Nei beni culturali, la cui uscita è sottoposta ad autorizzazione, sono incluse le cose a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale e siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre 50 anni. Il diretto interessato ha l’onere di privare che il bene che sta esportando non rientra in tali categorie.
Sentenza 29 agosto 2017, n. 39517
Data udienza 20 luglio 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAVANI Piero – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro Mar – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la ordinanza del 25-07-2016 del tribunale della liberta’ di Imperia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni della Procuratore Generale che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. E’ impugnata l’ordinanza con la quale il tribunale della liberta’ di Imperia ha respinto il ricorso proposto per l’annullamanto del decreto di sequestro probatorio emesso in data 4 luglio 2016 dal pubblico ministero per il reato previsto dal Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 174.
2. Per l’annullamento dell’impugnata ordinanza i ricorrenti, tramite il comune difensore di fiducia, articolano un unico complesso motivo di impugnazione, qui enunciato ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Con esso deducono l’erronea applicazione e/o violazione della legge penale nonche’ la manifesta illogicita’ e carenza della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)), in relazione al fumus commissi delicti ed in particolare in relazione all’interesse culturale sotteso a ciascun bene sequestrato.
Sostengono come l’impugnata ordinanza sia assolutamente priva di motivazione riguardo al fumus criminis ipotizzato dal Pubblico Ministero (trasferimento all’estero di beni culturali o di interesse culturale senza attestato di libera circolazione – Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 174), sul rilievo che il Tribunale del Riesame di Imperia (cosi’ come il Pubblico Ministero nei decreti di convalida del sequestro operato dai Carabinieri di Ventimiglia) non ha reso alcuna motivazione sulla possibile esistenza, nei beni sequestrati, dei requisiti ai quali la legge ricollega, per l’uscita di un bene dal territorio nazionale, l’obbligo di ottenere dalle competenti autorita’ il rilascio dell’attestato di libera circolazione.
Assumono che le cose in sequestro non costituiscono propriamente “beni culturali” sebbene richiedano, per il loro trasferimento, un attestato di libera circolazione, cosicche’ non si comprende quali siano gli elementi dai quali ritenere probabile che i beni sequestrati (complessivamente 212 oggetti di diversa specie e fattura) siano tutti di interesse culturale, di autore non piu’ vivente e di esecuzione risalente ad oltre cinquanta anni (requisiti che devono sussistere cumulativamente affinche’ possa identificarsi un oggetto come bene che richiede l’attestato di circolazione).
Aggiungono che l’obbligo di ottenere l’attestato di libera circolazione (presupposto della configurabilita’ del reato ipotizzato) riguarda ciascuna singola cosa nella propria specificita’, posto che il reato di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 174, si perfeziona con l’illecito trasferimento di singoli beni, con la conseguenza che non si comprende per quale motivo il tribunale del Riesame abbia ritenuto sufficiente, a giustificare e motivare la legittimita’ del sequestro di ciascun singolo bene, una valutazione meramente complessiva dei beni stessi e delle loro caratteristiche.
Ne consegue che una motivazione fondata, come nel caso in esame, su una valutazione complessiva non puo’ che considerarsi assolutamente carente ovvero meramente apparente eludendo gli obblighi motivazionali relativi al fumus commissi delicti ed incorrendo l’ordinanza impugnata anche nel vizio di violazione di legge denunciato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili per manifesta infondatezza.
2. Il Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 174, punisce l’uscita dal territorio nazionale e l’esportazione illecite di beni culturali, incriminando la condotta di chi trasferisce all’estero cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, nonche’ quelle indicate all’articolo 11, comma 1, lettera f), g) e h), senza attestato di libera circolazione (se il trasferimento avviene nei paesi comunitari) o licenza di esportazione (se il trasferimento e’ previsto verso paesi extracomunitari).
L’incriminazione si pone in continuita’ normativa con la scelta tradizionale dell’ordinamento penale italiano di proibire l’uscita di beni culturali dal territorio dello Stato senza l’autorizzazione da parte del Ministero dei Beni Culturali.
Le disposizioni contenute nel capo quinto, parte seconda, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, dedicato alla “circolazione in ambito internazionale”, dettano le regole per la disciplina amministrativa del trasferimento all’estero dei beni culturali e definiscono l’ambito di operativita’ della fattispecie penale incriminatrice, che a tale corpus normativo rinvia, secondo una tripartizione che considera:
1) i beni culturali assolutamente inesportabili (l’articolo 65, commi 1 e 2, rinviando alla descrizione dei beni indicati nel Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 10, commi 1, 2 e 3, stabilisce il divieto di uscita definitiva di beni culturali dal territorio della Repubblica, ad eccezione delle opere d’arte appartenenti ad autori viventi o realizzate non oltre i cinquant’anni antecedenti);
2) i beni la cui uscita e’ sottoposta ad autorizzazione (l’articolo 65, comma 3, include in tale categoria le “cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, e siano opera di autore non piu’ vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquant’anni”;
3) i beni liberamente esportabili (l’articolo 65, comma 4, include in tale categoria l’arte contemporanea, cioe’ le opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d’arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga a oltre cinquant’anni).
La norma incriminatrice (articolo 174) punisce non la violazione del divieto di esportazione ma – a monte – il trasferimento all’estero di cose per le quali non sia stato ottenuto l’attestato di libera circolazione (per il trasferimento verso paesi comunitari) o la licenza di esportazione (per il trasferimento verso paesi extracomunitari) e, dunque, punisce l’esportazione non accompagnata dal provvedimento autorizzatorio di uno dei beni indicati dalla norma, a prescindere dal fatto che “l’autorizzazione” possa essere in concreto rilasciata.
Ne consegue che, sussistendo la qualita’ di bene culturale e mancando l’attestato richiesto o la necessaria licenza, e’ di tutta evidenza la configurabilita’ del reato indipendentemente dalla produzione di un danno al patrimonio artistico nazionale, posto che l’articolo 174, non richiede, per i casi di esportazione non autorizzata, che vi sia “… un danno per il patrimonio storico ed artistico nazionale” (locuzione invece presente nella L. 1 giugno 1939, n. 1089, articolo 35, e nel Decreto Legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, articolo 65), poiche’ l’elencazione dei beni da tutelare e’ sufficientemente dettagliata nelle tipologie normative di riferimento ed il danno e’ percio’ presunto.
Pertanto, eccezion fatta per i beni culturali inesportabili per i quali vige il divieto assoluto di trasferimento definitivo all’estero, non e’ soggetta ad autorizzazione esclusivamente l’uscita delle cose di cui all’articolo 11, comma 1, lettera d), ossia delle opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d’arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, a termini degli articoli 64 e 65, comma 4.
Tuttavia, per tali opere, l’interessato ha l’onere di comprovare al competente ufficio di esportazione che le cose da trasferire all’estero sono opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, secondo le procedure e con le modalita’ stabilite con decreto ministeriale (articolo 65, comma 4).
3. Ne deriva che, inosservato l’onere posto a carico dell’interessato con riferimento all’unica categoria di beni di interesse culturale esportabili senza autorizzazione, costituisce grave indizio del delitto di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 174, il trasferimento all’estero, senza “autorizzazione”, di beni culturali, perche’, in difetto di attestato o di licenza, i beni culturali o di interesse culturale, secondo le definizioni datene dal codice del 2004, non possono neppure essere presentati alla dogana essendo l’esportazione illegittima e punita dal Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 174, con la specificazione che la fattispecie di reato, di cui all’articolo 174, comma 1, si consuma con l’uscita dei beni su indicati dal territorio nazionale senza il prescritto provvedimento autorizzatorio, essendo invece configurabile il delitto tentato nel caso in cui siano poste in essere condotte idonee e dirette in modo non equivoco all’esportazione di beni culturali, senza che vi sia stata l’uscita di essi dai confini nazionali.
In ogni caso, la gravita’ indiziaria, che colpisce ogni singolo bene, fatte salve le successive verifiche dirette ad accertare la sussistenza per ogni singola cosa del possesso della qualifica giuridica di “bene culturale”, legittima ampiamente il sequestro probatorio, per la cui adozione non sono peraltro necessari i gravi indizi di colpevolezza ma e’ sufficiente che esistano elementi tali da far configurare l’esistenza di un reato e la sussistenza di una relazione necessaria fra la cosa oggetto del sequestro ed il reato stesso (Sez. 3, n. 19766 del 25/02/2003, Conventi, Rv. 224882).
Nel caso in esame, come gli stessi ricorrenti ammettono e come risulta anche dal testo del provvedimento impugnato, la direttrice dell’Ufficio esportazione della Sovrintendenza, presa visione degli oggetti in sequestro (stimati per un valore complessivo tra 800mila e un milione di euro), li ha valutati, nella loro complessita’, come beni che “presentano interesse culturale” e come “opera di autore non piu’ vivente la cui esecuzione risale ad oltre cinquanta anni”, pervenendo alla conclusione che, per l’uscita di tali beni dal territorio nazionale, fosse necessario l’attestato di libera circolazione, siccome destinati al trasferimento in un paese comunitario.
I ricorrenti, che hanno inosservato l’onere posto dalla legge a loro carico di comprovare il possesso di beni culturali esportabili senza autorizzazione, obiettano che la natura di bene culturale rientrante nel paradigma descrittivo della fattispecie incriminatrice dovrebbe essere posseduta da ogni singola cosa caduta in sequestro ma omettono di considerare che, per consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, il Tribunale, in sede di riesame del sequestro probatorio, e’ chiamato a verificare l’astratta configurabilita’ del reato ipotizzato, valutando il “fumus commissi delicti” in relazione alla congruita’ degli elementi rappresentati, non gia’ nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, ma con riferimento alla idoneita’ degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all’indagato o il trasferimento di esso nella disponibilita’ dell’autorita’ giudiziaria (ex multis, Sez. 3, n. 15254 del 10/03/2015, Previtero, Rv. 263053).
Ed e’ quanto ha correttamente ritenuto il tribunale della liberta’, sussistendo, nel caso di specie e per quanto in precedenza esposto, sia il fumus criminis e sia le esigenze probatorie, che gli stessi ricorrenti praticamente invocano, essendo le uniche necessarie per confermare o escludere la qualita’ di bene culturale di ogni singola opera in sequestro.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00, in favore della cassa delle ammende.
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