Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 6 febbraio 2014, n. 2771
In fatto e diritto
Ritenuto che con sentenza n. 485 del 24 gennaio 2008, il Tribunale di Torino dichiarava risolto il contratto preliminare di vendita sottoscritto tra G.V. e Tassel di C.A. & C. s.n.c. il 25 novembre 2003 per inadempimento della Tassel, con conseguente condanna della società al risarcimento del danno patito dall’odierno ricorrente e quantificato nella somma di euro 43.000,00;
che il sig. G. aveva convenuto in giudizio la società poiché la riteneva inadempiente al suddetto contratto inerente un capannone di sua proprietà, per il prezzo di euro 380.000,00;
che, a seguito della promessa d’acquisto, il G. aveva provveduto a disdire i contratti di locazione agli occupanti, ma, prima della stipula del contratto definitivo, la società acquirente aveva comunicato all’immobiliare L.T., mediatrice nella stipula, l’insorgenza di alcune problematiche che la rendevano impossibilitata all’acquisto;
che nella sentenza di condanna il Tribunale determinava l’importo del risarcimento del danno nella differenza tra il prezzo pattuito per l’acquisto dell’immobile e il prezzo ricavato dalla successiva vendita dell’immobile a terzi (euro 333.000,00), tenuto altresì conto della caparra a suo tempo versata dalla soccombente;
che per la riforma della suddetta sentenza la Tassel s.n.c. adiva la Corte d’Appello di Torino, sostenendo che l’unico rapporto intercorso tra le parti sarebbe stato quello del 1° dicembre 2003, ovvero un secondo preliminare successivo al primo, del quale riportava integralmente le condizioni; insisteva inoltre per l’accertamento della legittimità del recesso operato per giusta causa, essendo venuta meno la necessità dell’utilizzo del capannone e sosteneva che di conseguenza nulla fosse dovuto al G. a titolo risarcitorio; in subordine, chiedeva la riduzione dell’ammontare del danno liquidato in favore della controparte;
che il G. si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello proposto e insistendo, in sede di appello incidentale, per il riconoscimento a suo favore degli ulteriori danni da mancato guadagno per la mancata utilizzazione del bene, causato dalla disdetta di tutti i contatti di deposito in corso in vista della vendita alla Tassel s.n.c.;
che la Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 328 del 2010, depositata il 9 marzo 2010, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermava la responsabilità della Tassel s.n.c., rideterminando però per difetto il danno subito dal G. nella misura del 40% della differenza tra prezzo pattuito con il preliminare e prezzo realizzato dal G. in sede di successiva vendita, condannando la Tassel s.n.c. al pagamento della somma di euro 14,800,00;
che per la cassazione di questa sentenza G.V. ha proposto ricorso, notificato presso il domiciliatario, nelle forme di cui all’art. 139, ultimo comma, cod. proc. civ.;
che non ha svolto difese l’intimato;
che, essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., che è stata comunicata alle parti e al Pubblico Ministero.
Considerato che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:
«[(…)] Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente si duole della contraddittorietà e lacunosità della motivazione della Corte di merito nella rideterminazione, per difetto, del risarcimento del danno.
Sostiene il ricorrente che la Corte torinese, pur confermando l’inadempimento della società e il consequenziale danno a suo carico, non riteneva corretto liquidare il danno come corrispondente all’intera differenza tra il prezzo pattuito nel contratto preliminare e quello effettivamente realizzato nella vendita, poiché la cessione del capannone ad un prezzo inferiore al momento della vendita a terzi era stata determinata dalle sue condizioni economiche, sicché egli avrebbe potuto prevedere la detta riduzione in quanto consapevole della sua posizione debitoria complessiva.
Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia il vizio di omessa motivazione in relazione all’art. 1227 cod. civ. Sul presupposto che la Corte abbia operato la rideterminazione per difetto del risarcimento del danno richiamandosi, anche se non espressamente, alla disciplina dell’art. 1227 cod. civ., il ricorrente denuncia una omessa motivazione al riguardo e sostiene che non sarebbe possibile attribuire una responsabilità colposa, ai sensi del primo comma del citato articolo, in capo a sé, essendosi la Tassel s.n.c. resasi inadempiente. Ugualmente, il ricorrente non ritiene possibile configurare la mancanza dell’ordinaria diligenza in capo al creditore, che gli avrebbe consentito di evitare i danni, in quanto la Corte d’appello sembrerebbe imputare la responsabilità al danneggiato per aver ceduto, a seguito dell’inadempimento della Tassel, il capannone a terzi al prezzo cui questi hanno concordato l’affare. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la contraddittorietà della motivazione in punto di appello incidentale. A seguito dell’inadempimento della società, effettivamente egli aveva potuto continuare la sua attività nel capannone, cosa che non avrebbe potuto fare se fosse stato venduto alla Tassel. Tuttavia, la proprietà del capannone aveva causato il sostenimento dei costi di gestione dell’immobile. Egli inoltre aveva dovuto disdire i contratti di locazione del capannone, al fine di vendere l’immobile libero e, nell’attesa della conclusione del contratto con la Tassel (cosa mai avvenuta), non aveva potuto intraprendere nessun progetto commerciale. Tutti questi elementi costituivano una voce di danno non valutata correttamente né ad opera del Giudice di primo grado, né tantomeno in grado di appello.
I primi due motivi di ricorso sono strettamente connessi e possono pertanto essere trattati congiuntamente.
Le ragioni poste a fondamento della propria decisione dalla Corte territoriale risultano sostanzialmente contrastanti in quanto la sentenza impugnata, da un lato, confermando in parte la pronuncia del Tribunale, ha riconosciuto a pieno l’inadempimento della Tassel s.n.c. e ha confermato l’esistenza di un danno per la mancata conclusione del contratto definitivo; dall’altro, ha ritenuto che, a causa dell’aggravarsi della propria situazione economica, comunque prevedibile, il ricorrente abbia successivamente ceduto a terzi la sua proprietà ad un prezzo inferiore rispetto a quello che avrebbe potuto realizzare qualora avesse versato in una situazione migliore.
E’ di palmare evidenza come il fatto controverso decisivo sia stato ricostruito in maniera carente e contrastante poiché, pur avendo confermato l’esistenza del danno in capo al G., la Corte ha ridotto il risarcimento sul rilievo che l’odierno ricorrente, qualora non si fosse trovato in una condizione economica negativa, il cui aggravio avrebbe comunque potuto prevedere, avrebbe potuto vendere l’immobile allo stesso prezzo a cui intendeva venderlo alla società.
D’altra parte, non può non considerarsi che la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che “il risarcimento del danno dovuto al promissario acquirente per la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita di bene immobile, imputabile al promittente venditore, consiste nella differenza tra il valore commerciale del bene medesimo al momento della proposizione della domanda di risoluzione del contratto (cioè, al tempo in cui l’inadempimento è diventato definitivo) ed il prezzo pattuito” (Così Cass. n. 22384 del 2004).
La Corte di merito, peraltro, non si è riferita esplicitamente all’ art. 1227 cod. civ. , ma si è limitata a porre a fondamento della riduzione del risarcimento del danno l’aggravarsi della condizione economica del G., considerata da questi prevedibile perché egli era sicuramente consapevole della propria posizione debitoria complessiva.
Anche su questo punto la motivazione risulta lacunosa, considerando il fondamentale principio in materia di autonomia contrattuale, ex art. 1322 cod. civ., secondo il quale rientra nella libertà delle parti determinare il contenuto del contratto. Il mero rilievo che l’immobile sia stato venduto a un prezzo inferiore, contestualmente ad una situazione debitoria non positiva dell’odierno ricorrente, non può indurre a ritenere tale situazione soggettiva motivo idoneo a decurtare la liquidazione del risarcimento del danno conseguente ad un inadempimento accertato sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello di Torino; ciò anche considerando che il G., nella successiva vendita del capannone, aveva stipulato il contratto instaurando nuove trattative con terzi, fondate sulle condizioni alle quali questi ultimi avevano deciso di acquistare l’immobile de quo. Questa circostanza, peraltro, non sembra possa essere in nessun modo considerata un fatto colposo del creditore, posto che il comportamento dell’odierno ricorrente non ha contribuito in alcun modo all’inadempimento della Tassel s.n.c.
Fondato è altresì il terzo motivo di ricorso, concernente l’entità del danno risarcibile in caso di inadempimento. Il concetto di danno risarcibile, e in particolare, di lucro cessante, con riguardo all’inadempimento, da parte del promissario acquirente, di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, è da riferirsi al principio, ex art. 1223 cod. civ., secondo cui il risarcimento deve porre il creditore nella situazione in cui si sarebbe trovato se l’inadempimento non si fosse verificato. A tal proposito, la citata disposizione prevede il ristoro non solo del danno emergente, ma anche del lucro cessante, ossia di ogni conseguenza lesiva che, seppur non apparente e non immediatamente riscontrabile, gli sia derivata dall’azione dannosa.
Il proprietario, in caso di contratto preliminare di compravendita rimasto inadempiuto, non è tenuto a dare prova delle sue intenzioni, quali la volontà di utilizzare o locare il bene, poiché detta prova si trasformerebbe in una probatio diabolica. La prova sarebbe altresì superflua perché è intrinseca nella disciplina dell’art. 1223 cod. civ. la previsione della risarcibilità del mancato guadagno, qualora sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento. (Cass. n. 6586 del 1997).
Rientra quindi nel diritto al risarcimento del danno, sorto in capo al promittente venditore a seguito dell’accertato inadempimento del promissario acquirente, il ristoro di tutti i danni, comprensivi tanto di danno emergente quanto di lucro cessante. Ed è in quest’ultima categoria che rientrano i danni nascenti dalla disdetta dei contratti di locazione agli occupanti durante le trattative con la Tassel, trattative che, come detto, non si sono mai concretizzate con la conclusione di un contratto definitivo e di conseguenza con la cessione del bene.
Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte e qualora il collegio condivida i rilievi in precedenza formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 n. 5 cod. proc. civ., per essere ivi accolto»;
che il Collegio condivide la proposta di decisione, alla quale, del resto, non sono state rivolte critiche di sorta;
che quindi il ricorso deve essere accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata e con rinvio alla Corte d’appello di Torino perché, in diversa composizione, proceda a nuovo esame, nonché alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.
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