segue pagina antecedente
[…]

In tal modo risulta essere soddisfatto l’elemento normativo contenuto nelle descrizione della condotta penalmente rilevante.

Con riferimento al secondo motivo di ricorso osserva il Collegio come sia frutto di una autentica petizione di principio, come tale indimostrata, l’affermazione secondo la quale l’attivita’ di trasferimento all’estero dei redditi maturati e non dichiarati sia cessata a decorrere dall’anno di imposta 2010 e, pertanto, essa non sia piu’ suscettibile di formare oggetto di accertamento e di esazione fiscale; tanto piu’ in questa sede meramente cautelare, caratterizzata da una cognizione di carattere delibativo, la verifica della riferibilita’ temporale dell’eventuale maturazione dei debiti tributari alla frustrazione della cui possibilita’ di esazione coattiva e’ preordinata la condotta del (OMISSIS) e’ elemento che esula rispetto alla semplice riconducibilita’ in linea astratta della condotta del prevenuto al paradigma normativo del reato a lui provvisoriamente contestato.

Riconducibilita’ che, allo stato degli atti, appare, nei limiti che ora rilevano, ipotesi piu’ che verisimile.

Invero, come e’ noto, ai fini della legittimita’, sotto il profilo della sussistenza dei presupposti legittimanti, della misura cautelare reale e’ per radicata giurisprudenza di questa Corte sufficiente che la condotta ascritta al prevenuto, senza la necessita’ che ricorrano a carico del medesimo i gravi indizi di colpevolezza, sia sussumibile in una determinata ipotesi di reato (Corte di cassazione, Sezione II penale, 5 febbraio, 2014, n. 5656; idem, Sezione II penale, 20 gennaio 2014, n. 2248; idem Sezione VI penale, 14 novembre 2013, n. 45908).

Quanto, infine, al terzo motivo di impugnazione, con il quale e’ contestata la utilizzabilita’ ai fini delle indagini delle risultanze delle intercettazioni telefoniche ed ambientali operate a carico del (OMISSIS), commercialista dell’indagato ed aventi ad oggetto conversazioni intercorse fra questo ed il predetto professionista, rileva il Collegio la infondatezza del medesimo.

Al riguardo va rilevato che, sebbene l’articolo 271 c.p.p., comma 2, preveda espressamente, fra i divieti di utilizzazione, quello concernente le intercettazioni relative alle conversazioni o comunicazioni delle persone di cui all’articolo 200 c.p.p., comma 1, quando esse hanno ad oggetto fatti da loro conosciuti in ragione, per quanto ora interessa, della loro professione, siffatta disposizione deve essere intesa, conformemente alle condivise indicazioni interpretative rivenienti da questa Corte, nel senso che il divieto in questione e’ posto a tutela dei soggetti indicati nell’articolo 200 c.p.p., comma 1, e dell’esercizio della loro funzione professionale, ancorche’ non formalizzato in un mandato fiduciario, purche’ detto esercizio sia causa della conoscenza del fatto, ben potendo un libero professionista venire a conoscenza, in ragione della sua professione, di fatti relativi ad un soggetto dal quale non sia stato formalmente incaricato di alcun mandato professionale.

Ne consegue che detto divieto sussiste ed e’ operativo quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate siano pertinenti all’attivita’ professionale svolta dai soggetti indicati nell’articolo 200 c.p.p., comma 1, e riguardino, di conseguenza, fatti conosciuti in ragione della professione da questi esercitata (Corte di cassazione, Sezione 5 penale, 19 aprile 2013, n. 17979); come, infatti, la Corte ha ulteriormente precisato, in materia di intercettazioni, il divieto di utilizzazione stabilito dall’articolo 271 c.p.p., comma 2, non sussiste quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate non siano pertinenti all’attivita’ professionale svolta dalle persone indicate nell’articolo 200 c.p.p., comma 1, e non riguardino di conseguenza fatti conosciuti per ragione della professione dalle stesse esercitata (Corte di cassazione, Sezione 6 penale, 5 maggio 2015, n. 18638; idem Sezione 6 penale, 18 gennaio 2008, n. 2951).

Nel caso di specie le intercettazioni eseguite, lungi dal riguardare l’attivita’ professionale svolta dal commercialista dell’indagato e riferita alla cura degli interessi patrimoniali di quest’ultimo, avevano ad oggetto un’attivita’ in se’ illecita, tale evidentemente da esulare rispetto ai limiti dello svolgimento di una incarico professionale, il quale presuppone, ove non si voglia cadere nell’insanabile contraddizione logica di ritenere tutelato dall’ordinamento lo svolgimento di un’attivita’ criminosa, la piena liceita’ della condotta tenuta.

Poiche’, invece, nel caso che interessa i contenuti delle intercettazioni in questione erano afferenti alle indicazioni fornite dal (OMISSIS) al (OMISSIS) sulle modalita’ di perpetrazione del delitto in provvisoria contestazione, e’ di tutta evidenza come esse, essendo indubbiamente esuberanti rispetto al corretto esercizio di un incarico professionale o, comunque, esulando rispetto ai limiti della lecita attivita’ professionale, non possano essere protette dalle guarentigie di cui all’articolo 271 c.p.p., comma 2.

Ne’ ha un qualche rilievo, ai fini della utilizzabilita’ delle intercettazioni operate a carico di del commercialista, il fatto che il (OMISSIS) non sia indagato in concorso con il (OMISSIS), atteso che in tema di intercettazione di conversazioni, ai fini del divieto di utilizzazione previsto dall’articolo 270 c.p.p., comma 1, nel concetto di “diverso procedimento” non rientrano solo le indagini strettamente connesse e collegate sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico al reato alla cui definizione il mezzo di ricerca della prova viene predisposto, ne’ tale nozione equivale a quella di “diverso reato”, sicche’ la diversita’ del procedimento deve essere intesa in senso sostanziale, non collegabile al dato puramente formale del numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 18 dicembre 2014, n. 52503).

Nel caso di specie, emerge chiaramente la esistenza di una spiccata connessione investigativa ove si rifletta sulla circostanza che le condotte attribuite al (OMISSIS) sono emerse a seguito, appunto, delle indagini volte alla verifica della liceita’ penale delle metodiche operative che il ricordato commercialista (OMISSIS) suggeriva ai propri clienti al fine di fornire quelli che, con singolare ma significativo eufemismo, l’ordinanza impugnata riferisce essere definiti “servizi di cosiddetta ottimizzazione fiscale”.

Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *