Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 10 marzo 2016, n. 9955
Ritenuto in fatto
1. Il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Bologna, con sentenza emessa all’esito del rito abbreviato, ha assolto Z.G. dal reato di falsa testimonianza (art. 372 cod. pen.) con la formula “perché il fatto non sussiste”.
2. La Corte di appello di Bologna, su impugnativa della parte civile e del Procuratore Generale presso la Corte di appello, in totale riforma della sentenza del primo giudice, ha ritenuto Z.G. responsabile del reato di falsa testimonianza e lo ha condannato alla pena di giustizia oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile ed alle spese per il grado di appello.
3. La vicenda all’esame della Corte territoriale trae origine da una denuncia per falsa testimonianza che l’avvocato P.G. ha sporto nei confronti di Z.G. .
Sullo sfondo dell’atto di accusa, un giudizio civile per separazione personale con addebito introdotto dal P. nei confronti della moglie, D.B.D. , per avere costei avuto una relazione extraconiugale, in costanza di matrimonio, con lo Z. .
Lo Z. in detta sede era stato chiamato a riferire sull’indicata circostanza e rendendo testimonianza aveva datato l’inizio della relazione sentimentale intrattenuta con la moglie del P. ad epoca successiva a quella indicata nel capitolo di prova.
Il giudice dell’udienza preliminare aveva escluso la responsabilità penale del prevenuto ritenendo che lo stesso, per la resa deposizione, avesse inteso riferire sulla nascita della relazione affettiva con la moglie dei P. e non su fugaci incontri a carattere sessuale.
La Corte di appello ritenendo l’illogicità dell’indicata motivazione nell’inequivoco contenuto del capitolo di prova aveva concluso, ribaltando in tal modo gli esiti del giudizio espresso nel precedente grado, per la responsabilità del prevenuto.
4. Avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato che articola due motivi di ricorso.
5. Con il primo motivo, la parte lamenta vizi di motivazione per mancanza, illogicità e contraddittorietà della stessa rispetto alle risultanze processuali (art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.).
La Corte di appello avrebbe operato un ribaltamento del giudizio assolutorio di primo grado offrendo una mera alternativa lettura del compendio probatorio senza utilizzare argomenti che, confrontandosi con quelli fatti propri dal giudice di primo grado, avrebbero escluso, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’insostenibilità della soluzione assolutoria.
I giudici di appello avrebbero erroneamente qualificato quale mero artificio dialettico la distinzione operata dal Tribunale tra la datazione della relazione sentimentale, espressiva di affectio e di prospettiva di vita in comune, su cui il teste sarebbe stato chiamato a deporre, e la datazione degli incontri durante i quali il teste e la moglie del P. avrebbero intrattenuto rapporti sessuali.
La Corte sarebbe incorsa altresì in travisamento nella interpretazione della dichiarazione resa nel giudizio civile dalla Beghelli, moglie dello Z. , anche lei sentita come teste durante il giudizio di separazione, ed avrebbe omesso ogni esame della lettera raccomandata prodotta dal prevenuto all’esito alla notifica dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen..
Siffatta missiva, trasmessa dallo Z. al giudice istruttore della causa civile, avrebbe invero operato la distinzione, poi fatta propria dal giudice della separazione, tra gli incontri a contenuto sessuale, più risalenti nel tempo, e la nascita del rapporto sentimentale tra il prevenuto e la moglie del P. .
6. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.) in relazione all’esimente della ritrattazione.
Deduce il ricorrente come per la missiva indirizzata al giudice istruttore della causa di separazione, egli avesse comunque riconosciuto, chiarendo il contenuto della deposizione resa in sede civile, l’esistenza di un qualche incontro di natura sessuale con la moglie del P. nel corso della prima metà del 2005.
Poiché l’esito del giudizio civile era stato definito con addebito della separazione a carico della moglie del P. in ragione degli incontri su cui lo Z. aveva riferito nella missiva, per ciò stesso sarebbe risultata integrata la dedotta causa di non punibilità.
Ritenuto in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di appello di Bologna in adesione a principio affermato da consolidata giurisprudenza di legittimità, nel riformare totalmente la decisione assolutoria di primo grado, ha dato compiuta definizione all’alternativo percorso decisorio osservato.
I giudici di appello hanno altresì provveduto a confutare, in modo specifico, i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza di cui hanno congruamente evidenziato carenze ed incoerenze (Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015, Marsili, Rv. 262907; Sez. 6, n. 39911 del 04/06/2014, Scuto, Rv. 261589; Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, Rastegar, Rv. 254638) pervenendo quindi ad un’affermazione di responsabilità destinata a porsi “al di la di ogni ragionevole dubbio” (art. 533, comma 1, cod. proc. pen.).
In tal modo la Corte ha evidenziato, quanto ai contenuti del capitolo di prova sul quale è stato chiamato a fornire risposta il prevenuto in qualità di testimone nel giudizio civile di separazione personale, l’insostenibilità, in punto di logica, della distinzione sposata dai primo giudice tra “relazione sentimentale” ed “incontri a contenuto sessuale”.
L’inequivoco contesto in cui lo Z. , in qualità di teste, venne chiamato a riferire sulla nascita della relazione extraconiugale dallo stesso intrattenuta con la moglie dell’avvocato P. non avvalora, come ineccepibilmente rilevato dalla Corte territoriale, distinzioni semantiche, spostando il nucleo dei fatti da provare in quella sede, dall’insorgenza della relazione legittimante l’addebito, in quanto violativa dell’obbligo reciproco di fedeltà tra i coniugi (art. 143 cod. civ.), alla irrilevante nascita di un rapporto affettivo contrassegnato da stabilità e condivisione di programmi di vita.
La forza, in termini di assoluta ragionevolezza, del sopra indicato argomento assorbe ogni altro preteso motivo di distonia del giudizio di responsabilità espresso dalla Corte territoriale rispetto ad ulteriori esiti del compendio probatorio in atti, di cui il ricorrente non evidenzia peraltro in modo conducente inconciliabilità logiche con il convincimento raggiunto dalla Corte.
2. Il secondo motivo di ricorso, per il quale il ricorrente lamenta omessa motivazione sulla dedotta applicazione dell’esimente della ritrattazione di cui all’art. 376, comma secondo, cod. pen., è, del pari, infondato per inconcludenza dello stesso nei termini di seguito precisati.
2.1. Secondo più generale principio, la causa sopravvenuta di esclusione della punibilità prevista dall’art. 376 cod. pen., che opera in favore di chi avendo reso falsa testimonianza l’abbia ritrattata, deve consistere in una smentita non equivoca del fatto deposto e nella manifestazione del vero (Sez. 6, n. 33078 del 11/06/2003, Lumina, Rv. 226442).
2.2. Qualora la falsa deposizione sia intervenuta poi in una causa civile (art. 377, comma secondo, cod. pen.), il colpevole non è punibile se ritratta il falso e manifesta il vero nei termini sopra menzionati, prima che sulla domanda giudiziale sia pronunziata sentenza definitiva, anche se non irrevocabile, tale dovendo intendersi anche la sentenza emessa in primo grado con cui viene deciso completamente il merito (Sez. 6, n. 42502 del 28/09/2012, Tortorici, Rv. 253618).
L’operatività dell’esimente nei termini da ultimo indicati rinviene fondamento nella finalità stessa della fattispecie normativa della falsa testimonianza di cui all’art. 372 cod. pen., diretta a tutelare, come essa è, il normale ed efficace funzionamento dall’attività giudiziaria che non deve essere fuorviata o insidiata da falsità o reticenze da parte di testimoni.
Pertanto allorché la falsa testimonianza sia intervenuta in una causa civile, il legislatore ha voluto attribuire efficacia esimente esclusivamente alla ritrattazione effettuata prima che sul merito si pronunzi il giudice di primo grado, di appello o di rinvio avanti al quale e stato deposto il falso.
Lo scopo della causa di non punibilità e infatti quello di indurre il reo ad eliminare le conseguenze della sua condotta criminosa prima che la falsa testimonianza abbia potuto pregiudicare la decisione sulla domanda giudiziale sia pure in modo non irrimediabile, per la possibilità di impugnare la decisione perturbata nei suoi esiti.
2.3. In applicazione dei riportati principi, la dichiarazione come trascritta in ricorso, resa dal prevenuto nella missiva del 26 maggio 2010, inoltrata al giudice istruttore della causa civile in cui lo Z. aveva reso la falsa testimonianza, all’evidenza non è in alcun modo idonea ad assumere l’indicato inequivoco significato; in disparte ogni considerazione sulla possibilità stessa che possa aversi ritrattazione in una sede diversa da quella testimoniale.
In un più ampio contesto di carattere giustificativo, volto a minimizzare le ricadute processuali delle rese dichiarazioni, lo Z. per operate conferme e distinzioni ribadisce il precedente racconto che quindi egli non smentisce per offrire una diversa ricostruzione degli accadimenti.
Riconoscendo il dichiarante l’esistenza di pregressi incontri di natura sessuale con la moglie del P. , egli minimizza gli stessi in una prospettiva, ancora una volta diretta, in modo inconducente rispetto all’invocata esimente, ad attribuire natura di dato rilevante di ogni resa dichiarazione alla nascita della relazione sentimentale con la donna.
In modo altrettanto evidente poi difetta, per il passaggio della motivazione riportato in ricorso, l’ulteriore presupposto applicativo dell’istituto della ritrattazione e cioè che la sentenza civile, che ha poi dichiarato la separazione tra i coniugi con addebito a carico della moglie del P. , risulti per le conclusioni raggiunte diretto “portato” della ritrattazione dello Z. che, come tale, sia stata valorizzata nella motivazione.
3. Il ricorso va conclusivamente rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali nonché a rifondere a P.G. le spese sostenute nel presente giudizio che liquida in euro 3.500,00 oltre spese generali nella misura del 15%, Iva e Cpa.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché a rifondere a P.G. le spese sostenute nel presente giudizio che liquida in euro 3.500,00 oltre spese generali nella misura del 15%, Iva e Cpa.
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