Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 26 marzo 2018, n. 14007.
Il reato ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, e’ configurabile esclusivamente allorche’ l’attivita’ simulatoria, o comunque fraudolenta, posta in essere dall’agente e’ finalizzata alla personale sottrazione al pagamento dei debiti tributari riferibili alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero ad interessi e sanzioni relative a dette imposte.
In materia di intercettazioni, il divieto di utilizzazione stabilito dall’articolo 271 c.p.p., comma 2, non sussiste quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate non siano pertinenti all’attivita’ professionale svolta dalle persone indicate nell’articolo 200 c.p.p., comma 1, e non riguardino di conseguenza fatti conosciuti per ragione della professione dalle stesse esercitata. Nel caso di specie le intercettazioni eseguite, lungi dal riguardare l’attivita’ professionale svolta dal commercialista dell’indagato e riferita alla cura degli interessi patrimoniali di quest’ultimo, avevano ad oggetto un’attivita’ in se’ illecita, tale evidentemente da esulare rispetto ai limiti dello svolgimento di una incarico professionale, il quale presuppone, ove non si voglia cadere nell’insanabile contraddizione logica di ritenere tutelato dall’ordinamento lo svolgimento di un’attivita’ criminosa, la piena liceita’ della condotta tenuta.
Ai fini del divieto di utilizzazione previsto dall’articolo 270 c.p.p., comma 1, nel concetto di “diverso procedimento” non rientrano solo le indagini strettamente connesse e collegate sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico al reato alla cui definizione il mezzo di ricerca della prova viene predisposto, ne’ tale nozione equivale a quella di “diverso reato”, sicche’ la diversita’ del procedimento deve essere intesa in senso sostanziale, non collegabile al dato puramente formale del numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato.
Sentenza 26 marzo 2018, n. 14007
Data udienza 25 ottobre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NICOLA Vito – Presidente
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 163/2017 RGTRS del Tribunale di Milano del 3 agosto 2017;
letti gli atti di causa, l’ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentita la requisitoria del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ROMANO Giulio, il quale ha concluso chiedendo in rigetto del ricorso;
sentito, altresi’, per il ricorrente l’avv. (OMISSIS), del foro di Pavia, anche in sostituzione dell’avv.ssa (OMISSIS), del foro di Pavia, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 3 agosto 2017 il Tribunale di Milano ha respinto la richiesta di riesame formulata dalla difesa di (OMISSIS) – indagato in relazione alla violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, per avere sottratto al pagamento delle imposte sul reddito e sul valore aggiunti la somma di Euro 2.000000,00, da lui detenuta in attivita’ finanziarie non dichiarate allocate all’estero, compiendo azioni tese al trasferimento di esse presso un conto corrente acceso presso un istituto di crediti di Dubai, rendendo in tale modo inefficace ogni forma di riscossione delle imposte evase – avverso il decreto di sequestro preventivo emesso, sino alla concorrenza della somma di Euro 1.293.170,00, dei beni, mobili ed immobili, intestati al richiedente ed alla di lui moglie.
Secondo il Tribunale del riesame non coglierebbe nel segno la censura formulata dal ricorrente secondo la quale la condotta a lui attribuita, consistente nella omessa dichiarazione di beni da lui detenuti all’estero in sede di dichiarazione dei redditi, costituirebbe mero illecito amministrativo e non integrerebbe gli estremi del reato in provvisoria contestazione.
Ad avviso del Tribunale di Milano la complessita’ delle operazioni finanziarie poste in essere dal (OMISSIS), tramite la assistenza di professionisti a loro volta oggetto di indagine, non puo’ essere ricondotta alla mera omissione della dichiarazione di taluni cespiti, ma va qualificata come compimento di atti fraudolenti sui propri beni, volti a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, sicuramente ostacolata dalla esteroverstizione dei beni in questione, in tal modo risultando integrata la fattispecie astratta in provvisoria contestazione.
Osserva, in particolare, il Tribunale quanto all’elemento soggettivo del reato in questione, che, secondo il disposto del Decreto Legge n. 78 del 2009, articolo 12, comma 2, convertito con modificazioni con L. n. 109 del 2009, si presumono costituiti con redditi sottratti alla tassazione tutti gli investimenti e le attivita’ finanziarie detenute da cittadini in stati o territori a regime fiscale privilegiato; cioe’ i cosiddetti paradisi fiscali.
Questo secondo il Tribunale, sarebbe l’indice della evasione fiscale commessa del (OMISSIS), presupposto per la commissione del reato in questione.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, assistito dai propri difensori di fiducia, articolando tre motivi di impugnazione.
Con il primo il ricorrente ha dedotto la violazione della L. n. 74 del 2000, articolo 11, anche in relazione all’articolo 1 c.p., osservando che la disposizione in provvisoria contestazione sanziona solamente le attivita’ volte a rendere inefficace la riscossione coattiva delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto. Nel caso in questione, invece, imposta eventualmente evasa sarebbe quella prevista dal Decreto Legge n. 201 del 2011, articolo 18, comma 19, convertito con L. n. 214 del 2011, il quale prevede una imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti sul territorio dello Stato. Altrimenti, aggiunge il ricorrente le somme detenute all’estero sarebbero state soggette alla imposta di cui al Decreto Legge n. 78 del 2009, articolo 13 bis, ma anche in questo caso non si tratta ne’ di imposta sui redditi ne’ di imposta sul valore aggiunto, sicche’ si sarebbe al di fuori dell’ambito di rilevanza del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11.
Con il secondo motivo il ricorrente ha rilevato che, anche a voler seguire il ragionamento del Tribunale, la sottrazione dei redditi alla imposizione fiscale tramite la loro esportazione all’estero si sarebbe verificata anno per anno non oltre il 2010; i relativi reati sarebbero pertanto oramai in via di completa prescrizione, ed i termini per gli accertamenti fiscali sarebbero del tutto perenti; da questo si fa derivare che, non essendoci un attuale debito fiscale, non sarebbe riscontrabile il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, che presuppone la sottrazione di cespiti del contribuente alla possibilita’ per l’Erario di soddisfarsi coattivamente in relazione di ad un debito tributario effettivamente sussistente; sul punto conclude il ricorrente sostenendo la derivante insussistenza del fumus commissi delicti.
Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente ha lamentato la violazione dell’articolo 271 c.p.p., commi 1 e 2, che si sarebbe realizzata in quanto le prove acquisite a suo carico sono il frutto delle intercettazioni telefoniche realizzate sulla utenza in uso al suo commercialista (OMISSIS), coindaigato ed ideatore del sistema di frodi secondo la ipotesi accusatoria.
Per altro al (OMISSIS) non e’ contestato alcun concorso nei reati in ipotesi commesso dal (OMISSIS) ma solamente la commissione del reato tributario cosa che, secondo la difesa del ricorrente, farebbe mancare i presupposti applicativi per la utilizzazione a suo carico delle intercettazioni telefoniche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ infondato e, pertanto, lo stesso deve essere rigettato.
Quanto al primo motivo di impugnazione, con il quale e’ dedotta la violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, per avere il Tribunale del riesame di Milano ritenuto integrato il delitto di cui alla norma sopra richiamata pur in assenza di condotte volte a rendere inefficace la azione esecutiva dell’Erario in relazione al pagamento delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, osserva il Collegio che effettivamente il reato previsto dalla disposizione precettiva dianzi indicata e’ configurabile esclusivamente allorche’ l’attivita’ simulatoria, o comunque fraudolenta, posta in essere dall’agente e’ finalizzata alla personale sottrazione al pagamento dei debiti tributari riferibili alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero ad interessi e sanzioni relative a dette imposte (Corte di cassazione, Sezione III penale, 12 settembre 2013, n. 37389); tuttavia non puo’ trascurarsi che nella occasione il presupposto da cui muove l’ipotesi accusatoria in provvisoria contestazione a carico del prevenuto concerne il fatto che questi, attraverso il loro clandestino trasferimento all’estero e, pertanto, tramite il loro occultamento alla azione di accertamento, verifica e controllo istituzionalmente svolta dagli organi della amministrazione fiscale, abbia sottratto alla imposizione tributaria da operare su di essi ingenti redditi maturati nello svolgimento della sua attivita’ di farmacista e non dichiarati in sede di dichiarazione dei redditi e che analoga destinazione abbiano avuto somme da lui riscosse a titolo di iva e non riversate allo Stato.
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