www.studiodisa.itSuprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 18 ottobre 2013, n. 42815

Fatto e diritto

l. Con sentenza resa il 15.3.2009 all’esito di giudizio ordinario il Tribunale di Cosenza ha riconosciuto G.P. colpevole del reato di omessa erogazione dei mezzi di sussistenza, fino a tutto il gennaio 2007, in favore del figlio minore J.T., da lui riconosciuto, nato da relazione sentimentale con L.T., alla quale ometteva di versare la somma mensile di euro 350,00 stabilita dal Tribunale civile di Cosenza. Per l’effetto il Tribunale ha condannato il P., concessegli le attenuanti generiche, alla pena sospesa di due mesi di reclusione ed euro 358,00 di multa e al risarcimento del danno alla costituita parte civile.
2. Giudicando sul gravame dell’imputato, la Corte di Appello di Catanzaro con sentenza del 10.7.2012 ha confermato la decisione del Tribunale, condividendone la ricostruzione e la valutazione dei fatti, perché suffragata dalle emergenze storiche e documentali dell’istruttoria dibattimentale.
In particolare e tra l’altro i giudici di secondo grado hanno escluso, da un lato, l’asserita sussistenza di conflitto di interessi tra la madre del minore costituitasi parte civile e lo stesso minore, sì da implicare – come addotto dall’appellante – un difetto di legittimazione processuale della donna, occorrendo la nomina di un curatore ex art. 75 c.p.p. a tutela dei diritti del minore. La sentenza impugnata ha rilevato al riguardo che l’affidamento del minore ai servizi sociali non è stato determinato dall’abbandono o dal disinteresse della madre, ma – a riprova di uno dei presupposti del reato – dall’oggettivo stato di bisogno della donna, non in grado di fronteggiare con i suoi soli mezzi le esigenze anche di natura sanitaria del bambino, portatore di grave patologia congenita.
D’altro lato la sentenza impugnata ha valutato inconferenti sia l’esistenza dell’ancora pendente giudizio di disconoscimento della paternità del minore promosso dall’imputato, sia le pretese difficoltà economiche dello stesso P. in ragione dei pignoramenti mobiliari e pensionistici già subiti su iniziativa della T.
3. Contro la sentenza di secondo grado ha proposto, per mezzo del difensore, ricorso per cassazione l’imputato G.P., adducendo tre ordini di censure.
3.1. Erronea applicazione degli artt. 75 e 77 co. 2 c.p.p.
Impropriamente la Corte di Appello ha ritenuto la legittimazione di L.T. a costituirsi parte civile nell’interesse del minore, pur versando costei in situazione di conflitto di interessi con lo stesso minore, fatto palese dall’atteggiamento di particolare ostilità manifestato dalla donna verso il P. nel separato processo civile, non ancora concluso, per l’attribuzione del cognome paterno al bambino.
3.2. Motivazione carente e illogica sulla sussistenza del reato ex art. 570 co. 2 c.p.
Fino a prova contraria il P. non risulta essere il padre naturale del minore, essendo ancora in corso di svolgimento la causa civile promossa dall’imputato per il disconoscimento della paternità del piccolo J.
3.3. Difetto di motivazione su reale stato di bisogno del minore e su reale capacità economica dell’imputato nell’adempiere l’obbligo contributivo impostogli dal giudice.
Il bambino è stato ed è stabilmente assistito da enti pubblici che si occupano anche delle sue condizioni di salute e in ogni caso i ritardi o i mancati versamenti dell’assegno mensile alla madre del bambino sono stati causati dalle difficoltà economiche dell’imputato, già gravato da due pignoramenti presso terzi con connessa decurtazione di un quinto del suo stipendio prima e della sua pensione poi in favore della T.
4. L’impugnazione proposta nell’interesse di G.P. va rigettata.
4.1. Il primo generico motivo di ricorso (difetto di legittimazione attiva della parte civile L.T.) è infondato. La Corte di Appello ha chiarito con puntuali argomenti come non possa ravvisarsi alcuna situazione di conflitto di interessi tra il minore e la madre naturale costituitasi parte civile. L’affidamento del bambino ai servizi sociali è stato determinato proprio dall’oggettivo stato di bisogno della donna nel far fronte alle gravose esigenze del piccolo anche per il suo precario stato di salute. Evenienza confermata in dibattimento dalle testimonianze dell’altro figlio della donna e dal funzionario di polizia S.O., autore degli accertamenti di p.g., il quale ha – tra le altre cose – rimarcato il buono stato reddituale dell’imputato, titolare quale ex dipendente del Ministero dell’Interno di una “cospicua pensione”, idonea a non far mancare al figlio naturale il supporto finanziario occorrente per la sua crescita e per le necessarie cure mediche. Congruamente, poi, la Corte di Appello ha evidenziato come la circostanza che il Tribunale minorile abbia attribuito nel dicembre 2006 alla madre del bambino contegni pregiudizievoli per il minore non incida in alcun modo, al di là della vaghezza di contenuti della circostanza, sulla oggettiva esistenza del reato contestato al P. in ragione della oggettiva inosservanza del suo obbligo contributivo.
4.2. La doglianza relativa alla pendente azione di disconoscimento della paternità naturale del piccolo J.T. promossa dall’imputato è manifestamente infondata. Ineccepibilmente la Corte territoriale ha rilevato che soltanto l’eventuale passaggio in giudicato della sentenza civile di accoglimento della domanda di disconoscimento della paternità naturale è suscettibile di mandare esente il genitore (che, come nel caso di specie, abbia già riconosciuto come proprio il figlio nato fuori dal matrimonio) da responsabilità per la mancata erogazione dei mezzi di sussistenza in favore del figlio (cfr. Cass. Sez. 6, 11.2.2010 n. 8998, rv. 246414).
4.3. Privi di pregio, infine, vanno giudicati i congiunti rilievi sull’assenza di un effettivo stato di bisogno del figlio minorenne e sulla incapacità economica dell’imputato nel far fronte all’obbligo di mantenimento nella misura mensile fissata in sede civile.
La sentenza impugnata ha correttamente motivato le ragioni fondanti l’oggettività dello stato di bisogno del bambino, conformandosi alla giurisprudenza di legittimità su tale requisito della fattispecie criminosa. Per un verso, infatti, lo stato di bisogno di un figlio infradiciottenne è assistito dalla presunzione semplice che il minore sia incapace di produrre reddito proprio, a meno che non emerga la disponibilità in capo al minore di redditi patrimoniali. Evenienza da escludersi in radice nel caso del piccolo J.T. Né, per altro verso, siffatto stato di bisogno è vanificato o neutralizzato dal fatto che al mantenimento del minore provveda in via sussidiaria solo la madre affidataria ovvero istituzioni di beneficenza e assistenza sanitaria pubbliche (ex plurimis: Cass. Sez. 6, 3.2.2010 n. 14906, rv. 247022; Cass. Sez. 6, 4.2.2011 n. 8912, rv. 249639).
Premesso che l’incapacità economica del genitore obbligato alla corresponsione dei mezzi di sussistenza ad un figlio minorenne diviene rilevante soltanto se assuma carattere di assolutezza e sia frutto di una persistente e incolpevole indisponibilità di redditi dell’obbligato (Cass. Sez. 6, 21.10.2010 n. 41362, rv. 248955), situazione non ricorrente nel caso del P., la Corte di Appello ha opportunamente segnalato che i già avvenuti pignoramenti a carico dell’imputato (ivi inclusa una quota parte della sua pensione) dimostrano la concreta capacità economica dello stesso P. e la sua patente e persistente inosservanza dell’obbligo contributivo.
Al rigetto dell’impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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