SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI
SENTENZA 20 novembre 2015, n. 46071
Ritenuto in fatto
Con la decisione indicata in epigrafe la Corte d’appello di Potenza ha confermato la sentenza emessa il 26 giugno 2013, a seguito di giudizio abbreviato, con cui il G.u.p. del locale tribunale ha ritenuto S.F. e V.P. responsabili del reato di cui all’art. 319-quater c.p., così riqualificata l’originaria contestazione di concussione, ribadendo anche la pronuncia sulle pene accessorie e le statuizioni civili.
Secondo l’accusa, recepita dai giudici di secondo grado, V.P. , nella sua qualità di giudice del Tribunale civile di Taranto e assegnatario del procedimento civile avente ad oggetto una richiesta di sequestro ante causam della Kuwait Petroleum Italia s.p.a. nei confronti di T.L. , e S.F. , quale intermediario e autore materiale della richiesta concussiva, avrebbero costretto T.L. a promettere il versamento di Euro 8.000 a titolo di ‘tangente’ per l’esito favorevole del procedimento civile, somma parzialmente corrisposta dal T. – che nel frattempo aveva denunciato i fatti ai Carabinieri – nella misura di Euro 4.000 allo S. , che provvedeva a corrisponderne la metà al V. .
Entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione.
2.1. L’avvocato Carlo Petrone, difensore di V. , ha dedotto quattro motivi, che di seguito si enunciano ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p..
Con il primo motivo si fa valere il vizio di motivazione della sentenza, che ha omesso di prendere in esame una serie di deduzioni difensive tra cui le censure sulla ritenuta attendibilità e credibilità delle dichiarazioni rese dal T. , nonché le critiche alla ricostruzione dei fatti che non tengono conto degli elementi a favore del V. , il quale non è stato mai diretto interlocutore in nessuno dei dialoghi intercettati. In questo stesso motivo si rileva la illogicità della motivazione là dove non desume l’estraneità del V. alla vicenda dal fatto che né il F. (coimputato in seguito assolto) né lo S. abbiano mai contattato telefonicamente il magistrato, del quale non sono stati neanche in grado di fornire un numero telefonico di riferimento, omettendo ogni considerazione anche sulla circostanza che lo S. non è stato in grado di soddisfare la richiesta di T. di incontrare il V. , fatto che avrebbe giustificato la tesi di un millantato credito da parte dello S. . Anche la ricostruzione della reazione del V. al momento dell’arresto in flagranza viene sottoposta a critica, evidenziando l’assoluta divergenza tra quanto dichiarato dai coimputati e dalla polizia giudiziaria: nel ricorso si sostiene che dalle convergenti dichiarazioni dei coimputati risulta che il V. rifiutò la busta con il denaro offertagli dallo S. , che evidentemente stava compiendo un tentativo di corruzione, mentre la tesi secondo cui in quel momento avrebbe ricevuto parte della tangente concordata non trova alcuna giustificazione probatoria.
Con il secondo motivo si sostiene che le risultanze probatorie, in particolare le modalità paritarie dei contatti tra S. e T. in vista di un accordo condiviso, avrebbero dovuto condurre ad ipotizzare il tentativo bilaterale di corruzione, per cui i fatti avrebbero dovuto essere ricondotti nell’alveo del combinato disposto degli artt. 56 e 318 c.p..
Con il terzo motivo si rileva che ove la Corte d’appello avesse ritenuto di condividere l’impostazione accusatoria basata sul diretto coinvolgimento del V. nella trattativa illecita proposta dallo S. avrebbe dovuto inquadrare la sua condotta nella diversa fattispecie dell’istigazione alla corruzione di cui all’art. 322 comma 3 c.p.. Infatti, ove si ritenga il coinvolgimento diretto del V. , si sarebbe dovuto tenere presente che lo stesso si è solo limitato a sollecitare una dazione in denaro senza mai abusare dei propri poteri o qualità e che T. non ha mai subito una qualche forma di pressione psicologica, limitandosi a simulare l’accettazione della proposta offertagli.
Con il quarto motivo si denuncia l’erronea applicazione dell’art. 319-quater c.p. nella forma del reato consumato, mentre si sarebbe dovuto correttamente ritenere il tentativo di induzione indebita, in considerazione del fatto che T. , sin dai primi incontri con lo S. , si è sempre mosso con l’intento di smascherare i soggetti che gli stavano proponendo accordi illeciti, munendosi di registratore, per poi denunciare tutto ai Carabinieri. In altri termini, il reato non si è consumato in quanto il soggetto passivo ha accettato la proposta al solo scopo di favorire la prosecuzione delle indagini per la cattura dei responsabili.
Successivamente sono state depositate note difensive, in cui si ribadiscono i motivi già proposti nel ricorso e, con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 322 comma 3 c.p., che si ritiene debba applicarsi alla fattispecie in esame, si sottolinea come il fatto che l’istigazione alla corruzione inerisca ad un procedimento civile e quindi abbia ad oggetto gli atti giudiziari di cui parla l’art. 319-ter c.p., che però non è richiamato dall’art. 322 c.p., comporti che il reato debba essere punito con le sanzioni previste per l’istigazione alla corruzione propria ed impropria.
2.2. Gli avvocati Luca Balistreri e Luca De Feis, nell’interesse di S. , hanno dedotto quattro motivi, che di seguito si enunciano ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p..
Con il primo motivo si censura la sentenza per avere ritenuto consumato il reato di induzione abusiva di cui all’art. 319-quater c.p., ritenendo che l’accettazione non vi sarebbe stata, nemmeno il 9.3.2012, in quanto in tale data il T. aveva presentato il giorno prima la denuncia ai Carabinieri.
Con il secondo motivo, collegato al primo, si rileva l’erronea applicazione della legge penale, sostenendo che il reato di induzione indebita andava configurato nella forma del tentativo.
Con il terzo motivo si deduce l’omessa motivazione della sentenza per non aver offerto alcuna risposta alla richiesta della difesa di qualificare i fatti contestati nel reato di cui all’art. 322 c.p. In particolare, si sostiene che la vicenda avrebbe dovuto rientrare nell’ambito della istigazione alla corruzione tentata, in quanto la promessa sarebbe avvenuta solo successivamente alla presentazione della denuncia da parte del T. .
Con il quarto motivo si denuncia il travisamento delle prove, per avere la Corte d’appello ricondotto l’evento del ripensamento del V. ad una tesi ‘intempestiva ed autoreferenziale’ manifestata dallo S. in sede di dichiarazioni spontanee, laddove tale circostanza risulta dalla trascrizione della conversazione avvenuta il 12.3.2012.
Considerato in diritto
La ricostruzione dei fatti operata in sentenza appare logica e coerente, fondata su solidi elementi di prova, sicché devono ritenersi infondati i motivi dedotti dai ricorrenti con cui si denunciano, sotto diversi profili, vizi della motivazione.
3.1. La Corte d’appello ha innanzitutto proceduto ad esaminare le dichiarazioni di T.L. , cioè della persona offesa costituitasi parte civile, fonte di accusa, e le ha ritenute pienamente credibili e attendibili, in quanto ‘non ispirate da alcun intento calunniatorio’ e caratterizzate da ‘contributi narrativi precisi, orientati nel tempo e nello spazio ed esenti da contraddizioni logiche e fattuali’, precisando come esse siano state riscontrate da elementi estrinseci, rappresentati dalle registrazioni di alcune conversazioni effettuate dallo stesso T. , dall’attività di intercettazione e di appostamento eseguita dalla polizia giudiziaria, nonché dalle dichiarazioni rese da S. , oltre che da F. , altro coimputato in precedenza prosciolto.
Come è noto, secondo una giurisprudenza assolutamente pacifica di questa Corte, le dichiarazioni della persona offesa, anche quando si sia costituita parte civile, possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. un., 19 luglio 2012, n. 41461, Bell’Arte).
Ed è quello che nella specie hanno fatto i giudici di secondo grado, i quali non solo hanno indicato le emergenze processuali determinanti per la formazione del loro convincimento, in modo tale da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata, ma hanno anche individuato elementi di conferma delle accuse mosse dal T. , ritenendo opportuno ricercare riscontri.
3.2. Pertanto, deve ritenersi provato che vi è stata un’attività ‘persuasiva’ di carattere induttivo svolta da S. nei confronti di T. , in relazione ad un sequestro giudiziario richiesto dalla società Kuwait ed avente ad oggetto la stazione di servizio di cui T. era titolare, procedimento assegnato a V. in data 30.1.2012.
Secondo la ricostruzione contenuta in sentenza, di questo procedimento T. viene ad essere informato da F. , che gli consiglia di contattare l’avvocato S. : i due si incontrano tre volte, in data 10.2.2012, prima della notifica del ricorso, il giorno 25.1.2012, dopo la notifica, e il 26.2.2012.
A questo punto T. contatta S. e lo incontra il 29.2.2012; T. si presenta a questo primo incontro munito di un registratore tascabile, in quanto, come poi ha dichiarato, non era rimasto ‘del tutto convinto’ del comportamento dello S. , che aveva sentito telefonicamente; anche ai successivi incontri si presenterà con il registratore.
I giudici evidenziano come il tenore delle conversazioni registrate sia ‘assolutamente chiaro ed univoco’, emergendo dalle parole di S. una chiara condotta induttiva ‘in piena e convergente sintonia di intenti’ con V. : infatti, S. parla, senza esitazione, del procedimento di sequestro, del giudice V. , di F. , quale amico del giudice, del fatto che V. è ‘intenzionato a scendere a più miti consigli’, che ‘avrebbe dovuto neutralizzare il rischio del sequestro chiesto dalla Kuwiat con una eventuale impugnazione’ e infine chiede una copia del ricorso notificato.
In sostanza, secondo i giudici, già nell’incontro del 29.2.2012, S. pone in essere un’attività persuasiva prospettando la disponibilità di V. a pilotare il procedimento a favore di T. .
Nell’incontro dell’8.3.2012 T. , consapevole di trovarsi dinanzi ad una pretesa illecita di denaro, chiede a S. di quale cifra si stesse parlando, ricevendo da questi una rassicurazione sulla ragionevolezza della richiesta; nel frattempo T. ha presentato una denuncia ai Carabinieri e all’incontro del 9.3.2012 riceve da S. la richiesta di 8.000 Euro da pagare in contanti, ‘metà subito e metà alla fine’.
Il 13.3.2012 i due si incontrano presso lo studio di S. , dove nel frattempo è stato inserito un dispositivo di intercettazione tra presenti, e qui T. consegna a S. la somma di Euro 4.000, banconote in precedenza fotocopiate dalla polizia giudiziaria.
Nello stesso giorno S. si reca presso l’abitazione del V. , lo chiama a citofono e lo attende all’interno della sua autovettura; V. arriva e prende posto all’interno dell’autovettura ed è a questo punto che intervengono i Carabinieri che hanno seguito gli spostamenti di S. e che sorprendono V. con una busta in mano contenente 2.000 Euro, banconote corrispondenti a quelle consegnate da T. a S. .
Nello studio di S. vengono rinvenuti gli altri 2.000 Euro.
3.3. Così ricostruita la vicenda non vi è alcun dubbio in ordine al pieno coinvolgimento di S. , il quale nel suo ricorso si limita a contestare esclusivamente la qualificazione del reato attribuitogli.
3.4. Per quanto riguarda V. , la Corte d’appello ritiene che fosse d’accordo con S. e lo desume dal fatto che quest’ultimo trattiene esattamente la metà della somma pattuita con T. , consegnando l’altra metà a V. , sulla base, evidentemente, ‘di un accordo spartitorio con il magistrato’; un altro elemento a favore dell’esistenza di un accordo tra S. e V. è costituito, secondo la sentenza, dal fatto che i due si sono incontrati il 9.3.2012, incontro durante il quale i giudici ritengono che S. abbia informato il magistrato delle ‘trattative’ con T. e, soprattutto, del fatto che questi avrebbe corrisposto 8.000 Euro; di questo incontro V. non ha offerto alcuna spiegazione alternativa.
Infine, la Corte territoriale rileva come – a differenza di quanto sostenuto da V. , in ordine alla mancata consapevolezza che la busta offertagli da S. contenesse del denaro – sussistono puntuali elementi probatori che dimostrano ‘incontrovertibilmente che il V. , non solo, ha avuto tra le mani la busta in questione, ma l’ha aperta rendendosi perfettamente conto del suo contenuto’, in quanto tale azione è stata osservata dagli operanti durante il servizio di appostamento, i quali hanno riferito che la busta venne riposta nel vano oggetti dell’autovettura solo alla vista degli agenti, sottolineando come non vi fu alcuna reazione da parte del V. alla consegna della busta, circostanza questa dalla quale i giudici di merito hanno desunto la piena volontà del magistrato di accettare il denaro.
Una volta ritenuta completa, esauriente e logica la motivazione con cui sono stati ricostruiti i fatti, resta da verificare la correttezza della loro qualificazione.
4.1. Preliminarmente, si ritiene che non può accogliersi la richiesta delle difese di qualificare il fatto nel reato di tentata corruzione ovvero di istigazione alla corruzione, in quanto tali fattispecie incriminatrici presuppongono entrambe l’esistenza di un rapporto paritetico tra i soggetti coinvolti diretto al mercimonio dei pubblici poteri, rapporto paritetico che nella specie non vi è stato. Infatti, il T. è stato oggetto di un’azione induttiva orchestrata dai due imputati, uno dei quali pubblico ufficiale, diretta a persuaderlo e a convincerlo di poter evitare le possibili conseguenze negative dell’iniziativa giudiziaria intrapresa dalla Kuwait nei suoi confronti solo attraverso l’intervento del giudice V. , facendogli intendere che altrimenti l’esito del procedimento avrebbe potuto essere sfavorevole. Condotta abilmente posta in essere, accentuando e valorizzando il peso decisivo del giudice V. nel procedimento civile, in modo da indurre T. ad accettare necessariamente le illecite richieste. Si tratta, evidentemente, di circostanze incompatibili sia con la sussistenza di un accordo, sia con la condotta di sollecitazione cui si riferisce l’art. 322 comma 4 c.p..
4.2. La Corte d’appello ha ritenuto, confermando la sentenza di primo grado, che le condotte poste in essere dagli imputati configurino il reato di induzione indebita consumata, sul presupposto che tale reato si perfeziona nel momento in cui la richiesta del pubblico agente è accolta, anche con la sola promessa, non assumendo alcun rilievo la circostanza che il privato si sia rivolto alla polizia. Nella specie, si è ritenuto che la consumazione del reato sia avvenuta il 29.2.2012, cioè sin dal primo incontro di T. con S. , avendo il primo sostanzialmente accettato la proposta e promesso il pagamento.
Diversamente, il Collegio ritiene la sussistenza della induzione indebita tentata.
Infatti, nel caso in cui l’evento non si verifichi per la resistenza opposta dal privato alle illecite pressioni del pubblico agente non è configurabile l’induzione consumata, ma solo quella tentata. Nella specie, T. sin dal primo incontro ha concretamente manifestato l’intenzione di resistere alla induzione propostagli da S. , tanto è vero che all’incontro di 29.2.2012 si è presentato con il registratore tascabile e subito dopo ha depositato una prima denuncia ai Carabinieri. Dalla stessa narrazione dei fatti contenuta nella sentenza emerge chiaro l’atteggiamento di T. che non soggiace alle ‘pressioni’ di S. – che agisce in concorso con V. .
In questo caso, l’agente pubblico – tramite S. – ha abusato della sua qualità, ma ha posto in essere un tentativo di induzione del privato a dare o a promettere indebitamente un’utilità, senza riuscire nel suo intento, perché, l’evento non si è verificato proprio per la resistenza del privato (Sez. VI, 11 aprile 2014, n. 32246, Sorge).
Del resto, si tratta di un’interpretazione che la giurisprudenza ha utilizzato in tema di concussione, là dove ha sempre ritenuto che debba qualificarsi come tentata la fattispecie in cui il soggetto passivo effettui la promessa di una prestazione, nei confronti del pubblico ufficiale, all’unico scopo di favorire la prosecuzione delle indagini, dal momento che in tal caso non si perfeziona la sequenza che dovrebbe collegare la promessa e, dunque, la consumazione del reato, al metus provocato dalla condotta dell’agente (cfr., Sez. VI, 21 gennaio 2003, n. 11384, Zangrilli; Sez. VI, 7 giugno 2007, n. 10355, Bruno).
Nel caso in esame non può affermarsi, come fa la sentenza impugnata, che vi sia stata la consumazione del reato il 29.2.2012, in quanto in quel primo incontro i termini della proposta induttiva risultano ancora poco chiari e del tutto indeterminati, sicché deve escludersi che già allora vi sia stata la promessa da parte del T. , promessa che non poteva avere un oggetto definito, dal momento che S. in quell’occasione non fa alcun riferimento al pagamento di somme di denaro, riferimento che, come ammette la stessa sentenza, viene esplicitato solo nell’incontro del 9.3.2012, quando T. aveva già presentato la prima denuncia ai Carabinieri, peraltro consegnando la registrazione degli incontri precedenti. Non vi è stata, pertanto, promessa collegata all’attività induttiva e di conseguenza non può considerarsi consumato il reato di cui all’art. 319-quater c.p. dal momento che la promessa è intervenuta successivamente alla predisposizione, d’accordo con i Carabinieri, di un piano diretto a raccogliere le prove del reato.
In conclusione, la qualificazione del fatto ai sensi degli artt. 56 e 319-quater c.p., comporta l’annullamento della sentenza, con rinvio alla Corte d’appello competente, solo per la rideterminazione della pena.
Gli altri motivi dei ricorsi vanno rigettati.
Gli imputati devono essere condannati, in solido, a rifondere alla parte civile le spese di questo grado di giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 3.510,00 oltre spese generali, iva e cpa.
P.Q.M.
Qualificato il fatto ai sensi degli artt. 56 e 319 c.p., annulla la sentenza impugnata limitatamente alla pena e rinvia alla Corte d’appello di Salerno per la relativa rideterminazione.
Rigetta nel resto i ricorsi.
Condanna gli imputati, in solido, a rifondere alla parte civile T.L. le spese sostenute nel presente grado, liquidate in complessivi Euro 3.510,00, oltre spese generali, iva e cpa.
Leave a Reply