SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 13 luglio 2011, n. 27458
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Nell’ambito del procedimento penale a carico di D. F., indagato in ordine ai reati di usura aggravata, associazione per delinquere finalizzata all’abusiva attività finanziaria e di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, il Gip del Tribunale di Trani, con decreti 10 aprile e 15 settembre 2007, disponeva, ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 2, in relazione al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, e art. 644 c.p.p., comma 6, il sequestro preventivo – tra l’altro – di beni immobili acquistati dall’indagato tra il 2002 ed il 2006 ed in parte intestati alla di lui moglie, M.I., ritenendo, sulla base degli accertamenti espletati dalla Guardia di Finanza, che tali investimenti per oltre duemilioni di Euro erano incompatibili con il modesto reddito familiare dell’indagato e che, quindi, le corrispondenti risorse finanziarie erano certamente di provenienza illecita.
Al rigetto di una prima istanza di dissequestro, confermato in sede di appello ex art. 322 bis c.p.p., con ordinanza 4/2/2008 del Tribunale di Bari, aveva fatto seguito altra istanza analoga, rigettata con provvedimento 2/12/2008 del Gip di Trani.
Il Tribunale di Bari, con ordinanza 2/3/2009, decidendo in sede di appello avverso quest’ultimo provvedimento, lo confermava, ma questa Suprema Corte, a seguito di ricorso proposto dagli interessati, con sentenza 29/9/2009, annullava con rinvio la decisione d’appello, per omessa valutazione degli elementi di ratio dedotti circa l’asserita provenienza lecita delle risorse finanziarie utilizzate per i detti investimenti. Il Tribunale di Bari, dopo avere ritenuto, con ordinanza interlocutoria 18/3/2010, la propria competenza a decidere, nonostante l’intervenuta operatività – medio tempore – di altro ufficio giudiziario, con successiva ordinanza del 14/6/2010, decidendo in sede di rinvio, rigettava l’appello e confermava il provvedimento 2/12/2008 del Gip di Trani.
2. Hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i propri difensori, l’indagato e la terza interessata, M.I., deducendo:
1) violazione dell’art. 324 c.p.p., comma 5, e art. 322 bis c.p.p., in quanto competente a decidere sull’appello in tema di misura cautelare reale era, nel caso specifico, il Tribunale di Trani, dopo l’istituzione della nuova provincia BAT e l’operatività, a partire dal 6/11/2009, del Tribunale provinciale a ciò deputato; 2) violazione dell’art. 627 c.p.p., comma 3, per essersi il giudice di rinvio limitato ad una valutazione apparente degli elementi di fatto dedotti a supporto della tesi difensiva; 3) violazione del giudicato cautelare e del dietim della sentenza di annullamento pronunciata da questa Corte: si era, infatti, considerata la società “Ceramiche base srl” strumento di copertura di attività illecite, dimenticando che lo stesso Gip di Trani aveva revocato, in data 26/6/2008, il sequestro delle quote della detta società, acquisite con denaro di legittima provenienza; non si era dato il dovuto rilievo alla circostanza che per l’acquisto degli immobili, effettuato nel 2006, si era fatto ricorso a mutui ipotecari, onorari con legittime risorse finanziarie dell’indagato e dei suoi familiari.
3.1 ricorsi non sono fondati e devono essere rigettati.
L’irretrattabilità del c.d. foro commissorio stabilita dall’art. 627 c.p.p., secondo il quale nel giudizio di rinvio non è ammessa discussione sulla competenza attribuita con la sentenza di annullamento pronunciata dalla Corte di Cassazione, costituisce principio di ordine generale e di carattere assoluto, la cui unica eccezione è quella prevista dall’ari 25 stesso codice per il caso di sopravvenienza di fatti nuovi che comportino una diversa definizione giuridica da cui derivi la modificazione della giurisdizione o la competenza di un giudice superiore. La corretta individuazione, al momento della pronuncia della Corte di Cassazione, del giudice competente a decidere – in sede di rinvio – sull’incidente cautelare reale non può subire, dopo che il giudizio di rinvio è stato ritualmente incardinato, modificazione per effetto della istituzione di un nuovo capoluogo di provincia e della conseguente operatività, per la cognizione della materia specifica, del Tribunale di tale capoluogo, e ciò in forza del principio della perpetualo iurisdictionis e della irretroattività della legge processuale.
Le doglianze dei ricorrenti sull’asserita violazione dell’art. 627 c.p.p., comma 3, e del giudicato cautelare su un aspetto particolare della presente vicenda si risolvono, al di là del dato enunciativo, nella sostanziale denuncia di un presunto vizio di motivazione dell’ordinanza in verifica, il che non è consentito, dovendo il sindacato di legittimità essere circoscritto, secondo l’espressa previsione dell’art. 325 c.p.p., alla sola violazione di legge.
L’ordinanza impugnata, invero, nell’uniformarsi alla sentenza di annullamento pronunciata da questa Suprema Corte, prende in considerazione ed esamina gli elementi di fatto dedotti dalla difesa, li valuta nell’ambito delle complessive emergenze procedimentali, li ritiene inidonei, perchè scarsamente affidabili, ad accreditare la prospettata tesi difensiva e ne inferisce, con motivazione adeguata e immune da vizi logici, che gli investimenti immobiliari dell’indagato sono certamente riconducibili a risorse finanziarie di provenienza illecita (attività di usura, assistita da un quadro di gravità indiziaria), considerata l’esigua entità del reddito familiare del predetto di provenienza lecita.
4. Al rigetto dei ricorsi, consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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