Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 16 ottobre 2014, n. 21910
Fatto e diritto
Ritenuto quanto segue:
p.1. La s.p.a. Chime ha proposto istanza di regolamento di competenza contro D.A.R. avverso l’ordinanza del 3 luglio 2013, con la quale il Tribunale di Avellino, investito dell’opposizione proposta dal D.A. avverso un decreto ingiuntivo ottenuto nei suoi confronti da essa ricorrente, ha dichiarato la propria incompetenza e la competenza per materia del Tribunale delle Imprese di Napoli ed ha revocato in conseguenza l’opposto decreto ingiuntivo, rimettendo le parti dinanzi al giudice dichiarato competente.
p.2. Il D.A. non ha svolto attività difensiva.
p.3. Prestandosi il ricorso ad essere deciso con il procedimento di cui all’art. 380-ter c.p.c., è stata fatta richiesta al Pubblico Ministero presso la Corte di formulare le sue conclusioni ed all’esito del loro deposito ne è stata fatta notificazione all’avvocato della ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
Considerato quanto segue:
p.1. Il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto dell’istanza di regolamento reputando che il Tribunale abbia correttamente declinato la competenza.
p.2. L’istanza di regolamento prospetta due motivi.
p.2.1. Con una prima doglianza si sostiene la “inammissibilità” dell’ordinanza impugnata sia perché emessa senza invito a precisare le conclusioni, sia perché, in presenza di una situazione in cui la citazione in opposizione aveva indicato per la comparizione un termine inferiore ai novanta giorni prescritti dal primo comma dell’art. 163-bis ed essendo stata essa pertanto affetta da nullità, il Tribunale avrebbe provveduto declinando la competenza, a seguito di un’istanza di abbreviazione dei termini sollecitata dall’opponente per l’adozione di un provvedimento ai sensi dell’art. 649 c.p.c., nella stessa udienza originariamente indicata nella citazione, quella del 24 giugno 2013 (in cui essa ricorrente era comparsa reiterando l’eccezione di nullità ex art. 164 c.p.c. della citazione per il mancato rispetto del termine di comparizione e chiedendo termine a difesa, dopo averla svolta nella comparsa depositata il 10 giugno precedente), ma lo avrebbe fatto a seguito di una notifica del provvedimento – emesso il 16 maggio 2013 – di fissazione della trattazione dell’istanza ai sensi dell’art. 649 c.p.c. e di abbreviazione dei termini, notificato il 28 maggio 2013 e, dunque, senza il rispetto del (non meglio specificato) termine a difesa, in udienza che si doveva intendere fissata solo per la trattazione dell’istanza cautelare ai sensi di quella norma e senza, quindi, dar corso allo svolgimento ordinario del procedimento, che supponeva un invito a precisare le conclusioni.
p.2.2. Con una seconda doglianza, relativa alla individuazione della competenza sulla controversia, si deduce che essa non rientrerebbe fra le controversie soggette alla competenza per materia del Tribunale delle Imprese, come ha invece ritenuto il Tribunale partenopeo, reputando che il credito di cui al ricorso per decreto ingiuntivo originasse da un atto notarile di cessione di quote sociali.
Si adduce, infatti, che nel ricorso si era fatto riferimento al detto atto, con cui la qui ricorrente aveva ceduto al D.A. il 50% del capitale sociale della s.r.l. Deachim, ma si era poi allegato che la stessa Chime aveva successivamente ceduto alla Deachim, a compensazione di un’obbligazione per finanziamenti societari, il credito verso il D.A. relativo al corrispettivo della cessione e che, ancora successivamente la Deachim lo aveva riceduto alla Chime a titolo solutorio di forniture di cui a fatture che erano state indicate nel ricorso stesso.
p.3. Il Collegio ritiene che l’istanza di regolamento di competenza sia infondata, al contrario di quanto opinato dal Pubblico Ministero, che, senza peraltro farsi carico della prima doglianza, ha osservato che la controversia avrebbe ad oggetto una cessione di credito pro soluto e come tale sarebbe estranea alla competenza del Tribunale delle Imprese.
Queste le ragioni della infondatezza dell’istanza.
p.3.1. Con riferimento alla prima doglianza si osserva che è privo di fondamento l’assunto che l’ordinanza qui impugnata debba ritenersi nulla per derivazione dall’esistenza della nullità della citazione in opposizione conseguente all’inosservanza del termine di comparizione, in quanto il Tribunale non avrebbe disposto la fissazione di una nuova udienza di comparizione nel rispetto del termine, a norma dell’art. 164, terzo comma, c.p.c., siccome la ricorrente aveva chiesto nella comparsa di costituzione depositata il 10 giugno 2013.
Altrettanto privo di fondamento è l’ulteriore assunto che vi sarebbe stata altra nullità perché, una volta disposta l’abbreviazione dei termini di comparizione a seguito dell’istanza ai sensi dell’art. 649 c.p.c., non vi sarebbero stati trenta giorni fra la data della sua notificazione e del relativo provvedimento, avvenuta il 28 maggio 2013, e quella dell’udienza di cui alla citazione, confermata con provvedimento di abbreviazione dei termini. Va rilevato che parte ricorrente non precisa i termini normativi che avrebbero dovuto evidenziare l’applicabilità del suddetto termine di trenta giorni, ma, evidentemente (come rivela il riferimento al termine di trenta giorni), intende alludere a quelli di cui al testo vigente del secondo comma dell’art. 645 c.p.c..
p.3.1.1. Quanto alla prima ipotetica nullità, la sua valutazione esige che si debba individuare il regime applicabile al potere di abbreviazione del termine di comparizione in concreto esercitato dal Tribunale nel procedimento in esame.
Va subito precisato che esso era quello emergente dal testo dell’art. 645 c.p.c. novellato dall’art. 1 della l. 29 dicembre 2011, n. 218, che, com’è noto, soppresse nel secondo comma di detta norma l’inciso finale “ma i termini di comparizione sono ridotti alla metà”, lasciando vigente solo la previsione del primo inciso circa l’applicabilità delle norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito e, quindi, affidando il problema dell’eventuale riduzione del termine di comparizione alla disciplina del secondo comma dell’art. 163-bis c.p.c..
Al contrario di quanto parrebbe supporre il ricorso al procedimento, infatti, non era e non è applicabile il nuovo testo del secondo comma dell’art. 645 c.p.c. risultante dall’aggiunta alla parte residuata dopo la soppressione di quell’inciso della proposizione secondo cui “L’anticipazione di cui all’articolo 163-bis, terzo comma, deve essere disposta fissando l’udienza per la comparizione delle parti non oltre trenta giorni dalla scadenza del termine a comparire”. Infatti, tale proposizione venne introdotta dall’art. 78, comma 1, lett. a) del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98 ed in vigore dal 22 giugno 2013, ma, ai sensi dell’art. 78, comma 2, con applicabilità soltanto ai procedimenti instaurati a norma dell’art. 643, ultimo comma del codice di procedura civile, dopo l’entrata in vigore del decreto.
Poiché il ricorso per decreto ingiuntivo era stato notificato pacificamente prima di quella data (esattamente il 20 marzo 2013), il nuovo regime non trovava applicazione al procedimento e non vi trovava applicazione nemmeno – avuto riguardo al fatto che il provvedimento di anticipazione venne adottato il 16 maggio 2013, a seguito di istanza depositata il 22 aprile 2013 – per apprezzare comunque a posteriori la legittimità di quello stesso provvedimento.
Peraltro, l’inciso da ultimo introdotto non sarebbe stato pertinente nella specie, dato che il potere di abbreviazione non è stato esercitato nella situazione supposta dal terzo comma dell’art. 163-bis, cioè per anticipare l’udienza di prima comparizione indicata nella citazione su istanza dell’opposta e qui ricorrente, convenuta formale, bensì su istanza del debitore ingiunto e qui intimato per ridurre il termine di comparizione al di sotto della misura normale, che, peraltro non era stata rispettata nella citazione in opposizione, con nullità della vocatio injus.
p.3.1.2. Chiarito, dunque che nel caso di specie il regime dell’art. 645, secondo comma, c.p.c. applicabile al procedimento era, invece, quello anteriore all’ultima disciplina introdotta nel 2013 e, pertanto, ai sensi del primo inciso della norma, in quanto dispositivo dell’applicazione delle norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito, la fattispecie della riduzione del termine di comparizione risultava regolata dall’art. 163, bis, secondo comma, c.p.c. (come, del resto, in una situazione simile, risulterebbe anche nella vigenza del nuovo testo, dato che il secondo inciso della riforma del 2013 concerne l’anticipazione dell’udienza richiesta dal convenuto).
La particolarità che si è verificata nel caso in esame è che l’opponente al decreto ingiuntivo e qui intimato ha chiesto la riduzione dei termini di comparizione ai sensi di detta norma non già nell’atto di citazione in opposizione, bensì dopo avere notificato quest’ultima, ed averlo fatto senza osservare il temine di comparizione ordinario: detta istanza è stata proposta congiuntamente all’istanza di sospensione ai sensi dell’art. 649 c.p.c..
p.3.1.3. Ora, ancorché l’art. 163-bis, secondo comma, c.p.c. preveda che l’istanza di riduzione del termine di comparizione sia contenuta nella stessa citazione, va anzitutto rilevato che non si può escludere che, una volta notificata la citazione, l’attore possa formulare comunque successivamente (magari per un’esigenza acceleratoria sopravvenuta o anche per rimediare ad una precedente dimenticanza) l’istanza e ciò tanto se nella citazione aveva assegnato correttamente il termine di comparizione, quanto se l’aveva assegnato in modo insufficiente dando luogo ad una nullità ai sensi dell’art. 164 c.p.c..
Nel primo caso si pone necessariamente un problema di anticipazione dell’udienza già indicata nella citazione, dato che altrimenti non avrebbe senso la riduzione del termine di comparizione ed evidentemente in tanto l’istanza può essere accolta in quanto, una volta notificato al convenuto il relativo provvedimento sia possibile in relazione alla nuova udienza anticipata l’osservanza del termine di comparizione ridotto e, quindi, la garanzia del termine a difesa stabilito per il convenuto dall’art. 167 c.p.c..
Ove ciò non sia possibile l’istanza non potrebbe trovare accoglimento Nel secondo caso si può avere la permanenza dell’udienza originaria se in relazione ad essa a favore del convenuto risultano possibili, una volta notificato il provvedimento di riduzione, le stesse tutele che sono previste per l’ipotesi di anticipazione chiesta fin dall’atto introduttivo e, dunque, l’osservanza in relazione all’udienza del termine di comparizione pur ridotto e, conseguentemente del termine a difesa a favore del convenuto per la costituzione, siccome indicato dall’art. 166 c.p.c..
Va rilevato, infatti, in generale che, di fronte ad un provvedimento di riduzione dei termini di comparizione successivo alla notificazione della citazione, l’osservanza di detti termini dev’essere assicurata con riferimento al momento in cui il convenuto riceve la notizia del provvedimento di anticipazione e non con riferimento all’originaria notificazione della citazione, perché altrimenti si avrebbe un’inammissibile oggettiva compressone della tutela del convenuto, che si vedrebbe calcolato il termine di comparizione e quello conseguente a difesa in modo ridotto con un effetto retroattivo e, dunque in contrasto con la loro effettiva fruizione.
p.3.1.4. Ora, in ragione della riduzione alla metà del termine di comparizione disposta dal decreto del 16 maggio 2013 che accolse l’istanza del debitore ingiunto e della conferma dell’udienza originariamente indicata nella citazione, essendo avvenuta la notificazione del decreto alla qui ricorrente soltanto il 28 maggio 2013, è palese che il termine di comparizione pur ridotto a quarantacinque giorni (ai sensi dell’art. 163-bis, secondo comma, c.p.c.) e quello a difesa correlato al doversi costituire dieci giorni prima dell’udienza, ai sensi dell’art. 166 c.p.c., essendo stata confermata dal detto provvedimento detta udienza in quella originaria del 24 giugno 2013 (evidentemente corrispondente a quella di udienza del Tribunale, essendo stata indicata, in realtà, nella citazione la data di udienza del 20 giugno), non risultavano osservati. Ed anzi il Tribunale, provvedendo, pur essendo stata l’istanza presentata fin dal 22 aprile (quando ancora i termini ridotti sarebbero stati congrui rispetto all’udienza del 24 giugno successivo), il 16 maggio avrebbe dovuto avvedersene, perché a quella data non risultava più possibile, pur accolta l’istanza di riduzione, assicurare in relazione ad essa il termine di comparizione e quella a difesa. L’istanza avrebbe potuto essere accolta fissando una diversa udienza – con oggettivo effetto di sanatoria dell’evidente nullità della citazione in opposizione in quanto non rispettosa del termine di originario di novanta giorni, di cui all’art. 163-bis, primo comma, c.p.c. – in modo tale che in relazione alla notifica del provvedimento di riduzione alla metà del termine di comparizione intercorressero quarantacinque giorni.
Il provvedimento del Tribunale fu dunque esso stesso affetto da nullità, perché già all’atto della sua pronuncia ed a maggior ragione della successiva notifica, avvenuta il 28 maggio 2013 risultava che in relazione alla confermata udienza del 24 giugno 2013 non vi erano quarantacinque giorni liberi, siccome richiesto dal secondo comma dell’art. 163-bis c.p.c. Nel contempo, pur in relazione alla citazione introduttiva dell’opposizione, sussisteva violazione del termine di comparizione sebbene ridotto, atteso che, come s’è detto, l’osservanza del termine doveva calcolarsi dalla notificazione del provvedimento di anticipazione. La citazione continuava, pertanto, ad essere nulla ai sensi dell’art. 164, primo comma, c.p.c. per inosservanza del termine di comparizione.
p.3.1.5. Va, tuttavia, considerato che la qui ricorrente, una volta ricevuta la notificazione del decreto del 16 maggio 2013, ebbe costituirsi depositando comparsa di risposta il 10 giugno 2013.
In essa, anziché limitarsi, come avrebbe potuto fare, ad instare la fissazione di una nuova udienza nel rispetto dei termini pur ridotti ai sensi dell’art. 164, terzo comma, c.p.c., dopo avere proposto l’eccezione di nullità della citazione e chiesto tale fissazione, svolse ampiamente nella comparsa le sue difese rispetto alla citazione in opposizione, ivi comprese quelle riguardo all’eccezione di incompetenza proposta dall’opponente.
Ora, il Collegio ritiene che, la norma del terzo comma dell’art. 164 c.p.c., quando, nonostante la costituzione del convenuto in presenza di nullità della citazione relative alla vocatio in ius quali l’inosservanza del temine di comparizione e l’omissione dell’avvertimento dell’art. 163 n. 7 c.p.c. esclude che si verifichi la sanatoria del vizio della citazione per effetto della costituzione del convenuto, qualora egli, costituendosi eccepisca tale nullità, imponendo al giudice di fissare una nuova udienza nel rispetto dei termini di comparizione, suppone che il convenuto, nel costituirsi, si limiti alla formulazione dell’eccezione di nullità. Ciò, è tanto vero che il dovere del giudice di provvedere a tale fissazione è ricollegato non ad un’istanza del convenuto, ma direttamente all’atteggiamento dello stesso di proposizione dell’eccezione. Ne deriva che, se il convenuto costituendosi svolga le sue difese, il presupposto per l’applicazione della norma non sussiste. Il legislatore, invero, non avendo richiesto un’istanza del convenuto in aggiunta all’eccezione, ha inteso ricollegare il dovere di fissazione di nuova udienza, ad una costituzione finalizzata alla sola formulazione dell’eccezione e non anche ad una costituzione che alla formulazione dell’eccezione accompagni lo svolgimento delle difese. Se così fosse, la fissazione dell’udienza dovrebbe avere luogo pur in presenza di una difesa completamente articolata, come fu nel caso di specie siccome si evince dal contenuto della citazione, e sarebbe priva di scopo. D’alto canto, una volta considerato che il convenuto che si sia vista notificare una citazione inosservante del termine a comparire o senza l’avvertimento ai sensi dell’art. 163 n. 7 c.p.c. può scegliere di costituirsi e sanare la nullità della citazione oppure di non costituirsi e lasciare che il giudice la rilevi oppure ancora costituirsi e limitarsi ad eccepirla, lo spettro di tali possibilità, rimettendo al convenuto la decisione su come reagire di fronte alla nullità, esclude che egli abbia una quarta possibilità, cioè di costituirsi, eccepire la nullità e svolgere contemporaneamente le sue difese. Si aggiunga che, essendo la fissazione di una nuova udienza finalizzata ad assicurare che l’esercizio del diritto di difesa fruisca del termine a comparire o dell’avvertimento siccome ritenuto astrattamente necessari dal legislatore al rispetto del diritto di difesa, consentire al convenuto di costituirsi e svolgere l’eccezione e nel contempo le sue difese significa rimettere a lui lo spostamento dell’udienza, in chiara contraddizione con il fatto che, nonostante la nullità, ha svolto le sue difese, pur potendolo non fare.
Se la norma in esame si leggesse nel senso qui ritenuto non valido, la fissazione della nuova udienza nel rispetto del termini assumerebbe il valore di una concessione al convenuto di un termine per integrare le sue difese, ma, poiché il legislatore parla di udienza nel rispetto di termini tale udienza assume rispetto al convenuto la stessa funzione di quella indicata nella citazione e, dunque, di un’udienza in relazione alla quale il suo comportamento è regolato dagli artt. 166 e 167 c.p.c. e non di un’udienza rispetto alla quale dovranno integrarsi le difese.
Si aggiunga ancora che l’opposta soluzione, qualora le difese già svolte dal convenuto evidenzino in rito o nel merito ragioni di rigetto della domanda, la fissazione della nuova udienza, in quanto doverosa, impedirebbe al giudice di ravvisare le condizioni per la maturità della causa per la decisione a favore dello stesso convenuto.
Tutte queste considerazioni non risultano esaminate dall’unico precedente di questa Corte in senso contrario, cioè da Cass. n. 12129 del 2004, dalla cui lettura, peraltro, non emerge se la costituzione del convenuto di cui nella specie trattavasi fosse stata accompagnata da immediato svolgimento delle difese oppure queste – come parrebbe suggerire la prima proposizione della quarta pagina – fossero state svolte dopo avendo il giudice invitato le parti a precisare le conclusioni.
Il principio di diritto che viene in rilievo è il seguente: “Il terzo comma dell’art. 164 c.p.c., là dove, in ipotesi di nullità della citazione per inosservanza del termine di comparizione o mancanza dell’avvertimento ai sensi dell’art. 163 n. 7 c.p.c., esclude che la nullità della citazione sia sanata dalla costituzione del convento, se egli eccepisca tali nullità, ed impone al giudice di fissare nuova udienza nel rispetto dei termini, suppone una costituzione del convenuto limitata alla sola deduzione della nullità e non una costituzione che abbia luogo con la formulazione dell’eccezione, accompagnata dalla richiesta di fissazione di una nuova udienza, e, nel contempo, con lo svolgimento delle difese, dovendosi, invece, in tal caso, ritenere verificata la sanatoria della nullità della citazione”.
p.3.1.6. Le svolte considerazioni escludono che la declinatoria della competenza sia avvenuta in presenza di una nullità della citazione non rimediata ai sensi dell’art. 164 terzo comma c.p.c. e che, incidendo sull’esercizio del potere di decisione sulla competenza, era deducibile con il regolamento di competenza.
p.3.1.7. In ordine alla mancata formulazione dell’invito a precisare le conclusioni, pur necessaria anche per la forma decisionale declinatoria della questione di competenza con ordinanza, si rileva che, risultando dagli atti di costituzione delle parti e dai verbali dell’udienza, redatti separatamente ampiamente discussa la questione di competenza, non si comprende, si deve escludere e nemmeno è stata allegata la verificazione di una nullità incidente sulla decisione impugnata, perché lo scopo cui avrebbe dovuto assolvere un’udienza di precisazione delle conclusioni risulta assolto, anche considerando che sarebbe stato applicabile l’art. 281-sexies c.p.c..
p.3.1.8. La prima doglianza è, pertanto, rigettata.
p.4. Passando all’esame della seconda, si rileva che la declinatoria della competenza a beneficio della competenza delle Sezioni Specializzate in materia di imprese risulta corretta, in quanto la controversia risulta riconducibile all’ambito della previsione della lettera b) dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 168 del 2003, secondo cui “relativamente alle società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, e titolo VI, del codice civile, alle società di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, dell’8 ottobre 2001, e di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003, nonché alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato delle società costituite all’estero, ovvero alle società che rispetto alle stesse esercitano o sono sottoposte a direzione e coordinamento”, dette Sezioni sono competenti per materia “per le cause e i procedimenti […] b) relativi al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti”.
Nel caso di specie il credito per cui è stato richiesto il decreto ingiuntivo, per quanto allegato in esso, rappresenta il corrispettivo della cessione del 50% delle quote di capitale di una s.r.l., la Deachim s.r.l., fatta originariamente dalla Chime, che era socio unico di detta s.r.l., al D.A. . Si tratta di un credito originante da un negozio di cessione di partecipazioni sociale. Detto credito verso il D.A. era stato, nella prospettazione della ricorrente, ceduto pro soluto dalla Chime alla stessa Deachim, in asserita compensazione di un’obbligazione per finanziamenti societari. Successivamente la Deachim aveva riceduto il credito alla Chime a titolo solutorio di forniture di cui a fatture che erano state indicate nel ricorso monitorio stesso.
Tutto questo risulta allegato nel ricorso monitorio.
§4.1. Ebbene, va considerato che, per effetto di tali due successive cessioni di credito, ancorché intervenute pro soluto nel rapporto fra cedente e cessionaria, il credito ceduto ha sempre conservato la sua natura di credito originante dal negozio di cessione della partecipazione sociale.
Ora, nella lettera b) sopra riportata sono individuate come oggetto dell’attribuzione di competenza le controversie concernenti il trasferimento delle partecipazioni sociali e quelle concernenti ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali. Quindi con la disgiuntiva “o” si fa riferimento ai “diritti inerenti”.
La previsione delle prime due tipologie di controversie è fatta anch’essa con l’uso della disgiuntiva “o”. Ne segue che l’ulteriore disgiuntiva “o” che precede il riferimento alle controversie relative ai diritti inerenti si presta ad essere intesa non già nel senso che il legislatore abbia voluto riferirsi ai diritti inerenti le sole partecipazioni sociali (cioè i diritti del socio discendenti dalla partecipazione sociale), bensì nel senso che tali diritti siano quelli nascenti dalle due ipotesi contemplate prima, cioè dal trasferimento delle partecipazioni sociali, id est dai relativi negozi di trasferimento, e da ogni altro negozio avente ad oggetto comunque le partecipazioni sociali.
Ne segue che, una volta intervenuta la cessione originaria della partecipazione sociale fra Chime e il D.A. , il diritto di credito a favore della prima quale corrispettivo della cessione costituiva certamente un diritto inerente il negozio di cessione e la controversia su di esso era riconducibile alla previsione della competenza per materia.
Intervenuta la cessione del diritto di credito dalla Chime alla Deachim, il detto diritto continuò ad originare dal rapporto di cessione originario, perché le vicende di tale cessione nel rapporto fra il debitore ceduto e la nuova creditrice continuavano a rilevare.
La stessa cosa dicasi per la terza cessione del detto credito, quella intervenuta fra la Deachim e la Chime.
Tanto giustifica l’affermazione della competenza delle Sezioni specializzate sulla base del principio di diritto secondo cui “poiché il riferimento ai diritti inerenti contenuto nell’art. 3, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 168 del 2003 si deve interpretare nel senso che alluda ai diritti nascenti dai negozi di trasferimento delle partecipazioni sociali e da ogni altro negozio che le abbia ad oggetto, contemplati dalla stessa norma, qualora il credito per il corrispettivo della cessione di una partecipazione sociale sia oggetto di negozio di cessione da parte del creditore ad un terzo, la controversia da costui proposta per l’adempimento contro il debitore ceduto soggiace alla competenza delle sezioni specializzate di ci a detta norma”.
p.4.2. Ma alla stessa conseguenza si dovrebbe pervenire se l’espressione “i diritti inerenti”, di cui si è detto, si considerasse, per assurdo, relativa ai diritti del socio connessi alla partecipazione sociale. Interpretazione non condivisibile perché, in disparte le ragioni innanzi indicate sul piano letterale, è contraria all’esegesi complessiva del suddetto art. 3, in quanto omette di tener conto che risulterebbe in manifesta contraddizione con il fatto che le controversie inerenti i diritti di c.d. partecipazione del socio sono comunque già previste dalla lettera a), che parla di cause e procedimenti relativi a “rapporti societari” e si presta a comprendere anche il rapporto fra socio e società riguardo ai diritti nascenti dalla partecipazione sociale.
Invero, pur tralasciando tali decisivi argomenti, si dovrebbe osservare ulteriormente che il negozio di cessione del credito rappresentante il corrispettivo della cessione della quota sociale originariamente intervenuto fra Chime e D.A. , concluso successivamente fra la Chime e la Deachim, in quanto riguardò un credito originante dal trasferimento di una quota sociale, ove fosse divenuto oggetto di controversia fra il D.A. , quale debitore ceduto abilitato a dedurre tutte le vicende relative al suo modo di essere e la cessionaria Deachim, avrebbe visto la controversia giustamente ricondotta all’ambito della competenza de qua, dato che si sarebbe trattato di controversia relativa al negozio di trasferimento. Intervenuta la seconda cessione e insorta controversia sul diritto di credito nuovamente ceduto vale lo stesso ragionamento: la discussione fra la Chime ed il D.A. riguardo al credito può riguardare, come ha riguardato, lo stesso negozio di cessione originario, cioè il negozio di trasferimento della partecipazione sociale.
D’altro canto la genericità della previsione di competenza, che riguarda “le cause e i procedimenti” relativi al “trasferimento” e “ad ogni altro negozio”, giustifica che la previsione della competenza sia intesa in modo generale: a questa stregua la causa di rivendicazione del pagamento del corrispettivo sarebbe comunque causa relativa ad un negozio, quello di cessione del credito nascente dalla cessione della partecipazione sociale, come tale riconducibile alla previsione della norma senza utilizzare il riferimento ai “diritti inerenti”.
p.5. Dev’essere, dunque, rigettata l’istanza di regolamento di competenza, con conferma della statuizione del Tribunale e declaratoria della competenza della sezione specializzata.
p.6. Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di regolamento.
P.Q.M.
La Corte dichiara la competenza per della Sezione Specializzata in materia di impresa presso il Tribunale di Napoli. Nulla per le spese del giudizio di regolamento. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma I-bis del citato art. 13.
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