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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI

SENTENZA 24 settembre 2014, n. 39089

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza del 22 settembre 2011, il Tribunale di Vigevano ha ritenuto T.C. responsabile dei reati di cui agli artt. 81 cpv, 479 cod. pen. (capo A), 317 cod. pen. (capo C), 640, 61 n. 9 cod. pen. (capo D) e 81 cpv, 640, comma 2 n. 1 cod. pen. (capo B), salvo che per le condotte di cui al capo B) inerenti le visite necroscopiche di C.F. e Ca.Al. dichiarate estinte per intervenuta prescrizione. Secondo le contestazioni, le superiori condotte venivano poste in essere dall’imputato nello svolgimento delle proprie funzioni e con la qualifica di pubblico ufficiale qualità medico necroscopo convenzionato con la A.S.L. di (…), e consistevano nel formare e sottoscrivere diversi certificati di visite necroscopiche in effetti non eseguite e, quindi, nel procurarsi ingiustamente i relativi rimborsi da parte della A.S.L. di (…) (capi A e B); nel richiedere ai parenti del defunto R.A. somme di denaro per l’espianto del pace-maker dal cadavere (capo C) e nell’indurre in errore diversi soggetti circa la necessità di versare somme di denaro per l’esecuzione delle visite necroscopiche dei parenti defunti (capo D).

Con sentenza del 19 giugno 2013, la Corte d’Appello di Milano – in riforma della sentenza appellata – ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di T. in ordine al reato di cui al capo B), limitatamente alle visite necroscopiche di G.M. , F.G. , Ga.Li. e S.M.C. per intervenuta prescrizione, e, riqualificata la condotta di cui al capo C) come violazione dell’art. 319 quater cod. pen., ha rideterminato la pena in anni due mesi cinque di reclusione. Dopo avere ripercorso le motivazioni della sentenza del Tribunale, il giudice di secondo grado ha rilevato che, con riguardo ai reati di cui ai capi A), B) e D), il quadro probatorio è del tutto esaustivo, tenuto conto delle dichiarazioni rese dai congiunti dei deceduti e della documentazione acquisita, e che la condotta delineata sub capo C), provata sotto il profilo oggettivo e soggettivo, deve tuttavia essere riqualificata ai sensi dell’art. 319 quater cod. pen.. La Corte ha dunque proceduto alla determinazione della pena, alla luce dei nuovi limiti edittali previsti per il reato di induzione indebita, e del danno da liquidare alla parte civile A.S.L. di (…).

  1. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’Avv. Enzo Tateo, difensore di fiducia di T.C. , chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

2.1. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, atteso che alcuna norma, né nazionale né regionale, prevede, quale prestazione del medico necroscopo nell’ambito delle mansioni di pubblico servizio, l’asportazione del pace-maker, che pertanto deve ritenersi costituire attività libero professionale esulante dall’attività convenzionata con la A.S.L.. Tale conclusione è confermata dal fatto che l’asportazione del pace-maker è stata inserita tra gli obblighi del medico o necroscopo nel capitolato della A.S.L. dopo i fatti oggetto del presente procedimento, il che, lungi dal confermare l’esistenza di una consuetudine – come sostenuto dal Dott. D. -, in realtà tradisce la volontà di coprire l’illegittimità della modifica unilaterale del capitolato da parte dell’ente pubblico.

2.2. Carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, avendo la Corte omesso di valutare l’attendibilità del teste Dott. A. e trascurato le deduzioni difensive dimostrative della buona fede dell’imputato allorché chiedeva il pagamento del compenso per l’asportazione del pace-maker.

2.3. Carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, avendo la Corte errato nel qualificare i fatti come induzione indebita anziché come truffa, avendo l’assistito indotto la persona offesa in errore circa la doverosità del pagamento della somma dietro la prospettazione di difficoltà oggettive di svolgimento della prestazione.

2.4. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla mancata declaratoria di estinzione per prescrizione delle condotte di cui al capo A) in relazione alle visite di G. , F. e S. .

2.5. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alle condotte di cui ai capi A) e B), per avere i giudici d’appello escluso la materiale effettuazione delle visite necroscopiche sulla base delle dichiarazioni dei testi sentiti su vicende avvenute in momenti di particolare dolore e trascurato di considerare che la visita necroscopica può essere compiuta senza compiere alcun esame corporale della salma.

2.6. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, avendo la Corte ritenuto pienamente attendibili le dichiarazioni rese dai coniugi Sc. e Ch. , pur tra loro contrastanti su diversi aspetti ed implausibili, e trascurato di considerare che Sc. non ha riconosciuto l’imputato.

  1. Nella memoria depositata in Cancelleria, la difesa della parte civile costituita A.S.L. di (…), nella persona del Direttore Generale e legale rappresentate pro tempore Dott. M.A. , ha insistito per il rigetto del ricorso.
  2. In udienza, il Procuratore Generale ha chiesto che la sentenza sia annullata senza rinvio per gli episodi di truffa e falso ormai prescritti e che il ricorso sia rigettato nel resto. La difesa della parte civile A.S.L. di (…) ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

  1. Il ricorso deve essere accolto nei termini che seguono.
  2. Con riguardo al fatto di cui al capo C), va premesso che la Corte d’appello di Milano ha riqualificato la condotta contestata quale concussione per induzione ai sensi dell’art. 317 cod. pen., in termini di induzione indebita ai sensi dell’art. 319 quater cod. pen. (introdotta con la legge n. 190/2012).

2.1. In via del tutto preliminare, ritiene il Collegio che i giudici di merito abbiano correttamente ricostruito la materialità dei fatti delittuosi, in termini sostanzialmente coincidenti con l’imputazione elevata dall’accusa sub capo C), e che alcun errore di diritto né vizio argomentativo sia stato compiuto nel ritenere indebito il compenso richiesto da T. per l’espianto del pace – maker.

2.2. Il primo ed il secondo motivo di ricorso si connotano per la prospettazione di una ricostruzione alternativa dei fatti emergenti dall’istruttoria dibattimentale e per la rivalutazione delle dichiarazioni rese dal teste D. . Il che, secondo il costante orientamento di questa Corte, rende inammissibile il ricorso per cassazione, in quanto fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici tassativamente previsti dall’art. 606, comma primo, lett. E), cod. proc. pen., riguardanti la motivazione del giudice di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (Cass. Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, P.C., Basile e altri, Rv. 258153). Esula, infatti, dai poteri della Corte di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata, in via esclusiva, al giudice di merito, senza che possa integrare un vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa – e per il ricorrente più adeguata – valutazione delle risultanze processuali (ex plurimis Cass. Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, Rv. 236893).

2.3. D’altra parte, la struttura giustificativa della sentenza di appello impugnata si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Cass. Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595), nel quale il materiale probatorio raccolto nell’istruttoria dibattimentale è stato compiutamente disaminato e sono state ben esposte le ragioni per le quali si è ritenuta provata la materialità della condotta induttiva e la coscienza e volontà del ricorrente di avanzare una richiesta di compenso oggettivamente illecita, con una motivazione adeguata, puntuale ed immune di vizi logici.

Del tutto condivisibilmente la Corte ha rimarcato, per un verso, che alcuna disposizione specifica autorizzava il medico necroscopo convenzionato con la A.S.L. a richiedere ai congiunti del defunto somme di denaro per l’espianto del pace – maker; che, se del caso, la richiesta di pagamento della prestazione avrebbe dovuto essere avanzata alla stessa struttura pubblica per conto della quale il sanitario aveva compiuto l’operazione, e che, se mai avesse avuto dei dubbi quanto alla possibilità di richiedere il compenso, il medico avrebbe dovuto preventivamente chiedere chiarimenti alla stessa A.S.L.. Per altro verso, la Corte ha posto in luce che la consapevolezza di T. di agire al di fuori dei confini del consentito è palesata dalle modalità di pagamento del compenso (in una busta chiusa a consegnare al portiere) e senza emissione di fattura (rilasciata soltanto a seguito delle contestazioni delle persone offese).

Altrettanto corretta è la motivazione della sentenza impugnata laddove si è evidenziato che, sebbene la convenzione con la A.S.L. non facesse espressa menzione dell’attività di rimozione del pace-maker fra le operazioni da compiere ad opera del medico necroscopo,

sussisteva tuttavia una consuetudine interpretativa in forza della quale tale operazione rientrava nell’ambito della visita in convenzione, secondo la prassi testimoniata dal Dott. A. della A.S.L. di (…).

D’altra parte, va rilevato come, sul piano soggettivo, se l’imputato avesse ignorato l’esistenza di una consuetudine in tale senso o, comunque, se avesse dubitato della legittimità della stessa, avrebbe dovuto comunque avanzare la richiesta di rimborso della prestazione svolta, non al privato, ma alla A.S.L. per conto della quale operava in convenzione.

  1. Fondato è invece il terzo motivo di ricorso.

Ritiene invero il Collegio che i fatti oggetto dell’incolpazione sub capo C) debbano essere qualificati – anziché come induzione indebita – come truffa aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 9 cod. pen., con conseguente declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

3.1. Come questa Corte ha avuto modo di chiarire nella sentenza a Sezioni Unite n. 12228 del 2014, T’induzione’ prevista dall’art. 319 quater cod. pen. va intesa come ‘alterazione del processo volitivo altrui, che, pur condizionato da un rapporto comunicativo non paritario, conserva, rispetto alla costrizione, più ampi margini decisionali, che l’ordinamento impone di attivare per resistere alle indebite pressioni del pubblico agente e per non concorrere con costui nella conseguente lesione di interessi’ facenti capo alla p.a.’. La nozione di ‘induzione’ va determinata in connessione con l’abuso di potere o qualità dell’agente pubblico e con l’elemento della punibilità del privato indotto alla dazione o promessa indebita, che ‘è il vero indice rivelatore del significato dell’induzione’.

Le ‘modalità della condotta induttiva’, che non devono essere evidentemente aggressive e coartanti, non possono che concretizzarsi nella persuasione, nella suggestione, nell’allusione, nel silenzio e, perfino, nell’inganno. A tale ultimo proposito, le Sezioni Unite hanno tuttavia chiarito che l’inganno non deve vertere ‘sulla doverosità della dazione o della promessa, del cui carattere indebito il privato resta perfettamente conscio; diversamente si configurerebbe il reato di truffa’.

3.2. Fissate tali coordinate ermeneutiche e passando alla disamina del caso di specie, giova rammentare come, secondo la ricostruzione dei fatti correttamente compiuta dai giudici di merito, T.C. chiedeva a R.A. ed E. , prossime congiunte di R.A. , la somma non dovuta di 150,00 Euro per l’esecuzione dell’espianto del pace maker, rappresentando loro difficoltà operative legate al fatto che l’intervento sarebbe stato effettuato in un luogo non consono e senza la strumentazione necessaria, ponendole davanti alla prospettiva che altrimenti non avrebbe operato. Non è revocabile in dubbio che la condotta posta in essere dal ricorrente costituisca una forma di condizionamento psichico volta a indurre le persone offesa a compiere una disposizione patrimoniale a favore dell’agente, concretandosi appunto in una ‘induzione’.

Se non che, nel caso di specie, da un lato, fa completamente difetto in capo ai soggetti privati indotti ‘il vantaggio indebito che, al pari della minaccia tipizzante la concussione assurge al rango di criterio di essenza della fattispecie induttiva’, non potendosi ritenere che, nel versare la somma al medico necroscopo, le parenti del defunto R.A. approfittassero dell’abuso del pubblico ufficiale per perseguire un proprio vantaggio ingiusto o anche soltanto per assicurarsi un trattamento di favore.

Dall’altro lato, le persone offese venivano indotte a pagare la somma di denaro dietro la falsa rappresentazione della doverosità del versamento, segnatamente dietro la prospettazione di difficoltà operative e dunque di un maggiore impegno dell’intervento di espianto tale da giustificare la remunerazione, dunque dietro la rappresentazione di una situazione non rispondente al vero, tesa ad indurre in errore le vittime circa la doverosità della prestazione economica.

Né la consapevolezza delle persone offese circa il carattere indebito della dazione potrebbe ritenersi provata dal fatto che, come ritenuto dalla Corte d’Appello, R.A. consegnava la somma di denaro pur avendo saputo dal portiere che il pagamento non era dovuto. Ed invero, secondo la ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza del giudice di prime cure, R.A. prendeva atto della ‘meraviglia’ del portinaio nel ricevere la busta contenente la somma di 150 Euro destinata al Dott. T. e, solo nei giorni seguenti, interpellava il Dott. D. della A.S.L. ed apprendeva da questi che la somma non doveva essere assolutamente pagata. Il che porta a ritenere che, nel momento in cui le vittime si impegnavano a pagare la somma ed anche in quello in cui R.A. provvedeva alla consegna della busta contenente il denaro al portiere, esse versassero in errore circa la doverosità della dazione. Quantomeno, sussiste un ragionevole dubbio in tale senso, dubbio che non può non giovare pro reo.

Ne discende che, non risultando provata al di là di ogni ragionevole dubbio la consapevolezza dei privati in ordine alla doverosità della dazione e facendo comunque difetto un indebito vantaggio di questi, il reato deve essere qualificato, come precisato expressis verbis dalle Sezioni Unite di questa Corte, quale truffa.

3.3. Visto il tempus commissi delicti, risulta ormai maturato il termine di prescrizione ed il reato deve pertanto essere dichiarato estinto.

  1. Ad analoga conclusione si deve pervenire quanto ai reati di truffa aggravata di cui ai capi B) (parte resistente) e D) in quanto estinti per intervenuta prescrizione.

Tenuto conto della ricostruzione dei fatti operata dai giudici di primo e secondo grado sulla base delle risultanze dell’istruttoria dibattimentale, non ricorrono le condizioni per applicare il disposto di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. in relazione ad alcuno degli episodi delineati nelle indicate imputazioni, atteso che dagli atti non emerge ictu oculi l’innocenza dell’imputato.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare anche a Sezioni Unite, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di ‘constatazione’, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di ‘apprezzamento’ e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Cass. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 23680 del 07/05/2013, Rizzo, Rv. 256202).

Situazione di evidenza dell’innocenza dell’imputato che, avuto riguardo ai fatti così come ricostruiti nelle sentenze di primo e secondo grado, rivalutati anche alla luce delle argomentazioni svolte nei motivi di ricorso, non può ritenersi sussistente nella specie.

  1. Il ricorso deve invece essere rigettato con riguardo al motivo concernente l’intervenuta prescrizione del reato di cui al capo A).

In via preliminare, va notato come la Corte d’appello abbia dato atto in modo espresso della riconducibilità della condotta sub capo A) alla fattispecie di cui al combinato disposto degli artt. 479 – 476 comma 2 cod. pen., e come la qualificazione giuridica non abbia costituito oggetto di ricorso.

In ogni caso, secondo i principi affermati da questa Corte, il certificato di morte rilasciato dal sanitario, in virtù del regolamento di polizia mortuaria e del regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile ex D.P.R. n. 396 del 2000, art. 74, è un atto pubblico, perché è espressione della funzione attestatrice dell’accertamento diretto del sanitario ed ha, nel contempo, una funzione costitutiva, perché preordinata al rilascio dell’autorizzazione alla sepoltura, autorizzazione che è a sua volta subordinata non solo all’accertamento della morte, ma anche alla verifica dell’inesistenza di condizioni che potrebbero giustificare interventi dell’Autorità sanitaria ovvero di quella giudiziaria (Cass. Sez. 5, n. 6871 del 13/05/1998, Rv. 211363; Cass. Sez. 5, n. 21837 del 18/04/2008, Rv. 240101).

il certificato di morte è dunque un atto pubblico dotato di fede sino a querela di falso con conseguente applicabilità del trattamento sanzionatorio previsto dal combinato disposto degli artt. 479 e 476 cpv, cod. pen. Ne discende che, avuto riguardo al tempus commissi delicti dei vari episodi di falso contestati sub capo A), non risultano ancora maturati i tempi della prescrizione.

  1. La sentenza deve dunque essere annullata con riguardo alle condotte sub capo A) limitatamente al trattamento sanzionatorio, non potendo questa Corte provvedere a rideterminarlo ai sensi dell’art. 620 lett. I) cod. proc. pen., con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.
  2. Il ricorrente deve essere condannato a rifondere alla parte civile A.S.L. di (…) le spese sostenute in questo grado, che questo Collegio ritiene congruo liquidare in complessivi Euro 2.500,00 oltre a I.V.A. e C.P.A. Ed invero, nell’ipotesi di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, l’imputato può comunque essere condannato al pagamento delle spese in favore della parte civile, non essendo la prescrizione indice di soccombenza (Cass. Sez. 2, n. 3186 del 11/12/2012, Montagna, Rv. 254448).

P.Q.M.

 qualificato il fatto di cui al capo C) ai sensi degli artt. 640 e 61 n. 9 cod. pen., annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al reato di cui a tale capo ed a quelli di cui ai capi B) e D) perché estinti per prescrizione.

Annulla la medesima sentenza in relazione alla residua imputazione di cui al capo A), limitatamente al trattamento sanzionatorio, e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.

Rigetta nel resto il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere alla parte civile, A.S.L. di (…), le spese sostenute in questo grado e liquidate in complessivi Euro 2.500,00 oltre a I.V.A. e C.P.A..

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