Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 16 giugno 2015, n. 25148
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DUBOLINO Pietro – Presidente
Dott. DE BERARDINIS Silva – rel. Consigliere
Dott. SAVANI Piero – Consigliere
Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1414/2010 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 26/11/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/01/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVANA DE BERARDINIS;
Udito il Procuratore Generale, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RILEVATO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, per quanto ancora d’interesse, la corte d’appello di Bologna, in accoglimento del gravame proposto dal pubblico ministero, dichiaro’ (OMISSIS) responsabile del reato di cui al combinato disposto degli articoli 48 e 479 c.p. per avere, secondo l’accusa, falsamente dichiarato agli agenti di polizia che lo avevano sorpreso alla guida di un’autovettura, di non essere momentaneamente in possesso della prescritta patente, che invece gli era stata revocata, cosi’ inducendoli a redigere nei suoi confronti verbale per la sola infrazione amministrativa prevista dall’articolo 180 C.d.S..
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, lamentando come illegittimo il giudizio di penale responsabilita’ in ordine al suddetto reato, in primo luogo alla luce del principio per cui “nemo tenete se detegere”, da ritenersi implicito anche nell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritto dell’uomo; in secondo luogo in considerazione del fatto che i pubblici ufficiali asseritamente indotti in errore avrebbero avuto il potere-dovere di verificare se quanto loro dichiarato dall’imputato rispondesse o meno a verita’.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso – premessa la manifesta infondatezza della prima ragione di doglianza (quella basata sul principio del “nemo tenete se detegere”), se non altro per l’ovvia considerazione, contenuta nell’impugnata sentenza, che l’imputato, in luogo di dichiarare falsamente di essere tuttora titolare di patente di guida, avrebbe potuto puramente e semplicemente omettere ogni dichiarazione, senza alcun danno per se’ stesso – appare tuttavia meritevole di accoglimento, non potendosi in effetti ritenere giuridicamente configurabile, sulla base della pacifica ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito, il contestato reato di cui agli articoli 48 e 479 c.p..
Tale ipotesi di reato, infatti, presuppone che, nella parte in cui l’atto pubblico viene formato sulla scorta delle dichiarazioni rese dal privato, esso sia destinato, secondo quanto espressamente previsto dall’articolo 479 c.p., ultima ipotesi, a “provare la verita’” di quanto forma oggetto di dette dichiarazioni: condizione, questa, che non si verifica nel caso in esame, atteso che il verbale con il quale si contestava all’imputato l’infrazione amministrativa di cui all’articolo 180 C.d.S. non era certamente destinato a costituire prova del fatto che egli fosse effettivamente titolare di valida patente di guida, ma si limitava a dare atto che questa era stata la sua dichiarazione e che, sulla base di essa, era a suo carico configurabile la suddetta infrazione, fermo restando che detta dichiarazione sarebbe stata comunque destinata ad essere verificata, giacche’, in base a quanto disposto dal citato articolo 180 C.d.S., comma 8 il dichiarante si sarebbe dovuto presentare, entro il termine a lui assegnato, per esibire la patente di cui aveva asserito di essere titolare e, in caso negativo, oltre ad essere assoggettato ad ulteriore sanzione amministrativa, sarebbe stato anche assoggettato a quella prevista per l’accertata, oggettiva mancanza del documento (come,in effetti, deve ritenersi essere avvenuto nel caso di specie, dal momento che il ricorrente risulta aver subito condanna, non impugnata, anche per il reato contravvenzionale di cui all’articolo 116 C.d.S., comma 13).
L’impugnata sentenza deve quindi essere annullata, sull’unico punto che ha formato oggetto di ricorso, con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della corte d’appello di Bologna, la quale dovra’ soltanto verificare se e come il proposto appello del pubblico ministero avverso la pronuncia assolutoria di primo grado possa eventualmente essere accolto, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 521 c.p.p., con riferimento ad altra e diversa figura di reato rispetto a quella di cui agli articoli 48 e 479 c.p..
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta sussistenza del reato di cui agli articoli 48 e 479 c.p., con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte d’appello di Bologna.
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