Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 27 marzo 2017, n. 14883

Punito per resistenza a pubblico ufficiale il consigliere comunale che, invitato da un agente a spostare l’auto lasciata in senso contrario di marcia in zona con striscia continua, si avventa contro il vigile avvicinandogli le mani al viso e minacciandolo di rivolgersi al sindaco. Ai fini del reato è irrilevante che l’agente fosse in servizio scolastico perché il vigile mantiene comunque la competenza a regolare il traffico

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 27 marzo 2017, n. 14883

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Consigliere

Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia – rel. Consigliere

Dott. SCALIA Laura – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), n. il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 12/4/2016 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Emilia Anna Giordano;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. VIOLA Alfredo Pompeo, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;

udito per l’imputato il difensore, avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Milano ha confermato quella di primo grado e la condanna di (OMISSIS) alla pena di mesi sei di reclusione, per il reato di cui all’articolo 337 c.p., per avere usato violenza e minaccia nei confronti dell’agente di Polizia municipale, che gli aveva ordinato di spostare l’auto che aveva lasciato in sosta, in zona segnalata con striscia continua e in senso contrario di marcia, al fine di fargli omettere l’elevazione a suo carico del verbale di contravvenzione ai sensi dell’articolo 157 C.d.S., comma 8, reato commesso in (OMISSIS).

2. La Corte di appello, che nella parte motiva della sentenza impugnata ha previamente qualificato il fatto in quello di minaccia (articolo 336 c.p.), ha ritenuto accertato, sulla scorta delle dichiarazioni rese dall’agente di polizia municipale, persona offesa, che l’imputato, all’epoca dei fatti consigliere comunale, minacciava l’agente di polizia prima dicendogli che avrebbe preso generici provvedimenti, poi specificando che avrebbe chiamato il Sindaco e che non sarebbe finita li’ e avrebbe sistemato la questione. Dalla contestazione si evince, altresi’, che avventandosi sull’agente e avvicinandogli le mani al volto, l’imputato faceva movimenti bruschi mimando di colpirlo.

3. (OMISSIS) propone ricorso, sottoscritto dal difensore di fiducia, con il quale denuncia plurimi vizi, per violazione di legge e difetto di motivazione, qui sintetizzati, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione. In particolare: 3.1 vizio di violazione di legge e contraddittorieta’ tra il dispositivo della sentenza – che ha confermato quella di primo grado, con la quale il (OMISSIS) era stato condannato per il reato previsto dall’articolo 337 c.p. – e la motivazione, nella quale il fatto viene qualificato come delitto di minaccia a pubblico ufficiale (articolo 336 c.p.); 3.2 erronea applicazione della legge penale in relazione all’affermazione secondo la quale, ai fini della integrazione della condotta di cui all’articolo 336 c.p. (ovvero articolo 337 c.p.), non e’ necessario ravvisare alcun nesso causale tra la condotta minacciosa posta in essere nei confronti del pubblico ufficiale e la effettiva adozione di un atto di ufficio. Rileva che la Corte di merito ha travisato le risultanze dibattimentali dalle quali emergeva che il pubblico ufficiale non era impegnato a compiere un atto dell’ufficio nei confronti del ricorrente essendo addetto non al servizio viabilita’ – come riportato nel capo di imputazione – ma al servizio scolastico, dalla stessa Corte definito non sospendibile, e che solo successivamente si sarebbe occupato di redigere il preavviso di contestazione nei confronti dell’imputato, nel frattempo allontanatosi, con la conseguenza che il supposto comportamento minaccioso non era stato tenuto durante il compimento dell’atto di ufficio. La condotta dell’imputato non era finalizzata, in altre parole, ad opporsi al compimento di un atto dell’ufficio, che l’agente avrebbe intrapreso solo successivamente, ma si era risolta in una mera protesta, per il diverso trattamento riservato all’imputato, informalmente invitato a spostare l’auto, rispetto ad altri automobilisti che si trovavano nella medesima situazione e si e’ risolta in una forma di critica e di obiezione anteriore all’attivita’ del pubblico ufficiale, cioe’ in una mera contestazione; 3.3 erronea applicazione della legge penale in relazione all’affermazione secondo la quale, ai fini della integrazione della condotta di cui all’articolo 336 c.p. (ovvero articolo 337 c.p.), non e’ necessario che la condotta minacciosa, sia sotto il profilo soggettivo che quello oggettivo, sia concretamente diretta e idonea a costringere il pubblico ufficiale a fare o omettere l’atto dell’ufficio ed ipotizzando una fantomatica percezione negativa soggettiva del pubblico ufficiale in relazione ad eventi futuri che l’imputato avrebbe potuto porre in essere nei suoi confronti, peraltro legittimamente e lecitamente. La condotta dell’imputato non appare connotata dalla cifra minacciosa richiesta ai fini della integrazione della fattispecie potendo, al piu’, risultare irrispettosa. Ne’ la condotta denota la sussistenza della intenzione di ostacolare il compimento dell’atto di ufficio; 3.4 inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilita’ – articoli 180, 181, 513 e 514 in rel. all’articolo 526 c.p.p. – per la utilizzazione delle dichiarazioni rese dall’imputato in sede di interrogatorio investigativo, dichiarazioni che avevano costituito oggetto di stralcio in procedimento poi archiviato e mancata risposta al motivo di appello in tal senso sollevato dall’imputato, e, anzi, utilizzazione del medesimo atto nella sentenza impugnata; 3.5 erronea applicazione della legge penale – articolo 393 bis c.p. – in relazione all’affermazione secondo la quale, non e’ arbitrario il comportamento del pubblico ufficiale, che di fronte ad identiche violazioni di legge commesse contemporaneamente da piu’ soggetti privati, pur in assenza di fattori oggettivi esterni che ne impediscano la contestuale rilevazione, decida di attivarsi solo nei confronti di uno di essi per ragioni meramente soggettive. Rileva il ricorrente che l’istruttoria dibattimentale ha comprovato che vari automobilisti avevano tenuto il medesimo comportamento dell’imputato, parcheggiando l’auto sul ciglio della strada per accompagnare i figli a scuola e che l’agente non si era, parimenti, attivato nei confronti di tutti gli automobilisti ma solo dell’imputato che, protestava, per il deteriore, e, quindi, arbitrario trattamento riservatogli; 3.6 deduce infine l’erroneita’ della condanna al pagamento delle spese processuali poiche’, in accoglimento di uno dei motivi di appello, la Corte territoriale aveva provveduto nella parte motiva della decisione a modificare la qualificazione del fatto sicche’ non si era verificata un’ipotesi di soccombenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.

2. Sono infondati il primo e sesto motivo di ricorso. Infatti, secondo un risalente orientamento della giurisprudenza di legittimita’, che il Collegio ritiene di dover condividere, il contrasto tra dispositivo e motivazione non determina nullita’ della sentenza, ma si risolve con la logica prevalenza dell’elemento decisionale su quello giustificativo, potendosi eliminare eventualmente la divergenza mediante ricorso alla semplice correzione dell’errore materiale della motivazione in base al combinato disposto degli articoli 547 e 130 c.p.p. (ex multis, Sez. 5, n. 22736 del 23/03/2011, Corrado e altri, Rv. 250400).

Consegue che nella fattispecie in esame va necessariamente data prevalenza al dispositivo della sentenza impugnata, che ha confermato quella di primo grado, con conseguente legittima condanna dell’imputato, essendosi verificata un’ipotesi di soccombenza, al pagamento delle spese processuali.

3. Il secondo motivo di ricorso non e’ fondato. E’, in primo luogo, necessario rilevare che non e’ condivisibile, sul piano fattuale, logico e giuridico, la lettura frammentata delle proposizioni che compongono la motivazione della sentenza impugnata e quella di primo grado che hanno proceduto alla ricostruzione della vicenda, svoltasi in un unitario contesto storico-fattuale, con aderenza alle risultanze processuali e senza che siano ravvisabili, nella trama motivazionale che le compone, sintetica ma esaustiva, vizi di logicita’ e contraddittorieta’ della motivazione, se non come, accennato, con riguardo alla qualificazione giuridica della condotta, contenuta nella parte finale della sentenza di appello e, questa si’, per piu’ ragioni contestata dalla difesa che, comunque, ha svolto le proprie analitiche difese a riguardo di entrambe le fattispecie e, cioe’, sia con riguardo al reato di resistenza, ritenuto dal giudice di primo grado la cui sentenza e’ stata confermata da quella impugnata, sia con riguardo al reato di minaccia a pubblico ufficiale, impropriamente richiamato nella motivazione della sentenza impugnata.

4. Soprattutto, e’ erronea l’impostazione difensiva laddove propone una lettura per cosi’ dire atomistica e parcellizzata delle competenze e funzioni dell’agente di polizia municipale sull’assunto che, essendo l’agente intento a svolgere il servizio scolastico, non avrebbe avuto competenza funzionale o, comunque, non era intento anche a regolare il servizio di viabilita’ e, percio’, competente ad impartire ordini nei confronti di automobilisti che violavano le prescrizioni stradali, di talche’ il comportamento minaccioso dell’imputato non sarebbe stato tenuto durante il compimento dell’atto dell’ufficio. Deve, peraltro, rilevarsi che l’infrazione al codice della strada non e’ contestata dall’imputato che, anche attraverso l’odierno ricorso, lamenta la disparita’ di trattamento, rispetto ad altre vetture, a suo dire nella medesima condizione, piuttosto che affermare la regolarita’ della propria sosta. Non puo’, in vero, nutrirsi alcun dubbio al riguardo della competenza dell’agente di polizia municipale, impegnato nel servizio scolastico (essendo intento a presidiare le strisce pedonali per consentire l’attraversamento degli alunni), a regolare anche la circolazione e la sosta delle vetture lungo la pubblica via, e la sua competenza ad ordinare al ricorrente, che aveva lasciato la sua autovettura contromano ed in divieto di sosta, di rimuoverla immediatamente, ferma restando la possibilita’ di elevare, non appena possibile avuto riguardo al prioritario espletamento del servizio in corso, contravvenzione, ai sensi dell’articolo 157 C.d.S., comma 8. Costituisce esempio scolastico quello secondo il quale l’ordine del pubblico ufficiale puo’ essere dato anche verbalmente o con altro segno di comunicazione (i manuali riportano proprio il caso del vigile urbano, intento a regolare il traffico), con la conseguenza che, nel pieno esercizio dei suoi poteri e delle sue funzioni, l’agente di polizia municipale ha intimato verbalmente all’odierno ricorrente di spostare l’autovettura e che il comportamento del (OMISSIS), che si rifiutava con le espressioni e condotte minatorie di seguito descritte, e’ intervenuto mentre era in corso il compimento dell’atto di ufficio da parte dell’agente e che la condotta del (OMISSIS) era intesa ad impedire l’ovvio approdo della infrazione contestatagli, cioe’ la elevazione del verbale di contravvenzione, tant’e’ che, dopo che l’agente lo aveva invitato a tenere un comportamento meno intimidatorio, avvertendolo che alla fine del servizio lo avrebbe contravvenzionato, per tutta risposta l’imputato lo insultava pesantemente e minacciava l’intervento del sindaco ai suoi danni.

5. Ne’ ha pregio, ai fini dedotti, la circostanza che il preavviso di contravvenzione e’ stato redatto solo dopo che l’imputato si era allontanato. E’ pacifico, infatti, che l’agente non aveva con se’ il libretto dei verbali di contravvenzione, da redigere in contraddittorio con l’interessato, e che provvedeva a redigere, come consentito dalle norme regolamentari, un mero preavviso di contravvenzione dopo la fine del servizio scolastico e l’allontanamento dell’imputato. Ed in vero, alla stregua della ricostruzione compiuta in dibattimento e riportata sinteticamente nelle sentenze di merito, convergenti sul punto, la constatazione della violazione e la sua contestazione all’imputato erano gia’ avvenute alla presenza dell’imputato e mancava solo la formalizzazione della violazione riscontrata nel verbale che l’agente di polizia ha provveduto a redigere non appena terminato il servizio scolastico, ritenuto prioritario. Correttamente, pertanto, il giudice di primo grado ha ritenuto che la condotta dell’imputato dovesse essere inquadrata nella cornice delittuosa del reato di resistenza a pubblico ufficiale, sulla scorta della ricostruita sequenza degli eventi e del concreto comportamento attuato dal prevenuto, che e’ stato tenuto mentre l’agente di polizia compiva un atto dell’ufficio, cioe’ il rituale ordine di spostare l’autovettura e la contestazione verbale della infrazione, alla quale l’agente di polizia municipale aveva verbalmente provveduto in contraddittorio con l’imputato, comportamento che era inteso ad impedire il risultato finale dell’operato dell’agente, cioe’ la elevazione del verbale di contravvenzione, e, nel caso del preavviso che ne e’ l’omologo.

6. Ne discende che il giudice di primo grado ha fatto pertinente applicazione dei criteri differenziali tra le due ipotesi criminose previste dagli articoli 336 e 337 c.p. dettati dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo i quali quando la violenza o la minaccia attuata dal soggetto agente nei confronti del pubblico ufficiale e’ impiegata durante il compimento dell’atto d’ufficio, allo scopo di impedirlo, come nel caso in esame, si ha resistenza, laddove si versa nell’ipotesi di cui all’articolo 336 c.p. allorche’ violenza o minaccia siano rivolte contro il pubblico ufficiale per indurlo ad omettere un atto del suo ufficio anteriormente alla manifestazione ed esecuzione dello stesso (cfr. ex plurimis: Sez. 6, n.37749 del 21.9.2010, Battista, Rv. 248596; Sez. 6, n. 51030 del 5.12.2013, Lupicino, Rv. 258505).

7. Infondata e’ l’ulteriore censura, relativa alla inidoneita’ costrittiva delle minacce proferite dall’imputato, come ricostruite nelle sentenze di merito e sostanzialmente non contestate. La sentenza di primo grado ha ritenuto integrata la condotta materiale e il dolo del reato di resistenza evidenziando che la minaccia del (OMISSIS) era ex se ingiusta e potenzialmente idonea ad impedire e ostacolare il compimento di un atto di ufficio o di servizio e si era risolta in un contegno tenuto a tale scopo, non essendo affatto connotata da genericita’ ovvero intrinsecamente inidonea a ostacolare l’attivita’ doverosa del (OMISSIS) perche’ reiterata, progressivamente ingravescente e perche’ proveniente proprio da un soggetto che rivendicava un ruolo nell’amministrazione comunale, cosi’ evocando una maggiore incisivita’ nei suoi rapporti con il sindaco. Anche nella sentenza impugnata si da’ atto che le parole proferite dal (OMISSIS), lungi dal risolversi in un’espressione di generica minaccia di denuncia della illegittimita’ del comportamento del pubblico ufficiale, per la disparita’ di trattamento, erano finalizzate ad ostacolare il compimento dell’atto di servizio e rilevano come tali, a prescindere dalla circostanza che l’agente (OMISSIS) abbia regolarmente proceduto al compimento dell’atto, cioe’ redigendo il preavviso di contravvenzione. Tali conclusioni sono in linea con la giurisprudenza di legittimita’ che configura il reato di resistenza come reato di pericolo indiretto, in ragione della anticipata tutela accordata dalla norma incriminatrice alla legittima azione del pubblico ufficiale e risoltasi, nel caso in esame, in un contegno oppositivo reale e connotato in termini di effettivita’ causale per la sua idoneita’ a coartare o ad ostacolare l’agire del pubblico ufficiale. Per altro verso, la condotta del ricorrente ha espresso appieno il finalismo lesivo, (dolo specifico, al quale sono del tutto estranei lo scopo mediato ed i motivi di fatto avuti di mira), del soggetto agente poiche’, come accertato dai giudici di merito, il fatto minacciato consisteva non gia’ nella preannunciata opposizione al verbale ma nella minaccia di rivolgersi al sindaco che non ha neppure poteri disciplinari sull’agente di polizia municipale – ed era idonea, valutata con un giudizio ex ante, che tenga conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto e che utilizzi un criterio di carattere medio, a turbare la capacita’ di autodeterminazione ed azione dell’agente di polizia operante.

8. E’ generico e manifestamente infondato il quinto motivo di ricorso che deduce la inutilizzabilita’ dell’interrogatorio reso dall’imputato per un profilo che non e’ previsto dalle norme che regolano, con carattere di tassativita’, la inutilizzabilita’ degli atti tenuto conto che l’interrogatorio del (OMISSIS) veniva reso proprio nel procedimento penale in esame, dal quale veniva stralciata altra fattispecie di reato per la quale e’ stata avanzata dall’ufficio del Pubblico Ministero richiesta di archiviazione. Del resto le dichiarazioni rese dall’imputato in diverso procedimento penale possono essere utilizzate, ex articolo 238 c.p.p., comma 3, richiamato dal successivo articolo 511 bis, qualora egli rifiuti di sottoporsi ad esame, in quanto detto rifiuto, rendendo irripetibile l’atto compiuto con l’interrogatorio davanti al P.M., legittima l’acquisizione del relativo verbale. (Sez. 5, n. 16703 del 11/12/2008 – dep. 20/04/2009, Palanza e altri, Rv. 24333101).

9. Alcun vizio di legittimita’ e’ ravvisabile nelle sentenze di merito che hanno escluso la configurabilita’ nei fatti della causa di esclusione della punibilita’ di cui all’articolo 393-bis c.p., che trova applicazione solo in rapporto ad atti che obbiettivamente, e non soltanto nell’opinione dell’agente, concretino una condotta arbitraria (Sez. 6, n. 46743 del 06/11/2013, Ezzamouri, Rv. 257513), e che non prevede affatto una circostanza di esclusione della pena ricadente sotto la disciplina dell’articolo 59 c.p., disponendo solo l’esclusione della tutela nei confronti del pubblico ufficiale che se ne dimostri indegno. L’accertamento della sussistenza della condizione di cui all’articolo 393-bis c.p., deve essere effettuato con un giudizio ex ante, calato all’interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalita’ del singolo episodio in se’ considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all’azione che possano aver avuto concreta incidenza sull’insorgenza dell’erroneo convincimento dell’agente, senza tuttavia che possano considerarsi sufficienti gli stati d’animo e i timori personali. A questo proposito, dalle convergenti sentenze di merito emerge che la condotta del pubblico ufficiale non aveva i caratteri di arbitrio ne’ di eccedenza rispetto ai limiti delle sue attribuzioni in materia di controllo del traffico ed ai fini della repressione delle violazioni riscontrate, di talche’ non e’ dato evincere alcuna situazione che rendesse il (OMISSIS) indegno della tutela accordatagli in ragione del compimento delle sue funzioni con la conseguenza che la reazione dell’imputato era del tutto ingiustificata ne’ poteva esserlo in ragione della denunciata disparita’ di trattamento che, non solo e’ infondata in fatto (il teste (OMISSIS) ha in vero affermato che le altre autovetture parcheggiate in maniera irregolare erano state spostate nel giro di un paio di minuti, a differenza di quella dell’imputato) ma anche in diritto, poiche’ anche l’omesso accertamento da parte del pubblico ufficiale di analoghe infrazioni commesse da terzi non legittima la reazione agli atti del pubblico ufficiale medesimo, a meno che non risulti dimostrato che il comportamento di costui sia motivato unicamente da settarieta’ o prepotenza o simili cause (Sez. 6, n. 9512 del 16/05/1986 – dep. 18/09/1986, Gintoli, Rv. 17376201): il che’ neppure e’ stato dedotto nel caso in esame.

10. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

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