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5. Va conseguentemente affermato il principio secondo il quale, considerato che l’autorizzazione all’esercizio di impianti produttivi di emissioni ha funzioni non soltanto abilitative, ma anche di controllo del rispetto della normativa di settore e presuppone, per il rilascio, un procedimento amministrativo complesso, che involge anche aspetti prettamente tecnici, deve escludersi la possibilita’ di provvedimenti equipollenti o sostitutivi del formale atto autorizzativo.
6. Nel caso di specie, dunque, bene ha fatto la Corte di appello a ritenere del tutto irrilevante un’autorizzazione paesaggistica, che nulla aveva a che vedere con la disciplina dell’inquinamento atmosferico.
Risulta inoltre ancor piu’ chiaramente dalla sentenza del Tribunale che nessuna autorizzazione era stata rilasciata, che quelle esibite in giudizio riguardavano tutt’altro impianto e che solo nel 2009 vi era stato un tentativo, da parte del ricorrente, di ottenere un’autorizzazione che, pero’, gli fu negata.
7. Tali considerazioni valgono anche per cio’ che concerne lo scarico di cui tratta il quinto motivo di ricorso, pure manifestamente infondato.
I giudici del merito hanno accertato in fatto, attraverso le dichiarazioni degli operanti e le fotografie scattate dagli stessi, la presenza di uno scarico con recapito in una fossa non impermeabilizzata a perdere, effettuato mediante il convogliamento di reflui provenienti dall’impianto di betonaggio che la riempivano per meta’.
A fronte di cio’ la Corte di appello ha correttamente escluso la validita’ delle allegazioni difensive, che sostenevano l’effettuazione di una lavorazione a ciclo chiuso, chiaramente smentita dall’evidenza dei fatti documentati, dando anche atto delle ragioni per le quali hanno ritenuto non rilevanti le conclusioni del consulente di parte, il quale aveva redatto un breve elaborato sulla base di allegati non prodotti, aveva dichiarato di non aver visto personalmente la fossa ove recapitava lo scarico aggiungendo che, all’atto del suo sopralluogo, effettuato nel febbraio o marzo 2015, l’impianto non era in funzione.
La Corte territoriale ha rilevato anche come, a fronte delle dichiarazioni del consulente di parte, il giudice del primo grado abbia nuovamente sentito il funzionario ARPA che aveva effettuato i controlli, il quale era stato contro interrogato anche dalla difesa che, pero’, non chiedeva confronti o sollevava eccezioni si sorta.
La sentenza impugnata risulta, pertanto, del tutto immune da censure.
8. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilita’ consegue l’onere delle spese del procedimento, nonche’ quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 2.000,00.
Ai sensi dell’articolo 585, comma 4 cod. proc. pen. l’inammissibilita’ dell’impugnazione si estende ai motivi nuovi.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende.
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