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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza  18 ottobre 2013, n. 42817

Fatto e diritto

1. La Corte di Appello di Napoli con la sentenza indicata in epigrafe ha confermato la decisione, impugnata dall’imputato, pronunciata il 26.3.2007 dal Tribunale di Napoli, con la quale all’esito di giudizio ordinario P..O. è stato riconosciuto colpevole del reato di omessa corresponsione in tutto o in parte alla moglie divorziata S..C. , costituitasi parte civile, dell’assegno divorzile ex art. 12 sexies L. 1.12.1970 n. 898, destinato al mantenimento della ex consorte e del figlio Ci. affidato alla donna, assegno corrispondente alla somma progressivamente stabilita dalla sentenza di divorzio del 26.4.1990 e dalle successive revisioni deliberate dal giudice civile su richiesta dell’imputato. Affermazione di responsabilità per cui è stata inflitta all’O. , riconosciutegli le attenuanti generiche, la pena di Euro 700,00 di multa con condanna al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore della parte civile.
Conclusione condivisa dalle due conformi decisioni di merito alla luce delle emergenze dell’istruttoria dibattimentale (esami testimoniali e documenti acquisiti), dalle quali sono venuti in luce inadempimenti, ancorché parziali, dell’imputato nella esatta corresponsione dell’assegno divorzile all’ex moglie, pur tenendo conto delle varie riduzioni dell’importo decise nel tempo dal giudice civile.
In particolare la Corte di Appello, da un lato, ha respinto le censure difensive dell’imputato sulla procedibilità del contestato reato ex art. 12 sexies Legge n. 898/70 (procedibile di ufficio) e sulla legittimazione della moglie divorziata dell’imputato a costituirsi parte civile nel processo, l’avere la stessa contestato in sede civile l’entità delle riduzioni dell’assegno chieste al giudice dall’ex marito non equivalendo a rinuncia a far valere nel processo penale le proprie più generali ragioni di credito verso l’imputato. D’altro lato la Corte territoriale, preso atto dell’accordo transattivo giudiziale intervenuto tra le parti il 15.12.2004 (eseguito il 28.12.2004), ha individuato nello stesso la data di consumazione (id est esaurirsi della permanente offensività del reato), sottolineando altresì come l’accordo così raggiunto dalle parti non potesse far velo, vanificandone la significatività penale, alle omissioni e ai ritardi parziali nell’osservanza dell’obbligo contributivo fatti comunque registrare fino a quella data dall’imputato.
2. Con il ministero del difensore l’imputato ha impugnato per cassazione la sentenza di appello formulando i rilievi seguenti.
2.1. Erronea applicazione dell’art. 12 sexies L. 898/70 e illogicità della motivazione. La Corte di Appello ha affermato che dal gennaio 2003 al dicembre 2004 si sarebbe verificata soltanto una incompleta dazione dell’assegno di mantenimento in favore del figlio dell’imputato in conseguenza delle riduzioni giudiziali dell’assegno divorzile. Ma in analogia a quanto dispone l’art. 445 cod. civ. (in tema di alimenti ai prossimi congiunti) dette riduzioni decorrono dalle domande di revisione avanzate (dall’imputato) al giudice civile ex art. 9 L. 898/70 e non da quelle delle relative decisioni del giudice, che non hanno carattere costitutivo ma determinativo dell’entità dell’effettuanda somministrazione di denaro. Ciò implica che il mancato pagamento dell’assegno nei periodi intermedi corrisponde al tempo necessario per operare la compensazione tra crediti nascenti dalle maggiori somme versate durante i giudizi di quantificazione dei minori importi dovuti e questi ultimi minori importi. Con la conseguenza che nel caso di specie la compensazione non ha mai dato luogo a un credito civilistico in favore della C. e ad un fatto penalmente sanzionabile.
2.2. Violazione degli artt. 75 e 539 c.p.p. e contraddittorietà della motivazione.
L’accordo transattivo ratificato dal giudice civile nel dicembre 2004, con cui la signora C. ha rinunciato a tutte le pretese relative al pagamento dell’assegno di mantenimento fino alla data della transazione, ha determinato il verificarsi della condizione prevista dall’art. 75 co. 1 c.p.p., cioè la pronuncia di una sentenza di merito in sede civile ostativa al trasferimento della pretesa (azione) civile in sede penale, sì che la costituzione di parte civile dell’ex moglie dell’imputato avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile. Alla data in cui la costituzione è avvenuta (26.3.2007) tale trasferimento non era più possibile. Né avrebbe potuto essere pronunciata condanna generica al risarcimento dei danni per l’assenza di danni concretamente risarcibili in favore della C. . La Corte di Appello ha ritenuto la transazione efficace nel ristoro dei danni patrimoniali, ma non ha fornito idonea motivazione sulla individuazione di altri diversi eventuali danni risarcibili in favore della parte civile.
2.3. Con motivi aggiunti depositati il 5.4.2013 il difensore dell’imputato ha evidenziato l’ormai intervenuto decorso del termine di prescrizione del reato, anche computando i periodi di sospensione ex lege verificatisi nel corso dei due giudizi di merito, ed ha conseguentemente invocato la declaratoria della corrispondente causa estintiva del reato ascritto all’O. .
2.4. Nell’interesse della costituita parte civile è stata depositata una memoria del difensore con cui si contesta la validità delle tesi sostenute nel ricorso, invocandosene il rigetto e nel contempo si deduce la non sopravvenienza della prescrizione del reato, questo dovendo ritenersi cessato soltanto alla data della sentenza di primo grado.
3. I dedotti motivi di ricorso non sono fondati sino a lambire contorni di aspecificità, siccome imperniati su argomenti censori già prospettati ai giudici di appello (e allo stesso giudice di primo grado), che li hanno meticolosamente vagliati, disattendendoli sulla base di valutazioni esaurienti e giuridicamente corrette, cui il ricorso non contrappone risolutivi elementi di efficace critica argomentativa.
3.1. Correttamente la Corte di Appello ha considerato ammissibile la costituzione di parte civile della ex moglie dell’imputato, osservando come la transazione tra le parti del 15.12.2004 non avesse esaurito l’ambito delle pretese risarcitorie in rapporto all’interezza dei danni, materiali e morali, dalla stessa patiti a causa dell’omissione contributiva del coniuge divorziato.
Al riguardo è agevole rilevare che l’inammissibilità o la revoca della costituzione di parte civile, prevista nel caso in cui l’azione sia promossa anche davanti al giudice civile, si produce soltanto quando sussista piena coincidenza tra le due domande (in sede penale e in sede civile), essendo la stessa finalizzata ad impedire la duplicazione di giudicati (o di giudicati contrastanti). Coincidenza non sussistente in concreto nel caso in esame, poiché con la sottoscrizione della transazione la moglie divorziata dell’imputato è addivenuta soltanto ad un regolamento di esclusiva natura economica dei rapporti con l’ex coniuge, lasciando affatto impregiudicati gli ulteriori effetti pregiudizievoli scaturiti dalla sua condotta omissiva. Il principio di autonomia e separazione del giudizio civile da quello penale, che ispira il dettato dell’art. 75 c.p.p., comporta – del resto – che qualora uno stesso fatto illecito produca diversi tipi di danno, il danneggiato ben possa pretendere il risarcimento di ciascuno di essi separatamente dagli altri, agendo in sede civile per un tipo e costituendosi parte civile nel processo penale per un altro tipo di danno (cfr.: Cass. Sez. 4, 24.5.2007 n. 43374, rv. 237907; Cass. Sez. 2, 1.10.2008 n. 38806, Sinigaglia, rv. 241451; Cass. Sez. 2,16.12.2009 n. 62/10, La Spina, rv. 246266).
3.2. Neppure ha pregio il congiunto rilievo dell’asserito definitivo componimento delle ragioni creditorie della parte civile addotto con il ricorso. Per la semplice ragione che, come sottolinea la sentenza impugnata, l’accordo transattivo del dicembre 2004 e la rinuncia della C. escludevano (facendone espressa riserva) quanto meno il pagamento delle somme dovute dall’imputato per le spese universitarie (in misura del 50%) del figlio della coppia risalenti al 2003.
Né assumono valore dirimente le considerazioni del ricorrente sulle valenze “compensazione” dei crediti attuali con le minori somme derivanti dalle revisioni al ribasso (per altro contestate dalla C. dinanzi al giudice civile) dell’assegno divorzile poi deliberate dal giudice civile. In proposito non è inutile rilevare che la decorrenza del nuovo importo dovuto dal coniuge obbligato all’altro coniuge divorziato è frutto della decisione dello stesso giudice civile (cfr. Cass. Civ. Sez. 1, 9.1.2003 n. 113, Masciolli contro Lojola, rv. 559503) e che in ogni caso la postuma compensazione non fa venir meno l’obbligo del coniuge tenutovi a corrispondere le somme dovute quali stabilite dalle precedenti deliberazioni del giudice civile. Obbligo che l’imputato ha a più riprese eluso fino al dicembre 2004. In proposito merita ribadire che il reato previsto dall’art. 12 sexies Legge n. 898/70 si configura anche in presenza di un inadempimento parziale dell’obbligo di versamento dell’assegno divorzile, non potendo riconoscersi all’obbligato un potere di autoadeguamento dell’assegno in funzione della revisione del suo importo domandata o da domandare al giudice civile (Cass. Sez. 6, 7.7 2011 n 35553 rv. 250841).
4. L’illustrata infondatezza dei motivi di ricorso dell’imputato, escludente la ravvisabilità di situazioni riconducibili nell’area dell’art. 129 co. 2 c.p.p., non fa velo alla ormai sopravvenuta estinzione del reato ascritto all’O. per decorso del termine massimo di prescrizione. È ben vero, come si osserva nella memoria della parte civile, che il reato ex art. 12 sexies L. 898/70 ha natura di reato permanente e che di norma deve ritenersi consumato alla data della pronuncia della sentenza penale di primo grado. Ciò vale, però, senz’altro in caso di contestazione c.d. aperta, che cioè non indichi espressamente la data di cessazione della condotta punibile. Questo non può dirsi nel caso in esame, in cui – con giudizio di fatto non illogico e, per tanto, non sindacabile in sede di legittimità – la Corte di Appello ha, per dir così, chiuso la contestazione, individuando la cessazione della permanenza della condotta illecita (consumazione del reato) alla data del 28.12.2004 (in cui l’O. ha versato alla ex moglie la somma oggetto della transazione del 15.12.2004). Con l’effetto che il termine prorogato di prescrizione (sette anni e sei mesi), anche cumulando i periodi sospensione ape legis ex art. 159 c.p., complessivamente pari ad otto mesi e dodici giorni, è spirato alla data del 12.3.2013.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per l’anzidetta causa estintiva, ferme restando (anche alla luce della menzionata persistenza di diritti risarcibili della parte civile) le statuizioni civili della decisione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.

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