In tema di atti sessuali con minorenne, affinché si realizzi la condizione di affidamento in custodia del minore

Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 3 maggio 2018, n.18881.

In tema di atti sessuali con minorenne, affinché si realizzi la condizione di affidamento in custodia del minore, non è necessaria la preesistenza di una formale attribuzione di compiti al soggetto affidatario da parte dell’affidante, potendo trattarsi anche di situazioni del tutto temporanee ed occasionali (fattispecie relativa al rapporto tra un maestro di sci e l’allieva infrasedicenne)

SENTENZA 3 maggio 2018, n.18881

Pres. Fiale – est. Gentili

Ritenuto in fatto

La Corte di appello di Brescia, con sentenza del 19 aprile 2016, ha confermato la precedente sentenza con la quale, il 19 dicembre 2012, in esito a giudizio abbreviato il Gup del Tribunale di Bergamo aveva dichiarato la penale responsabilità di A.N. in ordine al reato di cui all’art. 609-quater, comma 1, nn. 1 e 2, cod. pen. perché, in più occasioni, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in qualità di istruttore maestro di sci, aveva compiuto atti sessuali con B.I., persona infrasedicenne a lui affidata per ragioni di istruzione sportiva, e lo aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili.

Con la medesima sentenza il giudice di primo grado aveva, invece, mandato assolto, con diverse motivazioni, l’A. in relazione ad analoghe imputazione aventi ad oggetto atti sessuali in ipotesi commessi con altre tre allieve della scuola-sci ove egli prestava all’epoca servizio.

Nel confermare la sentenza di primo grado, appellata sia dall’imputato che dalla parte civile, la Corte bresciana, riassunto il contenuto della sentenza impugnata e riepilogati i motivi di gravame proposti sia dall’imputato che dalla parte civile, ha rilevato che la posizione dell’A. nell’ambito delle scuole-sci operando presso le quali egli aveva avuto rapporti con la B. era certamente tale da comportare una situazione di affidamento per ragioni qualificabili come educazione/istruzione.

Rilevato, infatti, che per tale deve intendersi anche una situazione solo temporanea ed occasionale che si instauri fra affidante, nel caso i genitori della minore, e soggetto affidatario, cioè nella fattispecie il prevenuto, la Corte ha osservato che, avendo l’A. il compito di gestire i trasporti degli atleti in occasione degli allenamenti, tanto che materialmente egli si occupava di prelevare la B. presso la sua abitazione, e di partecipare alle trasferte compiute dagli atleti, certamente egli era soggetto investito da compiti comportanti l’affidamento della minore, irrilevante essendo il fatto che egli non fosse il primo allenatore della minore, potendo egli comunque entrare in contatto diretto con costei in occasione del compimento delle sue descritte mansioni.

Ha aggiunto la Corte che non aveva importanza collocare nel tempo l’inizio della relazione fra la minorenne ed il prevenuto, relazione si precisa del tutto consensuale, posto che, quale sia stato il momento del suo insorgere, quindi anche riferito in un periodo in cui l’A. non era impegnato presso la scuola-sci ove la B. era affiliata, tale relazione è certamente proseguita anche in epoca in cui, essendo la B. ancora infrasedicenne, essi operavano entrambi presso la scuola-sci Radici di Bergamo.

Con riferimento alla impugnazione della parte civile la Corte bresciana ne ha dichiarato la inammissibilità; infatti, ove la stessa fosse considerata impugnazione principale la stessa sarebbe stata inammissibile in quanto tardiva; ove fosse considerata incidentale essa sarebbe tata egualmente inammissibile in quanto relativa a temi eccentrici rispetto alla impugnazione principale proposta dall’imputato.

Ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte distrettuale il prevenuto, assistita dal suo difensore di fiducia, articolando un unico motivo di impugnazione con il quale ha censurato la sentenza sotto il duplice profilo della violazione di legge e della illogicità della motivazione.

Ha, infatti, segnalato il ricorrente come la relazione intima fra l’A. e la B. sia iniziata allorché questa era affiliata presso una scuola-sci diversa da quella ove operava il prevenuto, sicché questi non aveva potuto esercitare alcuna influenza sulla ragazza al fine di carpirne il consenso, che non poteva certamente definirsi viziato da una situazione di oggettiva sudditanza.

Sul punto la motivazione della sentenza impugnata viene definita illogica e lacunosa; illogica in quanto, pur dichiarata una oggettiva situazione di incertezza in merito alla collocazione temporale della relazione fra i due, non ne fa derivare la logica conseguenza in applicazione del canone in dubio pro reo; lacunosa in quanto supera la questione osservando che comunque la relazione era proseguita dopo che i due avevano ripreso ad appartenere alla medesima scuola-sci.

Nel chiarire il senso della sua impugnazione il ricorrente, ribadito che dalla età di 14 anni in poi gli individui hanno, in assenza di fattori che ne perturbino la libera determinazione, la piena disponibilità della loro sessualità e che tale regola incontra le eccezioni, per i soggetti ultraquattordicenni ma infrasedicenni, previste dal comma 1 dell’art. 609-quater cod. pen., osserva che la ratio della predetta deroga alla regola generale è dettata dal fatto che il consenso del minorenne potrebbe essere viziato a cagione della posizione di ‘predominio’ o comunque di ‘prestigio’ rivestita dal soggetto agente; ma aggiunge il ricorrente, nella fattispecie tale pericolo non sarebbe configurabile posto che la relazione già era iniziata quando non sussisteva fra la ragazza e l’imputato alcuna delle situazioni qualificate come idonee a porre in sospetto il consenso del soggetto minorenne; dovendosi, pertanto, essere ritenuto liberamente formato in origine il consenso del minorenne, non costituirebbe violazione dell’art. 609-quater cod. pen. la prosecuzione della relazione, con il ripetersi degli atti sessuali, anche una volta determinatasi la situazione di affidamento.

Apparirebbe, pertanto, del tutto illogico sanzionare penalmente una relazione sessuale sorta legittimamente solo in quanto, durante il suo successivo svolgimento, si è realizzata una delle situazioni che sono state dal legislatore ritenute tali da porre in sospetto il regolare formarsi del consenso.

Sotto il profilo descritto, quindi, il ricorrente ritiene che nella fattispecie non siano ravvisabili gli estremi oggettivi della violazione dell’art. 609-quater cod. pen.

Considerato in diritto

Il ricorso, essendo risultato manifestamente infondato il motivo posto alla sua base, deve essere dichiarato inammissibile.

Rileva, infatti, il Collegio – premesso che la questione giuridica sottesa alla intera presente vicenda attiene alla disciplina penale delle relazioni sessuali intercorrenti fra un individuo, per lo più maggiorenne, il quale possa, per una serie di situazioni soggettive puntualmente elencate dalla norma, esercitare uno specifico ascendente su di altro soggetto, minorenne ultraquattordicenne, che, per effetto di tali situazioni è consenziente a disporre in tal modo della propria libertà sessuale (relazioni che, sicuramente forzandone i contenuti ed elevandole ad un rango culturalmente non del tutto adeguato alla materialità del caso, definiremo – attesa la, almeno morfologica, similitudine con il rapporto paideutico proprio della Grecia classica, similitudine evocata nel caso di specie anche dalla funzione che si può considerare ‘didattica’ svolta dall’imputato nei confronti della persona offesa – intercorrenti fra erastes ed eromenos) – che è cosa pacifica che fra l’imputato, A.N. , e la persona offesa, la minore B.I. , siano intercorsi rapporti sessuali certamente in epoca in cui la minore ancora non aveva compiuto i 16 anni e, pertanto, non aveva ancora raggiunto la piena ed incondizionata disponibilità della sua libertà sessuale.

Altrettanto pacifico è che, almeno per una loro parte, siffatti rapporti sessuali siano intercorsi, sempre anteriormente al compimento da parte della ragazza del sedicesimo anno di età, nel periodo in cui l’A. , in qualità di allenatore sportivo (maestro di sci) in servizio presso la scuola-sci Radici di Bergamo, si trovava a riferirsi nei confronti della B. , atleta in forza presso tale scuola-sci, in qualità di soggetto parte di una rapporto, istituito quanto meno in via di fatto, di affidamento nei confronti della medesima.

Ciò posto rileva il Collegio come la linea difensiva del ricorrente, articolata sotto il duplice profilo della violazione di legge e della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, si fondi su questa argomentazione: la Corte territoriale non si sarebbe data carico di verificare un aspetto essenziale della vicenda, o, quanto meno, nella incertezza fattuale, avrebbe dato ad esso una interpretazione non orientata nel senso del favor rei ma avrebbe in termini inammissibili attribuito ai fatti, laddove essi erano incerti, un significato contra reum.

Ciò, in particolare, sarebbe avvenuto laddove la Corte bresciana ha ritenuto fattore irrilevante ai fini del decidere la precisa collocazione temporale della origine della relazione sessuale intercorsa fra l’A. e la B. , avendo ritenuto elementi di fatto non significativo il fatto che detta relazione sia o meno iniziata allorché i due erano legati dal rapporto di affidamento della ragazza all’allenatore sportivo, posto che, come ha rilevato la predetta Corte, i due erano tuttora legati, e fra i due erano proseguiti i rapporti sessuali, allorché, nei rispettivi ruoli, gli stessi operavano, nei rispettivi ruoli dianzi descritti, presso la medesima scuola-sci.

L’argomento svolto dal ricorrente è, sostanzialmente il seguente: il legislatore attribuisce incondizionata rilevanza penale agli atti sessuali compiuti con soggetto minorenne, quindi anche nel caso in cui questi abbia prestato un consapevole consenso ad essi, ove tale soggetto, al momento del fatto, non abbia compiuto il quattordicesimo anno di età; parimenti rilevanza penale hanno gli atti sessuali se compiuti nei confronti di soggetto consenziente infrasedicenne, ma già ultraquattordicenne, laddove l’agente, l’erastes, sia, per quanto ora interessa, persona cui il minorenne, l’eromenos, sia stato, per ragioni di cura, educazione, istruzione vigilanza o custodia, affidato; ciò premesso, ritiene il ricorrente che siffatta rilevanza penale, cioè quella derivante dalla esistenza del rapporto di affidamento, non sia riscontrabile nel caso in cui fra i due soggetti, appunto l’erastes e l’eromenos, fosse intercorsa una pregressa relazione caratterizzata anche da rapporti sessuali, in un periodo in cui non sussisteva alcun rapporto di affidamento, trattandosi di relazione poi semplicemente proseguita, con le medesime caratteristiche, anche in una fase in cui si era instaurato il rapporto di affidamento.

Ritiene, infatti, il ricorrente che la ratio della eccezione al principio della piena disponibilità del diritto alla autodeterminazione in materia sessuale al compimento del quattordicesimo anno di età sta nel fatto che il consenso prestato dal minore potrebbe essere viziato dalla particolare posizione rivestita dal soggetto con il quale si intrattiene la relazione sessuale e, pertanto, dall’ascendente che questi potrebbe esercitare sull’eromenos la cui adesione alla congiunzione carnale potrebbe non essere il frutto di una sua libera ed incondizionata volizione.

Ma, aggiunge, il ricorrente siffatta preoccupazione non avrebbe una sua effettiva giustificazione laddove, essendo la relazione fra i due soggetti iniziata in una fase in cui, stante la assenza di alcun rapporto di affidamento, non sussisterebbero dubbi sulla genuinità della volizione dell’eromenos e sulla mancanza, pertanto, di condizionamenti ad opera dell’erastes.

La tesi, ancorché, dotata di una sua indubbia suggestività, è, tuttavia priva di qualsivoglia fondamento normativo.

Deve, preliminarmente osservarsi che, secondo il costante orientamento di questa Corte, affinché si realizzi la condizione di affidamento in custodia del minore, non è necessaria la preesistenza di una formale attribuzione di compiti al soggetto affidatario da parte dell’affidante, potendo trattarsi anche di situazioni del tutto temporanee ed occasionali (Corte di cassazione, Sezione III penale 10 marzo 2017, n. 11559); in particolare è stato osservato che, una volta operato l’affidamento del minore ad una certa istituzione scolastica, non incidendo quale sia la tipologia di istruzione che presso di essa venga impartita, potendo essa attenere anche ad una pratica sportiva (sul rapporto di affidamento instaurato fra allenatore e atleta cfr.: Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 giugno 2009, n. 24803), il rapporto di affidamento, rilevante ai sensi dell’art. 609-quater, comma 1, n. 2), cod. pen., può instaurarsi con uno qualsiasi degli insegnanti della predetta struttura e non necessariamente con colui il quale è specificamente preposto alla cura didattica della persona offesa (Corte di cassazione, Sezione III penale, 10 luglio 2012, n. 27282).

Può, quindi, tranquillamente rilevarsi come nella fattispecie, quanto meno con riferimento al periodo in cui eromenos ed erastes protagonisti della presente vicenda erano affiliati – l’uno come maestro di sci, l’altra come atleta in fase di formazione – pressa la medesima scuola-sci era configurabile il rapporto di affidamento per motivi di istruzione che rende in ogni caso irrilevante il consenso a subire o a compiere atti sessuali, se espresso dall’infrasedicenne.

Ciò premesso, osserva, a questo punto, il Collegio che la dianzi descritta ermeneusi normativa, piuttosto creativa, prospettata dal ricorrente sia del tutto impraticabile.

In forza di essa, infatti, si vorrebbe istituire una vera e propria eccezione alla forza cogente della norma, cioè l’art. 609-quater, comma 1, numero 2), cod. pen., realizzata attraverso la introduzione ex novo in detta norma di una sorta di elemento negativo della fattispecie (inserito nel tessuto normativo attraverso espressioni del tipo ‘a meno che gli atti sessuali non costituiscano la ripetizione di condotte iniziate in periodo antecedente alla assunzione di una delle funzioni o dei compiti di cui al presente numero’).

Una tale operazione, al di là della sua opportunità, non pare in ogni caso suscettibile di essere eseguita in via meramente interpretativa, laddove non si voglia violare il principio di legalità tipico del diritto penale.

Nessun elemento testuale della disposizione in questione appare infatti suscettibile, per quanto latamente interpretato, di costituire il fondamento di quella che appare essere una vera e propria inammissibile integrazione normativa.

Vi è, peraltro, da dire che la stessa apparirebbe in ogni caso di assai dubbia opportunità, posto che, attraverso di essa, si potrebbe giungere alla piena obliterazione delle eventuali pressioni psicologiche che surrettiziamente chi avesse assunto la ricordata posizione di supremazia connessa al rapporto di affidamento potrebbe, ad esempio, esercitare, facendo leva appunto sull’ascendente che detta posizione gli abbia procurato, sul soggetto passivo del reato, affinché la relazione, pur volontariamente iniziata, debba comunque essere successivamente proseguita e non più interrotta.

La tesi del ricorrente, pertanto, non appare assolutamente giustificata; né sulla base della normativa vigente né in una prospettiva evolutiva del diritto, eventualmente realizzata – una volta verificata la impossibilità di pervenire al risultato, prospettato dal ricorrente come auspicabile, utilizzando gli strumenti interpretativi a disposizione della autorità giudiziaria ordinaria sollevando la questione di legittimità costituzionale del citato art. 609-quater, comma 1, numero 2), cod. pen., nella parte in cui, in ipotesi in contrasto con il canone della ragionevolezza, non prevede la illustrata riserva alla rilevanza penale della condotta in esso descritta.

Il ricorso presentato dall’A. deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, in quanto manifestamente infondato, ed il ricorrente va condannato, visto l’art. 616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuale e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed ella somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende

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