SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Sentenza 26 marzo 2014, n. 7062
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MERONE Antonio – Presidente –
Dott. CHINDEMI Domenico – rel. Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 19982-2007 proposto da:
BANCA AGRICOLA MANTOVANA SPA appartenente al GRUPPO BANCARIO MONTE PASCHI DI SIENA in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA LARGO SOMALIA 67, presso lo studio dell’avvocato GRADARA RITA, rappresentato e difeso dagli avvocati GRASSOTTI AMEDEO, SARZI SARTORI STEFANO giusta delega a margine;
– ricorrente –
contro
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis; CONSOB – COMM. NAZ. LE PER LE SOC.TA’ E LA BORSA in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE CARSO 71, presso lo studio dell’avvocato ARIETA GIOVANNI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati BIAGIANTI FABIO, VALENTE ANTONELLA, ERMETES MARIA LETIZIA giusta delega a margine;
– controricorrenti –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositato il 25/05/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/02/2014 dal Consigliere Dott. DOMENICO CHINDEMI;
udito per il ricorrente l’Avvocato SINESIO delega Avvocato GRASSOTTI che ha chiesto l’accoglimento; uditi per il controricorrente gli Avvocati ARIETA, VAMPA e ERMETES che hanno chiesto il rigetto;
udito per il resistente l’Avvocato ZERMAN che si riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
La Corte di appello di Brescia, con decreto depositato il 25.5.2006, confermava, rigettando l’opposizione della Banca Agricola Mantovana s.p.a., il provvedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative da parte della Consob – Commissione Nazionale per le società e la borsa-nei confronti della citata banca (società cessionaria del ramo d’azienda della vecchia Banca Agricola Mantovana s.p.a.) in via solidale con la Banca Monte dei Paschi di Siena (società incorporante la vecchia Banca Agricola Mantovana che ha ceduto alla nuova Banca Agricola Mantovana s.p.a. il ramo d’azienda) e di n. 35 esponenti aziendali della BAM, con obbligo di regresso nei confronti degli autori delle violazioni, comminate in relazione alle operazioni di collocamento sul mercato di obbligazioni Cirio. Proponeva ricorso per cassazione la banca affidato ai motivi: La Consob si costituiva con controricorso e presentava memoria.
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 6.2.2014, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2, illegittimità del decreto impugnato per violazione, da parte della Consob, del termine di 90 giorni per la notifica delle contestazioni, decorrente dalla redazione della relazione ispettiva definitiva.
La censura è infondata; va, al riguardo osservato che il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della Consob, non deve essere fatto coincidere, necessariamente e automaticamente, nè con il giorno in cui l’attività ispettiva è terminata, nè con quello in cui è stata depositata la relazione dell’indagine, nè con quello in cui la Commissione si è riunita per prenderla in esame, poichè la “constatazione” dei fatti non comporta di per sè il loro “accertamento”; ne consegue che, mentre la redazione della relazione ed il suo esame debbono essere compiuti nel tempo strettamente indispensabile, senza ingiustificati ritardi, occorre, invece, individuare, secondo le particolarità dei singoli casi, il momento in cui ragionevolmente la contestazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento, momento dal quale deve farsi decorrere il termine per la contestazione stessa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25836 del 02/12/2011).
Nella fattispecie in esame la Corte di appello di Brescia, con valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità ha rilevato, al termine di una analitica valutazione, che “non potrebbe comunque definirsi esorbitante dei limiti della ragionevolezza cronologica il protrarsi, fino alla data in cui venne predisposta la relazione finale degli ispettori, della fase di raccolta, di valutazione e di approfondimento di dati…. E’ infatti risultato che l’attività ispettiva si è contemporaneamente indirizzata su ben 10 istituti di credito… ha avuto ad oggetto l’attività svolta nel biennio 2000-2002 relativamente alla negoziazione delle obbligazioni emesse in dette periodo dalle società del gruppo Cirio attraverso nuove operazioni…per ingentissimi importi” rilevando, come “l’attività valutativa e deliberativa dell’ente di vigilanza si è mantenuta all’interno di un arco cronologico pienamente giustificato, nella sua ampiezza, dalla straordinaria complessità della fattispecie concreta”.
Anche la richiesta di notizie alla Banca d’Italia, che ha risposto il 10 marzo 2004, va inserita nel novero dell’approfondimento delle notizie e dei dati raccolti nella precedente fase di ispezione presso la Banca d’Italia e, quindi, nella fase prodromica, funzionalmente preordinata all’accertamento delle violazioni, mentre la posizione rivestita all’interno dell’istituto dalle diverse persone fisiche risulta contenuta nella relazione finale in data 12 marzo 2004, dovendosi, quindi escludersi che l’accertamento possa ritenersi completato alla data di deposito della relazione ispettiva definitiva, a seguito della chiusura della relativa verifica.
In forza della stessa valutazione della Corte la straordinaria ed eccezionale complessità degli accertamenti giustificavano e legittimavano i riscontrati termini di procedura e deve essere, quindi, ritenuto rispettato il termine per la conclusione della fase finale di valutazione.
2. Con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 2, comma 2, sui termini del procedimento amministrativo fissati dalla deliberazione Consob n. 12.697, come modificata dalla deliberazione n. 14.468 dell’11/3/2004, disapplicazione della delibera Consob 12.697 nella parte relativa all’inizio del termine del procedimento per violazione di legge e in ogni caso, violazione del termine fissato dalla delibera 12.697 del 2 agosto 2000, per non avere la Corte territoriale disapplicato l’art. 4 del regolamento Consob 12.6977/2000 nella parte in cui fissa la decorrenza del termine di conclusione della fase del procedimento, ex art. 195 TUF a partire dalla scadenza del termine per presentare deduzioni ed aver conseguentemente ritenuto tempestiva la trasmissione della proposta sanzionatorie al Ministero dell’economia.
Il motivo è inammissibile.
La ricorrente non censura le argomentazioni della Corte territoriale che hanno rigettato la questione riproposta all’attenzione di questa Corte, formulando censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata.
La Corte di merito ha rilevato, sul punto, come, in tema di irrogazione delle sanzioni, il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195 disciplina un procedimento complesso che si articola in due distinte fasi, una di natura amministrativa e l’altra, eventuale di natura giurisdizionale.
La prima si articola, a sua volta in tre distinti momenti: a) fase della contestazione degli addebiti (e presuppone una preventiva attività istruttoria) b) fase del contraddittorio, c) fase della valutazione con conseguente formulazione di una proposta sanzionatorie, ovvero di un provvedimento di archiviazione.
Ciascuno di questi momenti è soggetto una rigorosa scansione temporale: per la fase della contestazione la L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2, prevede il termine di 90 giorni dall’accertamento la cui violazione comporta la decadenza del potere di irrogare le sanzioni. I limiti cronologici della fase del contraddittorio sono regolati dallo stesso D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 2, che assegna, a coloro i quali sono stati contestati gli addebiti il termine di 30 giorni per controdedurre.
Con riferimento alla fase conclusiva la Consob, dando attuazione alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2, con regolamento 2 agosto 2000, n. 12.697, in vigore dal 1 dicembre 2000, ha previsto il termine di 180 giorni dalla conclusione della fase procedimentale, disciplinando normativamente il tempo che corre dalla fine del contraddittorio, ovverosia la scadenza del termine di 30 giorni per il deposito delle difese e il termine della fase conclusiva del procedimento. A fronte di tale articolata motivazione della Corte territoriale il motivo di ricorso difetta di specificità.
Inoltre, per effetto dell’entrata in vigore della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-octies, comma 2, gli eventuali vizi del procedimento amministrativo previsto dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, che si svolge innanzi alla Commissione nazionale per la società e la borsa, non sono rilevanti, in ragione tanto della natura vincolata del provvedimento sanzionatorio, quanto della immodificabilità del suo contenuto.
Tale disposizione, introdotta dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15, art. 14, ha carattere processuale, ed è pertanto applicabile con effetto retroattivo anche ai giudizi di opposizione in corso (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20929 del 30/09/2009).
3. Col terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 190 – 195, violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 1 e 7 e del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58 per avere la decisione impugnata rigettato l’eccezione di illegittimità del decreto ministeriale che ha ingiunto il pagamento della sanzione sia alla nuova Banca Agricola Mantovana, sia alla Banca Monte dei Paschi di Siena, senza peraltro individuare l’ente di appartenenza degli autori delle violazioni.
Va, al riguardo, rilevato come risulti evidente come gli autori delle violazioni appartenessero, all’epoca dei fatti, alla vecchia Banca Agricola Mantovana, essendo specificato nel decreto sanzionatorio, nella parte riportata nel controricorso, che le sanzioni pecuniarie sono irrogate “a carico di esponenti aziendali della ex Banca agricola mantovana”, indicando nella stessa banca il soggetto obbligato in solido con l’autore delle violazioni.
I profili concernenti la legittimazione della Banca Monte dei Paschi di Siena, quale responsabilità solidale, potrebbero, comunque, essere fatti valere dalla stessa ma non dalla ricorrente che non ha interesse al riguardo.
In tema di fusione, l’art. 2504-bis cod. civ. introdotto dalla riforma del diritto societario (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) ha natura innovativa e non interpretativa e, pertanto, il principio, da esso desumibile, per cui la fusione tra società si risolve in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo, non vale per le fusioni (per unione od incorporazione) anteriori all’entrata in vigore della nuova disciplina (1 gennaio 2004), le quali tuttavia pur dando luogo ad un fenomeno successorio, si diversificano dalla successione “mortis causa” perchè la modificazione dell’organizzazione societaria dipende esclusivamente dalla volontà delle società partecipanti, con la conseguenza che quella che viene meno non è pregiudicata dalla continuazione di un processo del quale era perfettamente a conoscenza, così come nessun pregiudizio subisce la incorporante (o risultante dalla fusione), che può intervenire nel processo ed impugnare la decisione sfavorevole.
Ad esse, di conseguenza non si applica la disciplina dell’interruzione di cui agli artt. 299 e seguenti del codice di procedura civile (Cass. Sez. U, Sentenza n. 19698 del 17/09/2010).
4. Col quarto motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195 per avere il decreto impugnato ritenuta legittima la motivazione dell’atto ministeriale “per relationem” alla proposta sanzionatorio della Consob senza che il Ministero dell’Economia abbia compiuto alcuna valutazione autonoma della suddetta proposta come dimostrerebbe la mancata soluzione del problema, posto dalla Consob, dell’individuazione del responsabile in solido. La censura è infondata.
L’obbligo di motivare l’atto applicativo della sanzione amministrativa deve considerarsi soddisfatto quando dall’ingiunzione risulti la violazione addebitata, in modo che l’ingiunto possa far valere le sue ragioni e il giudice esercitare il controllo giurisdizionale. Ne consegue che è ammissibile la motivazione “per relationem” mediante il richiamo di altri atti del procedimento amministrativo, purchè tale richiamo consenta l’instaurazione del giudizio di merito sull’esistenza e sulla consistenza del rapporto obbligatorio. (Cass. Sez. L, Sentenza n. 17104 del 22/07/2009) La stessa Corte territoriale ha ritenuto con congrua motivazione, non censurabile in sede di legittimità, l’utilizzazione della motivazione “per relationem”, rilevando, inoltre, come dal tenore del decreto sanzionatorio in cui si rinvia alla relativa proposta nonchè al precedente atto di contestazione, la banca sia stata posta in grado non solo di avere piena contezza degli addebiti ma anche delle ragioni in base alle quali essi erano stati formulati.
5. Col quinto motivo si lamenta violazione del principio di legalità, determinatezza e tipicità, conoscibilità delle fattispecie sanzionatorie, violazione della L. n. 689 del 1981, art. 1, violazione e falsa applicazione dell’art. 56 regolamento Consob 11.522/1998, lamentando che la verifica di idoneità delle procedure della banca ricorrente sia stata condotta su un piano astratto, prescindendo dalla verifica della rispondenza delle procedure adottate dal singolo imprenditore allo scopo finale. Tale motivo è inammissibile formulando censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata, non rientrato nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4036 del 18/02/2011).
La Corte di appello ha rilevato che “la norma che si è ritenuta violata nella specie, infatti, è destinata a operare sul piano dell’organizzazione interna in modo che sia scongiurata la possibilità stessa del verificarsi di determinati eventi reputati pregiudizievoli per la clientela. Ciò che si vuole imporre, attraverso la specifica normativa presidiata da sanzione, è che l’intermediario si doti di una struttura e di procedure che si ritengono a priori adeguate a ottenere quel risultato” osservando, in sintesi, come il servizio di negoziazione in conto proprio veniva esercitato dal’intermediario in dispregio di una pluralità di norme comportamentali in un contesto di carenze procedurali rilevanti e diffuse, di cui gli illeciti comportamentali costituivano una conseguenza. Nessuna censura specifica risulta formulata avverso tale capo del decreto, la cui motivazione è esente da censure, dovendo essere la valutazione dell’inidoneità delle procedure, al fine dell’individuazione di una specifica violazione, condotta in una prospettiva ex ante e non ex post, in un’ottica di tutela preventiva degli investitori, trattandosi di illeciti, quelli disciplinati dal TUF, di mero pericolo, la cui sussistenza prescinde dal verificarsi di un danno concreto nei confronti degli investitori stessi.
6. Col sesto motivo si lamenta la illegittimità “in parte qua” dell’art. 56 reg. Consob 11.522/1998 e l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 in relazione agli artt. 3, 24 e 25 Cost. per violazione del principio di tassatività e determinatezza dell’illecito amministrativo.
Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo: a) l’inidoneità del quesito di diritto che deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo, sia perchè risolvetesi in una tautologia o in un interrogativo circolare, sia perchè insufficiente a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (cfr. Cass. SU 30.10.2008 n. 26020; id. SU 2.12.2008 n. 28536; id. sez. lav. 25.3.2009 n. 7197 id. 3 sez. 25.5.2010 n. 12712).
Il quesito risulta così formulato: “il tema interpretativo e il principio di diritto, formulati nei quesiti a conclusione dei motivi che precedono, devono essere affermati occorrendo, previa questione di legittimità costituzionale dell’art. 21 D.Lgs. n. 58 del 1998 per violazione degli artt. 3, 24 e 25 Cost.” ed è insufficiente a far comprendere alla Corte, dalla sua solo lettura, le ragioni della incostituzionalità della normativa indicata.
Questa S.C., a Sezioni Unite, ha, inoltre, affermato che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, la proposizione di una questione di costituzionalità, essendo funzionale alla cassazione della sentenza impugnata e postulando – non diversamente da quanto avveniva prima della riforma – la prospettazione di un motivo che giustificherebbe la cassazione della sentenza una volta accolta la questione di costituzionalità, suppone necessariamente che, a conclusione dell’esposizione del motivo così finalizzato, sia indicato il corrispondente quesito di diritto (Sez. U, Sentenza n. 28050 del 25/11/2008) Non risulta, inoltre, formulata nei motivi di ricorso, nè la banca ha allegato o riprodotto eventuali censure al riguardo formulate davanti alla Corte di appello, la questione della genericità del citato art. 56 regolamento Consob, dovendosi, quindi, rilevare la novità della questione dedotta davanti alla S.C..
Peraltro, deve ritenersi non sussistente alcun profilo di illegittimità costituzionale al riguardo, essendo legittime norme secondarie integrative del precetto contenuto in una norma primaria allorchè la materia sia caratterizzata da un particolare tecnicismo (cfr Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5743 del 23/03/2004); la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 5743/2004, concernente la materia amministrativa disciplinare, affine a quella sanzionatoria rileva che ” quando il contenuto dei valori tutelati dalla norma… è tale da rendere impossibile prevedere tutti i comportamenti che possano lederli… in tali casi, pertanto, secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, non si giunge alla rottura del principio di legalità se, con le norme impugnate, concorrono altri criteri di determinazione delle fattispecie sanzionate, derivanti da disposizioni e principi ricavabili dalla legge o da tavole di valori che informano le regole tecniche e la deontologia tipiche della funzione esercitata”.
Peraltro la questione di costituzionalità del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 è stata già ritenuta infondata dalla Consulta con sentenza 20/11/2003, n. 17602, in cui, tra l’altro, si evidenzia come “risultano osservate anche le esigenze di tassatività e determinatezza delle fattispecie punibili atteso che entrambe devono considerarsi rispettate allorchè la norma di legge, sanzionando come infrazione l’inosservanza di specifici provvedimenti amministrativi, non lasci margine di incertezza sull’individuazione dei provvedimenti medesimi e dei soggetti tenuti ad osservarli, e…. la mancata predeterminazione del contenuto dei provvedimenti, affidato alle valutazioni della Banca d’Italia e della Consob, non si traduce in indeterminatezza del precetto, esaurientemente delineato dalla previsione, come illecito amministrativo, della mancata esecuzione delle disposizioni di detti organi di vigilanza, una volta che siano impartite”.
Inoltre, questa Corte ha già dichiarato, con motivazione condivisa dal collegio, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 23 e 97 Cost., del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 144 (testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), in relazione ai precedenti art. 51 e art. 53, comma 1, per violazione dell’obbligo di tipicità e determinatezza delle fattispecie soggette a sanzione amministrativa pecuniaria.
Premesso, infatti, che, in tema di sanzioni amministrative, la L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 1, non contiene – a differenza di quanto avviene per gli illeciti penali, per i quali opera il principio di stretta legalità di cui all’art. 25 Cost., comma 2 – una riserva di legge tale da escludere la possibilità di integrare il precetto sanzionatorio, avente base nella legge, mediante norme regolamentari delegate, confacenti al particolare ambito tecnico-specialistico cui si riferiscono, va rilevato che le norme sopra indicate non sono qualificabili come norme punitive “in bianco”, atteso che i poteri della Banca d’Italia di emanare istruzioni e disposizioni in tema di vigilanza informativa (art. 51) e di vigilanza regolamentare (art. 53) non sono lasciati al mero arbitrio di detto organo di controllo, bensì sono esercitati in conformità a ben individuati principi e direttive (anche di livello Europeo), a strumenti normativi primari e secondari e ad altri criteri oggettivi, dettagliati e rigorosi, al fine di integrare, data la particolare tecnicità e la continua evoluzione della materia, le norme di base, determinandone la parte precettiva mediante la specificazione del contenuto, già sufficientemente delineato nella legge (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5743 del 23/03/2004).
7. Col settimo motivo si deduce violazione del principio di legalità, determinatezza e tipicità, conoscibilità delle fattispecie sanzionatorie anche amministrative; violazione della L. n. 689 del 1981, art. 1, violazione falsa applicazione dell’art. 56 del regolamento 11.522/1998 rilevando come tale ultima norma solo con le modifiche apportate nel 2002, successivamente ai fatti sanzionati, avrebbe assunto carattere prescrittivo, mentre in precedenza avrebbe avuto contenuto meramente definitorio delle procedure, riformulandola censura di illegittimità dell’art. 56 del regolamento Consob citato per violazione dei principi di tassatività e determinatezza.
Il motivo di ricorso è inammissibile per l’inidoneità del relativo quesito di diritto con cui si chiede a questa Corte di accertare se “Il provvedimento sanzionatorio non può fondarsi su norme regolamentari, emanate dopo i fatti e comunque carenti di determinatezza e tassatività, tanto da tradursi in aperta violazione della L. n. 689 del 1981, art. 1 oltre che dei principi costituzionali richiamati nel motivo precedente”.
Il quesito risulta innanzitutto non autonomo nel senso che non contiene tutte le informazioni necessarie a consentire una risposta utile alla definizione della controversia prescindendo dalla lettura del relativo motivo che, come ripetutamente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, deve consistere in una sintesi originale e autosufficiente della censura dedotta (cfr Cass., S.U. n. 19444/2009).
Il quesito in esame, è, in ogni caso, inidoneo a consentire a questo giudice una risposta che sia suscettibile di definire la questione controversia e di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sub iudice (cfr Cass. S.U. n. 2658/2008), atteso che con il quesito suddetto si chiede semplicemente se il provvedimento sanzionatorio possa fondarsi su norme regolamentari emanate dopo i fatti e comunque carenti di determinatezza e tassatività, senza chiarire neppure quale sia il contenuto delle norme che si censurano (cfr Cass. n. 23860/2008).
Trattasi, inoltre di motivo nuovo non risultando dedotto nel decreto impugnato, nè avendo la ricorrente allegato o prodotto eventuali censure al riguardo formulate nel ricorso introduttivo.
Comunque il motivo è anche infondato.
Rileva la banca ricorrente che l’art. 56 del regolamento Consob n. 11 5227 2008, fino all’agosto 2002, si limita a imporre la definizione di procedure idonee a ricostruire le modalità, i tempi e le caratteristiche dei comportamenti posti in essere nella prestazione di servizi, mentre l’obbligo, ritenuto ulteriore e non meramente esplicativo, posto dall’art. 21, comma 1, lett. d) TUF, di dotarsi di “procedure idonee ad assicurare l’ordinata e corretta prestazione di servizi” è stato introdotto solamente con delibera n. 13.710 del 6 agosto 2002, in vigore dal successivo 18 agosto, rilevando come l’assenza, precedentemente al 18 agosto 2002, di procedure idonee ad assicurare l’ordinata e corretta prestazione di servizi non fosse sanzionarle.
La norma regolamentare deve essere lette alla luce della norma primaria, cioè il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. d) che, sulla base della normativa vigente ratione temporis, impone all’intermediario l’adozione di “procedure idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi”.
Il termine “efficiente” di quell’art. 21 TUF non può essere interpretato, alla luce della ratio legis, in termini “aziendalistici”, nel senso di procedure atte a garantire all’impresa maggior profitto possibile e va,quindi, inteso nel senso dell’ottimizzazione nel perseguimento di interessi generali sottesi alla normativa di settore, garantendo la trasparenza e correttezza dei comportamenti con riferimento alla tutela degli investitori.
Il concetto di efficienza si collega necessariamente all’idoneità delle procedure ad assicurare una corretta e ordinata prestazione di servizi di investimento e la modifica dell’art. 56 legge cit. non ha carattere innovativo sostanziale ma chiarificatore della previgente formulazione, attribuendo maggior rilievo all’elemento finalistico, risultando sanzionarle, anche in base alla previgente normativa, la mancata predisposizione, da parte della banca, di procedure atte a garantire l’ordinaria e corretta prestazione di servizi di negoziazione in conto proprio.
8. Con l’ottavo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 114, 115 e 116 c.p.c., omesso esame di punti di fatto su circostanze decisive, violazione dell’art. 56 del regolamento Consob, travisamento dei fatti per avere la Consob contestato l’inadeguatezza delle procedure sul presupposto che la banca avesse venduto titoli Cirio alla propria clientela nell’esercizio di un’attività di negoziazione in conto proprio, mentre la circostanza che la banca si sia posta in contropartita diretta con la clientela non sarebbe caratteristica esclusiva di tale servizio, ma anche del servizio di negoziazione in conto terzi, che la banca avrebbe effettivamente svolto.
Il motivo è infondato avendo la Corte, con valutazioni di merito, qualificato il servizio prestato alla clientela quale negoziazione in conto proprio rilevando che “nel sistema di vendita in contropartita diretta la banca, su richiesta del cliente, vende titoli di cui ha acquistato la proprietà tant’è vero che è essa stessa a stabilire il prezzo di vendita (e non pratica commissioni), a differenza che nel sistema “per conto terzi” nel quale, dietro pagamento di una provvigione, la banca si limita a mettere in contatto il cliente con il soggetto che può vendergli quanto richiesto. Nel primo tipo di operazioni, dunque, è la banca ad essere controparte del cliente e si presenta come soggetto qualificato che dispone del bene richiesto dal primo e che per lo stesso pratica un certo prezzo che il richiedente ha ragioni di ritenere essere fissato alla luce di quelle valutazioni tecnico economiche (involgenti anche il rischio dell’investimento) che è lecito pretendere dall’intermediario professionalmente attrezzato)…”.
La negoziazione per conto proprio e quella per conto terzi costituiscono due servizi di investimento distinti (cfr D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 1, comma 5, lett. a) e b)) in quanto l’intermediario opera in conto proprio allorquando, per l’esecuzione dell’ordine ricevuto dal cliente, si ponga in contropartita diretta con il cliente stesso e va esclusa la sussistenza di un’attività di negoziazione in conto terzi, così come rilevato nella fattispecie dalla Corte di appello, anche se l’interposizione del portafoglio dell’intermediario avviene per motivazioni squisitamente “operative”.
9. Col nono motivo si lamenta la violazione del principio di specialità delle sanzioni amministrative (L. n. 689 del 1981, art. 9, travisamento dei fatti, omesso esame di circostanze decisive eccependo la violazione del principio del ne bis in idem e del cit.
art. 9 in forza del quale “quando lo stesso fatto è punito… da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale”.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
La dedotta violazione di due citate norme comportamentali (art. 26, comma 1, lett. e) reg. Consob n. 11522/1998 – inadeguata conoscenza dei prodotti offerti – e art. 28 comma 2, reg. cit – inadeguata informazione dei clienti, in ordine agli investimenti proposti che costituirebbero proiezioni di un’autonoma violazione e carenza di idonee procedure interne per la corretta e adeguata prestazione del servizio, già sanzionata ai sensi dell’art. 56 cit. costituisce domanda nuova non dedotta nell’atto di opposizione come tale inammissibile, essendo stato dedotto dinanzi alla Corte territoriale solamente che la violazione dell’art. 26 reg Consob assorbirebbe quella dell’art. 28 cit. reg., senza prospettare il tema del rapporto tra la violazione di natura procedurale dell’art. 56 e le violazioni di natura comportamentale degli artt. 26 e 28 del reg. Consob..
Invece la L. n. 689 del 1981, art. 9 prevede l’applicazione del precetto speciale ” quando uno stesso fatto è punito da… una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative” e postula l’esistenza di più disposizione che in forza delle fattispecie astratte contemplate, sarebbero teoricamente applicabili in un determinato caso, operando il principio di specialità sul piano della violazione amministrativa in astratto contestabile, sancendo la prevalenza della norma che condivide tutti gli elementi costitutivi rispetto alle altre astrattamente applicabili.
La norma citata opera se le norme sanzionanti un medesimo fatto si trovino fra loro in rapporto di specialità, da escludersi quando sia diversa l’obiettività giuridica degli interessi protetti da ciascuna di esse (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21502 del 30/11/2012).
Il concorso apparente di norme sussiste, infatti, quando più leggi regolano la stessa materia, intesa come stessa situazione di fatto, ipotesi che si verifica quando il medesimo accadimento concreto, inteso come fatto storicamente determinato, possa integrare il contenuto descrittivo di diverse previsioni legislative astratte a carattere sanzionatorio. Il concorso apparente è escluso nel caso in cui i fatti ipotizzati dalla fattispecie astratta siano diversi nella loro materialità, nella loro oggettività giuridica, ovvero quando la norma che regola un fatto contenga una clausola di riserva o, infine, quando la norma che prevede una fattispecie di illecito faccia riferimento solo “quoad poenam” ad altra norma prevedente diversa fattispecie (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3745 del 16/02/2009).
Perchè l’art. 9 citato possa essere utilmente invocato occorre la individuazione di un rapporto da genus a species tra fattispecie astratte, non riscontrabile, nella specie, con riferimento agli illeciti ascritti alla banca.
La Corte territoriale ha, al riguardo rilevato “come la contestuale violazione dell’art. 28, comma 2, del regolamento non possa considerarsi certamente assorbita dalla violazione contestata al capo precedente. I due illeciti, infatti, hanno differente obiettività essendo integrati da due condotte ben diverse, la prima consiste nella mancata acquisizione, da parte dell’intermediario, di idonee informazioni sui titoli oggetto dell’operazione di vendita, la seconda nella mancata informativa alla clientela. Tra le due disposizioni non v’è alcun rapporto di continenza o di specialità con la conseguenza che a una duplicità di condotte sanzionate non può non corrispondere una duplicità di illeciti i quali, infatti, si pongono in rapporto di reciproca strutturale autonomia (peraltro non intaccata dal pur evidente collegamento logiche funzionale di due precetti che si assumono: cassazione civile. sez. 1, 25 maggio 2001, n. 7112)”. La banca non ha dimostrato che le fattispecie astratte contemplate dalle norme, le cui violazione è stata ascritta agli esponenti dell’istituto (artt. 26, 28 e 56 reg. Consob.) presentassero quel profilo di continenza alla cui sussistenza è subordinata l’applicazione del citato L. n. 689 del 1981, art. 9, nè essendo all’evidenza, riscontrabile alcun rapporto di specialità nel senso sopra indicato, peraltro escluso in concreto dalla stessa Corte di merito.
Infatti la inadeguata conoscenza dei titoli trattati e la distinta fattispecie di omessa trasmissione delle informazioni alla clientela, non si pongono in rapporto di continenza o consunzione, trattandosi di due violazione a oggettività giuridiche distinte riferibile a due distinti interessi di controllo della Banca, essendo la prima orientata ad una finalità organizzativa del servizio e l’altra alla informazione corretta e tempestiva della clientela sui titoli offerti, a tutela della autodeterminazione del cliente nel campo degli investimenti di capitali di rischio, connotandosi le due prescrizioni in modo distinto sul piano dell’obiettività dell’evento lesivo e dell’interesse leso. Inoltre in presenza di violazioni di tipo procedurale e di violazioni di carattere comportamentale deve escludersi che le due condotte possano identificarsi concernendo, l’una, l’omessa applicazione di una specifica procedura e l’altra comportamenti tenuti dei confronti degli enti. L’autonomia delle fattispecie sussiste indipendentemente dal collegamento logico funzionale degli adempimenti rivolti al perseguimento di obiettivi unitali (cfr Cass. 19818/2003), come nella fattispecie in esame in cui le condotte si riferiscono a due momenti distinti del comportamento del trasgressore e tra di essi intercorra soltanto un rapporto di connessione teleologica.
10. Col 10 motivo viene censurata la violazione dei principi generali in tema di imputazione soggettiva della responsabilità dell’illecito amministrativo (L. n. 689 del 1981, art. 10), difetto di motivazione delle determinazioni sanzionatorie nella parte in cui riconducono la quantificazione delle sanzioni alla carica sociale rivestita, non distinguendo sufficientemente in rapporto alle funzioni effettivamente svolte nel periodo di permanenza in carica di ciascun esponente aziendale. Il motivo difetta di autosufficienza non essendo stata riprodotta la relazione (nota tecnica) della Consob, allegata alla proposta sanzionatorie, necessaria a questa Corte al fine di poter valutare le censure proposte in tale sede ed avendo, invece, la Consob rilevato come nella nota tecnica, allegata alla proposta sanzionatorie, risultino, invece, chiaramente espresse le ragioni che hanno indotto a formulare, per ogni esponente, una determinata misura della sanzione sulla base della carica sociale ricoperto da ciascuno, dell’effettiva funzione svolta all’interno della banca, dell’obiettiva gravità di ciascuna infrazione accertata in relazione di interessi sottesi a ciascuna norma violata, tenendo anche conto delle conseguenze dannose anche potenziali della durata dell’irregolarità nonchè dell’eventuale sussistenza di particolari circostanze soggettive idonee a incidere sulla responsabilità.
La Corte territoriale ha accertato, con motivazione di fatto, la responsabilità dei membri del consiglio di amministrazione, del collegio sindacale e della direzione generale sia con riferimento alla concreta fattispecie esaminata, in linea con i principi di responsabilità in materia di illecito amministrativo in quanto la L. n. 689 del 1981, art. 3 nel richiedere che la condotta, attiva o omissiva, sia perlomeno colposa, postula una presunzione iuris tantum di colpa a carico di chi pone in essere un comportamento vietato ovvero omette di evitare che esso accada, pur essendovi tenuto per legge, incombendo poi a questo onere di provare di aver agito senza colpa (cfr Sez. U, Sentenza n. 20934 del 30/09/2009, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11643 del 13/05/2010; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4837 del 26/03/2012; Cass. Sez. 2, Sentenza n. TB1 del 05/02/2013; Cass. 5.11.2003,n. 16608; Cass. 16.10.1991,n. 10906) Peraltro l’imputabilità delle singole condotte può essere ricostruita sulla base della stessa organizzazione aziendale e dei compiti e delle mansioni attribuiti a ciascun responsabile, con riferimento alle funzioni amministrative, di direzione e controlla tra diversi organi, al conferimento di specifiche attribuzioni ai singoli uffici o agli organi di controllo interno, all’autonomia conferita ai dirigenti della banca, etc..
Ai fini della sanzione la colpa degli organi di vertice sulla inosservanza delle condotte rilevanti integra violazione di precise disposizioni normative, essendo state rilevate nelle specie, dalla Corte territoriale, violazioni “di ordine organizzativo e procedurale”, infrazioni “di ordine comportamentale”, costituenti comunque “il risultato sul piano operativo, del mancato adeguamento delle procedure rispetto al particolare tipo” di servizio prestato correttamente imputate agli organi direttivi e di controllo della Banca.
Gli amministratori, peraltro non possono andare esenti da responsabilità adducendo di non essere stati messi a conoscenza degli illeciti maturati nell’ambito dell’azienda gestita, in quanto l’omessa segnalazione di irregolarità, da parte degli organi di controllo interno non esclude il dovere istituzionale primario, connesso alla carica sociale ricoperta, di proteggere la clientela nelle forme più idonee.
Così, per i membri del collegio sindacale non può essere esclusa la responsabilità in forza della circostanza di non aver ricevuto segnalazioni di irregolarità del responsabile del controllo interno in quanto tale funzione si traduce di fatto, per i sindaci, in un ulteriore ausilio del quale possono avvalersi, dei doveri gravanti su di loro e non potendo costituire un motivo di esonero dalla loro responsabilità (cfr Cass. 26.1.2006,n. 1534, Cass. Sez. U, Sentenza n. 20934 del 30/09/2009, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4837 del 26/03/2012) e ne va affermata la responsabilità quando le violazioni si riflettano sulla puntuale osservanza delle norme dirette a disciplinare la intermediazione.
11. Con l’ultimo motivo viene dedotta la parziale inefficacia del decreto sanzionatorio, in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 7, stante il sopravvenuto decesso, in data 3 giugno 2006, di uno degli esponenti aziendali sanzionati (il sig. B.S.) con conseguente estinzione dell’obbligazione di pagamento, oltre che in capo una persona fisica, anche in capo al responsabile solidale ex art. 195 TUF..
Il motivo è infondato; nella fattispecie il soggetto sanzionato è la banca e le vicende degli autori materiali della violazione non possono ripercuotersi sulla debenza della sanzione in capo alla banca, obbligato solidale nei confronti della Consob, stante l’autonomia delle posizioni creditorie. Il decesso della persona fisica, intervenuta nel corso del procedimento, ha effetto estintivo della relativa obbligazione personale, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 7, ma non può influire sulla autonoma, ancorchè solidale, obbligazioni della banca per effetto delle riscontrate violazioni. Nè può sostenersi, come invocato dalla banca ricorrente, un effetto parzialmente estintivo dell’obbligazione a carico della banca, potendo tale effetto parzialmente estintivo essere invocato solo nei rapporti interni alla banca, dagli autori materiali o loro aventi causa. Va, conseguentemente, rigettato il ricorso con condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro.20.000 per compensi professionali, Euro 200 per spese, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2014.
Leave a Reply