mantenuta segreta, con il dichiarato scopo di alterare un pubblico incanto, ovvero una licitazione privata.
In assenza del requisito della clandestinità, di contro, non v’è un concerto penalmente rilevante, non presentando l’intesa i connotati necessari per essere ricondotta nel paradigma applicativo della fattispecie di cui all’art. 353 c.p., e rimanendo la stessa assoggettata unicamente alle reazioni esperibili in campo amministrativo.
Analogamente, secondo la linea interpretativa tracciata dal su menzionato insegnamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte, il “mezzo fraudolento” consiste in qualsiasi artificio, inganno o menzogna concretamente idoneo a conseguire l’evento del reato, ossia a manomettere il genuino andamento della gara, rimanendo pertanto escluse dal perimetro della fattispecie tutte quelle situazioni in cui possa riscontrarsi, nei confronti degli interessati, un’adeguata informazione e pubblicità del contenuto degli atti e comportamenti posti in essere dall’organo amministrativo che procede.
Nel caso di specie, come si è già avuto modo di osservare sulla base della stessa ricostruzione dei fatti operata dai Giudici di merito, emergeva con evidenza, già dalla costante pubblicizzazione degli eventi attraverso il rilievo ad essi conferito dalle informazioni giornalistiche, il dato della pubblica notorietà dell’iniziativa negoziale orientata al raggiungimento di una soluzione complessiva idonea ad investire non soltanto il compendio c.d. “Multipurpose”, ma anche la c.d. area “Bettolo”: una soluzione annunciata nella riunione del Comitato portuale dell’8 marzo, di seguito progressivamente elaborata e perfezionata per via negoziale, quindi formalmente comunicata, esaminata e discussa da parte di tutti gli interessati in occasione delle successive sedute del 7 e del 15 aprile 2004.
Entro tale prospettiva, inoltre, s’impone con pari evidenza un ulteriore rilievo: se, per un verso, la presenza di eventuali vizi di legittimità all’interno del percorso convenzionale intrapreso dall’ente pubblico può autorizzare un sindacato sull’azione amministrativa e determinare, quindi, l’annullamento dell’atto amministrativo non conforme ai relativi canoni di legittimità, per altro verso essa, comunque, non potrebbe comportare un indebito allargamento della portata applicativa della norma incriminatrice di cui all’art. 353 c.p., rendendo di per sè penalmente rilevanti condotte che fuoriescono dall’ambito della sua tutela, in quanto non solo disciplinate da regole privatistiche, ma dalla legge stessa consentite ai fini della ricerca per via consensuale di un obiettivo di tipo pubblicistico.
Nell’ambito di un’attività di tipo negoziale della P.A., dunque, dal rilievo della eventuale mancanza o invalidità della determinazione a contrarre (nel caso di specie si trattava, come si è visto, della preventiva Delib. del Comitato portuale) non può trarsi sic et simpliciter il presupposto di un’affermazione di responsabilità penale in merito alla fattispecie di cui all’art. 353 c.p., ma può discendere soltanto l’effetto patologico, sul piano amministrativo, di un’invalidità derivata del successivo accordo, con la conseguente annullabilità dello stesso per vizio del procedimento legale di formazione del consenso della parte pubblica.
Nè, sotto altro ma connesso profilo, può ritenersi che l’ingresso di momenti procedimentali nell’ambito delle procedure negoziate, pur rilevanti a fronte dell’esigenza di mantenere un’apprezzabile salvaguardia degli obiettivi e delle ragioni di pubblico interesse sottostanti all’azione amministrativa, possa di per sè trasformarle in procedure ristrette, ossia in licitazioni private, permanendo comunque rilevanti elementi differenziali, sia di ordine formale che sostanziale, tra le discipline normative di settore che regolano le rispettive procedure.
Peraltro, lungo l’intero dispiegarsi dell’arco temporale sopra delineato non erano più riconoscibili, propriamente, i tratti identificativi di una “gara” tra soggetti concorrenti, pur considerandola nel prisma della sua possibile conformazione in senso “atipico”, ma si era di fatto aperta una fase consensuale volta alla ricerca di una soluzione generalmente condivisa, cui risultava estranea l’adozione di atti di natura autoritativa da parte dell’amministrazione portuale.
In tal senso, del resto, sembrava già indirizzarsi il diverso orientamento maturato nell’amministrazione sin dalla riunione del Comitato portuale del 23 gennaio 2004, la cui volontà, come si è poc’anzi osservato, venne poi chiaramente manifestata e precisata dal nuovo Presidente, con il sostegno derivante dalla generale approvazione espressa dai partecipanti, nella relazione letta in apertura della successiva seduta dell’8 marzo 2004.
Sin dalla seduta del 23 gennaio 2004, infatti, il Comitato portuale aveva deciso di non procedere all’aggiudicazione dell’area demaniale in oggetto alla MSC e di orientarsi, conseguentemente, per una soluzione negoziata che permettesse l’assegnazione del compendio a più operatori locali.
Nè era necessaria, al riguardo, una revoca espressa dell’originario atto d’impulso della procedura, ossia dell’avviso che ne prefigurava una sua definizione in senso autoritativo, essendo stati adottati, successivamente, atti amministrativi il cui contenuto e finalità erano evidentemente incompatibili con la linea di indirizzo impressa, dai medesimi organi amministrativi, al precedente sviluppo della sequenza procedimentale, e come tali erano stati ragionevolmente percepiti da tutte le parti interessate.
Sono evenienze storico-fattuali, quelle dianzi descritte, che non possono ritenersi propriamente inquadrabili nell’ambito della previsione incriminatrice di cui all’art. 353 c.p.: se è vero, da un lato, che l’ordinamento non può recedere dal fondamentale obiettivo di sanzionare la manipolazione degli incanti e delle licitazioni private, indipendentemente dalla loro formale denominazione e a prescindere dal modo in cui si atteggia il relativo percorso procedimentale, è pur vero, dall’altro lato, che l’area della tutela penale non può essere arbitrariamente estesa per via analogica, avendo il legislatore chiaramente delimitato l’ambito applicativo della norma incriminatrice solo ad alcuni dei meccanismi di cui può avvalersi la pubblica amministrazione per individuare le proprie controparti contrattuali, ed estromesso, di contro, con il ricorso a formule lessicali di inequivocabile contenuto semantico, tutti gli altri.
Ne discende che l’instaurazione di procedure negoziate del tipo di quelle contemplate nella disposizione di cui alla L. n. 84 del 1994, art. 18, comma 4, esula dall’ambito di applicabilità della previsione incriminatrice di cui all’art. 353 c.p., potendovi rientrare solo a costo di un’inammissibile applicazione analogica in malam partem del suo contenuto precettivo.
Nel caso in esame, peraltro, è agevole rilevare che l’avvio della fase di negoziazione è rimasto del tutto svincolato, anche formalmente, dall’adesione ad uno schema concorsuale, consentendo all’amministrazione portuale di muoversi liberamente nella scelta del proprio contraente, all’infuori di un meccanismo di “gara” comunque denominato, e secondo criteri discrezionali di convenienza ed opportunità propri della contrattazione tra privati.
14.5. Muovendo da tale ordine di considerazioni, infine, è agevole rilevare l’insussistenza dei presupposti oggettivi dell’ulteriore ipotesi di turbativa di cui al capo sub 13), legata alla seconda gara indetta il 27 aprile 2007 per l’assegnazione del compendio “Multipurpose” (v., supra, il par. 3.6.).
La condotta, invero, è stata ritenuta dal Giudice di primo grado, con dirimenti argomentazioni congruamente esposte in punto di fatto, non sufficientemente determinata nella sua finalizzazione, per la genericità della formulazione del relativo tema d’accusa e delle stesse risultanze investigative, che non hanno chiarito quali fossero le reali intenzioni della Compagnia Unica, nè il contenuto dell’accordo stipulando. Essa, inoltre, sarebbe stata posta in essere nell’ambito di una procedura non solo sospesa con decreto adottato dal Presidente in data 29 maggio 2007 a seguito della decisione del Consiglio di Stato che sospendeva, il 15 maggio 2007, l’efficacia della sentenza n. 546/2007 con cui il T.A.R. aveva annullato gli atti finali della precedente procedura di cui al capo sub 1), ma addirittura avviata con la pubblicazione di un avviso il cui contenuto è stato formulato proprio ai sensi del su citato disposto di cui alla L. n. 84 del 1994, art. 18, comma 4, sostanzialmente escludendosi, in tal modo, la natura obiettivamente concorrenziale di una reale e libera competizione tra più parti, attraverso l’esplicita previsione secondo cui l’Autorità portuale avrebbe stipulato “l’accordo o gli accordi sostitutivi con il soggetto o i soggetti ai quali avrà riconosciuto il possesso dei requisiti di legge”.
Una sfera di discrezionalità assai ampia, quella riconosciuta in capo all’Ente portuale, che non consente, come si è già osservato, di ritenere giuridicamente sussistente una gara nelle ipotesi in cui, dopo avere invitato i singoli potenziali contraenti a presentare le proprie offerte, l’amministrazione resti comunque libera di scegliere la propria controparte secondo criteri di convenienza e di opportunità propri della contrattazione tra privati.
15. Insussistenti devono poi ritenersi i reati di falso e di truffa aggravata, connessi al reato di cui al capo sub 1), e rispettivamente contestati nei capi sub 2), 3) e 4), ove si consideri, come già puntualmente evidenziato dal Giudice di primae curae sulla base di una compiuta disamina degli atti amministrativi ivi menzionati, ossia della relazione preparatoria del 7 aprile 2004 e della successiva Delib. Comitato portuale 15 aprile 2004, che quanto in essi rappresentato non costituiva affatto una immutatio veri, essendo stata la proposta di accordo in effetti discussa e negoziata tra la presidenza e gli interessati, ivi compresi gli amministratori della Tirrenia, e successivamente sottoposta all’attenzione di quell’organo amministrativo per essere approvata nel corso della relativa seduta.
La elaborazione della proposta formale di un accordo vi era stata, e la stessa Corte distrettuale richiama in motivazione alcuni significativi passaggi della relazione tenuta dal N.G. G. in occasione della riunione del Comitato portuale del 7 aprile 2004, ove chiaramente si ricostruivano i diversi momenti dell’attività da lui predisposta al fine di definire uno schema da sottoporre ai vari operatori per raggiungere un’intesa: si dava conto, al riguardo, in modo trasparente, dei diversi obiettivi che si intendevano realizzare nell’ambito di una soluzione che risultasse generalmente condivisa dalle parti, dei contatti intervenuti con tutti i terminalisti del “Multipurpose”, della richiesta di ritirare i ricorsi presentati, nonchè della suddivisione delle aree con l’inserimento di Tirrenia.
Dalla decisione di primo grado emerge, altresì, che le scelte del Presidente erano state preannunciate in occasione della seduta di insediamento dell’8 marzo 2004, che il tenore di tutti gli interventi effettuati nella discussione avvenuta il 7 aprile 2004 dimostrava “una precisa conoscenza dei fatti”, tanto che nessuno si stupì della soluzione proposta dal Presidente, ed anzi plaudì alla sua iniziativa. Le stesse perplessità manifestate negli interventi di taluni membri del Comitato con riguardo al prospettato inserimento di Tirrenia nell’iniziativa costituiscono ulteriori elementi sintomatici del fatto che il tema, lungi dal determinare un’induzione in errore, è stato oggetto di discussione ed approfondimento.
Un quadro storico-fattuale, quello complessivamente evidenziato nella ricostruzione operata dai Giudici di merito, i cui tratti si pongono in radicale contrasto con la configurabilità dell’elemento oggettivo delle fattispecie di reato descritte nei relativi temi d’accusa, poichè attraverso la comunicazione dei su indicati, qualificanti, aspetti della relazione tenuta dal Presidente, i vari membri del Comitato portuale erano stati informati dei passaggi più rilevanti dell’attività da lui impostata e delle principali modalità che avevano caratterizzato gli sforzi orientati alla definizione dell’accordo nell’ambito dell’alternativa negoziale da lui promossa, così escludendosi la possibilità stessa di un’attività di induzione in errore dell’organo collegiale.
Costituisce ormai ius reception, alla luce di una consolidata linea interpretativa di questa Suprema Corte (Sez. 6^, n. 46847 del 10/07/2012, dep. 04/12/2012, Rv. 253718; Sez. 6^, n. 45203 del 22/10/2013, dep. 08/11/2013, Rv. 256869), l’affermazione del principio in base al quale nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, non può ritenersi sufficiente, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, che sia caratterizzata, come nel caso in esame, da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio, attraverso una puntuale ed argomentata disamina volta a confutare gli aspetti al riguardo ritenuti decisivi nella decisione di primo grado.
16. Analoghi rilievi devono esprimersi con riguardo ai reati di concussione di cui ai capi sub 5) e 7), ove si considerino le implicazioni dell’insegnamento giurisprudenziale dettato da questa Suprema Corte (Sez. Un., n. 12228 del 24/10/2013, dep. 14/03/2014, Rv. 258470), secondo cui il delitto di concussione, nel testo novellato dalla L. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario, il quale, senza alcun vantaggio indebito per sè, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita.
Nel caso in esame, ove i Giudici di merito hanno inquadrato il comportamento tenuto dagli imputati N.G.G. e C. S.M. entro una prospettiva finalistica del tutto coerente con il perseguimento degli interessi istituzionali legati alla ricerca di un’intesa calibrata sull’incremento dei traffici portuali, prospettiva cui era del tutto estranea la ricerca di una personale utilità economica, è agevole rilevare l’insussistenza dei presupposti oggettivi di configurabilità delle condotte delittuose enucleate nei correlativi temi d’accusa, sì come sviluppatesi, peraltro, nell’ambito di un’attività di tipo negoziale alla cui progressiva elaborazione e definizione, come si è accennato, hanno preso parte, sin dall’inizio, e con un ruolo attivo, gli stessi rappresentanti della società M..
Nella motivazione della decisione di primo grado sono stati specificamente posti in rilievo i diversi profili che, in punto di fatto, evidenziavano la contraddittorietà delle dichiarazioni rese dai M. riguardo alle modalità di svolgimento della riunione promossa dal N.G.G. presso l’Autorità portuale il 1 aprile 2004, il cui esito vide la sottoscrizione di un accordo di spartizione delle su indicate aree demaniali del Porto.
Sono state attentamente ricostruite, in tal senso, le modalità di svolgimento e la dinamica di quella riunione, valorizzando, in particolare, gli aspetti legati: a) all’incontro precedentemente avvenuto nel gennaio 2004 con A.G., il cui esito, secondo un’annotazione riportata nell’agenda personale del N. G.G., vide quest’ultimo “spaventato”; b) alla presenza, nella su citata riunione, di vari terminalisti, dei funzionari dell’Autorità portuale e di numerosi difensori che curavano gli interessi delle diverse parti da essi rappresentate; c) alla serie di incontri avvenuti nel marzo del 2004, proprio in relazione alla vicenda in esame, tra il N.G.G. e l’avvocato che rappresentava la famiglia M.; d) al plauso manifestato da M.I. all’iniziativa del N.G.G., allorquando venne approvata la suddivisione delle aree del “Multipurpose” in occasione della riunione del Comitato portuale del 15 aprile 2004; e) al fatto che nessuno dei partecipanti ha riferito in merito ad espressioni minacciose che sarebbero state pubblicamente formulate dal N.G.G. e dal C.S.M.; f) alla ulteriore circostanza di fatto che la parziale diversità di contenuto tra la bozza d’accordo trasmessa ai M. dal C. A. il 31 marzo 2004 e l’accordo finale sottoscritto dalle parti il 1^ aprile 2004 non escludeva certo l’esistenza di pregresse trattative e, sotto altro profilo, appariva ulteriormente sintomatica di un ulteriore, sia pure animato, lavorio negoziale delle parti; g) al carattere generale del contenuto della clausola, facente parte dell’accordo sottoscritto da tutti gli interessati il 1^ aprile 2004, e non imposta, dunque, unicamente alla società dei M., secondo cui tutte le parti convenivano sull’obbligo di rinuncia a qualsiasi azione giudiziale avviata nei confronti dell’Autorità portuale.
Coerente, dunque, deve ritenersi l’epilogo decisorio al riguardo raggiunto nella decisione di primo grado – non confutata in maniera adeguata e convincente dalla perplessa motivazione della sentenza d’appello, che ha sovrapposto i diversi piani della condotta induttiva e costrittiva, facendo contraddittoriamente riferimento al non intrinseco ed univoco significato intimidatorio delle espressioni in quella riunione pronunciate – secondo cui l’incontro del 1^ aprile 2004 non si risolse affatto in un “agguato”, ma in una trattativa senz’altro animata, cui probabilmente non risultò estraneo l’utilizzo di espressioni un pò forti, non solo da parte della presidenza, che venne promossa e condotta dall’Autorità portuale, ma stimolata e partecipata dai soggetti interessati, fra i quali i M., e culminata con un accordo dagli stessi sottoscritto, “come se fosse una loro autonoma proposta”, ma non loro imposto.
Analoghi rilievi devono svolgersi in merito al tema d’accusa formulato nel capo d’imputazione sub 7), ove si fa riferimento ad un reato di tentata concussione avente ad oggetto la rinuncia da parte dei M. ai ricorsi estranei alla vicenda “Multipurpose”, il cui elemento oggettivo è stato radicalmente escluso già dal Giudice di primae curae, sulla base di una congrua ed esaustiva motivazione, le cui ragioni giustificative – non validamente contraddette dalla Corte d’appello – hanno posto in evidenza che l’imputazione, così come delineata, non ha trovato alcun riscontro negli atti, non avendo mai fatto riferimento, i M., a specifiche minacce formulate dal N.G.G. a seguito della firma dell’accordo del 1^ aprile 2004.
Si lamentavano, infatti, al riguardo, le insistenti richieste scritte provenienti dal Presidente, che la predetta società riteneva ingiustificate, nell’ambito di un contrasto originato dalla esatta interpretazione della portata di una clausola dell’accordo relativa all’obbligo dei contraenti di rinunziare a tutti i ricorsi. Nelle stesse lettere inviate dal N.G.G., prosegue la decisione di primo grado, non era contenuta alcuna espressione minacciosa, ma vi si sollecitava, burocraticamente, l’adempimento del punto dell’accordo relativo al ritiro dei ricorsi pendenti.
Un quadro storico-fattuale, quello ivi delineato, che risulta del tutto incompatibile con la configurabilità, sul piano oggettivo, della contestata ipotesi di reato.
16.1. Si è più volte affermato, in questa Sede, che in tema di concussione l’espressione “altra utilità” di cui all’art. 317 c.p. ricomprende qualsiasi bene che costituisca per il pubblico ufficiale (o per un terzo) un vantaggio, non necessariamente economico, ma comunque giuridicamente apprezzabile; tale utilità, quindi, può consistere in un “dare”, in un “facere”, in un vantaggio di natura patrimoniale o non patrimoniale, purchè sia ritenuto rilevante dalla consuetudine o dal comune convincimento (Sez. 6^, 9 gennaio 1997, n. 1894, Raimondo; Sez. 6^, 11 novembre 1998, n. 3513, Piotino).
Nell’ampiezza dell’area semantica propria di tale espressione viene ricompreso anche il vantaggio di natura politica, ed infatti si è ritenuta la concussione in un caso in cui l’agente aveva ottenuto di liberarsi di un proprio avversario politico, provocandone le dimissioni con la minaccia di farlo licenziare utilizzando la capacità d’induzione, connessa con la funzione pubblica esercitata (Sez. 6^, 1 febbraio 2006, n. 21991, P.G. in proc. Piotino).
Siffatta nozione, tuttavia, non può coincidere con il vantaggio di natura istituzionale, che esclude la sussistenza del reato in quanto la prestazione, promessa od effettuata dal soggetto passivo a seguito della condotta costrittiva da parte dell’agente, giova esclusivamente alla pubblica amministrazione e persegue esclusivamente i fini istituzionali di quest’ultima; in tal caso, infatti, da un lato non si determina alcuna lesione per l’oggetto giuridico del reato, costituito dal regolare funzionamento della pubblica amministrazione, sotto il profilo del buon andamento e dell’imparzialità, dall’altro lato il fatto manca di tipicità, non potendosi l’agente identificare nell’ente pubblico e non potendo questo – dato il rapporto di rappresentanza organica che lo lega al funzionario operante – considerarsi alla stregua di un “terzo” destinatario della prestazione promessa od effettuata, agendo su piani distinti e separati l’interesse personale e privato del funzionario e quello riferibile alla P.A. (da ultimo, in motivazione, v. Sez. 6^, n. 33843 del 19/06/2008, dep. 25/08/2008, Rv. 240794; v., inoltre, Sez. 2^, n. 45970 del 11/10/2013, dep. 15/11/2013, Rv. 257754; Sez. 6^, n. 45135 del 25/09/2001, dep. 18/12/2001, Rv. 220386; Sez. 6^, n. 31978 del 27/03/2003, dep. 29/07/2003, Rv. 226219).
Ciò non esclude, peraltro, che la tutela degli eventuali interessi lesi venga affidata ai rimedi specificamente previsti dalla legislazione amministrativa (Sez. 6^, n. 45135 del 25/09/2001, dep. 18/12/2001, cit.).
Nel caso di specie, al di là di quel che si è già avuto modo di rilevare poc’anzi, la riconosciuta finalità istituzionale delle condotte contestate e l’assenza, nelle relative note modali, di ogni utilità di tipo economico perseguita dagli imputati, impongono di escludere qualsiasi oggettiva compromissione del bene tutelato dalla norma incriminatrice, quand’anche possa ravvisarsi, come genericamente affermato dalla Corte distrettuale, la concorrenza di un – peraltro assai vago – intento personale volto ad acquisire maggior prestigio ed autorità.
17. Fondate devono ritenersi le doglianze difensive prospettate dal N.G.G. in merito alla modifica, nel giudizio d’appello, della formula assolutoria di insussistenza del fatto utilizzata dal Giudice di primo grado con quella “perchè il fatto non costituisce reato”, relativamente ai reati di abuso d’ufficio contestati nei capi sub 10), 11) e 12).
17.1. Con riferimento al reato di cui al capo sub 10), deve rilevarsi come questa Suprema Corte abbia avuto modo, reiteratamente, di chiarire che il delitto di abuso d’ufficio è integrato dalla doppia ed autonoma ingiustizia, sia della condotta che deve essere connotata da una violazione di legge, che dell’evento di vantaggio patrimoniale in quanto non spettante in base al diritto oggettivo, con la conseguente necessità di una duplice distinta valutazione in proposito, non potendosi far discendere l’ingiustizia del vantaggio dalla illegittimità del mezzo utilizzato e, quindi, dall’accertata Illegittimità della condotta (così, tra le altre, Sez. 6^, n. 1733 del 14/12/2012, dep. 14/01/2013, Rv. 254208; v., inoltre, Sez. 2^, n. 2754/10 del 11/12/2009, Fiori, Rv. 246262; Sez. 5^, n. 16895/09 del 02/12/2008, D’Agostino, Rv. 243327).
Dirimente, al riguardo, appare il rilievo, già pacificamente evidenziato dal Giudice di primo grado e dalla Corte di merito erroneamente valutato, che l’importo del canone dovuto dalla Compagnia Unica, proposto – non dal N.G.G., ma dagli organi dell’amministrazione portuale – e poi approvato con la Delib.
Comitato portuale 27 settembre 2007 non era inferiore a quanto stabilito dalla legge, ma corrispondeva al minimo ivi previsto, e come tale applicabile dall’amministrazione portuale, nell’ambito di scelte discrezionali congruamente motivate in relazione alla riconosciuta utilità dell’attività svolta dalla Compagnia in favore dell’intera utenza portuale.
Nè, peraltro, è immaginabile, come già posto in risalto nella decisione di primo grado, che, in pendenza delle istanze di concessione presentate dalla predetta Compagnia, l’imputato potesse dar luogo a sgomberi, ovvero ad intimazioni di pagamento del pregresso, che costituivano comunque oggetto di un’istruttoria amministrativa da parte dei competenti organi dell’ente portuale, i cui tempi e modalità di intervento sul piano delle eventuali attività sanzionatorie costituivano frutto di scelte discrezionali il cui contenuto non poteva certo tradursi in un pregiudizio per le attività produttive.
Anche in relazione a tale specifico profilo, dunque, la Corte distrettuale avrebbe dovuto confutare il diverso assunto logico- argomentativo del Giudice di primo grado, precisando i contorni storico-fattuali e le modalità del prospettato abuso in forma omissiva, con riguardo alla specifica disposizione di legge o di regolamento oggetto dell’ipotizzata violazione.
17.2. Con riferimento al reato di cui al capo sub 11), inoltre, il Giudice di primae curae ha posto in rilievo il carattere estremamente contraddittorio e lacunoso del complesso ed articolato quadro normativo che disciplina la materia del lavoro portuale, segnato da una successione di norme tra loro non coordinate e di difficile lettura, tanto da rendere “arduo, per non dire impossibile, individuare nella materia condotte da ritenere doverose per le amministrazioni portuali”.
A sua volta, tuttavia, la Corte d’appello ha optato per una diversa soluzione, mostrando di non voler aderire all’assunto del primo Giudice, laddove egli ha attribuito “una sorta di ultrattività” alla disposizione transitoria di cui alla L. n. 84 del 1994, art. 21, lett. b),(trasformazione in società delle compagnie e dei gruppi portuali), che aveva stabilito per le prestazioni di lavoro il termine finale del 31/12/1996, mai prorogato con disposizione avente forza di legge.
Nella sentenza di secondo grado, infatti, si è sostenuto, in senso contrario, che la su citata disposizione di cui all’art. 21, lett. b), è ormai da ritenersi implicitamente abrogata per effetto della L. 30 giugno 2000, n. 186, art. 3 che ha modificato la L. 28 gennaio 1994, n. 84, sostituendone integralmente l’art. 17, ed in tal modo disciplinando ex novo la fornitura del lavoro portuale temporaneo.
Il citato art. 17, secondo la Corte di merito, sostanzialmente prevede che in ogni porto ci sia un unico soggetto che eroghi mano d’opera e che esso debba essere individuato mediante gara pubblica con evidenza internazionale. In tal modo, pur essendo ripristinata una forma di monopolio, essa è preceduta da una fase di libera concorrenza.
La Corte d’appello ha ritenuto, inoltre, che la distinzione dell’art. 21, tra la lett. a) e la lett. b) diverrebbe incomprensibile se le imprese di cui all’art. 21, lett. b), potessero svolgere operazioni portuali. Infine, è dirimente, secondo la impostazione seguita dalla Corte, la considerazione secondo cui la norma transitoria, oltre che cronologicamente, è superata perchè in contrasto con le ragioni ispiratrici della L. n. 186 del 2000, rivolta proprio ad adeguare l’ordinamento interno alla decisione del 12 febbraio 1998 della Corte di Giustizia – c.d. sentenza Raso – e al Trattato dell’Unione Europea, evitando, in tal senso, che il medesimo soggetto possa svolgere operazioni portuali e, nel contempo, fornire manodopera.
17.2.1. E’ pur vero, tuttavia, che l’abrogazione implicita, a norma dell’art. 15 delle preleggi, si ha quando si succedono nel tempo due discipline organiche della medesima materia, con la conseguenza che la precedente deve ritenersi sostituita per intero dalla successiva (mentre nel caso in esame la L. n. 84 del 1994, all’art. 17, come riformulato a seguito della novella n. 186 del 2000, richiama testualmente il disposto di cui alla L. n. 84 del 1994, art. 21, lett. b).
V’è poi da considerare che la fornitura di lavoro portuale temporaneo da parte delle ex compagnie, oggetto di trasformazione a norma del su citato art. 21, lett. b), è stata espressamente menzionata in una serie di atti normativi successivi, ai fini del riconoscimento di determinate tutele in costanza di rapporto di lavoro, legate alla previsione di meccanismi di integrazione del trattamento salariale (ad es., la L. 28 giugno 2012, n. 92, all’art. 3, comma 2).
Le modifiche introdotte nel testo dell’art. 17, del resto, non hanno fissato termini per l’adozione della nuova disciplina di lavoro temporaneo e degli interventi a garanzia di continuità dei rapporti di soci e dipendenti.
Alla su citata L. n. 186 del 2000 sono seguiti, inoltre, a titolo esemplificativo: a) la proroga iniziale del trattamento di integrazione salariale disposta al D.L. n. 158 del 2001, art. 2, comma 1, lett. a), conv. nella L. n. 248 del 2001, cui ha fatto seguito il D.M. n. 30012/2001 che ne ha disposto, all’art. 8, la concessione in favore dei lavoratori portuali transitati nelle società di cui alla L. n. 84 del 1994, art. 21, comma 1, lett. b), per il periodo dal 1^ agosto 1999 alla data di individuazione dell’impresa o di costituzione dell’Agenzia di cui all’art. 17, ai commi 2 e 5 e comunque non oltre la data del 31 dicembre 2001; b) la successione di proroghe legislative e finanziarie integrate anno per anno dai previsti accordi interministeriali e dai conseguenti decreti per l’erogazione dell’indennità; c) le modifiche apportate dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, commi 85-87, all’art. 17, comma 15, in cui, per i lavoratori delle società derivate dalla trasformazione delle compagnie portuali ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. b), si è direttamente disciplinato il meccanismo d’integrazione salariale, con efficacia dall’entrata in vigore delle disposizioni sulla proroga degli strumenti di protezione dei redditi dei lavoratori.
Una serie di interventi normativi, quella or ora sommariamente accennata, il cui contenuto e finalità ben possono interpretarsi nel senso della regolamentazione di una situazione di perdurante operatività, nel regime transitorio, delle società derivanti dalla trasformazione delle compagnie portuali. Le stesse disposizioni sulla continuità del rapporto di lavoro di soci e dipendenti di quelle società (su citato art. 17, commi 4 e 5 a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 186 del 2000) potrebbero ritenersi indicative del fatto che il legislatore ne ha comunque registrato sia la sopravvivenza, che la prosecuzione, pur a seguito della data di scadenza del dicembre 1996, della fornitura di manodopera.
In definitiva, non può non rilevarsi come la ricostruzione del quadro normativo sia quanto meno incerta e suscettibile, evidentemente, di contrapposte letture e soluzioni interpretative, sì da rendere non configurabile una condotta violativa del contenuto precettivo di una precisa disposizione di legge o di regolamento, con specifico riferimento alla contestazione formulata nel tema d’accusa, che presuppone una concreta e riconoscibile possibilità, per il presidente dell’Autorità Portuale, d’intraprendere le iniziative cui è tenuto nell’ambito delle molteplici attribuzioni conferitegli a norma della L. n. 84 del 1994, art. 8 (ossia, il controllo delle attività soggette ad autorizzazione e concessione, e dei servizi portuali, oltre all’esercizio di ogni altra competenza che la legge non attribuisca agli altri organi dell’Autorità Portuale).
Deve al riguardo ribadirsi il principio, più volte affermato in questa Sede (Sez. 6^, n. 41402 del 25/09/2009, dep. 28/10/2009, Rv. 245287; Sez. 6^, n. 1229 del 10/12/2001, dep. 14/01/2002, Rv.
220649), secondo cui il delitto di abuso d’ufficio è configurabile o quando la condotta si ponga in contrasto con il significato letterale, o logico-sistematico di una norma di legge o di regolamento, ovvero quando la stessa contraddica lo specifico fine perseguito dalla norma, concretandosi in uno “svolgimento della funzione o del servizio” che oltrepassa ogni possibile scelta discrezionale attribuita al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio per realizzare tale fine.
Una situazione, questa, non ravvisabile nel caso in esame, a fronte di un quadro normativo disorganico e suscettibile di interpretazioni diametralmente opposte, dove non è emerso alcun elemento dimostrativo dell’esistenza di un ingiusto vantaggio patrimoniale conseguito dalla Compagnia Unica, ovvero di una condotta concretatasi in uno “sviamento” – per scopo personale od egoistico, o comunque estraneo alla P.A. – produttivo di una lesione dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice (Sez. 6^, n. 35597 del 05/07/2011, dep. 30/09/2011, Rv. 250779).
17.3. Con riferimento al reato di cui al capo sub 12), infine, deve rilevarsi come il Giudice di primo grado, con lineare ed esaustiva motivazione, abbia escluso, già sul piano documentale, la configurabilità dell’elemento oggettivo della contestata ipotesi delittuosa – secondo cui il N.G.G. avrebbe omesso di assumere i provvedimenti sanzionatori conseguenti alle inottemperanze, da parte della Compagnia, delle condizioni e degli oneri imposti con l’autorizzazione, da altri rilasciata, allo svolgimento di operazioni e servizi portuali – osservando, da un lato, che dovevano essere i competenti uffici amministrativi a segnalare le inadempienze della Compagnia Unica, specie all’interno di un apparato organizzativo complesso come quello portuale, e, dall’altro lato, che nessun elemento di prova confermava l’avvenuta segnalazione di tali irregolarità al N.G.G. (il quale, peraltro, non era il Presidente che aveva rilasciato l’autorizzazione, nè poteva avere una qualche memoria personale degli obblighi dalla stessa imposti).
Un quadro logico-argomentativo, quello sviluppato dal primo Giudice, la cui coerente conclusione non è stata specificamente confutata nella motivazione della pronuncia impugnata, che nell’escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato lascia in ombra la disamina della concreta delimitazione delle note modali delle condotte omissive che sarebbero state poste in essere in violazione di determinate disposizioni di legge, oltre che dei profili inerenti all’accertamento dell’evento tipico legato alla determinazione di un ingiusto vantaggio patrimoniale in favore della Compagnia Unica, ritenendo, contraddittoriamente, di dover attribuire notevole rilievo alla oggettiva circostanza – di per sè assai significativa proprio sul piano della ricostruzione del fatto – che, allorquando N. G.G. assunse l’incarico di presidente, la descritta situazione era già attuale, cosicchè, in quella contingente situazione, da altri predeterminata, se egli avesse esercitato i poteri la cui omissione gli è contestata, avrebbe potuto compromettere l’obiettivo (realizzato anche grazie alla predetta Compagnia) del mantenimento dei traffici portuali che facevano riferimento all’area del “Multipurpose”.
18. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, assorbite le residue doglianze difensive, s’impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata secondo la formula enunciata nel dispositivo, con il rigetto dei ricorsi proposti dalle parti civili e dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Genova.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi del Procuratore generale e della parte civile.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè i fatti non sussistono.
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