Cassazione 12

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI – L

ordinanza 17 settembre 2015, n. 18276

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:
ordinanza

sul ricorso 22460-2013 proposto da:

FENICIA S.P.A. (già unipersonale), in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVLA 12, presso lo studio dell’avvocato RANCHETTI FRANCESCO, rappresentata e difesa dall’avvocato GALIOTO SALVATORE, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

L.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 10050/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 13/4/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/7/2015 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.


Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto:

“La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 10050/2012 del 13 aprile 2013, rigettava l’appello proposto da L.A. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede (che aveva respinto la domanda avanzata dalla L. nei confronti della Fenicia S.p.A. – intesa ad ottenere la declaratoria della illegittimità del recesso intimatole, nel corso del periodo di prova, in data 10/9/2006 – e condannato la ricorrente al pagamento delle spese di lite pari ad Euro 2.100,00 oltre IVA e CAP). Seguiva la compensazione integrale delle spese del doppio grado. Riteneva la Corte territoriale l’infondatezza dell’unica doglianza avanzata dall’appellante afferente la mancanza di motivazione del provvedimento di recesso aziendale.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Fenicia S.p.A. affidato ad un motivo.

La L. è rimasta solo intimata.

Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ. per avere la Corte di merito compensato le spese del doppio grado di giudizio. Rileva che, avendo rigettato integralmente l’appello, la Corte capitolina avrebbe dovuto confermare integralmente la sentenza di primo grado anche in punto di spese. Evidenzia, altresì, che la motivazione addotta a sostegno della disposta compensazione (natura della controversia, qualità delle parti, peculiarità della vicenda) non soddisfaceva l’eccezionalità delle ragioni richiesta dall’art. 92, come modificato, prima dalla L. n. 263 del 2005 e poi dalla L. n. 69 del 2009.

Il motivo è solo in parte manifestamente fondato.

Emerge dalla stessa sentenza impugnata che l’unico motivo di doglianza mosso in sede di appello dalla L. aveva riguardato il merito della vicenda in questione e cioè la pretesa illegittimità del provvedimento di recesso, intervenuto nel corso del periodo di prova, per mancanza di motivazione. Nessun rilievo era stato mosso con riguardo alla regolamentazione delle spese da parte del Tribunale (che peraltro aveva fatto applicazione del principio della soccombenza).

In tale situazione non poteva la Corte territoriale rimettere in discussione tale regolamentazione che, con il rigetto totale dell’appello, doveva rimanere ferma (si va, sul punto, Cass. 3 maggio 2010, n. 10622 secondo cui: “In materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice di appello che rigetti il gravame nei suoi aspetti di merito, non può, in assenza di uno specifico motivo in ordine alla decisione sulle spese processuali, modificare il contenuto della statuizione di condanna al pagamento di tali spese assunta dal giudice di primo grado, compensandole, attesi i limiti dell’effetto devolutivo dell’appello, alla cui applicabilità non è di ostacolo il carattere accessorio del capo sulle spese, che resta pur sempre autonomo” – si vedano, in senso conforme, Cass. 12 luglio 2010, n. 16308; Cass. 14 ottobre 2013, n. 23226 -).

Quanto alle censure relative alla disposta compensazione delle spese del giudizio di appello, va osservato che l’esercizio del potere di disporre la compensazione è stato nei tempo sottoposto ad un controllo sempre più stringente: dalla formulazione originaria dell’art. 92 cod. proc. civ., alla riforma contenuta nella L. 28 dicembre 2005, n. 263 (altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione), a quella della L. 18 giugno 2009, n. 69 (altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione), sino alla recente modifica introdotta con il D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito nella L. 10 novembre 2014, n. 162 che ha limitato la possibilità di compensazione alla soccombenza reciproca o al caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, con conseguente sindacabilità della motivazione posta alla base dell’esercizio di quel potere.

Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di chiarire che l’art. 92 c.p.c., comma 2, (nel testo risultante a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 11, nella specie ratione temporis applicabile), nella parte in cui permette la compensazione delle spese di lite allorchè concorrano gravi ed eccezionali ragioni, costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da precisare ed integrare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche (cfr. Cass., Sez. Un., n. 2572 del 22 febbraio 2012).

Così, riprendendo il consolidato orientamento espresso sull’art. 92 cod. proc. civ. nel testo anteriore alla riforma del 2009, questa Corte ha anche precisato che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare, in tutto o in parte, in presenza di determinate condizioni, le spese di lite, espressamente indicate in motivazione (cfr. la stessa Cass., Sez. Un., n. 2572 del 22 febbraio 2012 cit; Cass. n. 15413 del 13 luglio 2011; Cass. n. 21521 del 20 ottobre 2010; si veda anche la più recente Cass. 14 febbraio 2014, n. 3576).

Nella specie, la scelta compiuta attraverso la compensazione delle spese processuali del giudizio di appello è stata esplicitamente giustificata dalla Corte di appello attraverso la sottolineatura di quella che è stata la peculiare connotazione della vicenda esaminata oltre che della qualità delle parti (si discuteva di un recesso intimato prima della fine del periodo di prova e senza alcuna motivazione).

Considerato, dunque, che si tratta, pur sempre, dell’esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito, come è reso evidente dal fatto che il giudice può compensare le spese in deroga al principio della soccombenza dell’art. 91 cod. proc. civ., l’unico sindacato ammesso in sede di legittimità – una volta che sia stato rispettato il precetto normativo dell’indicazione esplicita delle ragioni di compensazione -concerne la motivazione sul carattere grave ed eccezionale di esse, essendo la relativa statuizione incensurabile in sede di legittimità se la motivazione (alla stregua del parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, vale a dire nel testo vigente dopo la sostituzione di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012) risulti effettiva e non apparente e, dunque, non si sostanzi in una mera formula di stile violativa del precetto di legge, non potendo la Corte di Cassazione sostituirsi al giudice di merito nell’apprezzamento relativo alla gravita ed all’eccezionalità delle ragioni addotte, che resta comunque a lui riservato.

Orbene, nel caso di specie, la motivazione, attraverso il riferimento alla peculiarità della vicenda ed alla qualità delle parti (come desumibili dallo stesso svolgimento del processo), dà conto delle specifiche circostanze e degli aspetti della controversia decisa, non smentiti – in punto di fatto – in modo adeguato dalla ricorrente, i quali da un punto di vista logico ben possono essere apprezzati come eccezionali e gravi, tali cioè da assumere una significativa rilevanza ai fini del regolamento delle spese.

Per le esposte considerazioni, si propone l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione, la cassazione, in parte qua, della sentenza impugnata e, con decisione nel merito, la conferma della sentenza di primo grado anche con riguardo alla statuizione sulle spese, il tutto con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5″.

2 – Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

3 – La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ.

4 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore con riguardo alla statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali assunta dal giudice di primo grado siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia.

Quanto ai rilievi concernenti la disposta compensazione delle spese del giudizio di appello, il Collegio, contrariamente a quanto proposto nella relazione, ritiene gli stessi fondati.

Nella specie, infatti, la violazione di legge denunciata risulta integrata ravvisandosi una totale inadeguatezza della motivazione del Corte territoriale rispetto ai canoni imposti dall’art. 92 c.p.c., comma 2, (nel testo risultante a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 11, nella specie ratione temporis applicabile (altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione).

E’ stato osservato che questa modifica è stata ispirata dalla volontà del legislatore, di ridurre fortemente la possibilità per il giudice di ricorrere alla compensazione delle spese e per converso di rafforzare, quale strumento regolatore delle spese di lite, il principio generale della soccombenza, sancito dall’art. 91 cod. proc. civ.. In merito, la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di chiarire che l’art. 92 cod. proc. civ., comma 2, nella parte in cui permette la compensazione delle spese di lite allorché concorrano gravi ed eccezionali ragioni, costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili “a priori”, ma da precisare ed integrare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche (Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2012, n. 2572).

Nella specie, i Giudici a quibus, in sostanziale violazione dei su riportali principi di diritto, hanno compensato per intero le spese del giudizio facendo generico riferimento alle “natura della controversia”, alla “qualità delle parti”, alla “peculiarità della vicenda”, e cioè ad espressioni già in sè di contenuto indeterminato, assimilabili a clausole di stile, che non consentono di far comprendere quali siano stati, nello specifico, gli elementi (e cioè particolari e specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa) apprezzati dal giudice di merito a sostegno del dedsum (cfr. Cass. 13 luglio 2011, n. 15413; Cass. 1 marzo 2013, n. 5235). Peraltro dalla motivazione non si evince alcun elemento per ritenere che le suddette ragioni (le quali, a ben guadare, sono comunemente riscontrabili in tutte le controversie di lavoro) siano state soppesate alla luce degli imposti criteri della gravità (in relazione alle ripercussioni sull’esito del processo o sul suo svolgimento) ed eccezionalità (che, diversamente, rimanda ad una situazione tutt’altro che ordinaria in quanto caratterizzata da circostanze assolutamente peculiari). In senso analogo, questa Corte si è espressa (v. Cass. 21 febbraio 2014, n. 4234) con riferimento a fattispecie rientrante ratione temporis nell’alveo applicativo dell’art. 92 cod. proc. civ., comma 2, nel testo introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), precisando che laddove tale norma dispone che il giudice può compensare le spese, in tutto o in parte, se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi e richiedendo che tali motivi siano esplicitamente indicati nella motivazione, la legge “ha introdotto una regola più stringente”; allo stesso modo non può ritenersi soddisfatto l’obbligo motivazionale, specie con riguardo agli ancor più rigorosi criteri introdotti dalle successive modifiche dell’art. 92 cod. proc. civ., quando le argomentazioni del decidente si riferiscono genericamente alla “peculiarità” della vicenda o alla “qualità delle parti” o anche alla “natura della controversia” posto che si tratta di formule così generiche che non consentono il controllo sulla motivazione e sulla congruità della disamina logico- giuridica – in rapporto ai requisiti di gravita ed eccezionalità – delle ragioni poste dal giudice a fondamento della sua decisione. In conseguenza il provvedimento è privo della esplicitazione delle gravi ed eccezionali ragioni che, in assenza della reciproca soccombenza, giustificano la compensazione delle spese tra la parte interamente vittoriosa e quella soccombenza.

In base a tali considerazioni, la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione alle censure accolte. Non si ravvisano, tuttavia, i presupposti per la decisione nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2.

In tema di giudizio di cassazione, per la decisione della causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., la sufficienza degli accertamenti di fatto deve emergere dal provvedimento impugnato (Cass. 13 settembre 2013, n. 21045; nella specie, in applicazione del principio, la S.C., cassando la sentenza di merito per erronea compensazione ex art. 92 cod. proc. civ., comma 2, ha ritenuto di non poter decidere nel merito e ha rinviato al giudice territoriale per gli accertamenti di fatto necessari al corretto regolamento delle spese processuali).

5 – Conclusivamente, la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti e limitatamente al regolamento delle spese dei due gradi di giudizio, rinviandosi, anche per la pronunzia su quelle di cassazione, alla corte di appelli di Roma, in diversa composizione.

P.Q.M.


La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata limitatamente al regolamento delle spese dei due gradi di giudizio e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2015.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2015

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