Suprema Corte di Cassazione
sezione Tributaria
sentenza 13 febbraio 2015, n. 2935
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MERONE Antonio – Presidente
Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere
Dott. MELONI Marina – Consigliere
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere
Dott. BRUSCHETTA Ernestino – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 24349/08 proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo Studio dell’Avv. (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta delega in calce al ricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 99/12/07 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, depositata il 9 luglio 2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 gennaio 2015 dal Consigliere Dott. Ernestino Bruschetta;
udito l’Avv. dello Stato (OMISSIS), per la ricorrente;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del secondo e terzo motivo del ricorso.
La CTP, in sintesi, riteneva vere e reali le operazioni per la cui inesistenza l’Agenzia delle Entrate aveva invece recuperato a tassazione lire 2.704.999.000 ai fini IRPEG e lire 540.999.000 ai fini IVA; e riteneva altresi’ che non vi fossero stati i maggiori ricavi recuperati dall’Ufficio per lire 112.843.000 ai fini IRPEG e per lire 22.569.0000 ai fini IVA. Riteneva, invece, legittimo l’avviso nella parte in cui aveva recuperato a tassazione costi indeducibili per complessive lire 48.765.000.
Contro la sentenza della CTP proponevano appello principale la contribuente (OMISSIS) S.r.l. e incidentale l’Agenzia delle Entrate.
L’adita Commissione Tributaria Regionale del Lazio – con sentenza n. 99/12/07 depositata in data 9 luglio 2007 – respingeva sia l’appello principale che quello incidentale. L’appello principale proposto dalla contribuente veniva rigettato per mancanza di prova in ordine alla deducibilita’ dei costi per lire 48.765.000.
L’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate veniva rigettato secondo la CTR l’onere della prova dell’inesistenza delle operazioni, quando suffragate da fatture, come avvenuto nella specie, doveva intendersi a carico della Amministrazione, che peraltro non poteva pretendere di averlo assolto mediante l’allegazione di semplici indizi. E, del resto, secondo la CTR, la sentenza penale di assoluzione del legale rappresentante della contribuente, per gli stessi fatti che avevano originato l’avviso sub iudice, assoluzione anche basata su conforme perizia tecnico contabile, andava nel senso della realta’ delle fatturate operazioni. Infine, con riferimento alla prova dell’esistenza dei ricavi non contabilizzati – e percio’ recuperati a tassazione – la CTR non riteneva sufficiente l’annotazione che degli stessi era stata trovata dalla G.d.F. in due schede contabili.
Contro la sentenza della CTR, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La contribuente resisteva con controricorso.
Il motivo e’ fondato.
In effetti, la giurisprudenza di questa Corte e’ costante nel senso che la prova del diritto alla deduzione di costi e’ a carico del contribuente e cio’ sia con riferimento al criterio che chi afferma un fatto costitutivo di un diritto lo deve provare e sia con riferimento al criterio di vicinanza della prova (Cass. sez. trib. n. 13943 del 2011; Cass. sez. trib. n. 4554 del 2010). E’ peraltro possibile che il contribuente sia in grado di assolvere l’onere dimostrativo di che trattasi mediante la produzione di fatture, ma per contro e’ altrettanto possibile che l’Amministrazione possa fornire prova dell’inattendibilita’ delle stesse anche mediante praesumptio hominis. Ed, in questa direzione, il giudice di merito deve prendere in considerazione il complessivo quadro probatorio al fine di verificare l’esistenza o meno di operazioni fatturate e dedotte (Cass. sez. trib. n. 9958 del 2008; Cass. sez. trib. n. 21953 del 2007). La Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha quindi violato la legge, quando ha ritenuto di non poter considerare i fatti secondari indicati dalla Agenzia delle Entrate al fine di ricavare per presunzione semplice l’inesistenza delle operazioni in discorso.
2. Col secondo motivo la sentenza e’ stata censurata ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia rappresentato dall’aver escluso dalla valutazione probatoria i numerosi “indizi” – recte, fatti secondari – dai quali l’Amministrazione aveva ricavata la inesistenza delle operazioni in parola.
Il motivo e’ rimasto assorbito.
3. Col terzo motivo la sentenza e’ stata censurata ancora ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia rappresentato dalla idoneita’ o no della “annotazione” in scheda contabile a dar prova della esistenza di ricavi non dichiarati.
Il ricorso e’ fondato, essendosi la Commissione Tributaria Regionale del Lazio limitata in modo apodittico ad affermare la “non sufficienza” dimostrativa delle due annotazioni.
4. La sentenza deve essere quindi cassata con rinvio al giudice a quo per l’accertamento degli ulteriori fatti e l’applicazione dei statuiti principi.
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