Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 1 luglio 2014, n. 14893
Ritenuto in fatto
– che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione, in applicazione dell’art. 380-bis cod. proc. civile:
“Con atto di citazione notificato il 12.03.2004 S.D. conveniva in giudizio L.U. dinanzi al Tribunale di Udine – sezione distaccata di Palmanova – chiedendo la condanna del convenuto al pagamento, in proprio favore, della somma di Euro 50.448,32, maggiorata di interessi legali. Assumeva l’attrice di essere creditrice di detta somma inforna di due assegni (nn. 1840395152/11 dd. 5.9.2001 e 1840395153/12 dd. 5.9.2002 tratti sulla Rolo Banca 1473, di £ 50.000.000 ciascuno), che non erano stati pagati, il primo per mancanza di provvista, il secondo perché espresso in moneta non avente più corso legale alla data fissata per l’incasso, rappresentando inoltre di aver già provveduto, con un primo procedimento giudiziario, al recupero coattivo di parte del credito, e precisamente della somma di Euro 2.487,80, imputata ai maturati interessi ed a parte del capitale.
Si costituiva in giudizio il sig. L., assumendo, per quanto ancora rileva in questa sede, l’inutilizzabilità dei titoli di credito, in quanto il primo era stato sostituito con altro di pari importo, avente scadenza il 15.10.2001; il secondo perché invalido anche come riconoscimento di debito, essendo espresso in lire.
Alla prima udienza, in data 26.05.2004, il convenuto contestava “la conformità, o meglio l’esistenza dell’originale dell’assegno 5.9.2001, che avrebbe dovuto essere distrutto o annullato.”
Il Tribunale di Udine – sezione distaccata di Palmanova – pronunciava sentenza n. 39/09 con la quale condannava il sig. L. al pagamento, in favore della sig.ra S. della somma di Euro 50.448,32 oltre interessi legali dalla domanda al saldo, nonché alle spese del giudizio.
Avverso la suddetta sentenza il si g. L. proponeva appello, assumendo la nullità di tale sentenza per violazione degli arti. 214 e 215 cod. proc. civ., avendo il giudice di primo grado escluso che quanto dedotto dal convenuto alla prima udienza del 26.05.2004 fosse un e presso disconoscimento di conformità all’originale della fotocopia, ed avendo erroneamente rilevato ex officio la tardività dei successivi disconoscimenti, effettuati nella memoria ex art. 180 cod proc. civ., nonché all’udienza del 12.01.2006, tardività eccepibile solo dalla parte nella prima difesa utile.
Si costituiva la sig.ra S., chiedendo alla Corte di Appello di Trieste di rigettare l’appello e confermare integralmente la sentenza di primo grado.
La Corte di Appello di Trieste, con sentenza n. 133/2012, emessa in data 26.10.2011, così statuiva “1 – rigetta il proposto appello e per l’effetto confèrma la gravata sentenza, previa correzione dell’errore materiale contenuto nella data della stessa, dovendosi leggere alla pagina 8, ultimo rigo, 21.4.2009, anziché 21.4.2002; 3 – condanna l’appellante a rifondere all’appellata le spese di lite di primo grado, liquidate in complessivi Euro 6.225,12, … ”
Avverso la suddetta sentenza, depositata in data 02.03.2012, L.U. proponeva ricorso per cassazione, articolando due motivi. Si costituiva S.D. con controricorso.
* * *
Così riassunti i fatti di causa, il ricorso sembra, prima facie, infondato.
Con i due motivi di ricorso il ricorrente lamenta violazione degli artt 214 e 215 cod proc: dv. (art 360, co. 1 n. 3), nonché insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360, co. 1 n. 5).
Occorre preliminarmente rilevare che il capo della sentenza impugnato in questa sede è solo il terzo, nel quale la Corte territoriale ha ritenuto infondato il terzo motivo di gravame allora proposto, con il quale l’appellante, in questa fase ricorrente, eccepiva la nullità della sentenza di primo grado, avendo erroneamente il Tribunale negato il disconoscimento dell’assegno, recante la data del 05.09.2001, intervenuto tempestivamente nella prima udienza di comparizione.
Il motivo è infondato.
A mente dell’art. 2712 c.c., le copie fotografiche di scritture hanno la stessa valenza delle autentiche, se la loro efficacia è attestata da un pubblico ufficiale ovvero non è disconosciuta espressamente. Il disconoscimento della conformità di una copia all’originale deve avvenire con i tempi e le modalità disciplinati dagli artt. 214 e 215 cod. proc. civ, dovendo il disconoscimento essere chiaro, circostanziato, esplicito e tempestivo. Risulta che il convenuto nella propria comparsa di costituzione nulla abbia eccepito riguardo alla copia fotostatico dell’assegno prodotta dall’attrice. Nella prima udienza di comparizione il convenuto verbalizzava guanto segue: “contesta la conformità, o meglio l’esistenza dell’originale dell’assegno 05.09-01, che avrebbe dovuto essere distrutto o annullato.” La Corte territoriale ha accertato che solo in comparsa conclusionale, per la prima volta, il ricorrente affermava di aver voluto disconoscere la conformità della copia all’originale. In realtà, analizzando il contenuto dell’unica dichiarazione di asserito disconoscimento tempestiva – come questa Corte può fare, come giudice del fatto in tema di error in procedendo – risulta che la stessa esprima una volontà diversa dal disconoscimento. Difatti nell’affermare di “contestare la conformità o meglio l’esistenza dell’originale all’assegno prodotto” il ricorrente voleva in realtà eccepire che tale titolo di credito non poteva essere utili fiato quale titolo giustificativo dell’azione proposta dall’attrice, esistendo fra le parti un accordo finalizzato alla distruzione o alla sostituzione dell’assegno. Sembra quindi corretta l’affermazione della Corte d’appello di Trieste, che si tratti di un eccezione di merito, che era onere del convenuto di provare.
Con riferimento alla insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, tale motivo di ricorso si palesa inammissibile, non essendo in alcun modo spiegata la natura del vizio censurato.”
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che la relazione è stata notificata ai difensori delle parti, che non hanno depositato memorie;
Considerato in diritto
che il collegio, discussi gli atti delle parti, ha condiviso la soluzione prospettata nella relazione e gli argomenti che l’accompagnano;
– che il ricorso dev’essere dunque rigettato, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni svolte.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 100,00 per spese, oltre il rimborso delle spese forfettarie e gli accessori di legge.
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